Cass. civ., sez. V trib., sentenza 15/12/2022, n. 36823

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. V trib., sentenza 15/12/2022, n. 36823
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 36823
Data del deposito : 15 dicembre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 12839/2021R.G. proposto da Comune di Cazzago San Martino, in persona del suo Sindacop.t., con domicilio eletto in Roma, Viale Liegi n. 14, presso lo studio dell’avvocato G B, rappresentato e difeso dall’avvocato M B;
–ricorrente –

contro

Ges.Co. S.r.l., in persona del suo legale rappresentante p.t., società incorporante della Agro Alimentare Adriatica S.r.l., con domicilio eletto in Roma, via di Villa Sacchetti n. 9, presso lo studio dell’avvocato P M che la rappresenta e difende;
–controricorrente – per la revocazione della ordinanza n. 9971/21, depositata il 15 aprile 2021, della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;
ICI IMU Accertamento udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio del 14 settembre 2022, dal Consigliere dott. L P;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. S D M, che ha chiestodichiararsi inammissibile il ricorso.

FATTI DI CAUSA

1. - C on un solo motivo rescindente, il Comune di Cazzago San Martino ricorre per la revocazione della ordinanza n. 9971/21, depositata il 15 aprile 2021, con la quale la Corteha rigettato il ricorso proposto dallo stesso odierno ricorrente avverso la sentenza n. 1990/26/2019, depositata il 7 maggio 2019 , della Commissione tributaria regionale della Lombardia che , a sua volta, aveva disatteso l’appellodell’Ente e, così, confermato la decisione di prime cure recante accoglimento dell’ impugnazione del silenzio - rifiuto formatosi sull’istanza di rimborso dell’ ICI corrisposta dalla contribuente relativamente aglianni 2008, 2009, 2010 e 2011. 1.1 -A fondamento del motivo di ricorso per revocazione, assume ilricorrente che: -la Commissione tributaria regionale avrebbe dovuto accogliere i proposti motivi di appello in quanto veniva in considerazione un fabbricato (tutt’ora) accatastato in categoria D/7, e rispetto al quale l’Agenzia del territorio aveva rigettato l’istanza presentata dalla contribuente al fine del riconoscimento della relativa ruralità, come evidenziato da esso esponente nelle memorie illustrative che recavano, in allegato, la visura catastale dell’unità immobiliare;
- erroneamente, pertanto, il giudice del gravame aveva ritenuto «sufficiente per il riconoscimento di ruralità la presentazione della domanda» da parte della contribuente;- con l’impugnata ordinanza, la Corte aveva, quindi, pronunciato «nella erronea convinzione che la domanda di variazione catastale in D10 fosse stata presentata» laddove diversamente emergeva che detta domanda era stata «rigettata dal Catasto in data 14 dicembre 2016 come risulta dalla visura catastale» siccome «proposta in difformità a quanto previsto dal comma 2 bis dello articolo 7 del dl 70/11…»;
-la Corte, pertanto, aveva «tacitamente ritenuto che il fabbricato fosse accatastato in D10 a seguito di formale istanza di variazione catastale, mentre risulta evidente che l’immobile è tuttora accatastato quale D7», così che «la mera domanda di attestazione di ruralità, in assenza di variazione in detta categoria catastale D10 (peraltro rigettata dal Catasto) non avrebbe mai potuto avere efficacia retroattiva.». 2. -La Ges.Co. S.r.l. resiste con controricorso . Fissato all’udienza pubblica del 14 settembre2022, il ricorso è stato trattato in camera di consiglio, in base alla disciplina dettata dal d.l. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis, conv. in l. n. 176 del 2020, e dal d.l. n. 228 del 2021, art. 16, c. 1, conv. in l. n. 15 del 2022, senza l’intervento in presenza del Procuratore Generale, che ha depositato conclusioni scritte, e dei difensori delle parti, che non hanno fatto richiesta di discussione orale.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Premesso che la diretta definizione del ricorso in pubblica udienza, con omissione della trattazione camerale prevista in relazione alla fase rescindente, costituisce una mera irregolarità del procedimento (art. 380 bis cod. proc. civ.), che non determina violazione dei diritti di difesa, tenuto conto della più ampia garanzia assicurata dal giudizio in pubblica udienza (v. Cass., 7 luglio 2022, n. 21485;
