Cass. pen., sez. III, sentenza 09/05/2023, n. 27147

CASS
Sentenza
9 maggio 2023
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9 maggio 2023

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La costituzione di parte civile non revocata equivale a querela ai fini della procedibilità di reati originariamente perseguibili d'ufficio, divenuti perseguibili a querela a seguito dell'entrata in vigore del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (cd. riforma "Cartabia"), posto che la volontà punitiva della persona offesa, non richiedendo formule particolari, può essere legittimamente desunta anche da atti che non contengono la sua esplicita manifestazione.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. III, sentenza 09/05/2023, n. 27147
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 27147
Data del deposito : 9 maggio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

27147 23 REPUBBLICA ITALIANA In nome del Popolo Italiano LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE TERZA SEZIONE PENALE Composta da Sent. n. sez. 88L Presidente - Donatella Galterio Angelo Matteo Socci UP - 09/05/2023 R.G.N. 41764/2022 Vittorio Pazienza Emanuela Gai Alessandro Maria Andronio -Relatore - In caso di difesone der presents pr ometters to genantità » gli altri dati identical. ha pronunciato la seguente a norma dell'art. 52 d.lgs. 196/03 in questo. deposto d ialo SENTENZA ☐ a richiesta pr imposte esit bagca sul ricorso proposto da S.C. nato a [...] omissis IL FUNZIONARIO GIUDIZIARIO avverso la sentenza del 28/06/2022 della Corte di appello di Reggio Calabria anche nei confronti di B.S. (parte civile) visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro Maria Andronio;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Raffaele Piccirillo, che ha concluso chiedendo che la sentenza impugnata sia annullata con rinvio, limitatamente all'applicabilità dell'art. 62, n. 6), cod. pen., con rigetto del ricorso nel resto;
udito, per la parte civile, l'avv. Giulio Valenti, in sostituzione dell'avv. Maria Floriana Salamone, che ha depositato conclusioni scritte e nota spese;
udito, per l'imputato, l'avv. Carlo Morace. RITENUTO IN FATTO Al 1. Con sentenza del 28/06/2022, la Corte di appello di Reggio Calabria ha parzialmente confermato la sentenza del Gup del Tribunale di Reggio Calabria del 30 giugno 2021 - resa all'esito di giudizio abbreviato - con la quale l'imputato era stato condannato - anche al risarcimento del danno nei confronti della parte civile, con liquidazione di provvisionale immediatamente esecutiva per 18 capi di - imputazione, aventi ad oggetto maltrattamenti, lesioni personali aggravate, violenza sessuale aggravata, rapina aggravata, violenza privata, tutti contestati come commessi ai danni della sua compagna non convivente. In particolare, la Corte territoriale ha riqualificato il reato di cui al capo 1 (art. 572 cod. pen.), ai sensi dell'art. 612-bis, secondo comma, cod. pen. e ha derubricato il reato di cui al capo 8 (art. 628 cod. pen.) in quello di cui all'art. 624- bis, secondo comma, cod. pen., rideterminando in diminuzione la pena finale in sei anni e otto mesi di reclusione e confermando nel resto la sentenza di primo grado 2. Avverso la sentenza d'appello l'imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento.

