Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 20/06/2003, n. 9896
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La specialità della posizione assunta dal dirigente nell'ambito dell'organizzazione aziendale impedisce una identificazione della nozione di "giustificatezza" del suo licenziamento - sottratto al regime della tutela obbligatoria di cui all'art. 3 della legge n. 604 del 1966, come di quella reale ex art. 18 della legge n. 300 del 1970 - con quelle di "giusta causa" o "giustificato motivo" del licenziamento del lavoratore subordinato, ai fini del riconoscimento del diritto alla indennità supplementare spettante alla stregua della contrattazione collettiva al dirigente licenziato ingiustificatamente. Trattandosi di un elemento di esclusiva origine negoziale, l'interpretazione della disposizione contrattuale che prevede il canone della giustificatezza del recesso va compiuta - nell'ambito di una valutazione che escluda l'arbitrarietà del licenziamento, al fine di evitare una generalizzata legittimazione della piena libertà di recesso del datore di lavoro - dal giudice del merito ed è censurabile in sede di legittimità solo per violazione delle regole di ermeneutica contrattuale, ovvero se non sia sorretta da una motivazione sufficiente, logica e coerente (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva ritenuto sussistenti i presupposti per l'applicabilità dell'art. 19 del c.c.n.l. dei dirigenti di imprese industriali, il quale prevede, a carico dell'imprenditore, il pagamento di una penale risarcitoria, nel caso di licenziamento privo del requisito della giustificatezza, in quanto le risultanze dell'istruttoria avevano permesso di accertare sia che il dirigente licenziato non era mai stato addetto al settore la cui ristrutturazione era stata indicata quale causa della risoluzione del rapporto, sia che la riorganizzazione di altri settori dell'azienda, pure richiamata per giustificare il recesso, era stata effettuata in un tempo apprezzabilmente anteriore al licenziamento).
La sospensione del termine di preavviso del licenziamento durante il decorso della malattia del lavoratore, con conseguente inefficacia del licenziamento fino alla cessazione della malattia o dell'esaurimento del periodo di comporto, costituisce un effetto che deriva direttamente dalla legge e, quindi, si produce per il solo fatto della sussistenza dello stato morboso, indipendentemente dalla comunicazione della malattia che, di regola, a seconda della disciplina collettiva, può essere effettuata entro tre giorni dall'insorgenza della malattia (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto inefficace il licenziamento, reputando irrilevante che la comunicazione della malattia fosse avvenuta poche ore dopo quella del recesso, una volta accertato che detta malattia preesisteva rispetto al recesso).
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DELL'ANNO Paolino - Presidente -
Dott. M G - Consigliere -
Dott. F R - Consigliere -
Dott. S P - rel. Consigliere -
Dott. B B - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
FIAT AUTO PARTECIPAZIONI SPA, FIAT AUTO SPA, elettivamente domiciliati in ROMA VIA L.G. FARAVELLI N. 22, presso lo studio dell'avvocato R D L T, che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato G F, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
B G, elettivamente domiciliato in ROMA VIA PO 24, presso lo studio dell'avvocato V B, rappresentato e difeso dagli avvocati P P, C F, giusta delega in atti;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 754/99 del Tribunale di NOLA, depositata il 04/08/99 - R.G.N. 25 e 34/97;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/02/03 dal Consigliere Dott. P S;
udito l'Avvocato F;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. O F che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO D PO
Con ricorso del 7 gennaio 1993 la società Fiat Auto S.p.A. proponeva opposizione avverso il d.i. n. 114/92, con il quale il Pretore di Pomigliano d'Arco la condannava al pagamento, in favore di Generoso B, della somma di lire 7.595.592 a titolo di retribuzione per il mese di novembre 1992, deducendo l'efficacia del licenziamento notificato a quest'ultimo in data 7 ottobre 1992. Si costituiva il B, chiedendo il rigetto dell'opposizione. Con successivo ricorso del 3 aprile 1993 la società Fiat Auto proponeva opposizione avverso analogo decreto ingiuntivo (n.35/93) dello stesso Pretore, che la condannava al pagamento della somma di lire l6.904.166 a titolo di retribuzione del mese di dicembre 1992 e di tredicesima mensilità, ribadendo i motivi di opposizione già precedentemente formulati.
