Cass. civ., sez. I, sentenza 08/03/2023, n. 06893

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. I, sentenza 08/03/2023, n. 06893
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 06893
Data del deposito : 8 marzo 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso n. 3846/2017 proposto da F G, elettivamente domiciliato in Roma, Piazza del Popolo n.18, presso lo studio dell'avvocato M R, rappresentato e difeso dall'avvocato A R per procura speciale estesa a margine del ricorso ricorrente

contro

Assig2 s.r.I., in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la cancelleria civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall'avvocato G M per procura speciale estesa in calce al controricorso controricorrente avverso la sentenza n. 1955/2016 della Corte di appello di Torino, depositata il 16 novembre 2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10 settembre 2020 dal consigliere M V;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale L C, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso;
udito per il ricorrente l'avvocato G M, in sostituzione dell'avvocato Andrea 'Ritardi, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso.

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza emessa il 26 settembre 2014 il Tribunale di Torino rigettò, per quanto qui interessa, l'azione risarcitoria per danno asseritamente derivato alla Assig2 s.r.I., creditore della Gandolfi s.r.I., da operazioni compiute da G F, amministratore unico della stessa Gandolfi, dopo il verificarsi della causa legale di scioglimento di tale società costituita dalla perdita del relativo capitale sociale al 31 dicembre 2008 (artt. 2485, 2486 cod. civ.).

2. Adita dalla parte soccombente, la Corte di appello di Torino, con sentenza emessa il 16 novembre 2016, accolse la domanda risarcitoria del creditore e, in riforma della sentenza di primo grado, condannò F: a pagare alla Assig2 C. 7.539,55, periodicamente rivalutata a partire dal 25 gennaio 2012 e aumentata degli interessi di cui all'art. 1284 cod. civ. decorrenti da tale giorno fino al saldo;
a rimborsare alla società vittoriosa le spese da questa anticipate nel giudizio di primo grado e in quello di appello nelle misure in dispositivo rispettivamente indicate.

2.1 La motivazione della decisione sul merito può così sintetizzarsi: il bilancio della società Gandolfi relativo all'esercizio 2008 evidenziò perdite pari a complessivi C. 94.708, di consistenza tale, dunque, da determinare l'azzeramento del capitale sociale (pari a C. 20.000) e un patrimonio netto di segno negativo pari a C. 73.573 (somma residua derivata dopo l'assorbimento delle riserve e l'azzeramento del capitale);
nessuna decisione fra quelle previste dall'art. 2482-ter cod. civ. venne assunta dai soci di Gandolfi;
l'esercizio successivo (anno 2009) fece registrare un utile pari a C. 15.152, con conseguenti mantenimento della situazione di perdita integrale del capitale sociale e riduzione del segno negativo del patrimonio netto a C. 58.442;
al 31 dicembre 2008 si era dunque già verificata la causa legale di scioglimento della società prevista dall'art. 2484, primo comma, n. 4), cod. civ. e F, amministratore unico dei tale società al 31 dicembre 2008, omise di adempiere al precetto recato dal terzo comma del citato art.2484 cod. civ.;
egli conservò il potere di gestione della società ai soli fini della conservazione dell'integrità e del valore del patrimonio sociale (art. 2486, primo comma, cod. civ.);
in violazione di tale obbligo, consistente nell'astensione dal compimento di atti gestori non funzionali alla conservazione di integrità e valore del patrimonio sociale, egli, in nome e nell'interesse di Gandolfi, contrasse nel corso degli anni 2009 e 2010 obbligazioni pecuniarie verso Assig2 che a Gandolfi vendette cose mobili senza ricevere parte del prezzo pattuito;
il pregiudizio alla creditrice, che vanamente tentò di agire in executivis verso la propria debitrice per la soddisfazione del proprio credito, derivò "direttamente dalla violazione del divieto di intraprendere nuove operazioni" imputabile a F;
questi aveva l'onere, non assolto, di provare "che la fornitura richiesta alla società appellante era finalizzata alla conservazione dell'integrità del valore del patrimonio sociale";
in buona sostanza, alla luce della disciplina legale applicabile al caso di specie restano validi i principi di diritto elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in relazione al precetto recato dall'art. 2449 cod. civ. vigente prima della riforma recata dal d.lgs. n. 5 del 2003;
il danno da risarcire è pari alla parte residua di prezzo di vendita (C. 6.695,60) che l'appellante non riuscì ad esigere dalla società Gandolfi "a causa della sua incapienza" e delle spese sostenute per l'esecuzione, infruttuosa, verso tale debitrice.

