Cass. civ., sez. I, sentenza 23/11/2021, n. 36092

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. I, sentenza 23/11/2021, n. 36092
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 36092
Data del deposito : 23 novembre 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

ossimi anni, ho chiesto allo stesso Dr. R B di partecipare ad una riunione dei soci del patto». Il fatto decisivo, il cui esame è stato dalla corte omesso, attiene alla prosecuzione di ulteriori trattative tra i soci pattisti, finalizzato a raggiungere l'accordo definitivo in tutti suoi elementi essenziali e che si protrassero tra il novembre 2008 ed il febbraio 2009, perfezionandosi soltanto il giorno 11 febbraio 2009, con l'accordo tra i soci partecipanti al sindacato di nominare il dr. B per il triennio 2009-2011: accordo, invero, poi consacrato nei verbali assembleari del 19 febbraio 2009 per la CVG s.p.a. Firenze e dell'8 giugno 2009 per la CVG s.p.a. di Pisa. Anche dal verbale della riunione dei soci pattisti del 28 dicembre 2008 emerge che essi si riconvocarono proprio per discutere «sulle richieste del Dott. R B, relative al rinnovo della carica ai Amministratore Delegato, così come presentate nel documento ricevuto per mail dal Dott. B il 15 dicembre u.s.»: da cui emerge la forte divisione, ancora a quella data, esistente tra i soci in ordine ai compensi da corrispondere all'amministratore delegato;
dal verbale della riunione tra i medesimi in data 30 dicembre 2008, ancora ricco di discussioni sui compensi da attribuirgli;
dalla comunicazione del 9 gennaio 2009, inviata da uno dei soci pattisti, in cui si evince che l'accordo era in fieri, tanto che egli afferma come «su mia richiesta, B ha avvisato i partecipanti di far andare deserta l'assemblea di lunedì», onde le trattative si palesavano tutt'altro che concluse. Infine, soltanto durante la riunione dell'Il febbraio 2009, a sintesi delle diverse richieste di tutti i soci protrattesi durante le trattative, fu concluso l'accordo definitivo, in linea con le effettive deliberazioni assembleari, assunte il 19 febbraio e 1'8 giugno 2009. In particolare, accettando tali cariche, il dr. B ha recepito proprio l'accordo dell'Il febbraio 2019, che non conteneva nessun riferimento al secondo triennio della carica. 1.2. - Con il secondo motivo, i ricorrenti deducono la violazione o falsa applicazione degli artt. 1321, 1325, 1326, 1372, 1362, 1366, 1372 e 1411 cod. civ., oltre ad omesso esame di fatto decisivo, perché la corte territoriale ha qualificato come contratto a favore di terzi ex art. 1411 cod. civ. l'accordo pretesamente raggiunto dai soci il 12 novembre 2008, senza neppure considerare perlomeno l'avvenuta revoca o modifica del medesimo 1'11 febbraio 2009, prima dell'adesione del terzo in data 19 febbraio 2009. Al contrario, tale qualificazione esige che, tra gli stipulanti, sia concluso un contratto valido, efficace e vincolante, non una mera puntuazione, laddove alla data del 12 novembre 2008, come illustrato nel primo motivo, non tutti gli elementi essenziali dell'accordo tra i soci erano stati definiti;
ma anche a volere ritenere lo stesso integrante un contratto definitivo, era stato però revocato o comunque modificato prima dell'adesione del dr. B, in quanto l'unico accordo raggiunto all'esito delle trattative fu quello cristallizzato nel verbale dell'Il febbraio 2009, che ne prevedeva la nomina solo per il triennio 2009-2011, come poi avvenuto nella successiva assemblea del 19 febbraio 2009. 1.3. - Con il terzo motivo, deducono la violazione o la falsa applicazione degli artt. 1344, 1418 e 2383 cod. civ., dovendo semmai, in subordine, ritenersi nullo un simile accordo in favore del (/, dr. B di rielezione per un duplice triennio, per violazione della norma imperativa dell'art. 2383 cod. civ., secondo cui gli amministratori non possono essere nominati per un periodo superiore a tre esercizi. 2.1. - Nel suo autonomo ricorso, da qualificare incidentale, M T G ha formulato quattro censure. Con il primo motivo, ha dedotto la violazione o falsa applicazione degli artt. 1321, 1325, 1326, 1372, 1362 ss., 1372 e 1411 cod. civ., in quanto la pretesa individuazione di un patto parasociale tra i soci ed il B si pone in contrasto con la disciplina di tale istituto, che resta a valenza meramente interna tra i soci, onde dalla mancata adozione di una delibera di nomina anche per il triennio 2012-2014 non è sorto nessun diritto in favore del dr. B al compenso od al risarcimento del danno. La nomina dell'amministratore alla carica per il primo triennio, ed il relativo diritto di questi di esserne compensato, non è affatto derivata dal patto parasociale, ma unicamente dalle deliberazioni