Frattanto, con ricorso del febbraio 1993, il B proponeva autonomamente ricorso al medesimo Pretore, chiedendo di accertare la nullità del licenziamento operato dalla società in data 7 ottobre 1992, ma con lettera pervenutagli in data 12 ottobre 1992, con ogni conseguenza di legge;in via subordinata chiedeva di accertare la "ingiustificatezza" del recesso e per l'effetto di condannare la società al pagamento della indennità supplementare di 22 mensilità prevista dall'art. 19 del CCNL per i dirigenti industriali.
Si costituiva la società, che contestava le domande e ne chiedeva il rigetto.
Con ulteriore ricorso del 15 maggio 1993, la società proponeva opposizione avverso altra ingiunzione di pagamento (n.55/93) del Pretore di Pomigliano d'Arco per i mesi di gennaio e febbraio 1993, per i motivi già dedotti ed in via riconvenzionale chiedeva al Giudice di accertare e dichiarare comunque l'efficacia del recesso alla data del 28 novembre 1992 o, in via ancor più gradata, alla data dell'8 febbraio 1993.
Si costituiva il B, il quale, ribadendo i motivi di merito, chiedeva altresì di dichiarare l'inammissibilità della domanda riconvenzionale.
Con ricorso in opposizione del 27 luglio 1993 la società Fiat Auto impugnava l'ingiunzione di pagamento (n. 85/93) del Pretore di Pomigliano d'Arco, con cui veniva condannata a corrispondere al B la somma di lire 17.404.166 a titolo di retribuzione per i mesi di marzo ed aprile 1993, ribadendo le ragioni di impugnativa già espresse.
Si costituiva ritualmente il lavoratore, chiedendo il rigetto dell'opposizione.
Disposta la riunione di tutti i menzionati giudizi, il Giudice, a seguito dell'istruttoria della causa, con sentenza del 2 febbraio 1996, in parziale accoglimento delle reciproche domande, dichiarava la ingiustificatezza del recesso operato dalla società Fiat Auto con comunicazione del 7 ottobre 1992 e condannava la società al pagamento della indennità supplementare ex art. 19 del CCNL, nella misura di undici mensilità;rigettava le opposizioni proposte dalla Fiat Auto avverso le ingiunzioni di pagamento n.114 del 1992 e n. 35 del 1993;dichiarava l'efficacia del recesso, in accoglimento della domanda riconvenzionale della società, a far data dal giorno 8 febbraio 1993;revocava l'ingiunzione di pagamento n.55 del 1993 e condannava la società a corrispondere al lavoratore la retribuzione del mese di gennaio 1993;revocava altresì la ingiunzione di pagamento n.85 del 1993 rigettando le domande del B in ordine alle retribuzioni successive all'8 febbraio 1993;il tutto con gli accessori di legge e la compensazione per metà delle spese di lite, gravando l'altra metà sulla società. Avverso tale decisione proponevano appello, con distinti atti, Generoso B e la Fiat Auto S.p.A. In particolare, il primo, con ricorso del 25 gennaio 1997, chiedeva la riforma della sentenza in ordine alla quantificazione della indennità supplementare ed all'accoglimento della domanda riconvenzionale della società, oltre che al riparto delle spese di giudizio.
La Fiat Auto chiedeva, invece, con ricorso del 3 febbraio 1997, la riforma della pronuncia di primo grado nella parte in cui il Giudice aveva reputato il recesso della società palesemente ingiustificato per violazione dei canoni di buona fede e correttezza, nella parte in cui aveva dichiarato l'inefficacia del recesso del 7 ottobre 1992 ed in quella in cui, accogliendo solo parzialmente la domanda riconvenzionale, aveva statuito l'efficacia del recesso a far data dal giorno 8 febbraio 1993, oltre che nella parte relativa alla sua condanna al pagamento della metà delle spese processuali. Con sentenza del 7 luglio-4 agosto 1999, l'adito Tribunale di Nola, nel pronunziarsi, sui distinti gravami, rigettava l'appello proposto dalla Fiat Auto S.p.A., mentre accoglieva parzialmente quello proposto da Generoso B, condannando la società Fiat Auto a corrispondere al lavoratore l'indennità supplementare nella misura di 18 mesi di preavviso oltre alla rivalutazione monetaria ed interessi legali;confermava per il resto impugnata, compensando le spese.