3. F chiede la cassazione di tale sentenza con ricorso contenente un solo, articolato, motivo di impugnazione;
assistito da memoria.

4. La Assig2 s.r.l. resiste con controricorso. RAGIONI DELLA DECISIONE !. Con l'unico, articolato, motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata per "mancata e/ erronea applicazione degli artt. 2485 e 2486 c. c., artt. 2043 c.c. e 2697 c.c. e 2697 c. c., in tema di prova del danno extracontrattuale, e art. 2433 c.c.", in quanto: nel citare i principi di diritto elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in riferimento alla responsabilità degli amministratori verso i creditori sociali prevista dall'art. 2449 cod. civ. vigente prima della riforma del 2003, il giudice di appello ha sostanzialmente obliterato il contenuto precettivo dell'art. 2486 cod. civ. (nel testo applicabile al caso concreto) che configura per gli amministratori di società di capitali una "specificazione della generale disciplina sul danno aquiliano per lesione del credito del terzo";
gli amministratori oggi rispondono dei danni cagionati ai creditori sociali dalla violazione dei doveri a loro imposti dalla legge al verificarsi di causa legale di scioglimento della società e tali danni possono consistere, per quanto interessa il caso concreto, "nella lesione delle ragioni di credito dei creditori sociali";
inoltre, l'art. 2476 cod. civ., in tema di responsabilità degli amministratori di società a responsabilità limitata non richiama i precetti contenuti nel precedente art. 2394, non applicabile a tale tipo di società (l'azione di responsabilità dei creditori sociali verso gli amministratori di società a responsabilità limitata "può essere esercitata solo in sede fallimentare ex art. 146 I.f. dal curatore congiuntamente con quella sociale"), con conseguente applicazione dei principi generali di cui all'art. 2043 cod. civ., secondo cui il risarcimento del danno è dovuto ove vi sia la prova della condotta illegittima (per violazione di legge o di statuto), della conseguenza dannosa che da tale condotta è derivata e del nesso causale fra condotta e danno;
in buona sostanza, prima della riforma del 2003 "gli amministratori operando a capitale ridotto sotto il minimo rispondevano personalmente nei confronti dei creditori per le nuove operazioni senza se e senza ma", mentre dopo la riforma il danno verso i creditori deve essere provato da chi agisce per il suo risarcimento;
nel caso di specie, dunque, sono state dal giudice di appello applicate norme abrogate "e non quelle attuali";
inoltre, la stessa sentenza impugnata evidenzia che il bilancio della società relativo all'esercizio 2009, successivo a quello che fece registrare perdite che azzerarono il capitale sociale, registrò un utile di esercizio e ciò dimostra che gli amministratori ricostituirono "la garanzia costituita dal capitale sociale" e che, in ogni caso, agirono "nel senso della conservazione del patrimonio sociale", con la conseguenza che la prosecuzione dell'attività sociale si rivelò non dannosa per i creditori sociali;
inoltre, l'affermazione fatta dalla sentenza impugnata secondo cui il bilancio relativo all'esercizio 2009 registrò la diminuzione delle perdite costituisce "cattiva interpretazione ed applicazione dell'art. 2433 c.c. che precisa che l'utile può esistere solo dopo l'avvenuto ripianamento delle perdite;
queste vennero riassorbite "oltre che con i buoni risultati dell'esercizio con i versamenti dei soci prodotti già in primo grado (doc. 1-2) mai contestati e i ricavi ordinari d'esercizio";
dalla chiusura del bilancio 2009 in utile deriva che le perdite sono state ripianate, anche con i finanziamenti dei soci.

