Cass. civ., SS.UU., sentenza 25/03/2010, n. 7154
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In tema di base di calcolo del trattamento di quiescenza o di fine rapporto spettante ai dipendenti degli enti pubblici del c.d. parastato, l'art. 13 della legge 20 marzo 1975 n. 70, di riordinamento di tali enti e del rapporto di lavoro del relativo personale, detta una disciplina del trattamento di quiescenza o di fine rapporto (rimasta in vigore, pur dopo la contrattualizzazione dei rapporti di pubblico impiego, per i dipendenti in servizio alla data del 31 dicembre 1995 che non abbiano optato per il trattamento di fine rapporto di cui all'art. 2120 cod. civ.), non derogabile neanche in senso più favorevole ai dipendenti, costituita dalla previsione di un'indennità di anzianità pari a tanti dodicesimi dello stipendio annuo in godimento quanti sono gli anni di servizio prestato, lasciando all'autonomia regolamentare dei singoli enti solo l'eventuale disciplina della facoltà per il dipendente di riscattare, a totale suo carico, periodi diversi da quelli di effettivo servizio. Il riferimento quale base di calcolo allo stipendio complessivo annuo ha valenza tecnico-giuridica, sicché deve ritenersi esclusa la computabilità di voci retributive diverse dallo stipendio tabellare e dalla sua integrazione mediante scatti di anzianità o componenti retributive similari (nella specie, l'indennità di funzione ex art. 15, secondo comma, della legge n. 88 del 1989, il salario di professionalità o assegno di garanzia retribuzione e l'indennità particolari compiti di vigilanza per i dipendenti dell'INPS) e devono ritenersi abrogate o illegittime, e comunque non applicabili, le disposizioni di regolamenti come quello dell'Inps, prevedenti, ai fini del trattamento di fine rapporto o di quiescenza comunque denominato, il computo in genere delle competenze a carattere fisso e continuativo.
In tema di base di calcolo della pensione integrativa dei dipendenti dell'INPS, ai sensi dell'art. 5 del Regolamento per il trattamento di previdenza e quiescenza dell'ente, adottato con delibera del 12 giugno 1970 e successivamente modificato con deliberazione del 30 aprile 1982, ai fini della computabilità nella pensione integrativa già erogata dal fondo istituito dall'ente (e ancora transitoriamente prevista a favore dei soggetti già iscritti al fondo, nei limiti dettati dall'art. 64 della legge 17 maggio 1999 n. 144) è sufficiente che le voci retributive siano fisse e continuative, dovendosi escludere la necessità di una apposita deliberazione che ne disponga l'espressa inclusione. Non osta che l'elemento retributivo sia attribuito in relazione allo svolgimento di determinate funzioni o mansioni, anche se queste, e la relativa indennità, possano in futuro venire meno, mentre non può ritenersi fisso e continuativo un compenso la cui erogazione sia collegata ad eventi specifici di durata predeterminata oppure sia condizionata al raggiungimento di taluni risultati e quindi sia intrinsecamente incerto. (Fattispecie relativa all'indennità mensile ex art. 15, comma secondo, della legge 88 del 1989 e al salario di professionalità o assegno di garanzia retribuzione).