2.1. Si denunciano, in primo luogo, vizi di motivazione e violazione di legge in relazione alla valutazione della prova della ritenuta responsabilità penale, con riferimento ai messaggi spediti dalla persona offesa all'imputato nel corso della relazione tra i due. In particolare, non si sarebbe valutato il fatto che la stessa persona offesa, pur lamentandosi di percosse, non aveva mai fatto riferimento a violenze sessuali e che, anzi, proprio subito dopo le pretese violenze sessuali la stessa aveva più volte contattato l'imputato per nuovi incontri amorosi e per continuare la relazione. La difesa si riferisce, in particolare al capo 4 (violenza sessuale del 18 ottobre 2018) e alla successiva chat del 22 ottobre, nella quale la vittima manifesta un sentimento di amore verso l'imputato e gli chiede di rivederla. Analoghe considerazioni verrebbero in relazione al capo 7 (violenza sessuale della notte fai il 31 agosto e il 1 settembre 2019), in relazione al quale la non veridicità della versione accusatoria della parte civile sarebbe confermata dal fatto che questa aveva sostenuto che la violenza si fosse verificata intorno alle cinque di mattina e di avere sentito il vociare di bambini che andavano a scuola, senza considerare che quel giorno le scuole non erano ancora aperte e che era comunque domenica;
su questo profilo di censura, proposto con l'atto di appello, non vi sarebbe risposta dei giudici di secondo grado. Con riferimento al capo 12 (violenza sessuale della notte fra il 24 e il 25 ottobre 2019), le chat del 25 e 26 ottobre farebbero pensare a violenze fisiche, ma non anche a violenze sessuali e la parte civile avrebbe comunque espresso il desiderio di rivedere l'imputato. Quanto al capo 15 (violenza sessuale della notte fra il 9 e il 10 gennaio 2020), le chat del 12 ае 2 e del 15 gennaio non conterrebbero riferimenti a reati eventualmente subiti, ma solo al desiderio sessuale della donna nei confronti dell'uomo, seppure nell'ambito di un rapporto molto conflittuale. La difesa lamenta che queste chat non sono state valutate e che la Corte d'appello ha erroneamente affermato che la ricostruzione storica dei fatti e la credibilità della parte civile non erano state messe in discussione con l'atto di appello, nel quale si erano invece segnalati elementi di prova inconciliabili con la versione accusatoria, quali le chat stesse e le dichiarazioni delle amiche della persona offesa. Si afferma che anche in altre chat, lontane dai presunti episodi di violenza sessuale, la persona offesa, pur rimproverando all'imputato condotte ed avvenimenti negativi, non aveva mai menzionato violenze sessuali, analogamente a quanto avvenuto in una lettera scritta a mano, non presa in considerazione dalla Corte d'appello. Si richiamano, poi: le sommarie informazioni rese da V. amica della persona offesa, nella quale questa affermava di avere ricevuto confidenze su violenze fisiche ma non su violenze sessuali;
quelle rese da B. di analogo tenore;
quelle rese da R. la quale aveva precisato che le confidenze relative a violenze sessuali erano state solo successive alla presentazione della querela, ma mai precedenti. La motivazione della sentenza impugnata sarebbe incoerente, inoltre, nella parte in cui non spiega perché la parte civile abbia dichiarato, sia di avere tentato di divincolarsi e di avere subito i rapporti sessuali nonostante la sua contrarietà, sia di avere realizzato di essere stata violentata sessualmente solo nel corso dei colloqui del marzo 2020 con la psicologa. Mancherebbe, inoltre, l'apprezzamento dell'elemento soggettivo dei reati, a fronte di una totale assenza di lamentele, nell'arco di un anno e mezzo, da parte della persona offesa circa l'avere subito violenze sessuali. Non si sarebbe considerato, inoltre, che dalle chat nell'ambito di una relazione che era andata avanti fino al gennaio 2020, con una serie di rapporti sessuali certamente consensuali, oltre a quelli oggetto di imputazione - risultava il gradimento da parte della persona offesa rispetto a rapporti sessuali connotati da prevaricazione e da un certo grado di violenza, consensualmente accettata. Sarebbe erronea la conclusione della Corte d'appello secondo cui tali rapporti erano lontani nel tempo e inseriti in una fase di serenità relativa della relazione di coppia, perché non si sarebbe considerata una chat del 19 ottobre 2019, nella quale la persona offesa prende atto della violenza degli atti, ma sostanzialmente ammette di avervi prestato il suo consenso (attraverso l'uso della formula "abbiamo esagerato"). In tale contesto di violenza e prevaricazione normalmente accettata nell'ambito dei rapporti sessuali, si sarebbe dovuta considerare la possibilità di un errore dell'imputato sull'elemento essenziale del consenso, specialmente perché la sentenza sembrerebbe attribuire all'imputato stesso una violenza sessuale da 3 ле contesto, da condotta complessiva, ovvero nell'ambito di una relazione sentimentale caratterizzata da percosse e maltrattamenti;
cosicché il dissenso espresso dalla persona offesa avrebbe potuto essere considerato limitato a dette percosse e maltrattamenti e non agli atti sessuali in quanto tali.

2.2. Con un secondo motivo di doglianza, si contestano la violazione dell'art. 610 cod. pen. e vizi della motivazione in relazione al capo 10 dell'imputazione: l'imputato avrebbe sottratto alla vittima il telefono per controllarlo e le avrebbe poi impedito di reimpossessarsene. La difesa sostiene che quest'ultima non ha perso il possesso del telefono, cosicché il fine di impossessarsi dello stesso da parte dell'imputato non si è realizzato;
con la conseguenza che la sentenza avrebbe dovuto motivare sulla riqualificazione del reato quale tentativo di violenza privata.

2.3. Analogamente, si contestano, quanto al capo 16) dell'imputazione, la violazione di legge e il vizio di motivazione, sul rilievo che l'imputato non si sarebbe effettivamente impossessato del telefono della persona offesa, così configurandosi al più un reato tentato ex artt. 56 e 610 cod. pen.

2.4. Le stesse considerazioni varrebbero quanto al capo 18) - oggetto di un quarto motivo di doglianza in relazione al quale la difesa áveva affermato, di - fronte alla Corte d'appello, che l'imputato aveva sottratto alla persona offesa il cellulare con un gesto repentino, anche se quest'ultima non ne aveva perso il controllo, nonostante le fosse strappato dalle mani;
di talché, sarebbe configurabile esclusivamente il reato di minaccia ex art. 612 cod. pen.

2.5. Una quinta, articolata censura si riferisce alla violazione degli art. 88 e 89 cod. pen. e a vizi della motivazione in relazione alla capacità di intendere e di volere dell'imputato. Si sostiene che il perito d'ufficio ha esaminato in modo incompleto gli atti processuali, non avendo preso in esame le dichiarazioni della persona offesa e le chat, e avrebbe altresì ammesso di non essere un esperto di test psicodiagnostici e, quindi, di non avere avuto la capacità di analizzare quelli somministrati all'imputato dall'ausiliario del consulente di parte. La sentenza di primo grado per la difesa - sarebbe erronea nella parte in cui afferma che la - somministrazione dei test è superflua, perché non prende in considerazione il fatto che questi hanno una funzione che va oltre la diagnosi clinica, essendo utili per corroborarla o smentiria;
la Corte d'appello avrebbe amplificato tale vizio logico, comunque attribuendo valore alla somministrazione di test in funzione di conferma o smentita della gnosi

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