Per la cassazione di tale sentenza ricorrere la Fiat Auto Partecipazioni S.p.A. (attuale denominazione della convenuta Fiat Auto S.p.A.) e la Fiat Auto S.p.A. sulla base di tre motivi, ulteriormente illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c. Resiste Generoso B con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo le società ricorrenti, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 2118 e 1375 c.c., nonché degli artt. 1362 e ss. c.c. in relazione all'art. 19 del CCNL vigente per i
dirigenti industriali, ed ancora erronea, insufficiente e contraddittoria motivazione (art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.), lamentano che i Giudici di merito e, segnatamente, il Tribunale di Nola, pur muovendo da esatte premesse - in base alle quali il licenziamento del dirigente deve ritenersi ingiustificato tutte le volte in cui il datore di lavoro eserciti il proprio diritto di recesso violando il principio fondamentale della buona fede che presiede all'esecuzione dei contratti (art. 1375 c.c.)-, si siano poi discostati da esse, finendo per ampliare la portata ed il contenuto del principio della buona fede contrattuale e per introdurre un giudizio di merito sulla fondatezza delle ragioni addotte dal datore di lavoro, annullandone del tutto la facoltà di recesso ad nutum, ed attribuendo, in conseguenza, al B una non spettante "indennità supplementare". Il motivo è infondato.
Come è noto, la specialità della posizione assunta dal dirigente nell'ambito dell'organizzazione aziendale impedisce una identificazione della nozione di "giustificatezza" del suo licenziamento - sottratto al regime della tutela obbligatoria di cui all'art. 3 della legge n. 604 del 1966, come di quella reale ex art. 18 della legge n. 300 del 1970, anche dopo l'entrata in vigore della
legge n.108 del 1990 - con quelle di "giusta causa" o "giustificato motivo" del licenziamento del lavoratore subordinato, ai fini del riconoscimento del diritto alla indennità supplementare spettante alla stregua della contrattazione collettiva al dirigente licenziato ingiustificatamente (ex plurimis, Cass. 3 aprile 2002 n. 4729). Trattandosi di un elemento di esclusiva origine negoziale, la interpretazione della disposizione contrattuale, che prevede il canone della giustificatezza del recesso, va compiuta - nell'ambito di una valutazione che, ovviamente, escluda l'arbitrarietà del licenziamento, ed attribuisca rilevanza al principio della correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto, al fine di evitare una generalizzata legittimazione della piena libertà di recesso del datore di lavoro - dal giudice di merito con indagine interpretativa della clausola collettiva ai sensi degli artt. 1362 e ss. c.c., censurabile in sede di legittimità solo per vizi di
motivazione o per violazione delle regole di ermeneutica contrattuale (cfr. Cass. 5 ottobre 2002 n. 14310;Cass. 12 febbraio 2000 n. 1591). Nella fattispecie viene invocato l'art. 19 del CCNL per i dirigenti di imprese industriali che prevede, a carico dell'azienda, il pagamento di una penale risarcitoria (la c.d. indennità supplementare, compresa tra un minimo ed un massimo, in relazione all'anzianità aziendale e all'età del dirigente) ove il provvedimento sia sprovvisto del requisito della "giustificatezza". Orbene, l'impugnata decisione, muovendosi nell'alveo del richiamato insegnamento di questa Corte, dopo avere osservato come fossero da condividere le motivazioni esposte dal Giudice di primo grado in ordine alla necessità di connettere il concetto di
"giustificatezza" al corretto impiego del principio della buona fede, quale limite all'azionabilità del potere discrezionale di recesso nei confronti del dirigente, perviene alla conclusione - conforme a quella del Pretore - della avvenuta violazione, nella fattispecie concreta, del menzionato principio e del "conseguente abuso del potere di riferimento", sulla base delle risultanze istruttorie.
Sotto quest'ultimo profilo, il Tribunale di Nola evidenzia come dagli atti del procedimento, ed in particolar modo dalle deposizioni dei testi, fosse emerso, contrariamente all'assunto della società, che il B non era mai stato addetto al settore trasporto prodotti finiti, per cui ogni riferimento alla ristrutturazione dell'attività industriale in relazione a tale ambito risultava priva di rilevanza ai fini della decisione.