di nomina del 19 febbraio 2009 per la CVG s.p.a. Firenze e dell'8 giugno 2009 per la CVG s.p.a. Pisa. Deliberazioni, altresì, del tutto coerenti con la decisione pattizia dell'il. febbraio 2009, in cui i soci partecipanti al sindacato decisero di votare in tal modo per entrambe le società, stabilendo, come risulta dal relativo verbale, di «votare a favore della nomina dei seguenti componenti del consiglio i amministrazione: Dott. R B... Il suddetto consiglio di amministrazione rimarrà in carica fino all'approvazione del bilancio d'esercizio al 31-12-2011», e dove fu altresì indicato il relativo compenso. La corte del merito, dunque, ha violato l'art. 1362 cod. civ., non avendo affatto indagato la reale volontà delle parti, anche alla luce del loro comportamento complessivo e secondo buona fede. (7„ Il patto di sindacato, invero, ha efficacia solo interna ed obbligatoria, né essa poteva essere estesa al terzo, facendosi errato ricorso all'art. 1411 cod. civ.: dal momento che i soci, nel loro insieme, costituiscono una parte complessa e un unico centro di interesse, non potendosi ravvisare obblighi reciproci tra di loro ed in favore di un terzo, ma coincidendo qui la posizione di stipulante e promittente;
onde mancano le tre figure caratterizzanti l'istituto, ossia uno stipulante, un promittente ed un terzo. Infine, abnorme è avere individuato l'accettazione della pretesa pattuizione complessiva, ivi compresa la nomina per il secondo triennio, nella semplice accettazione, da parte dell'amministratore, della carica in seguito alla nomina per il triennio 2009-2012, deliberata dalle due società. 2.2. - Con il secondo motivo, M T G deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 1344, 1418 e 2383 cod. civ., in quanto - in subordine - deve ritenersi che il patto di nomina per un doppio triennio costituisca violazione della norma imperativa dettata dall'art. 2383 cod. civ., che consente la nomina solo per tre esercizi. 2.3. - Con il terzo motivo, si duole della violazione o falsa applicazione degli artt. 1344, 1418 e 2372 cod. civ., in quanto - sempre in via subordinata all'accoglimento del primo motivo - deve ritenersi che il patto di nomina per un doppio triennio costituisca una elusione della norma imperativa dettata dall'art. 2372 cod. civ., che non permette sia attribuita voce in capitolo all'amministratore nell'orientamento di voto degli azionisti. 2.4. - Con il quarto motivo, deduce la violazione o falsa applicazione dell'art. 2383 cod. civ., in quanto - ancora in subordine al primo motivo - la corte territoriale non ha ravvisato la giusta causa '11 di revoca dell'amministratore, costituita dalla lesione del pactum fiduciae, nelle circostanze dedotte dai soci ai fini della mancata nomina per il triennio 2012-2014 nelle deliberazioni del 2012, male interpretando la nozione di giusta causa di revoca. In ogni caso, non è corretto avere attribuito all'amministratore un risarcimento del danno nella misura pari al trattamento economico conseguito nel primo triennio, pur non avendo pacificamente egli svolto nessuna attività gestoria, permettendogli così un arricchimento indebito, dato che non si è considerata l'ottenibilità di altri incarichi entro un lasso di tempo ragionevole, valutabile in sei mesi. 3. - Il ricorso incidentale di R B espone tre motivi. Col primo motivo, egli lamenta la violazione dell'art. 1223 cod. civ., laddove la sentenza impugnata ha escluso la voce risarcitoria relativa al c.d. incentivo, in quanto il risarcimento del danno deve essere integrale. Con il secondo motivo, deduce l'omesso esame di fatto decisivo, consistente nell'avere trascurato di considerare che la c.t.u. aveva calcolato il danno anche con riguardo all'adeguamento del compenso annuale. Con il terzo motivo, lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1306, comma 2, e 2907 cod. civ., 99, 112, 329 e 342 cod. proc. civ., in quanto la sentenza impugnata ha esteso l'effetto di riforma della prima decisione anche a Maria Teresa e Giuliana G e Tommaso Santini, i quali non avevano formulato uno specifico motivo di appello quanto alla voce di c.d. adeguamento del compenso annuale lordo per il triennio 2012-2014. 4. - La corte territoriale, per quanto ancora rileva, ha ritenuto che: - il 13 dicembre 2007 i soci conclusero un patto parasociale, impegnandosi a concordare il voto da esprimere in tutte le deliberazioni delle assemblee sociali, in conformità alle indicazione della maggioranza degli aderenti al patto, secondo le quote di capitale;
