Cass. civ., SS.UU., sentenza 28/11/2007, n. 24669
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Con riferimento agli incarichi extragiudiziari, tra la disposizione di cui all'art. 16 del r.d. n. 1 del 1941, secondo cui i magistrati non possono accettare incarichi di qualsiasi specie senza l'autorizzazione del Consiglio superiore della magistratura, e quella - applicabile anche ai magistrati - contenuta nell'art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001, in base alla quale i dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall'amministrazione di appartenenza (comma 7), non esiste un rapporto in termini di abrogazione della prima da parte della seconda, ma di coordinamento e integrazione, atteso che l'esistenza per i dipendenti pubblici di una previsione generale che consenta la possibilità di svolgimento di incarichi non retribuiti non esclude per i magistrati la potestà autorizzatoria dell'organo di autogoverno ai fini della verifica in concreto delle ragioni connesse al prestigio della magistratura e alla funzionalità dell'ufficio giudiziario.
In tema di procedimento disciplinare a carico dei magistrati, al fine di vagliare l'ammissibilità del ricorso per cassazione previsto avverso le sentenze della Sezione disciplinare del Cons. Sup. Magistratura, in relazione ai modi ed ai termini della sua proposizione, occorre aver riguardo alla disciplina legale vigente nel momento in cui si è completato il procedimento di emissione della sentenza impugnata ed è, perciò, sorto e divenuto attuale il diritto della parte interessata ad impugnarla, non potendo la nuova legge processuale travolgere gli effetti dell'atto che si sono già prodotti al momento della sua entrata in vigore, né regolare diversamente gli effetti futuri dell'atto stesso. Pertanto, il ricorso proposto avverso una sentenza depositata successivamente al 19 giugno 2006 (data di entrata in vigore del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, alla cui disciplina deve, perciò, ritenersi sottoposto), nei termini e nelle forme previsti dal codice di procedura penale (così come previsto dall'art. 24, comma 1) è ammissibile - e deciso dalle S.U. civili, "ex" art. 32 "bis", comma 3, dello stesso decreto (come modificato dalla legge n. 269 del 2006), con conseguente previa comunicazione dell'avviso dell'udienza all'Avvocatura generale dello Stato per offrire al Ministro della Giustizia la possibilità di partecipare all'udienza e presentare memorie illustrative - senza che rilevi la disciplina transitoria di cui all'art. 32 "bis" suddetto nella parte in cui (comma 1) prevede che le disposizioni del D.lg. n. 109 del 2006 si applicano ai procedimenti disciplinari promossi a decorrere dalla data della sua entrata in vigore (19 giugno 2006), la quale non esisteva nell'ordinamento nel momento dell'emissione della pronuncia impugnata.(Fattispecie in cui la sentenza impugnata era successiva al 19 giugno e il ricorso per cassazione era antecedente alla legge n. 269).
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. N G - Primo Presidente f.f. -
Dott. S S - Presidente di Sezione -
Dott. P R - Presidente di Sezione -
Dott. L M G - rel. Consigliere -
Dott. F M - Consigliere -
Dott. D M A - Consigliere -
Dott. B E - Consigliere -
Dott. T F - Consigliere -
Dott. B B - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NME1, elettivamente domiciliato in LOCALITA1,
presso lo studio dell'avvocato NME2, che lo
rappresenta e difende unitamente all'avvocato NME3, giusta delega in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;
- intimato -
I avverso la sentenza n. 118/06 del Consiglio superiore magistratura, depositata il 27/07/06;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/11/07 dal Consigliere Dott. M G L;
Udito l'Avvocato NME3;
Udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. N V, che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 13 luglio 2006, depositata il 27 luglio 2006, la Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura dichiarava il dottor NME1, Giudice del Tribunale di LOCALITA2, responsabile della violazione del R.D.L. 31 maggio 1946, n.511, art. 18, per aver svolto, senza aver richiesto la preventiva
autorizzazione, una serie di lezioni presso istituti universitari, specificamente indicate al capo 1, lett. a), b) e c) delle incolpazioni, lo assolveva dalle incolpazioni di cui ai capi 2 e 3 perché il fatto non costituisce illecito disciplinare e gli infliggeva la sanzione dell'ammonimento. Osservava in motivazione la sezione disciplinare che dalla documentazione acquisita era emerso che il dottor NME1 aveva accettato e parzialmente espletato gli incarichi in questione senza aver previamente richiesto la necessaria autorizzazione;che in relazione al ciclo di lezioni di cui alla lett. a) aveva percepito il compenso previsto, mentre per quelle indicate alle lett. b) e c) aveva rinunciato al corrispettivo soltanto il 15 dicembre 2004, in coincidenza con gli accertamenti sollecitati dal CSM;che tale attività integrava evidente violazione delle regole di condotta fissate dall'art. 16, dell'ordinamento giudiziario e dalla circolare n. 15207 del 16 dicembre 1987, vigente all'epoca dei fatti;che i richiamati comportamenti rilevavano disciplinarmente anche secondo la nuova normativa di cui al D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, onde appariva irrilevante la prospettata
problematica in ordine alla applicabilità delle nuove disposizioni contenenti la tipizzazione degli illeciti disciplinari. Avverso tale sentenza il dottor NME1 ha proposto ricorso per cassazione alle Sezioni Unite penali, deducendo due motivi. Il ricorso è stato successivamente trasferito a queste Sezioni Unite civili.