2. Risulta dalla sentenza impugnata che: al tempo in cui si verificarono i fatti accertati G F era amministratore unico della Gandolfi s.r.I.;
Asdig2 s.r.l. divenne creditrice di Gandolfi per i corrispettivi di merci a tale società vendute nel corso degli anni 2009 e 2010. Al caso di specie si applicano (come la sentenza impugnata non ha mancato di evidenziare), in ragione del tempo in cui si verificarono i fatti rilevanti ai fini della decisione sulla controversia, le disposizioni del codice civile in materia di società di capitali per come risultanti dalle modificazioni recate con la riforma della disciplina legale delle società di capitali e cooperative disposta dal d.lgs. n. 6 del 2003. E' dunque alla luce del contenuto precettivo di tali disposizioni che occorre valutare la conformità alla legge (dal ricorrente contestata) della decisione assunta dalla sentenza impugnata. Le disposizioni, rilevanti nella specie (tenuto conto della ragione del domandare esposta nel giudizio di merito dalla società Assig2, per come evidenziata dalla sentenza impugnata), sono quelle, rispettivamente, relative: alla riduzione del capitale sociale per perdite di società a responsabilità limitata (art. 2482-bis cod. civ.;
il cui contenuto precettivo non differisce sostanzialmente da quello caratterizzante il precedente art. 2446, relativo alla riduzione del capitale per perdite di società per azioni);
alla riduzione per perdite del capitale sociale di tale società al disotto del limite legale (art. 2482-ter cod. civ. il cui contenuto precettivo non differisce sostanzialmente da quello proprio del precedente art. 2447, relativo alla riduzione del capitale per perdite del capitale sociale di società per azioni al disotto del limite legale);
alla causa legale di scioglimento delle società di capitali (per azioni o a responsabilità limitata) costituita dalla riduzione del capitale sociale al disotto del minimo legale, salvo quanto disposto, rispettivamente, dai precedenti, artt. 2447 e 2482-ter (art. 2484, primo comma, n. 4), cod. civ.);
agli obblighi degli amministratori delle società di capitali di accertamento (anche) della causa legale di scioglimento testé citata e alla responsabilità per il caso di inadempimento a detti obblighi (art. 2485, primo comma, cod. civ.);
ai poteri degli amministratori delle società di capitali nel periodo intercorrente fra il verificarsi (anche) di tale causa legale di scioglimento della società e quello delle consegne ai liquidatori dei documenti indicati dal successivo art. 2487-bis, secondo comma (art. 2486, primo comma cod. civ.), e alla loro responsabilità nei confronti (anche) dei creditori sociali per il caso di compimento di atti non esclusivamente funzionali alla conservazione dell'integrità e del valore del patrimonio sociale (art. 2486, secondo comma, cod. civ.). La sentenza impugnata afferma in primo luogo che la perdita di capitale sociale rilevante ai fini dell'applicazione degli artt. 2482-bis e 2482-ter cod. civ. (aventi la funzione di assicurare il rispetto del principio della corrispondenza fra capitale nominale e capitale reale) è solo quella che si determina detraendo da essa la riserva legale, le riserve statutarie, i fondi appostati al passivo, gli utili degli esercizi precedenti e quelli c.d. "di periodo";
così conformandosi alla costante interpretazione, data dalla giurisprudenza di legittimità, del concetto di perdita rilevante per il compimento di una delle operazioni prescritte da tali disposizioni del codice civile (in questo senso, in riferimento al contenuto degli artt. 2446 e 2447 cod. civ., nel testo vigente prima della riforma del 2003, cfr: Cass. n. 12347 del 1999;
Cass. n. 5740 del 2004, in tema di computabilità dei c.d. "utili di periodo" ai fini della determinazione della perdita;
Cass. n. 23269 del 2005;