Cass. Sez. U., 7 marzo 2016, n. 4413;
Cass., 14 maggio 2010, n. 11806;
Cass., 8 aprile 2009, n. 8559), e che la memoria della ricorrente è inammissibile, perché (tardivame nte) depositata il 14 settembre 2022, rileva la Corte che il motivo di ricorso è inammissibile. 2. –Come risulta, innanzitutto, dalla pronuncia resa dal giudice del gravame, - che, nella sua ratio decidendi , recava conferma della identica conclusione in iurecui era pervenuto il giudice del primo grado di giudizio, - l’accertamento del diritto al rimborso, - in ragione della rilevata ruralità del fabbricato (già) sottoposto ad imposizione, - era conseguito, - piuttosto che, come assume il ricorrente, dalla mera presentazione della domanda autocertificata della contribuente, -dalla verificarelativa all’avvenuta «annotazione negli atti catastali» di detta domanda, avendo il giudice del gravame inequivocamente rilevato che «le domande di variazione catastale unitamente all'inserimento dell'annotazione negli atti catastali producevano direttamente gli effetti previstiper il riconoscimento del requisito della ruralità». 3. – Con l’ordinanza, ora oggetto di impugnazione, la Corte ha quindi rilevato che: -ai sensi dell’art. 360, c. 1, n. 3, cod. proc. civ., erano stati proposti due motivi di ricorso per violazione e falsa applicazione di legge in relazione al d.l. n. 70 del 2011, art. 7, comma 2-bis e comma 2-ter, conv. in l. n. 106 del 2011, sugli assunti che il giudice del gravame aveva erroneamente ritenuto « che la sola presentazione della domanda di variazione catastale fosse condizione necessaria e sufficiente per conseguire il riconoscimento retroattivo della ruralità» e che «l'esenzione da ICI peri fabbricati rurali troverebbe applicazione con la sola presentazione della domanda di variazione catastale»;
- i motivi di ricorso andavano disattesi in quanto il giudice del gravame, - « valutando che l'annotazione in catasto della domanda di variazione (14 ottobre 2011) bastasse per il riconoscimento automatico della ruralità con efficacia estesa al quinquennio anteriore e giustificasse la ripetibilità dell'imposta indebitamente versata in tale periodo.», - aveva dato corretta applicazione ai principi di diritto enunciati dalla Corte, ed alla cui stregua, ai fini della variazione catastale dei fabbricati,disciplinata dal d.l. n. 70 del 2011, art. 7, c. 2 bis, cit., e dal d.l. n. 201 del 2011, art. 13, c. 14 bis, conv. in l. n. 214 del 2011, con gli effetti retroattivi di cui al d.l. n. 102 del 2013, art. 2, c. 5 ter, conv. in l. n. 124del 2013, la relativa domanda di variazione presentata dall’interessato , con la prevista autocertificazione, non determina ex se il riconoscimento della ruralità, a tal fine essendo necessaria (anche) l’annotazione in atti della sussistenza dei requisiti di ruralità qual prevista dall’art. 1, c. 2, del d.m. 26 luglio 2012 (cf r. Cass., 10 febbraio 2021, n. 3226;
Cass., 19 dicembre 2018, n. 32787;
Cass., 9 novembre 2017, n. 26617;
v., altresì, Corte Cost., 18 giugno 2015, n. 115). 4. – Il ricorrente, come anticipato, assume (ora) che una siffatta annotazione in atti della ruralità dell’unità immobiliare, - come , del resto, evidenziato inmemorie illustrative depositate davanti alla stessa Commissione tributaria regionale, -era stata «rigettata dal Catasto in data 14 dicembre 2016 come risulta dalla visura catastale», siccome «proposta in difformità a quanto previsto dal comma 2 bis dello articolo 7 del dl 70/11 …», così che il fabbricato risultava (ancora)accatastato nella categoriaD/7» . Epperò, com’è evidente, un siffatto complesso di rilievi, - che , peraltro, evocano (indistintamente) gli istituti dell’annotazione di ruralità e della variazione di classamento catastale, oltrechè referenti processuali (memorie e documentazionedepositate davanti al giudice del gravame) in evidente incoerenza con i motivi di ricorso proposti (per violazione di legge) davanti al giudice di legittimità, -non integra il presupposto dell’invocata revocazione che, come detto, la parte fonda sull’errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa (art. 395, n. 4, cod. proc.civ.);