Il Ministro della Giustizia non ha svolto difese.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Va preliminarmente verificata l'ammissibilità del ricorso per cassazione, diretto alle Sezioni Unite penali e proposto nei termini e nelle forme previsti dal codice di procedura penale. Come è stato precisato nella giurisprudenza di queste Sezioni Unite, al fine di accertare l'ammissibilità del ricorso per cassazione avverso le sentenze della sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, in relazione ai modi ed ai termini della sua proposizione, con riguardo alla nuova disciplina dettata dal D.Lgs.23 febbraio 2006, n. 109, e dalla L. 24 ottobre 2006, n. 269, occorre
far riferimento alla disciplina legale vigente non già al tempo della impugnazione, bensì nel momento in cui si è completato il procedimento di emissione della sentenza impugnata, ed è perciò sorto e divenuto attuale il diritto della parte interessata ad impugnarla, non potendo la legge processuale intervenuta successivamente a tale momento travolgere gli effetti dell'atto già prodottisi alla data della sua entrata in vigore, ne' regolare diversamente gli effetti futuri dell'atto stesso (v. S.U. 2007 n. 17918;2007 n. 16627;2006 n. 27172). Nella specie il ricorso è ammissibile e rituale, in quanto proposto - con atto depositato il 12 ottobre 2006 presso la segreteria della sezione disciplinare del CSM, nel termine di trenta giorni dalla data della pubblicazione della sentenza impugnata, avvenuta il 27 luglio 2006 - conformemente al dettato del D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 24, comma 1, vigente al momento del deposito della sentenza
stessa, ai sensi del quale il ricorso per cassazione avverso le sentenze della sezione disciplinare si propone nei termini e con le forme previsti dal codice di procedura penale.
È bensì vero che la successiva L. 24 ottobre 2006, n. 269, ha introdotto con l'art. 32 bis, una disciplina transitoria, prescrivendo al primo comma di detto articolo che le disposizioni del decreto legislativo, in cui esso è inserito, si applicano ai procedimenti disciplinari promossi a decorrere dalla data della sua entrata in vigore, e che pertanto in forza di tale norma transitoria anche il richiamato primo comma dell'art. 24, è destinato a trovare applicazione solo per i ricorsi avverso sentenze disciplinari emesse all'esito di procedimenti promossi dopo il 19 giugno 2006, ma è evidente che detta disciplina transitoria, non esistente nell'ordinamento al momento della emissione della pronuncia impugnata, non può influenzare il giudizio sulla ammissibilità di un ricorso promosso in conformità alla normativa in quel momento in vigore (v. in tal senso S.U. 2007 n. 16627, cit). Va infine rilevato che attraverso la comunicazione dell'avviso di udienza all'Avvocatura Generale dello Stato (conformemente all'orientamento espresso nella recente ordinanza di queste Sezioni Unite n. 16873 del 2007) è stata offerta al Ministro della Giustizia la possibilità di partecipare alla discussione nella pubblica udienza e di presentare memoria illustrativa ai sensi dell'art. 378 c.p.c.. Con il primo motivo di ricorso, denunciando mancanza di motivazione, si deduce che in relazione all'episodio di cui al punto a) del primo capo di incolpazione, consistente nell'aver svolto senza la prescritta autorizzazione diciotto ore di lezione per un ciclo di seminari specialistici nell'ambito del dottorato di ricerca in diritto aziendale, organizzato nell'anno accademico 2001/2002 dall'Università degli Studi di LOCALITA3, l'incolpato aveva dedotto la propria buona fede, segnalando di non essere stato in grado di reperire, a causa del tempo trascorso, tutta la documentazione inerente all'incarico e di non ricordare se avesse inviato una comunicazione al CSM, ed aveva comunque prospettato una mera dimenticanza. Si rileva che tale profilo soggettivo non è stato in alcun modo esaminato nella decisione impugnata, la quale non ha in particolare considerato che l'avere il magistrato sempre richiesto nel corso degli anni le necessarie autorizzazioni per tutti gli incarichi retribuiti induceva a ritenere come fortemente probabile che si fosse effettivamente trattato di una dimenticanza. Il motivo è infondato.