- il 12 novembre 2008 i soci, in una riunione del detto sindacato, deliberarono di nominare R B alla carica di amministratore delegato nei trienni 2009-2012 e 2012-2014, assumendone l'obbligo con effetti per loro vincolanti: infatti, nel verbale si afferma che «la società ha l'interesse e la volontà di continuare il rapporto di amministrazione delegato del gruppo» e che «pertanto nella prossima assemblea verrà deliberato in tal senso riconoscendo altresì l'adeguamento per il compenso del 2009 nella misura del 20% c.a. Per quanto riguarda il premio di risultato dal l° gennaio 2008 alla fine del mandato che sarà di tre anni + ulteriori tre anni come già concordato dai soci pattisti presenti e come sarà proposto al Dr. B tenuto conto che ancora vanno delineate le soluzioni e i meccanismi si stabilisce di aggiornare la riunione su questo punto a brevissimo con la presenza dello stesso Dr. B»;
- l'assunzione di tale impegno, sin dalla data indicata, emerge anche dal comportamento successivo dei soci, nel corso delle assemblee del febbraio e del giugno 2009, in cui il B fu nominato a.d. per il triennio 2009-2012;
- l'accordo raggiunto tra i soci il 12 novembre 2008 costituisce un contratto a favore di terzo, a norma dell'art. 1411 cod. civ.: il patto parasociale in questione è puro, ossia stipulato solo tra soci e non anche col terzo estraneo, che non era neppure presente;
tuttavia, questi ha acquistato il diritto direttamente con la stipulazione ex art.1411 cod. civ., non essendo richiesta la sua accettazione, in quanto terzo beneficiario;
il patto non era più revocabile dai soci, dopo che l'amministratore delegato fu nominato alla carica solo per il primo triennio, nel corso del 2009: in quanto sin da tale momento egli, accettando la carica, ha «dato dimostrazione di volere approfittare della stipulazione nella sua portata complessiva», dunque anche quanto alla rinnovazione alla carica per il triennio 2012-2014;
- l'interesse degli stipulanti, soci pattisti, è rinvenibile nell'interesse al corretto andamento della gestione sociale ed integra la causa del negozio;
- con la lettera del 15 dicembre 2008, il commercialista delle società informò i soci che occorreva una nuova riunione per determinare il compenso dell'a.d., ed il 28 dicembre 2008 si riunì ancora il patto di sindacato, per valutare le «richieste del dr. B relative al rinnovo della carica di amministratore delegato»: dunque, afferma la sentenza impugnata, si era nel corso del «perfezionamento delle trattative economiche, che ancora erano pendenti»;
- simile patto di sindacato, quale contratto a favore di terzo, non è nullo per violazione della norma imperativa di cui all'art. 2383 cod. civ., posto che il patto parasociale ha avuto efficacia meramente obbligatoria ed interna, dovendosi distinguere tra la previsione della rieleggibilità ex ante e la nomina a tempo indeterminato di un amministratore;
né il patto è nullo per violazione dell'art. 2372 cod. civ., sul divieto di delega all'organo gestorio, principio qui non in discussione, in quanto il socio conservava in pieno la sua possibilità di libero voto;
- non sussiste una giusta causa per la mancata nomina con riguardo al successivo triennio, pur volendo assimilare il presupposto della stessa con quello richiesto ai fini della revoca anticipata 7/„ dell'amministratore, ai sensi dell'art. 2383 cod. civ.: invero, i fatti imputati all'amministratore non sono gravi, né comunque ve ne era cenno nei verbali di rinnovo delle cariche sociali del 2012;
- in ordine al quantum del danno liquidato, il premio di risultato non rientra nell'accordo raggiunto, non essendo tale voce del compenso dovuta in mancanza di effettivo espletamento dell'attività gestoria;
d'altro canto, anche l'adeguamento del compenso era già stato altrimenti calcolato: onde tali voci sono state detratte dalla liquidazione definitiva;
- la riforma disposta in appello giova anche agli appellanti incidentali, ai sensi dell'art. 1306, comma 2, cod. civ. 5. - Le censure proposte avverso la decisione impugnata, che sono riassunte nel primo e secondo motivo del ricorso principale e nel primo motivo del ricorso della ricorrente incidentale - vertenti sulle medesime questioni giuridiche, e quindi, da trattare congiuntamente - sono fondate, nei limiti delle seguenti considerazioni. 5.1. - Costituisce principio consolidato che i patti di sindacato, disciplinati nel diritto positivo dapprima dagli artt. 122 s. t.u.f. e poi negli artt. 2341-bis ss. cod. civ., integrino un accordo tra i soci che vi partecipano al fine, ove costituenti sindacati di voto, dell'assunzione preventiva delle decisioni concernenti la vita sociale, tali da rendere più organizzata e fluida l'adozione delle successive deliberazioni ad opera dell'assemblea dei soci, organo destinato a provvedervi. In tal modo, i soci raggiungono un accordo, obbligandosi ad esercitare diritti che derivano loro dall'adesione al contratto di società secondo modalità concordate;