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. C V - Presidente -
Dott. E A - Consigliere -
Dott. M A - Consigliere -
Dott. G U - Consigliere -
Dott. S S - Consigliere -
Dott. F F - Consigliere -
Dott. M L - Consigliere -
Dott. T S - rel. Consigliere -
Dott. S M B - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
I.N.P.S. - ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (80078750587), in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l'Avvocatura Centrale dell'Istituto stesso, rappresentato e difeso dagli avvocati M V, L EISABETTA, TADRIS PATRIZIA, per delega a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
B A (BRRNTN38R08F888C), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 30, presso lo studio dell'avvocato C G, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato L M, per delega in calce al controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 1736/2006 della CORTE D'APPELLO di TORINO, depositata il 07/12/2006;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 02/02/2010 dal Consigliere Dott. SAVERIO TOFFOLI;
uditi gli avvocati Elisabetta LANZETTA, Giammaria CAMICI;
udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott. IANNELLI DOMENICO, che ha concluso per l'accoglimento, p.q.r., del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Antonio B, esponendo di aver lavorato alle dipendenze dell'INPS fino alla data di pensionamento e di aver percepito ininterrottamente in relazione alle funzioni svolte l'indennità mensile L. 88 del 1989, ex art. 15, comma 2, il salario di professionalità (poi denominato assegno di garanzia retribuzione) e l'indennità particolari compiti di vigilanza, già denominata compenso ispettori di vigilanza fuori orario, adiva il Tribunale di Torino chiedendo la condanna dell'Istituto alla riliquidazione del trattamento di quiescenza (indennità di buonuscita) e del trattamento pensionistico integrativo, mediante computo nella base di calcolo degli emolumenti sopra detti.
Nella resistenza dell'Inps, il giudice accoglieva la domanda quanto all'indennità mensile L. n. 88 del 1989, ex art. 15, comma 2, ed al salario di professionalità (poi denominato assegno di garanzia retribuzione), mentre la respingeva in ordine alle pretese inerenti all'indennità particolari compiti di vigilanza.
L'appello dell'Istituto veniva respinto dalla Corte d'appello di Torino, mentre veniva accolto l'appello incidentale del lavoratore relativo all'indennità particolari compiti di vigilanza, di cui veniva affermata la computabilità sia ai fini del trattamento pensionistico integrativo che dell'indennità di buonuscita. La Corte di merito rilevava che l'Inps, nel riproporre le proprie difese, aveva fatto riferimento all'art. 5 del regolamento per il trattamento di previdenza e di quiescenza del personale del 12.6.1970, secondo cui, agli effetti del regolamento stesso, e quindi ai fini della misura di dette prestazioni, si deve intendere per retribuzione la somma dello stipendio lordo calcolato per 15 (ora 13) mensilità e di eventuali assegni personali ed altre competenze a carattere fisso e continuativo, che siano riconosciute utili ai fini del trattamento di previdenza e quiescenza con deliberazione del consiglio di amministrazione approvata con decreto ministeriale, trascurando quindi che quest'ultima condizione era stata eliminata con deliberazione del consiglio di amministrazione del 30.4.1982 alla luce della decisione del Consiglio di Stato n. 120 del 29.1.1980. Ai fini della loro inclusione, rilevava quindi che, come era pacifico in causa, sia l'indennità di funzione L. n. 88 del 1989, ex art. 15, comma 2, che il salario di professionalità (o corrispondenti
indennità secondo la denominazione attribuita loro in occasione dei vari rinnovi contrattuali) erano stati ininterrottamente percepiti dall'appellato.
Il requisito della continuità doveva riconoscersi anche all'ulteriore indennità per cui era stato proposto appello incidentale, essendo documentalmente provato che il lavoratore aveva sempre percepito, anche in occasione di assenze dal lavoro, l'indennità inizialmente denominata "compenso ispettori vigilanza oltre orario" poi divenuta "compenso per particolari compiti di vigilanza", pur percependo altresì il compenso per le ore di straordinario prestate. Inoltre la natura fissa e continuativa di un compenso non doveva ritenersi esclusa dalla astratta revocabilità dello stesso.
L'Inps propone ricorso per Cassazione con due motivi. L'intimato resiste con controricorso.
La controversia è stata assegnata alle Sezioni unite a seguito di istanza del controricorrente, che ha rilevato che questa S.C. si è espressa in modo difforme in relazione alla questione relativa alla normativa da applicarsi al calcolo dell'indennità di buonuscita dei dipendenti INPS ed alla sua interpretazione.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.1. Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 2120 c.c., della L. 20 marzo 1975, n. 70, artt. 13 e 14 e degli artt. 5, 27 e 34 del Regolamento per il trattamento di previdenza e di quiescenza del personale a rapporto di impiego dell'Inps, unitamente a motivazione insufficiente circa più punti della decisione.