Ed invero la motivazione resa nella sentenza impugnata a sostegno del giudizio di colpevolezza in ordine all'addebito di cui alla lett. a) del primo capo di incolpazione sottende chiaramente l'accertamento dell'elemento soggettivo dell'illecito disciplinare: la sezione ha infatti v, rilevato che F incolpato aveva ammesso di aver espletato l'incarico in questione senza la necessaria autorizzazione ed ha dato atto che il medesimo aveva dubitativamente affermato, senza peraltro fornire alcun supporto documentale, di avere, forse (credo), a suo tempo inviato la comunicazione di questo incarico, che peraltro consisteva in alcune conferenze in materia aziendale. Nell'evidenziare la vaghezza e la non concludenza della posizione difensiva assunta dal dottor NME1, a fronte dell'accertata mancanza dell'atto autorizzativo, il Giudice disciplinare ha implicitamente ritenuto sussistenti la coscienza e la volontà di commettere la violazione.
Nè appare ammissibile l'assunto del ricorrente secondo il quale la carenza di detto elemento soggettivo avrebbe dovuto desumersi dalla circostanza che egli aveva sempre richiesto la prescritta autorizzazione per tutti gli incarichi retribuiti, atteso che tale deduzione - peraltro chiaramente smentita dal rilievo che anche per gli incarichi di cui alle lett. b) e c), per i quali era stata prevista la corresponsione di un compenso (v. postea), non vi era stata richiesta di autorizzazione - si risolve nella sollecitazione ad un riesame dei fatti che hanno formato oggetto di accertamento e di apprezzamento da parte della sezione disciplinare, non prospettabile in questa sede.
Con il secondo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione del R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 16, e del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 53, omessa motivazione su punto decisivo, si deduce che
ai sensi del richiamato art. 53, disciplinante le incompatibilità ed il cumulo di impieghi ed incarichi dei pubblici dipendenti, espressamente applicabile anche ai magistrati, sono soggetti ad autorizzazione tutti gli incarichi, anche occasionali, non compresi nei doveri di ufficio, per i quali è previsto sotto qualsiasi forma un compenso, ad eccezione dei compensi derivanti da attività de minimis, che sono state completamente liberalizzate, e che pertanto tutte le attività di insegnamento svolte dall'incolpato, ad eccezione di quelle risalenti all'annualità 2001/2002, di cui alla lett. a) del capo di incolpazione, in quanto gratuite non necessitavano di autorizzazione. Si aggiunge che l'attività di insegnamento, ove non richieda l'impegno di consistenti energie lavorative a fronte di un compenso, costituisce espressione della personalità e strumento di manifestazione del proprio patrimonio culturale, tutelata costituzionalmente in quanto ricompresa tra le libertà fondamentali attraverso le quali si esplica la personalità dell'individuo.