funzione tipica del patto è quella di stabilire in anticipo un indirizzo unitario all'organizzazione sociale, quale strumento di razionalizzazione e stabilizzazione del governo societario. 7Li Come tale, il patto è negozio concluso tra i soli soci partecipanti ed ha effetti obbligatori ed interni;
senza che invece, di regola, nessuna efficacia esso produca nei confronti della società, né dì eventuali altri soggetti (amministratori, sindaci, ma anche revisori, dipendenti, ecc.), di cui pur i soci riuniti in patto si siano occupati, nell'ambito delle loro decisioni, sempre meramente propedeutiche alla vera e propria, ed unica a produrre effetti nella vita sociale, assunzione delle successive deliberazioni societarie. Inoltre, trattandosi di un ordinario contratto fra i soggetti che l'hanno concluso, il patto può essere modificato con il consenso unanime (art. 1372, comma 1, cod. civ.) o, comunque, secondo le regole previste nel patto sindacale-quadro, che resta distinto dal "piano sociale". 5.2. - Dal suo canto, il contratto in favore di terzi costituisce uno schema legale generale, disciplinato dagli artt. 1411 ss. cod. civ., il quale si caratterizza in quanto come suo effetto diretto un soggetto, terzo rispetto al contratto, acquista un diritto proprio nascente dal contratto medesimo. Tale negozio contempla dunque un accordo, posto in essere esclusivamente tra le parti del medesimo, al cui esterno si pone un terzo soggetto, estraneo al negozio e che diviene tuttavia creditore di una prestazione nei confronti della parte promittente, in tal modo realizzando un'ipotesi di deroga al principio generale di efficacia del contratto tra le sole parti contraenti, a norma dell'art. 1372 cod. civ. (cfr., fra le altre, Cass. 14 settembre 2020, n. 19059, non massimata, e Cass. 9 settembre 2020, n. 18686, che, nell'àmbito del contratto di appalto pubblico di servizi con obbligo dell'appaltatrice di fornire e organizzare idoneo personale, hanno escluso l'attribuzione diretta di un vantaggio per il terzo lavoratore dalle parti consapevolmente assunto quale oggetto del patto;
Cass. 18 settembre 2008, n. 23844;
Cass. 20 gennaio 2005, n. 1150;
Cass. 10 dicembre 2003, n. 18321, che precisa potere la prestazione a vantaggio del terzo essere riferita a un dare, fare o non fare;
Cass.18 luglio 2002, n. 10403, sulla distinzione con il contratto per persona da nominare, in cui la nomina del terzo è solo eventuale;
Cass. 9 dicembre 1997, n. 12447;
Cass. 19 agosto 1997, n. 7693;
Cass. 4 ottobre 1994, n. 8075;
Cass. 27 marzo 1985, n. 2155;
ed altre). Il terzo, pur diventando creditore, non ha la qualità di parte in senso né formale, né sostanziale, ma beneficia degli effetti di un rapporto costituito da altre persone, le quali assumono (se del caso reciprocamente) un obbligo nei suoi confronti. Egli si limita a beneficiare degli effetti di un rapporto da altri già validamente ed efficacemente costituito, così che la sua successiva adesione si pone come mera condicio iuris, di carattere sospensivo, all'acquisizione del diritto a lui attribuito (Cass. 9 dicembre 1997, n. 12447, cit.). Sicché il diritto che il terzo acquista è un diritto proprio, in ragione dell'assunzione da parte del promittente di un obbligo di prestazione verso il terzo diretto e di contenuto autonomo: onde il terzo può agire per l'adempimento contro il promittente ed in generale azionare anche giudizialmente il suo diritto. Elemento tipico del contratto è, quindi, che l'individuazione di un terzo debba essere necessariamente prevista nel contratto, perché questo è funzionalmente destinato a produrre i suoi effetti proprio nei confronti del terzo (cfr. Cass. 18 luglio 2002, n. 10403, che per tale ragione lo distingue dal contratto per persona da nominare, dove la nomina del terzo è solo eventuale). In definitiva, il più rilevante elemento costitutivo ed il presupposto indispensabile di tale figura è l'esistenza di una specifica volontà delle parti - da ricostruire secondo gli ordinari mezzi d'interpretazione e qualificazione dei negozi privati - di attribuire direttamente ed intenzionalmente il beneficio al terzo nel momento stesso della loro pattuizione, quale prestazione oggetto dell'obbligo dallo stipulante consapevolmente assunto e contenuto del patto, in correlazione ad un ben individuato interesse dello stipulante stesso. Onde è essenziale rimarcare come la caratteristica del contratto in favore di terzo non sia affatto il semplice conseguimento di un vantaggio da parte del terzo, ma, al contrario, la chiara, specifica e concreta volontà delle parti del contratto, univocamente ricostruibile, che una prestazione, destinata ad un soggetto estraneo all'accordo, divenga elemento di un sinallagma, volendo esse attribuire senz'altro al terzo il diritto di esigere la prestazione da una (o da ciascuna) di esse, identificato come la parte promittente. 