Egualmente privi di significato apparivano i riferimenti operati dalla Fiat Auto alle riorganizzazioni, razionalizzazioni e ristrutturazioni di settori, cui il citato dirigente era preposto, poiché l'affidamento a società esterne del settore "dogane", essendo riferibile a periodi sicuramente di molto antecedenti al licenziamento de quo non poteva costituire alcun fatto giustificativo, cui ricollegare il recesso "attesa per un verso l'immodificabilità delle ragioni poste a fondamento del recesso stesso, a tutela del già menzionato principio di buona fede", e, per l'altro, la diversa radice giustificativa dei piani di intervento industriale sottesa ai diversi eventi di ristrutturazione, che ne interrompevano necessariamente il collegamento con la fattispecie in oggetto.
Coerentemente con tali premesse, il Giudice a quo ha concluso affermando che, non risultando alcun collegamento diretto e neppure mediato fra la dismissione del settore di trasporto finito ed il licenziamento del B, il recesso era da ritenersi privo di giustificazione.
A completamento della sua motivazione sul punto, il Tribunale ha tenuto ad aggiungere che, anche l'argomentazione utilizzata da Fiat Auto S.p.A. con riguardo all'effettiva carenza assoluta in concreto di mansioni attribuite al B non appariva fondato, poiché, proprio nell'ambito del più volte citato principio di rispetto della buona fede contrattuale, con particolare riferimento agli eventi obbligatori "in executivis", andava imputata a Fiat Auto S.p.A., quanto meno sul piano del difetto di prova, l'omessa adibizione del B ad alcuna mansione di fatto, con la conseguente necessità di ancorare la fattispecie all'ultima delle mansioni effettivamente esercitate anche se per ipotesi (indimostrata se non attraverso alcuni non concordi riferimenti testimoniali) insussistenti presso lo stabilimento di riferimento. Sulla base di quanto esposto, ritiene il Collegio che il Tribunale, nell'indagare sulla reale volontà delle parti in ordine al concetto di giustificatezza del licenziamento, si sia del tutto correttamente rifatto all'orientamento di questa Corte in materia connettendolo al principio della buona fede come limite alla azionabilità del potere discrezionale.
Nè può addebitarsi al Tribunale un vizio di motivazione sul punto. Va in proposito rammentato che - come questa Corte ha avuto più volte modo di affermare (cfr., in particolare, tra le tante, Cass. sez. un. 27 dicembre 1997 n. 13045)- il vizio di motivazione non può consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello auspicato dalle parti, perché spetta solo al giudice del merito di individuare le fonti del proprio convincimento ed all'uopo valutarne le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute più idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all'uno o all'altro mezzo di prova, salvi i casi tassativamente previsti dall'ordinamento. Ne consegue che il giudice di merito è libero di formarsi il proprio convincimento utilizzando gli elementi probatori che ritiene rilevanti per la decisione, senza necessità di prendere in considerazione tutte le risultanze processuali e di confutare ogni argomentazione prospettata dalle parti, essendo sufficiente che indichi gli elementi sui quali fonda il suo convincimento, dovendosi ritenere per implicito disattesi tutti gli altri rilievi e circostanze che, sebbene specificamente non menzionati, siano incompatibili con la decisione adottata. In questa prospettiva, pertanto, il controllo del giudice di legittimità sulla motivazione del giudice del merito non deve tradursi in un riesame del fatto o in una ripetizione del giudizio di fatto, non tendendo il giudizio di Cassazione a stabilire se gli elementi di prova confermino, in modo sufficiente, l'esistenza dei fatti posti a fondamento della decisione.
Il controllo, dunque, non ha per oggetto le prove, ma solo il ragionamento giustificativo. Esso ripercorre l'argomentazione svolta nella motivazione dal giudice del merito a sostegno della decisione assunta e ne valuta la correttezza e la sufficienza.
Nel giudizio di Cassazione, quindi, anche sotto il profilo della mancanza, insufficienza o contraddittorietà della motivazione il riesame nel merito è inammissibile (Cass. 9 maggio 1991 n. 5196). Nè può muoversi al Giudice di merito l'addebito di avere del tutto ridimensionato la portata ed il contenuto della norma di cui all'art. 19 del contratto collettivo, che -a dire della parte ricorrente- ricollega il pagamento dell'indennità supplementare alla fattispecie del recesso che sia inficiato da "palese ingiustificatezza".