Cass. n. 8221 del 2007). In conseguenza di tale interpretazione, in questa sede da confermare (dal momento che il contenuto precettivo dei citati artt. 2482-bis e 2482-ter cod. civ. è sostanzialmente equivalente a quello degli artt. 2446 e 2447 cod. civ., applicabili alle società a responsabilità limitata per effetto del rinvio formale recettizio operato dai successivi artt. 2496 e 2497, nel testo anteriore alla riforma del 2003), la sentenza impugnata afferma (pag. 9) che: nel bilancio relativo all'esercizio 2008 (approvato il 29 giugno 2009) della Gandolfi s.r.I.: le perdite verificatesi (pari a C. 94.708) comportarono l'azzeramento del capitale sociale e determinarono un capitale reale (o patrimonio netto) di segno negativo per C. 73.573;
l'assemblea della società decise però di rinviare all'esercizio successivo la copertura della perdita;
nel bilancio relativo all'esercizio 2009 si registrò un utile pari a C. 15.152 e tale evento comportò solo che il patrimonio netto di segno negativo si ridusse a C. 58.422;
nell'esercizio 2010 si verificò un'ulteriore perdita e il patrimonio netto di segno negativo fu di C. 61.288. Il ricorrente deduce (pag. 7 del ricorso) che in funzione della determinazione della consistenza delle perdite la Corte di appello avrebbe dovuto tenere conto del fatto che la società "nel corso dell'esercizio 2009 ripianava le perdite con finanziamenti soci portati a mezzi propri (doc. 1 e 2 mai contestati) e andava ancora in utile per 15.152,00 Euro".Tale deduzione è affatto inapprezzabile, in quanto: il ricorrente non precisa se i "finanziamenti" siano stati compresi nel bilancio relativo all'esercizio 2009 fra le riserve ovvero se in occasione dell'assemblea di approvazione del bilancio 2009 i soci diedero, a fondo perduto, alla società una somma di danaro pari all'intero ammontare delle perdite maturate nell'esercizio precedente;
non tenta neppure di contrastare l'affermazione - che si legge nella sentenza impugnata - secondo cui in conseguenza dell'utile (di modesta consistenza quantitativa) conseguito nell'esercizio 2009, il patrimonio netto della società in tale esercizio fu di segno negativo per C. 58.422;
non riproduce il contenuto dei documenti fondanti l'asserzione, né precisa quando e come gli stessi vennero acquisiti agli atti del giudizio di merito, con conseguente non autosufficienza del ricorso sul punto;
non precisa come, quando e in quali termini della questione relativa all'incidenza dei "finanziamenti" sulla determinazione della perdite (che non risulta essere stata affrontata dalla sentenza impugnata) si sia discusso nel giudizio di merito (sul punto, la controricorrente afferma che di tale questione non si discusse nel giudizio). Quel che è certo che nel corso degli anni compresi fra il 2008 e il 2010 il capitale della società non venne ricostituito in una misura monetaria pari quanto meno al minimo previsto dalla legge con deliberazione assunta dall'assemblea straordinaria dei soci secondo la prescrizione imposta dall'art. 2482-ter cod. civ. Alla luce dei sopra indicati accertamenti, è conforme a diritto l'affermazione che si legge nella sentenza impugnata secondo cui la Gandolfi s.r.l. si sciolse di diritto, in applicazione dell'art. 2484, primo comma, n. 4), cod. civ., al più tardi nel mese di dicembre 2008 perché il relativo capitale si ridusse al disotto della misura minima prevista dalla legge (art. 2463, secondo comma, n. 4), cod. civ.) in conseguenza di quanto mai consistenti perdite verificatesi nel corso di tale esercizio senza che l'assemblea dei soci, che l'allora amministratore unico aveva l'obbligo di convocare "senza indugio", ebbe ad assumere, dopo il verificarsi dell'evento dissolutivo, alcuna delle deliberazioni alternativamente previste dal precedente art. 2482-ter, costituenti condizione risolutiva dello scioglimento già verificatosi (la giurisprudenza di legittimità formatasi in riferimento alla disciplina del diritto delle società di capitale anteriore a quella recata dal d.lgs. n. 6 del 2003 - le cui conclusioni su questo specifico