5.3. - Del tutto diversa in punto di fatto, e nettamente distinta sul piano giuridico, è invece la situazione di quei contratti in cui un vantaggio per il terzo nasca soltanto casualmente oppure indirettamente: e ciò accade sempre, allorché le parti non si siano prefigurate affatto di attribuire direttamente al terzo, in forza della mera pattuizione interna tra di loro, un diritto soggettivo, ossia non si siano proposte di assumere un obbligo diretto verso estranei e di assegnargli un diritto (Cass. 27 marzo 1985, n. 2155, ove già la precisazione: «Non conta, perciò, la mera circostanza che nella clausola la società sia nominata, dato che una indicazione siffatta era imprescindibile»). In tali evenienze, non si dà beneficio per il terzo come voluto immediatamente e direttamente dai paciscenti, quale frutto 4-, consapevole di un obbligo intenzionalmente assunto ed effetto del negozio concluso. Ne deriva che il terzo, in tal caso, ha un semplice interesse a godere del vantaggio ed a conservarlo, quale destinatario della prestazione, ma non una pretesa fondata su diritto soggettivo: creditore della prestazione è unicamente la controparte contrattuale. Il terzo non acquista, in via diretta, un diritto autonomo verso una o l'altra parte dell'accordo (art. 1372 cod. civ.);
né può, pertanto, agire per l'adempimento contro le medesime, pretendendo un facere o un dare o, se del caso, un non dare, esclusivamente fra quelle così concordato, e neppure, ove non si dia la domanda di adempimento per la particolare natura del negozio, proporre una domanda risa rcitoria . 5.4. - Nei contratti parasociali, in particolare in quelli che, come nella specie, abbiano designato un certo soggetto per la futura attribuzione assembleare della carica di amministratore della società, la qualificazione del patto come contratto a favore di terzo comporta dunque, secondo la sua disciplina, conseguenze rilevantissime per i soci aderenti al patto: non solo, come appena esposto ed ai sensi dell'art. 1411, comma 2, cod. civ., il terzo acquista il diritto contro il promittente per effetto della mera stipulazione, potendo direttamente agire per l'adempimento, o far valere l'inadempimento, dell'obbligo assunto dai soci;
ma, ai sensi della medesima disposizione, la stipulazione non è più revocabile o modificabile per volontà dei soci del patto dopo che il nominando amministratore abbia dichiarato, in modo espresso o tacito, di volerne profittare (mentre, prima di tale momento, la modifica del patto resterebbe affidata alle regole interne). Non costituisce un limite, invece, la previsione dell'art. 1411, comma 3, cod. civ.: la quale nel prevedere che, in caso di revoca della stipulazione o di rifiuto del terzo di profittarne, la prestazione rimanga a beneficio dello stipulante, ammette che ciò non accada, ove sia escluso dalla volontà delle parti o dalla natura del contratto. In sostanza, qualificare un determinato patto parasociale come contratto a favore di terzo significa limitare significativamente la facoltà di ripensamento e di migliore o diversa ponderazione, impedendo ai soci di risolvere consensualmente gli accordi, secondo le regole interne al patto, dopo che il terzo avesse espresso la sua dichiarazione. Attesa la gravità di un simile effetto, occorre quindi accertare con particolare rigore se davvero la volontà dei soci sia tale da rendere le intese tra essi raggiunte realmente riconducibili allo schema legale del contratto a favore di terzo, o se, invece, si tratti piuttosto di convenzioni destinate ad esplicare i loro effetti esclusivamente nei riguardi delle parti. 5.5. - Come per qualsiasi altro tipo contrattuale, nel patto parasociale l'accordo ha effetto solo tra le parti (art. 1372 c.c.). Ove non ricorra la figura ex art. 1411 cod. civ., pertanto, l'amministratore, la cui nomina e il cui compenso siano stati discussi e decisi nell'ambito di una riunione di un patto di sindacato ex art. 2341-bis cod. civ., non soltanto resta affatto estraneo, sotto il profilo strutturale, a tale accordo, ma neppure acquista automaticamente e di per sé, sotto il profilo degli effetti, un diritto soggettivo, in forza della mera conclusione del patto medesimo. La funzione tipica del patto di sindacato - conforme alla sua causa economica e pratica - è quella di vincolare i soci ad una data espressione di voto in assemblea, la volontà dei soci essendo unicamente quella di disciplinare i rapporti tra di