Afferma l'INPS, con riferimento all'indennità L. n. 88 del 1989, ex art. 15, comma 2, ed al salario di professionalità, che nessuna
disposizione di legge, contrattuale o regolamentare, consente di considerare tali emolumenti come utili ai fini della previdenza integrativa ed ai fini del trattamento di quiescenza. In particolare deduce l'irrilevanza della eliminazione dell'inciso del richiamato regolamento relativo alla necessità di un'espressa previsione della computabilità degli emolumenti integrativi ai fini del trattamento previdenziale e di quiescenza, sussistendo il principio della necessità di una esplicita previsione in tal senso e
dell'assoggettamento a contributo dell'emolumento. Aggiunge che le componenti retributive in discorso sono prive dei caratteri della fissità e continuità ai fini in esame. Rileva, infine, che nessuna contribuzione è mai stata richiesta o pagata in relazione ai suddetti emolumenti che, proprio in quanto privi dei caratteri sopra detti, non sono soggetti a contribuzione previdenziale. 1.2. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 346 c.p.c. e della L. 17 maggio 1999, n. 144, art. 64. Con riferimento all'indennità particolari compiti di vigilanza, l'INPS rileva preliminarmente che controparte ne aveva chiesto il calcolo ai soli fini della buonuscita e non anche dei fondi integrativi, sicché la sentenza impugnata, che aveva previsto anche tale ultimo calcolo, è andata ultra petita.
Rileva inoltre che, comunque, tale indennità non avrebbe mai potuto essere presa in considerazione ai fini del trattamento di previdenza, che deve essere calcolato in base alla retribuzione in essere alla data del i ottobre 1999.
2. Con il controricorso si eccepisce l'inammissibilità del ricorso per mancata adeguata esposizione dei fatti di causa e per essersi sollevate molte questioni anche di fatto per la prima volta in cassazione e comunque senza riferimento alle modalità della loro proposizione nel giudizio di merito. Si eccepisce comunque la genericità delle doglianze in punto di continuità.
Si ammette che non vi era domanda di computo nella pensione integrativa della indennità particolari compiti di vigilanza, in quanto la stessa era stata introdotta dopo il 1999, epoca a cui doveva farsi riferimento per la retribuzione base di calcolo della pensione integrativa conservata per i dipendenti già in servizio. 3. Preliminarmente deve rilevarsi la non fondatezza dell'eccezione di inammissibilità del ricorso sotto il profilo della non adeguata esposizione dei fatti di causa, in quanto il requisito di cui all'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3 che richiede "l'esposizione sommaria dei fatti di causa" risulta nella specie sufficientemente integrato mediante la trascrizione della parte narrativa della sentenza impugnata.
4. Le questioni di principio poste dal ricorso riguardano i dipendenti dell'Inps in cui favore è prevista al momento della cessazione del rapporto di lavoro, sulla base di discipline legali o regolamentari ancora applicabili in via transitoria, l'erogazione di una pensione integrativa e, quale trattamento di fine rapporto, in luogo del trattamento previsto dall'art. 2120 c.c., l'indennità di anzianità già prevista per i dipendenti degli enti pubblici non economici dalla L. 20 marzo 1975, n. 70 oppure (la questione è controversa) l'indennità di buonuscita prevista dal regolamento per il trattamento di previdenza e di quiescenza del personale a rapporto d'impiego approvato con deliberazione in data 12.6.1970 del consiglio di amministrazione dell'istituto. Più precisamente si tratta di stabilire se debbano fare parte della base di calcolo di tali trattamenti anche elementi della retribuzione del dipendente, diversi dallo stipendio, se fissi e continuativi.