punto possono ribadirsi anche con riguardo alla disciplina, rimasta sul punto immutata, dettata con l'entrata in vigore di detto decreto - si è consolidata nel senso che nell'ipotesi di perdita del capitale e sua riduzione al di sotto del minimo di legge, lo scioglimento della società si produce automaticamente e immediatamente, salvo il verificarsi della condizione risolutiva costituita dalla reintegrazione del capitale o della trasformazione regressiva della società, da deliberarsi con le maggioranze richieste per le modificazioni dellnatto costitutivo, cui detti provvedimenti danno sostanzialmente luogo: in questo senso cfr.: Cass. n.9619 del 2009;
Cass. n. 4923 del 1995;
Cass. n. 8298 del 1994;
Cass. n. 4089 del 1980). In conseguenza del verificarsi di tale causa legale di scioglimento sorge a carico degli amministratori di società di capitali l'obbligo, imposto dall'art. 2485, primo comma, cod. civ., di accertare "senza indugio" il verificarsi della causa di scioglimento ex lege della società e di rendere questa opponibile ai terzi mediante l'iscrizione nel registro delle imprese della dichiarazione di accertamento della causa stessa (art. 2484, terzo comma, cod. civ.);
con conseguente insorgere, in caso di ritardo o di omissione, di personale responsabilità risarcitoria per i danni subiti dalla società, dai creditori sociali e dai terzi. Tale obbligazione di opponibilità ai terzi della causa di scioglimento in discorso- non rilevante nel caso di specie, posto che di essa non vi è menzione nella sentenza impugnata - costituisce elemento di novità della disciplina relativa allo scioglimento della società, introdotto dal d.lgs. n. 6 del 2003. Nel testo del codice civile anteriore a tale riforma non vi era infatti traccia di tale specifico obbligo di rendere opponibili ai terzi le cause, di fonte legale, di scioglimento della società, in esso essendo disciplinati, per quanto qui interessa: le cause, convenzionali ovvero legali di scioglimento della società, fra le quali vi era quella della riduzione del capitale sociale al disotto del minimo legale, salvo quanto disposto dall'art. 2447 cod. civ. (art. 2448, n. 4), cod. civ., applicabile alle società a responsabilità limitata ex art. 2497);
gli effetti del verificarsi di un fatto determinante lo scioglimento della società(art. 2449 cod. civ.), costituiti: dal divieto per gli amministratori di intraprendere "nuove operazioni", con conseguente assunzione, nel caso di contravvenzione al divieto, di "responsabilità illimitata e solidale per gli affari intrapresi" (primo comma);
dall'obbligo di convocare, nei trenta giorni successivi al verificarsi della causa di scioglimento, l'assemblea per le deliberazioni relative alla liquidazione (secondo comma);
dalla responsabilità per gli amministratori "della conservazione dei beni sociali fino a quando non ne hanno fatto consegna ai liquidatori" (terzo comma). Nell'interpretare tale disciplina, la giurisprudenza di legittimità era (ed è ancora) costante nell'affermare che: a) le "nuove operazioni" vietate agli amministratori dall'art. 2449 sono quelle non finalizzate alla liquidazione del patrimonio sociale (non necessarie dunque per portare a compimento attività già intraprese prima del verificarsi della causa di scioglimento) e determinanti la nascita di rapporti giuridici che vengono costituiti dagli amministratori, con assunzione di ulteriori vincoli per l'ente, e sono preordinati al conseguimento di nuovi utili d'impresa (in questo senso, cfr., fra le altre: Cass. n. 5190 del 1979: Cass. n. 6431 del 1982;
Cass. n. 1035 del 1995;
Cass. n. 9887 del 1995);
b) l'art. 2449 cod. civ. esprime infatti sul piano normativo la coerente conseguenza del fatto che, dopo il verificarsi della causa di scioglimento, il patrimonio sociale non può più considerarsi destinato, qual era in precedenza, alla realizzazione dello scopo sociale, onde gli amministratori non possono più utilizzarlo a tal fine, ma sono abilitati a compiere soltanto quegli atti correlati strumentalmente al diverso fine della liquidazione dei beni, restando ad essi inibito il compimento di nuovi atti d'impresa suscettibili di porre a rischio il diritto dei creditori e degli stessi soci (cfr. Cass. n. 5275 del 1997;