loro. Dunque, non è sufficiente, per la configurabilità di un contratto a favore di terzo, che questi riceva un vantaggio economico indiretto dal contratto intervenuto tra altri soggetti, come appena esposto. Simile patto di sindacato, in cui i soci abbiano raggiunto un accordo sulla designazione di un soggetto alla carica gestoria, nell'ambito del voto da esprimere nella successiva deliberazione societaria ex art. 2364 cod. civ., non configura - in mancanza del puntuale accertamento di una specifica volontà negoziale a ciò diretta - un vantaggio per il terzo, che le parti abbiano consapevolmente assunto quale oggetto di un preconcordato proposito di voto: tale, cioè, da comportare l'obbligo dei soci, quali promittenti e stipulanti, in favore del terzo futuro amministratore e tale da renderlo titolare di una prestazione immediata e diretta, attribuendogli, per ciò solo, il diritto ad una data manifestazione di voto in assemblea, che egli possa autonomamente azionare, sia pure sotto il profilo risarcitorio. Non costituisce, peraltro, ostacolo alla configurabilità di un contratto a favore di terzo il dedotto (dalla ricorrente incidentale) difetto di due delle tre figure caratterizzanti l'istituto - ossia lo stipulante e il promittente - vero essendo, invece, che tutti i soci del patto assumerebbero contemporaneamente la posizione contrattuale di promittente e di stipulante, al fine di adempiere l'identica prestazione - la manifestazione di voto in assembla ex art. 2364, comma 1, n. 1, cod. civ. - nei confronti dell'amministratore-terzo. È ben possibile, infatti, che nel contratto a favore di terzo le parti assumano contemporaneamente la posizione di stipulante e di promittente, vincolandosi tutte ad adempiere nei confronti di uno stesso beneficiario. Come questa Corte ha già ritenuto, attesa «la considerevole varietà del regolamento degli interessi che grazie ad esso si possono perseguire, il patto può presentarsi, volta a volta, come bilaterale, plurilaterale o a parti complesse (ove siano ravvisabili più interessi di diversa titolarità, ma affatto omogenei fra di loro);
né è aliena poi da tale figura la corrispettività delle prestazioni, in quanto, pur nel collegamento negoziale con l'atto costitutivo e lo statuto societario, le parti dell'accordo parasociale ben possono concepire le reciproche prestazioni come legate da un nesso oggettivo di corrispettività, tutte le volte che, a fronte della concessione di vantaggi, l'altra parte si aspetti a propria volta un beneficio, a quella collegato» (Cass. 7 maggio 2014, n. 9846, non mass.). 5.6. - Affinché, al di là del contenuto tipico del patto parasociale consistente nel concordare l'espressione del voto in una successiva assemblea deputata alla nomina dell'organo gestorio, si produca l'effetto di vincolare gli autori anche nei confronti del soggetto da nominare, occorre dunque che sia stato inserito nell'accordo contrattuale fra i soci un ulteriore contenuto negoziale specifico, costituito dalla inequivoca volontà di attribuzione diretta al terzo di un diritto soggettivo perfetto, relativo alla manifestazione di voto in suo favore nell'assemblea deputata alla nomina nella carica (accordo che resta pur sempre, ovviamente, privo di effetti per la società), diritto fondato sullo stesso patto tra i soci e da essi voluto come non revocabile dopo la dichiarazione del terzo di volerne profittare, secondo lo schema dell'art. 1411 cod. civ. Oltre a ciò, naturalmente, ben potrebbe raggiungersi un diverso accordo, di cui sia parte lo stesso amministratore nominando, con riguardo alla sua nomina alla carica, accordi siffatti non essendo preclusi, nel rispetto del principio dell'autonomia negoziale privata (art. 1322 cod. civ.). Unicamente in tali evenienze - accordo, cioè, in favore del terzo ai sensi dell'art. 1411 cod. civ. o accordo con lo stesso terzo per la sua nomina - potrà ritenersi allora sorto un obbligo dei soci direttamente nei confronti dell'amministratore designando, che potrà vantare una pretesa risarcitoria al riguardo, ove ne siano accertati tutti gli elementi costitutivi (art. 1218 cod. civ.). 