Cass. pen., sez. III, sentenza 10/01/2023, n. 00377
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Testo completo
la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da S R, nata a Crotone il 01/06/1965 avverso la sentenza del 12/10/2020 della Corte di appello di Messina visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;udita la relazione svolta dal consigliere A M A;letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale L C, ai sensi dell'art. 23, comma 8, del d.l. n. 137 del 2020, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 12 ottobre 2020, la Corte di appello di Messina ha confermato la sentenza del Tribunale di Messina del 23 aprile 2019 con la quale, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, S R è stata condannata alla pena di 8 mesi di reclusione per il reato di cui agli artt. 46 e 76 del d.P.R. n. 445 del 2000, con riferimento all'art. 483 cod. pen., per avere falsamente attestato, nella dichiarazione sostitutiva di certificazione presentata all'Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili di Messina, ai fini dell'iscrizione nel registro tirocinanti commercialisti di Messina, di non avere mai riportato, con sentenza definitiva, condanne a pene che, a norma dell'ordinamento professionale, diano luogo alla cancellazione dal registro tirocinanti, circostanza non corrispondete al vero come da certificato del Casellario Giudiziale attestante, peraltro, la recidiva reiterata specifica ed infraquinquennale. 2. Avverso la sentenza l'imputata, tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione chiedendone l'annullamento. 2.1. Con un primo motivo di censura, si lamenta la violazione degli artt. 46 e 76 del d.P.R. n. 445 del 2000 e 483 cod. pen., in quanto la condotta contestata alla ricorrente non integrerebbe alcuna fattispecie penalmente rilevante. Più nel dettaglio, la difesa sostiene che la falsa attestazione contenuta in una dichiarazione sostitutiva di certificazione non integrerebbe il reato di falsità ideologica commesso dal privato in atto pubblico ex art. 483 cod. pen. di cui non ricorrerebbero gli estremi. Infatti, l'art. 76 del d.P.R. n. 445 del 2000 non andrebbe a delineare autonomamente una condotta penalmente rilevante, bensì costituirebbe una norma di mero rinvio alle fattispecie incriminatrici previste dal co'dice penale e dalle leggi speciali, per cui le dichiarazioni mendaci rese ai sensi degli artt. 46 e 47 del d.P.R. n. 445 del 2000 costituirebbero reato solo alle condizioni stabilite dalle norme penali. In tal senso, affinché la falsa attestazione contenuta in una dichiarazione sostitutiva di atto notorio o di certificazione possa essere ricondotta alla fattispecie delineata dall'art. 483 cod. pen. occorrerebbe che essa presentasse gli elementi oggettivi previsti da tale disposizione, tra i quali anche che la falsa attestazione fosse resa in un atto pubblico. Tale requisito non ricorrerebbe nel caso di specie: né basandosi sulla definizione di atto pubblico rinvenibile negli artt. 2699 e 2700 cod. civ.;né guardando alla nozione di cui agli artt. 476 e 479 cod. pen.;né, ancora, assumendo come riferimento l'equiparazione tra dichiarazione sostitutiva e dichiarazione resa al pubblico ufficiale operata dall'art. 76, comma 3, del d.P.R. n. 445 del 2000, visto che, ai sensi dell'art. 483 cod. pen. l'essere l'attestazione fatta ad un pubblico ufficiale e l'essere fatta in atto pubblico costituirebbero due distinti elementi che dovrebbero concorrere affinché la fattispecie possa ritenersi integrata;né, infine, spendendo l'argomento della destinazione della dichiarazione ad essere riprodotta in atto pubblico, vista la differenza tra la dichiarazione resa in atto pubblico e quella destinata ad essere riprodotta in atto pubblico, la seconda penalmente rilevante solo ove espressamente previsto dal legislatore.
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