Cass. n. 2156 del 2015);
c) la violazione da parte degli amministratori del divieto di compiere "nuove operazioni" (da intendersi nel senso testé precisato) costituisce, nei confronti dei terzi, una fattispecie tipica di obbligazione ex lege che pur avendo natura extracontrattuale, non può perciò solo essere ricondotta allo schema generale dell'art. 2043 cod. civ. in quanto - agendo gli amministratori nel compimento di tali operazioni non in proprio ma pur sempre in qualità di organi investiti della rappresentanza della società - non si verte in tema di "fatto illecito" nel senso voluto dal citato art. 2043, nè conseguentemente di risarcimento del danno;
con la conseguenza che nessun rilievo ai fini probatori assume l'accertamento del danno né, sotto il profilo soggettivo, quello del dolo o della colpa, essendo sufficiente la consapevolezza da parte degli amministratori dell'evento comportante lo scioglimento della società (in questo senso, cfr.: Cass. n. 6431 del 1982;
Cass. n. 5275 del 1997;
Cass. n. 3694 del 2007);
d) l'azione ex art. 2449, primo comma, cod. civ. spettante al terzo creditore per il compimento da parte degli amministratori di nuove operazioni dopo la verificazione di un fatto che determina lo scioglimento della società si distingue poi, per la diversità della causa petendi e del petitum, sia dall'azione sociale di responsabilità (art. 2393 cod. civ.) sia dall'azione dei creditori sociali prevista dall'art. 2394 cod. civ.: se, infatti, la violazione del divieto di compiere nuove operazioni, oltre a dar luogo a responsabilità diretta degli amministratori verso il terzo, può integrare il presupposto tanto dell'azione Nsociale di responsabilità (per violazione dei doveri imposti dalla legge) quanto dell'azione di responsabilità dei creditori sociali (per inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell'integrità del patrimonio sociale), qualora ad agire contro gli amministratori della società legalmente disciolta non sono, genericamente, i creditori della società, ma precisamente i creditori per le operazioni nuove compiute dopo lo scioglimento, essi vantano nei confronti degli amministratori un titolo diretto, fondato appunto sull'art. 2449, primo comma, cod. civ. (giustificato dalla non riferibilità allo scopo sociale degli atti, compiuti dalla società ormai disciolta), che, per espressa previsione della norma, si aggiunge alla perdurante responsabilità della società (in questo senso, cfr. Cass. n. 15770 del 2004);
e) quanto alla distribuzione dell'onere della prova, colui che agisce in giudizio per l'accertamento della responsabilità degli amministratori di una società di capitali, ex art.2449 cod. civ., deve fornire la prova soltanto della novità dell'operazione, dimostrando il compimento di atti negoziali in epoca successiva all'accadimento di un fatto che determini lo scioglimento della società, mentre spetta agli amministratori convenuti provare i fatti estintivi o modificativi del diritto azionato, mediante dimostrazione che quegli atti erano giustificati dalla finalità liquidatoria, in quanto non connessi alla normale attività produttiva dell'azienda, non comportanti un nuovo rischio d'impresa o necessari per portare a compimento attività già iniziate;