Si sostiene altresì che una attività siffatta deve ritenersi sottratta al regime autorizzatorio anche sulla base di una corretta lettura della circolare consiliare n. 15217/1987, e quindi a prescindere dalle innovazioni contenute nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, atteso che detta circolare ha inteso garantire il libero
esercizio di tutte le attività in cui si manifesta il pensiero e si comunica il proprio patrimonio intellettuale e culturale. Si denuncia infine carenza di motivazione sul punto, anche in relazione al ragionato convincimento del dottor NME1 che l'attività didattica gratuita non dovesse costituire oggetto di autorizzazione, e quindi alla insussistenza anche sotto tale profilo dell'elemento soggettivo della contestata violazione. Anche tale motivo è infondato. Va innanzi tutto osservato che la posizione difensiva del ricorrente diretta a distinguere l'incarico di cui alla lett. a), in quanto retribuito, da quelli di cui alle lett. b) e c), siccome non retribuiti, ed a trarre da tale distinzione conseguenze diverse ai fini della responsabilità disciplinare si fonda su un presupposto fattuale insussistente, atteso che la sentenza impugnata ha accertato che anche per questi ultimi incarichi era stato previsto un corrispettivo e che la rinuncia ad esso era avvenuta solo successivamente al loro conferimento, e precisamente, per quello di cui alla lett. b), con nota in data 15 dicembre 2004 indirizzata all'Università NME4 di LOCALITA2, e quindi dopo l'espletamento del corso di lezioni ed in coincidenza con gli accertamenti sollecitati dal CSM, e per quello di cui alla lett. c) con nota della stessa data del 15 dicembre 2004 inviata all'Università degli Studi di LOCALITA2, nel corso del medesimo anno accademico e sempre in coincidenza con detti accertamenti.
Peraltro la distinzione tra incarichi retribuiti e non retribuiti non ha ragione di essere posta ai fini in esame, atteso che ai sensi del R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 16, comma 2, nel testo sostituito dalla L. 2 aprile 1979, n. 97, art. 14, - la cui portata non poteva essere ignorata dal dottor NME1 - i magistrati non possono... accettare incarichi di qualsiasi specie... senza l' autorizzazione del Consiglio superiore della magistratura. A tale disposizione la circolare del 1987 e le sue successive modifiche hanno dato attuazione, ribadendo in via generale il divieto per i magistrati di accettare incarichi extragiudiziari senza previa autorizzazione del CSM, disciplinando le modalità di presentazione delle istanze, la documentazione ed i pareri da allegare, prevedendo le specifiche e tassative ipotesi in cui detta autorizzazione non è richiesta. Non utilmente il ricorrente invoca a sostegno del suo assunto il D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 53, - i cui commi da 7 a 13, si applicano anche ai magistrati, secondo l'espressa previsione del comma 6 - che al comma 7, dispone che i dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall'amministrazione di appartenenza. Va al riguardo osservato che il rapporto tra le due norme primarie di cui all'art. 16, dell'ordinamento giudiziario ed all'art. 53, del citato decreto legislativo non si pone in termini di abrogazione, ma di coordinamento ed integrazione, atteso che l'esistenza di una disposizione normativa che in via generale ed astratta postuli per i dipendenti pubblici la possibilità di svolgere incarichi non retribuiti non esclude la potestà autorizzatoria del CSM, spettando in ogni caso all'organo di autogoverno verificare che nel caso concreto non sussistano ragioni, connesse al prestigio della magistratura ovvero alla funzionalità del singolo ufficio giudiziario, che si oppongano a che quel particolare incarico sia svolto da quel determinato magistrato.
La specificità della disciplina del sistema degli incarichi per i magistrati, connessa alla specificità delle funzioni e dello status, è peraltro confermata dal disposto dal citato art. 53, comma 3, il quale espressamente prevede che ai fini previsti dal comma 2 - concernente gli incarichi non compresi nei compiti e doveri di ufficio conferiti dalle pubbliche amministrazioni ai dipendenti - appositi regolamenti, da emanare ai sensi della L. 23 agosto 1988, n.400, art. 17, comma 2, individuino gli incarichi consentiti e quelli
vietati ai magistrati, sentiti, per le diverse magistrature, i rispettivi istituti.
È peraltro evidente l'insostenibilità del tentativo del ricorrente di ricondurre lo svolgimento di incarichi di insegnamento presso istituti universitari nell'ambito della libertà di manifestazione del pensiero, con conseguente esonero dalla autorizzazione secondo l'espresso disposto del punto 1 della circolare n. 15027 del 1987, tenuto conto della natura dell'attività di insegnamento, involgente un rapporto di collaborazione con l'ente conferente l'incarico, e della sua specifica regolamentazione contenuta nel punto 14 della medesima circolare.
Il ricorso deve essere in conclusione rigettato.
Non vi è luogo a pronuncia sulle spese di questo giudizio di Cassazione.