È opportuno esaminare quali siano gli orientamenti della giurisprudenza della Corte riguardo a tali questioni, con particolare riferimento a quella riguardante l'indennità di buonuscita o di anzianità, su cui si è verificato un contrasto di giurisprudenza. 5. Con riferimento alla pensione integrativa è richiamabile Cass. n. 8821/2008, che ha innanzitutto delineato il relativo quadro normativo, ricordando che il già richiamato regolamento dell'Inps in data 12 giugno 1970 aveva fatto riferimento, sia ai fini della pensione integrativa che ai fini dell'indennità di buonuscita, a una nozione di "retribuzione" comprensiva delle competenze a carattere fisso e continuativo riconosciute utili ai fini del trattamento di previdenza e di quiescenza con deliberazione del consiglio di amministrazione, approvata dal Ministero del lavoro, e che tale previsione era stata modificata proprio dall'Inps con deliberazione in data 30 aprile 1982 (alla luce della decisione del Consiglio di Stato n. 120/80), con eliminazione dell'ultima parte, con la conseguenza che non poteva più ritenersi necessario il provvedimento del Consiglio di amministrazione affinché le voci retributive venissero considerate pensionabili, essendo sufficiente a tale scopo che le medesime oggettivamente fossero fisse e continuative. Ha poi ricordato che la disciplina di cui a detto regolamento rimase ferma anche dopo l'entrata in vigore della L. 20 marzo 1975, n. 70, di riordino degli enti pubblici non economici, nel senso che l'art. 14, comma 2, della medesima legge sancì che i fondi integrativi previsti dai regolamenti di taluni enti sarebbero stati conservati in relazione al personale in servizio;e che i medesimi fondi integrativi furono soppressi dal primo ottobre 1999, ad opera della L. 17 maggio 1999, n. 144, art. 64, comma 2, prevedendosi però (al citato articolo, comma 3) che in favore degli iscritti veniva riconosciuto l'importo del trattamento pensionistico integrativo, calcolato alla stregua delle normative regolamentari in vigore presso i predetti fondi, sulla base delle sole anzianità contributive maturate alla data del primo ottobre 1999. In altri termini, la maturazione di detti trattamenti pensionistici integrativi si era arrestata alla data suddetta.
Tanto premesso la richiamata sentenza riteneva che nella specie, ai fini della inclusione delle voci retributive in contestazione doveva solo accertarsi se esse fossero qualificabili come fisse e continuative, non potendo spiegare efficacia ostativa la mancata effettuazione sulle medesime delle previste trattenute contributive, in quanto di tale omissione era responsabile lo stesso Inps, che cumulava la posizione di datore di lavoro e di gestore del fondo pensionistico integrativo, il quale era privo di personalità giuridica distinta e rappresentava solo un'evidenza contabile nel bilancio dell'istituto.
Quanto al carattere fisso e continuativo delle voci retributive allora in questione, e cioè dell'indennità di cui alla L. n. 88 del 1989, art. 15, comma 2, e del salario di professionalità, la Corte
confermava il giudizio positivo del giudice di merito, ritenendo che i criteri rilevanti al riguardo sono rappresentati dalle modalità della erogazione (con particolare riguardo alla reiterazione del pagamento per un apprezzabile lasso di tempo) e dal tenore della fonte. Da questo ultimo punto di vista doveva affermarsi che, mentre non può attribuirsi rilevanza al fatto che ogni voce retribuiva sia suscettibile di soppressione o modificazione, ha rilievo ostativo invece che la fonte che ha introdotto il compenso lo preveda espressamente come temporaneo, in quanto intrinsecamente collegato ad eventi di durata limitata (come per esempio il raggiungimento di determinati risultati obiettivi). Con particolare riguardo all'indennità di cui alla L. n. 88 del 1989, art. 15, comma 2, veniva richiamata anche la qualificazione dello stesso come continuativo da parte di Cass. n. 6633/2007, sia pure fini del calcolo dell'indennità di buonuscita.
La medesima linea interpretativa è stata seguita da Cass. n. 11603/2008, 11604/2008 e 19014/2008.