nella valutazione di tale prova occorre, peraltro, considerare che gli amministratori non sono solo tenuti all'ordinario (e non anomalo) adempimento delle obbligazioni assunte in epoca antecedente allo scioglimento della società, ma hanno anche il potere-dovere di compiere, in epoca successiva al menzionato scioglimento, quegli atti negoziali di gestione della società necessari al fine di preservare l'integrità del relativo patrimonio (in questo senso, cfr.: Cass. n. 2156 del 2015). Nella consapevolezza della testé richiamata, costante, interpretazione del contenuto precettivo dell'art. 2449 cod. civ., nel testo anteriore all'entrata in vigore del d.lgs. n. 5 del 2003, la migliore dottrina ha avuto modo di affermare che il contenuto precettivo dell'art. 2486 cod. civ., nel testo introdotto dal citato decreto del 2003 (applicabile nella specie), non è di consistenza tale da determinare significative innovazioni rispetto alla disciplina vigente prima della sua entrata in vigore, dal momento che tale articolo: a) afferma (primo comma) che, dal momento del verificarsi di una causa (di fonte convenzionale ovvero legale) di scioglimento della società (indipendentemente, dunque, dall'essere stata tale causa resa opponibile ai terzi dagli amministratori in applicazione del precedente art. 2484, terzo comma, cod. civ.) i relativi amministratori, fino al momento della consegna di cui al successivo art. 2487-bis, "conservano il potere di gestire la società, ai soli fini della conservazione dell'integrità e del valore del patrimonio sociale";
una norma, dunque, dai contenuti sovrapponibili a quelli dell'abrogato art.2449 cod. civ. per come "vissuto" nell'interpretazioni ai relativi precetti data dalla giurisprudenza di legittimità;
b) sanziona (secondo comma) il comportamento, commíssivo ovvero omissivo, tenuto dagli amministratori in violazione della delimitazione del potere gestori° sancita dal primo comma, con la loro responsabilità, personale e illimitata, per i danni "arrecati alla società, ai soci, ai creditorí sociali ed ai terzi";
con disposizione, dunque, che meglio esplicita i contenuti precettivi presenti nell'abrogato art. 2449 cod. civ., per come interpretati dalla sopra citata giurisprudenza di legittimità. In buona sostanza, l'art. 2486 cod. civ. reca precetti dai contenuti coincidenti con quelli espressi dall'art. 2449 cod. civ. nel testo anteriore alla riforma del 2003 (come, del resto, incidentalmente affermato da Cass. n. 2156 del 2015). Orbene, la sentenza impugnata, nel far propri i criteri interpretativi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in riferimento alla disciplina recata dall'art. 2449 cod. civ., nel testo anteriore alla riforma del 2003, non ha punto applicato al caso di specie norme di legge diverse da quelle a esso applicabili (id est, le norme risultanti da detta riforma), ma si è limitata a interpretare l'art. 2486 cod. civ., nel testo risultante dalla medesima riforma, secondo criteri ermeneutici ancora attuali. Da quanto evidenziato risulta che la responsabilità degli amministratori verso il creditore di società a responsabilità limitata leso dal compimento da parte di costoro di atti gestori non funzionali alla conservazione del patrimonio sociale dopo il verificarsi della causa di scioglimento di cui all'art. 2484, primo comma, n. 4), cod. civ.: trova per intero la propria disciplina nel successivo art. 2486 (le disposizioni di cui all'art. 2476 cod. civ., in tema di responsabilità degli amministratori di tale tipo di società, non entrano quindi in giuoco ricorrendo tale ipotesi);
è di natura extracontrattuale ma non può perciò solo essere ricondotta allo schema generale dell'art. 2043 cod. civ. in quanto - agendo gli amministratori nel compimento di tali operazioni non in proprio ma pur sempre in qualità di organi investiti della rappresentanza della società - non si verte in tema di "fatto illecito" nel senso voluto dal citato art. 2043;
prevede, quale sanzione, il risarcimento del danno arrecato al creditore sociale. Il ricorrente nessuna censura specifica muove al criterio di determinazione del danno adottato dalla sentenza impugnata;
con conseguente non conferenza dell'argomentazione sviluppata sul dal Pubblico Ministero a fondamento della sua richiesta di accoglimento del ricorso.
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