Cass. pen., sez. V, sentenza 05/09/2022, n. 32616
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Testo completo
la seguente SENTENZA sui ricorsi proposti da: VANACORE GINA nato a POMIGLIANO D'ARCO( ITALIA) il 24/06/1965 FERRARO NICOLA nato a CASAL DI PRINCIPE il 23/03/1961 CRISCI GELSOMINA nato a ARIENZO il 03/04/1962 avverso il decreto del 16/12/2021 della CORTE APPELLO di NAPOLIudita la relazione svolta dal Consigliere ENRICO VITTORIO S S;lette le conclusioni del PG, L O, che ha concluso per l'inammissibilità dei ricorsi. RITENUTO IN FATTO 1. Con decreto del 16 dicembre 2021, la Corte di appello di Napoli, sezione per le misure di prevenzione, in parziale riforma del provvedimento del Tribunale di Santa Maria C.V., revocava la misura di prevenzione della confisca per equivalente disposta a carico del proposto N F (per la somma di euro 834.226,46) e la confisca diretta sui beni immobili siti in Teverola, via Napoli n. 9, intestati alla terza interessata G V (già prima moglie del F). Confermava l'ablazione patrimoniale nel resto, nei confronti del proposto, della terza interessata G V e della ulteriore terza interessata G C (seconda moglie del F). 1.1. In risposta ai dedotti motivi di appello, per quanto qui di interesse, la Corte osservava quanto segue. 1.1.1. La pericolosità sociale del proposto N F emergeva evidente dalle risultanze del procedimento penale culminato con la sua condanna definitiva per il delitto di concorso esterno in associazione camorristica alla pena di anni cinque e mesi quattro di reclusione. Era emerso che il predetto si era accordato con gli esponenti di vertice dei sodalizi malavitosi Schiavone e Bidognetti per averne sostegno elettorale (F era stato eletto nel consiglio regionale della Campania nell'anno 2005) a fronte di un suo impegno nel procurare alle imprese a tali consorterie collegate lucrosi appalti nel settore dello smaltimento dei rifiuti. Una condotta iniziata nell'anno 2000 ed "ancora perdurante". Una pronuncia fondata sul contributo dichiarativo di numerosi collaboratori di giustizia a cui si erano, da ultime, aggiunte le propalazioni di N S (personaggio di vertice della consorteria), che il Tribunale aveva ritenuto di escutere direttamente, e che aveva riferito come F fosse stato, prima (a partire dagli anni '90), un imprenditore colluso e poi, anche, un politico "a disposizione" del sodalizio, divenendo consigliere regionale quando "era già pienamente intraneo nel can., come persona di riferimento sia imprenditoriale e anche camorristico, nei riguardi dell'interfacciarsi con gli altri esponenti politici .. quando viene eletto, sostanzialmente, noi stiamo eleggendo una persona a noi vicina, era una persona a nostra disposizione". Se ne deduceva, così, la sicura "appartenenza" del proposto ai ricordati clan malavitosi, in particolare al clan Schiavone, e la sua conseguente "pericolosità sociale qualificata".La Corte riprendeva poi gli esiti di un altro procedimento penale, nel quale l'odierna terza interessata (e ricorrente) G C (la seconda moglie del F) era stata imputata del delitto di intestazione fittizia di quote di una società attiva nello smaltimento dei rifiuti, ove, pur essendosi approdati, per la C, ad un esito assolutorio (per l'assenza dell'elemento soggettivo del reato), si erano positivamente scandagliati i rapporti del F con la cosca Schiavone, ad iniziare dalla metà degli anni '90 ed il decollo del fatturato che ne era derivato alle imprese dal F (anche grazie alla acquisizione di buona parte degli appalti affidati da enti pubblici nella zona del casertano, vinti con, significativi e sospetti, minimi ribassi rispetto ai concorrenti). Da altra pronuncia, seppur definita con la prescrizione del delitto di cui all'art.353 cod. pen., si era ancora confermata la prossimità del F al clan Schiavone (riconoscendo il primo al secondo un aggio per l'aggiudicazione di una gara indetta dal Comune di Caserta). La pericolosità del prevenuto aveva, pertanto, trovato corretta collocazione temporale a partire dalla metà degli anni '90. 1.1.2. Quanto ai beni confiscati al proposto. La confisca degli stessi muoveva dal rilievo che le imprese gestite dal F (srl Ecocampania e srl Green line) dovevano considerarsi esse stesse "mafiose" perché avevano operato proprio grazie alla ricordata appartenenza del prevenuto alle consorterie di riferimento, ed in particolare al clan Schiavone. Una conclusione che era l'ineludibile portato delle dichiarazioni dei vari collaboratori di giustizia escussi nei citati processi. A fronte di tale quadro complessivo, erano pertanto del tutto inconferenti gli argomenti offerti dalla difesa, anche a mezzo della consulenza tecnica P, in ordine alla compatibilità degli acquisti rispetto ai redditi maturati, promanando questi ultimi, tutti, proprio dalla accertata mafiosità delle imprese che li avevano generati. A giudizio della Corte territoriale, anche gli emolumenti conseguiti dal F (ed il futuro vitalizio) per la sua carica di consigliere regionale si connotavano di identica "mafiosità", avendola questi assunta grazie ai clan ed avendola esercitata a loro favore. Ed andavano così, tutti (passati e futuri), sottoposti alla adottata confisca diretta. Confisca, poi, che doveva disporsi sulla totalità degli importi e non limitatamente alla quinta parte prevista dalle norme civili in terna di sequestrabilità dei compensi da lavoro, non essendo, tale