5.7. - In particolare, con riguardo alla prima delle due ipotesi di cui sopra, le rilevanti conseguenze della qualificazione ex art. 1411 cod. civ. rendono necessario ricostruire l'effettiva volontà dei contraenti, onde determinare se gli accordi siano stati raggiunti allo scopo di attribuire un diritto soggettivo all'amministratore designato, o soltanto al fine di regolare i soci reciprocamente la propria espressione di voto in assemblea senza, però, spogliarsi della facoltà di modificare o revocare le intese definite, secondo le regole interne al patto ed indipendentemente dall'adesione dello stesso, con effetti che non travalichino la sfera giuridica dei contraenti. In particolare, la sola menzione, nell'accordo fra soci del patto parasociale, del nome, del compenso e della durata della carica di un futuro amministratore sociale nominando non integra il significato di una manifestazione di volontà diretta a conferire efficacia vincolante verso il terzo, tra le parti del patto, al reciproco obbligo di nominarlo, né tantomeno con quelle date modalità e clausole. Al contrario, dovrà verificarsi la pattuizione di una clausola, o patto d'obbligo, in base al quale il terzo sia titolare del diritto soggettivo all'adempimento da parte degli obbligati, perché sia corretto il riferimento allo schema dell'art. 1411 cod. civ. Occorre accertare se dall'accordo risulti chiaramente che i soci intendono attribuire all'amministratore il diritto ad esigere quella determinata prestazione a loro carico (la manifestazione di voto), ovvero se essi vogliano semplicemente dettare regole comportamentali destinate a valere esclusivamente tra di loro. In nessun caso, pertanto, potrà meramente presumersi la volontà di attribuzione immediata del diritto allo stesso amministratore designato. 5.8. - Giova ricordare come, fermo l'accertamento della vicenda concreta riservato al giudice del merito, la sussunzione di una determinata situazione, in tal modo accertata, nell'ambito del contratto a favore di terzo ex art. 1411 cod. civ., è giudizio di diritto. Invero, il giudizio se la vicenda concreta, la cui esistenza è rimessa in via esclusiva al giudice del merito, debba essere sussunta sotto un astratto paradigma legislativo è giudizio di diritto, controllabile ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. (cfr., e multis, Cass. 12 luglio 2019, n. 18770;
Cass. 5 luglio 2019, n. 18182;
Cass. 26 gennaio 2018, n. 2037;
in tema di licenziamento per giusta causa, fra le tante, Cass. 10 gennaio 2019, n. 428;
19 gennaio 2018, n. 1374;
9 luglio 2015, n. 14324;
14 marzo 2013, n. 6501;
13 agosto 2008, n. 21575). 5.9. - Appartiene, dunque, al giudice del merito il compito di individuare, in concreto, se si tratti di patto parasociale con effetti solo per i soci, oppure se sussista una manifestazione di volontà delle parti del patto parasociale, pur strutturalmente solo fra i paciscenti concluso, di attribuire direttamente al futuro amministratore un diritto soggettivo ad una data manifestazione di voto dei soci in assemblea, ai sensi dell'art. 1411 cod. civ. Ma, come esposto, il giudice del merito, chiamato ad operare la sussunzione della vicenda nella corretta fattispecie astratta e ad identificare la norma applicabile al caso di specie, non può limitarsi ad individuare un qualche vantaggio economico per il terzo. Al contrario, egli è tenuto a verificare se i soci abbiano inteso direttamente attribuire il diritto al terzo, nel senso che i soggetti stessi, nella qualità di contraenti, abbiano previsto e voluto la prestazione di voto a favore di un terzo estraneo al contratto, come elemento della funzione nel contratto perseguita: ad esempio verificando se, nell'accordo, sia stata prevista espressamente la facoltà di azione del soggetto terzo per ottenere l'adempimento delle obbligazioni assunte;
ed individuando uno specifico interesse dei soci in tal senso, che l'art.1411 cod. civ. pone per la validità del contratto a favore di terzo. 5.10. - Nella specie, nessuna allegazione di parte circa la specifica volontà di diretta attribuzione del diritto soggettivo al terzo in forza del patto parasociale, né argomentazione ricostruttiva al riguardo si leggono nella sentenza impugnata, idonee ad inquadrare il deliberato di cui al verbale del 12 novembre 2008, né quello dell'Il febbraio 2009 - trasposizione dei progressivi accordi raggiunti dai soci partecipanti al patto parasociale - nello schema del contratto a favore di terzi, ai sensi dell'art. 1411 cod. civ. Quel che si comprende dall'accertamento svolto è solo che i soci medesimi si siano impegnati nei reciproci confronti a designare alla carica di amministratore delegato il dr. B nelle successive assemblee, ed abbiano preconcordato, anche col benestare del medesimo, un certo compenso e trattamento economico complessivo. Nessun accertamento viene, al contrario, svolto circa la volontà dei soci di attribuire non un mero vantaggio economico dall'accordo parasociale intervenuto tra gli stessi circa l'espressione del voto, ma un diritto soggettivo perfetto dell'amministratore ad essere nominato per sei anni, quale elemento essenziale del reciproco accordo: non risulta affatto argomentato, nella sentenza impugnata, che i soci abbiano inteso direttamente e consapevolmente attribuire all'amministratore designato la titolarità di un diritto soggettivo, per avere essi assunto, reciprocamente l'uno nei confronti degli altri, un'obbligazione anche a favore del predetto, di cui dovessero rispondere, in sede risarcitoria, per il caso di inadempimento. Ne deriva che la ratio decidendi della sentenza impugnata, laddove ravvisa nella specie un contratto a favore di terzi, non sorregge validamente la decisione, a fronte delle critiche sollevate dai ricorrenti. 