e va rimarcato , per di più, che il ricorso risulta, in buona sostanza, finalizzato a sollecitare un riesame dei dati probatori rilevanti nella fattispecie, dati che, - non sottoposti alla cognizione del giudice di legittimità sotto il profilo degliaccertamenti in fatto condotti dal giudice del gravame, -si identificano con il contenuto effettivo della cd. annotazione in atti e, ancor prima, con le determinazioni sul punto assunte dall’amministrazione catastale. 4.1 – Come ripetutamente statuito dalla Corte, l'errore di fatto previsto dall'art. 395 c.p.c., n. 4(oggetto di richiamo nell’art. 391-bis cod. proc. civ.), e idoneo a costituire motivo di revocazione, si configura come una falsa percezione della realtà, una svista obiettivamente e immediatamente rilevabile, la quale abbia portato ad affermare o supporre l'esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli atti e documenti, ovvero l'inesistenza di un fatto decisivo che dagli atti o documenti stessi risulti positivamente accertato, e pertanto consiste in un errore meramente percettivo che in nessun modo coinvolga l'attività valutativa del giudice di situazioni processuali esattamente percepite nella loro oggettività;
l'errore revocatorio, pertanto, deve apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o di indagini ermeneutiche, e non può consistere, per converso, in un preteso, inesatto apprezzamento delle risultanze processuali, vertendosi, in tal caso, nella ipotesi dell'errore di giudizio(v., ex plurimis, Cass., 29 marzo 2022, n. 10040;
Cass. Sez. U., 18 febbraio 2021, n. 4367;
Cass., 11 gennaio 2018, n. 442;
Cass., 29 ottobre 2010, n. 22171). Più specificamente, ed avuto riguardo alla concreta fattispecie che (ora) viene sottoposta alla cognizione della Corte, si è rimarcato che l'errore di fatto rilevante deve riguardare gli atti interni al giudizio di legittimità, atti che la Corte può, e deve, esaminare direttamente, in correlazione ai propostimotivi di ricorso, ovvero alle questioni rilevabili d'ufficio;
un siffatto erroredeve avere, quindi, carattere autonomo nel senso che deveincidere esclusivamente sulla sentenza di legittimità in quanto, laddove sia stato causa determinante della sentenza di merito, in relazione ad atti o documenti che sono stati o avrebbero dovuto essere esaminati in quella sede, il vizio che inficia detta sentenza dev'essere fatto valere con i mezzi di impugnazione specificamente esperibili contro le sentenze di merito(così Cass., 22 ottobre 2018, n. 26643;
Cass., 5 marzo 2015, n. 4456;
Cass., 18 febbraio 2014, n. 3820;
v., altresì, Corte Cost., 31 gennaio 1991, n. 36). 4.2 – L’impugnata pronuncia, in conclusione, si sottrae al denunciato vizio revocatorio essendosi risolta nella presa d’atto dello specifico accertamento condotto dai giudici di merito (quanto, dunque, alla ricorrenza, nella fattispecie, dell’annotazione di ruralità prevista dal d.m. 26 luglio 2012, art. 1, c. 2) e, in conseguenza, nel rigetto dei proposti motivi di ricorso che, senza mettere in discussione un siffatto accertamento, esponevano denunce di violazione di legge ritenute, per l’appunto, destituite di fondamento, - alla stessa stregua del consolidato orientamento della Corte, - in relazione (proprio) al presupposto in fatto assunto dai giudici di merito, presupposto costituito dalla ridetta annotazione in atti di ruralità. 5. - Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza di parte ricorrente nei cui confronti sussistono, altresì, i presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto (d.p.r. n. 115 del 2002, art. 13, c. 1 quater).
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