Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 27/10/2021, n. 30326

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 27/10/2021, n. 30326
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 30326
Data del deposito : 27 ottobre 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

ato la seguente SENTENZA sul ricorso 17902-2015 proposto da: S S D, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE MAZZINI N. 114/B, presso lo studio dell'avvocato S C, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato C T;
2021

- ricorrente -

1693

contro

MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI

PORTOGHESI

12;
- resistente con mnadeto - avverso la sentenza n. 964/2015 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 02/03/2015 R.G.N. 11/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/05/2021 dal Consigliere Dott. A D P;
il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. S V' visto l'art. 23, comma 8 bis del D.L. 28 ottobre 2020 n. 137, convertito con modificazioni nella legge 18 dicembre 2020 n. 176, ha depositato conclusioni scritte. RG 7902/2015

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d'Appello di Roma, adita dal Ministero dell'Economia e delle Finanze, ha riformato la sentenza del Tribunale di Latina che, nella contumacia del Ministero, aveva accolto il ricorso di S D S ed aveva dichiarato «nulla e di nessun effetto» la sanzione disciplinare della multa pari a tre ore di stipendio inflitta al S con decreto del 2 dicembre 2010. 2. La Corte territoriale ha evidenziato che aveva errato il giudice di prime cure nel ritenere che i fatti non fossero stati provati in ragione della contumacia dell'amministrazione e, richiamata giurisprudenza di questa Corte formatasi in tema di licenziamento, ha affermato che anche qualora il datore di lavoro non si costituisca in giudizio il giudice è tenuto a porre a fondamento della decisione gli elementi di prova offerti dalla parte ricorrente, che nella specie non aveva contestato la materialità della condotta, consistita nell'avere spedito, ponendo le spese a carico dell'amministrazione, 118 lettere, indirizzate a colleghi in servizio nella Regione Lazio che avevano partecipato alla procedura di selezione interna indetta per l'attribuzione della posizione economica C3, con le quali si formulavano critiche ai criteri seguiti per la formazione della graduatoria e si sollecitava un'iniziativa giudiziaria comune con il patrocinio di un unico legale.

3. Il giudice d'appello ha ritenuto che la condotta, tenuta in violazione di precisi obblighi imposti dal C.C.N.L. e dal Codice di comportamento, integrasse illecito disciplinare e che la tenuità del danno e l'avvenuto risarcimento rilevassero solo sul piano della necessaria proporzionalità fra addebito e sanzione. Ha aggiunto che nessun rilievo poteva assumere il decreto di archiviazione del procedimento penale instaurato in relazione al reato peculato, sia perché l'appellato non poteva invocare l'art. 653 cod. proc. pen., sia in quanto il decreto non aveva escluso il fatto considerato nelle sue componenti materiali.

4. La Corte territoriale, quanto ai termini del procedimento disciplinare, ha ritenuto inapplicabile l'art. 55 ter del d.lgs. n. 165/2001, nel testo modificato dal d.lgs. n. 150/2009, perché il procedimento era stato attivato in data antecedente l'entrata in vigore della nuova disciplina ed ha ritenuto inammissibile la questione, prospettata dal S solo in grado di appello, inerente la violazione del termine fissato dall'art. 14 del

CCNL

12.6.2003 per il personale del comparto ministeri. A fini di completezza ha aggiunto che le parti collettive non avevano previsto alcuna sanzione per la violazione del termine in questione, privo del carattere di perentorietà perché indicato solo "in linea generale".

5. Per la cassazione della sentenza S D S ha proposto ricorso sulla base di sette motivi, illustrati da memoria, ai quali non ha opposto difese il Ministero, che si è ffl RG 7902/2015 limitato a depositare atto di costituzione al fine dell'eventuale partecipazione all'udienza di discussione.

6. La Procura Generale ha concluso ex art. 23, comma 8 bis del d.l. n. 137/2020, convertito in legge n. 176/2020, per l'infondatezza del ricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ., «violazione di legge in relazione agli artt. 115 cod. proc. civ. e 5 L. 15/07/1966 n. 604» e sostiene che ha errato la Corte territoriale nel richiamare le disposizioni indicate in rubrica perché, in realtà, il Tribunale aveva posto a fondamento della decisione i fatti che il ricorrente aveva dedotto a sostegno del ricorso, non contestati dall'amministrazione rimasta contumace.

2. La seconda censura, formulata ai sensi dell'art. 360 n. 5 cod. proc. civ., addebita alla Corte territoriale l'omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione fra le parti perché, nel valutare il materiale probatorio in atti, non ha considerato la carica di rappresentante sindacale all'epoca rivestita dal S, il quale aveva agito in tale veste a non a tntolo personale.

3. La terza critica, ricondotta al vizio di cui all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., denuncia la violazione degli artt. 416, 3° comma, e 437, 2°comma, cod. proc. civ. perché la Corte territoriale avrebbe dovuto dichiarare inammissibili le eccezioni sollevate dal Ministero solo in grado di appello.

4. Con il quarto motivo il ricorrente si duole della violazione dell'art. 653 cod. proc. pen. e sostiene che il decreto di archiviazione emesso dal GIP è assimilabile alla sentenza di assoluzione passata in giudicato. Aggiunge che il procedimento disciplinare è precluso, non solo nell'ipotesi in cui il giudice penale accerti l'insussistenza del fatto, ma anche qualora l'assoluzione avvenga perché il fatto stesso non costituisce reato.

5. La quinta critica denuncia la violazione dell'art. 55 ter del d.lgs. n. 165/2001 e dell'art.14 del

CCNL

12.6.2003 per il personale del comparto Ministeri. Il ricorrente sostiene che il procedimento disciplinare doveva essere riattivato, ex art. 55 ter comma 4 del richiamato d.lgs. n. 165/2001, entro sessanta giorni dalla presentazione dell'istanza di riapertura ed addebita alla Corte territoriale di avere erroneamente ritenuto inapplicabile alla fattispecie il d.lgs. n. 150/2009. A tal fine evidenzia che l'intero procedimento si era svolto nella vigenza della nuova normativa, perché alla data di entrata in vigore il procedimento stesso risultava sospeso. Aggiunge che in ogni caso l'amministrazione avrebbe dovuto rispettare il termine previsto dalla contrattazione collettiva e, quindi, riattivare il procedimento entro 180 giorni dalla notizia dell'avvenuta archiviazione. Precisa al riguardo che ha errato il giudice d'appello RG 7902/2015 nel ritenere inammissibile la deduzione, trattandosi di una difesa formulata in replica ai motivi di impugnazione.
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