5.11. - Resta assorbito il profilo dei motivi in discussione, che riguarda la censura di omesso esame di fatto decisivo, consistente nella revoca dell'accordo, ove pur ritenuto raggiunto il 12 novembre 2008: infatti, la questione relativa alla dedotta revoca di quest'ultimo accordo rileverebbe solo nell'eventualità che il giudice del rinvio, pur attenendosi al primo dei principi di diritto, enunciato al par. 8, accertasse l'effettiva stipulazione di un contratto a favore di terzo ex art. 1411 cod. civ. 6. - Il terzo motivo del ricorso principale, nonché il secondo ed il terzo motivo del ricorso incidentale della sig.ra G - che pongono identiche questioni e possono quindi essere trattati congiuntamente - sono infondati. Con essi, si denunzia l'errore della corte del merito nel non avere ritenuto comunque nulli i patti in questione, per violazione delle norme imperative di cui agli artt. 2372, comma 5, e 2383 cod. civ.: sotto il primo profilo, perché in tal modo il patto di nomina per il doppio triennio avrebbe eluso la regola del divieto di delega in assemblea in favore dei membri degli organi amministrativi;
sotto il secondo profilo, perché gli amministratori non possono essere nominati per un periodo superiore a tre esercizi. Ma il duplice assunto non ha pregio, dovendosi condividere, al riguardo, l'argomentare della sentenza impugnata, la quale ha riferito gli effetti del patto al mero rapporto obbligatorio, senza nessuna efficacia esterna nei confronti della società, né conseguenze c.d. reali sulla determinazione del voto nelle successive assemblee, non comportando tale patto pregiudizio al corretto funzionamento dell'organo assembleare. Non viene, invero, in tal modo violato né eluso il principio (su cui v. Cass. 13 giugno 2017, n. 14695;
Cass. 14 dicembre 1995, n. 12820;
Cass. 17 aprile 1990, n. 3181) secondo cui l'art. 2383 cod. civ. riserva all'assemblea, con norma inderogabile, la nomina e la revoca degli amministratori della società per tre soli esercizi, onde è inammissibile un patto o una clausola che intenda affidare la permanenza in carica degli amministratori alla mera volontà dei soci espressa uti singuli e per un tempo maggiore;
né, del pari, si è violato allora l'art. 2372 cod. civ. sulla rappresentanza in assemblea, in quanto nessuna delega sostanziale è stata in tal modo conferita all'amministratore in ordine alla sua stessa nomina alla carica. Il patto de quo, dunque, non si presta ad essere stigmatizzato come illecito perché concluso in violazione (art. 1418 cod. civ.) o in frode (art. 1344 cod. civ.) di dette norme imperative del diritto societario, alla stregua del controllo causale del medesimo operato dalla corte del merito: nei rapporti con la società, l'azionista non è formalmente vincolato dall'impegno così assunto all'esterno sul piano parasociale. 7. - Il quarto motivo del ricorso incidentale di M T G ed il ricorso incidentale di R B restano assorbiti. 8. - In conclusione, devono essere enunciati i seguenti principi di diritto: 1) «Affinché l'amministratore designato in un patto parasociale acquisti, ai sensi dell'art. 1411 cod. civ., il diritto soggettivo all'espressione del voto in assemblea, da parte dei soci sottoscrittori del patto, in favore della sua nomina e di un determinato compenso, in esso decisi, occorre sia accertato l'intento dei soci di attribuire direttamente ed immediatamente al terzo un diritto soggettivo, potendo allora, in tal caso, l'amministratore vantare una pretesa risarcitoria al riguardo, ove ne sussistano tutti gli elementi costitutivi». 2) «Il patto di sindacato, in cui i soci abbiano stabilito la rielezione di un soggetto alla carica di amministratore per due successivi trienni, non è nullo per violazione degli artt. 2372 e 2383 cod. civ., avendo effetti organizzativi del voto meramente interni ed obbligatori, senza porre in discussione il corretto funzionamento dell'organo assembleare». 9. - La sentenza impugnata va dunque cassata, in accoglimento delle censure accolte, con rinvio al giudice indicato in dispositivo, il quale si atterrà al primo dei due principi di diritto sopra enunciati e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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