limite, opponibile, secondo la giurisprudenza di Cassazione (si cita la sentenza n. 16055/2019) ai provvedimenti di natura sanzionatoria e pubblicistica.Né, infine, aveva pregio l'eccezione svolta alla difesa ai sensi dell'art. 649 cod. proc. pen., avuto riguardo al dissequestro dei beni nel processo penale intentato nei confronti del proposto per l'ipotizzata intestazione fittizia dei medesimi, muovendo, il giudizio di merito penale ed il giudizio di prevenzione, da presupposti tutt'affatto diversi (come ricordato da Cass. n. 32715/2014) ed avendo anche, i due procedimenti, in concreto, una diversa piattaforma probatoria. Veniva, invece e come si è detto, revocata la confisca per equivalente non potendosi applicare il disposto dell'art. 25 d.lgs. n. 159/2011 alle proposte di misura avanzate prima della sua modifica, ad opera della legge n. 161/2017. 1.1.3. Quanto ai beni confiscati a G C. In riferimento al fabbricato edificato in via Maddalena in Arienzo, già il Tribunale aveva evidenziato come i redditi della C, dal 1988 al 1995, fossero stati così modesti da non consentirle, come invece era accaduto, di affidare l'appalto per la costruzione dell'immobile (per lire 90 milioni nell'aprile 1997 e per altri 80 milioni nel settembre 1999). In ogni caso, avendo il Tribunale riconosciuto un indennizzo di 90.000 euro (considerando l'incertezza circa la data di inizio della relazione affettiva con il proposto ed il suo conseguente contributo economico), tale argomento era venuto a perdere ogni pratica rilevanza. Si erano però, a partire dai primi anni 2000, susseguiti una serie di interventi edilizi sul medesimo immobile (che era divenuto una villa signorile, di ampia metratura, dotata di piscina) che trovavano giustificazione solo nel sostegno economico fornito dal F, anche considerando gli ulteriori acquisti immobiliari realizzati dalla C in quegli stessi anni, seppure per immobili di minor valore. Né avevano rilievo i redditi percepiti dalla donna dalle aziende del marito in considerazione delle loro già rilevate caratteristiche di mafiosità. Quanto agli immobili siti in via Marchesiello in Caserta, si era osservato come, acquistati gli stessi per soli 41.000 euro nel 2005, vi erano stati eseguiti lavori di ristrutturazione per almeno 140.000 euro nel biennio 2007/2008, e quindi tutti nel perimetro temporale all'interno del quale era stata accertata la pericolosità sociale del F, e quando i due, C e F, avevano già dato inizio al loro rapporto affettivo. Si aggiungeva poi che la C vantava solo redditi personali assai contenuti sui quali incidevano anche i costi di mantenimento del suo nucleo familiare (aveva un figlio a carico e viveva in un appartamento in affitto). 1.1.4. Quanto ai beni confiscati a G V.La Corte territoriale, come si è visto, in riforma del provvedimento impugnato, disponeva la revoca della confisca dell'immobile di Teverola, acquistato dalla medesima nel 2003, in quanto il prezzo, al momento del rogito, risultava essere stato già interamente versato. A ciò doveva aggiungersi che la V percepiva regolari redditi da insegnante - per un totale, dal 1989 al 2003- di poco meno di 150.000 euro - e che, quanto meno al 2003, si erano interrotti i rapporti affettivi con il proposto. Quanto, invece, all'appartamento acquistato in Formia, era emerso, dallo stesso verbale di separazione personale fra V e Fen -aro, che era stato quest'ultimo ad impegnarsi ad acquistarlo, a nome e per conto della prima, o, altrimenti, a versarle la somma di euro 300.000. Era pertanto evidente come l'acquisto dell'immobile - effettivamente poi acquisito dalla V per euro 235.000 - promanasse dalle disponibilità finanziarie del proposto (nel periodo in cui era stato ritenuto socialmente pericoloso). Era del tutto inventata, affermava la Corte territoriale, la circostanza che l'acquisto dell'immobile di Formia fosse stato reso possibile dalla vendita di un immobile in Gaeta di proprietà del padre del F, posto che l'unico immobile sito in Gaeta, di cui erano titolari i F, era quello che il proposto stesso aveva acquistato nel 1999 (e quindi ancora all'interno del periodo di pericolosità qualificata) e rivenduto nel 2006. 2. Avverso il ricordato decreto propongono ricorso per cassazione il proposto, N F, ed i terzi interessati, G V e G C. 2.1. Nell'interesse di N F hanno depositato distinti ricorsi i suoi difensori Avv. G S e Avv. Giovanni C. 2.1.1. L'Avv. G S articola tre motivi. 2.1.1.1. Con il primo deduce la violazione di legge, ed in particolare degli artt. 1 e ss. d.lgs. n. 159/2011, ed il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta pericolosità sociale del proposto. Il medesimo, infatti, in sede di merito, era stato riconosciuto colpevole del solo delitto di concorso esterno in associazione camorristica (il clan dei casalesi) non venendo però indicato in quale settore sarebbe intervenuto in appoggio allo stesso e con quali concrete condotte, tanto da essere stato assolto da tutti i delitti fine contestatigli.Si erano poi considerate condanne per turbativa d'asta e per fittizia intestazione di quote di società operanti nel settore dello smaltimento dei rifiuti senza che però che, in tali processi, fosse stata contestata l'aggravante dell'art. 7 legge n. 203/1991. Quanto alle propalazioni accusatorie di N S, nulla di concreto, in ordine al contributo di F al clan, era dato rinvenirvi.
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