Attraverso la dilatazione del principio di buona fede, infatti - secondo le ricorrenti - il Giudice d'appello avrebbe svalutato, in modo notevole, il testo normativo, nella parte in cui questo richiede che il recesso sia "ingiustificato" in modo "palese". Senonché - come in più occasioni chiarito da questa Corte-, qualora in sede di legittimità venga denunciato un vizio della sentenza consistente nella erronea interpretazione di una norma della contrattazione collettiva, il ricorrente ha l'onere - in forza del principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione- di riportare il contenuto della stessa (ex plurimis, Cass. 2 aprile 2002 n. 4678;Cass. 5 marzo 2002 n. 3158). Non essendo stato tale onere adempiuto e non essendo possibile delibare in questa sede la decisività dell'argomentazione, la censura va disattesa.
Con il secondo motivo, le ricorrenti, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e ss. e 2697 c.c., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione (art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.), deducono che il Giudice di primo grado e successivamente il
Tribunale che vi aveva prestato adesione, dopo avere esattamente delineato la piena osservanza dei requisiti formale della comunicazione del recesso, operato dal datore di lavoro in data 7 ottobre 1992 ai sensi dell'art. 2705 c.c. con il mezzo del telegramma, avevano dichiarato l'inefficacia dello stesso, fino alla scadenza del termine del comporto, a causa del presunto e concomitante stato morboso del lavoratore, senza considerare che la comunicazione di tale stato morboso era avvenuta alcune ore dopo dalla comunicazione del recesso.
L'argomento non può essere condiviso se si considera, da una parte, che - come accertato dal Tribunale-, al momento della ricezione del telegramma, con cui veniva comunicato il licenziamento, effettivamente il B si trovava in uno stato morboso, che, per le sue caratteristiche, precisate nella espletata e condivisa consulenza tecnica di ufficio, conteneva i caratteri della malattia rilevante ai sensi dell'art. 2110 c.c. e, pertanto da ritenere determinante l'inefficacia del recesso fino al perfezionarsi del periodo di comporto;e, dall'altra, che, come da orientamento di questa Corte, la sospensione del periodo di preavviso per malattia è un effetto che deriva direttamente dalla legge per il fatto stesso della malattia (v. Cass. 6 agosto 1987 n. 6763) e, quindi, prescinde dalla comunicazione, che comunque può essere fatta di regola, a seconda della disciplina collettiva, entro tre giorni dalla insorgenza della malattia. Ciò significa anche che non rileva se la malattia accertata, impeditiva del lavoro, sia diversa da quella comunicata.
Con il terzo motivo le ricorrenti, denunciando omessa, erronea ed insufficiente motivazione, nonché violazione e falsa applicazione dell'art. 432 c.p.c. e dell'art. 1362 e ss. in relazione all'art. 19 del CCNL dei dirigenti industriali, lamentano che il Tribunale,
nella determinazione della indennità supplementare in 18 mensilità, pur ancorando la motivazione al principio equitativo, sarebbe in realtà incorso in un giudizio arbitrario, insuscettibile di qualsivoglia possibile verifica.
Il motivo non può trovare accoglimento alla luce della giurisprudenza di questa Corte, alla cui stregua il giudizio sulla misura dell'indennità supplementare, spettante in base alla contrattazione collettiva in caso di licenziamento non giustificato del dirigente, è rimesso alla valutazione discrezionale del giudice di merito e non è censurabile se non per vizio di motivazione (ex plurimis, Cass. 7 gennaio 1998 n. 389). Nella specie, l'esercizio di siffatto potere è stato congruamente motivato dal Tribunale, il quale, premesso che l'indennità supplementare prevista dal contratto di riferimento per i dirigenti delle aziende industriali individua un minimo di 14 mensilità, in quanto ragguagliata al corrispettivo per il preavviso individuale maturato, ha affermato, a sostegno della sua decisione, che, di fronte alla insussistenza di un comportamento inadempiente ovvero incolpevole da parte del dirigente, non potendosi sic et simpliciter imporre la liquidazione della citata indennità nella misura massima (22 mensilità), come preteso dal B, doveva trovare applicazione il principio di equità, volto a contemperare gli interessi delle parti come risultanti dalla concreta situazione accertata giudizialmente. In concreto, nel caso in esame, andava, pertanto, contemperato, per un verso, "l'accertamento della situazione del datore di lavoro e della situazione di ristrutturazione aziendale, comunque verificata, anche se ininfluente..., e quella del dirigente, del tutto incolpevole di fronte a tale vicenda", onde appariva equo fissare, nell'ambito di tale contrasto di interessi valutabili, la misura dell'indennità in 18 mensilità, in misura media rispetto alle posizioni contrattuali di riferimento. Non ravvisandosi in tale iter argomentativo alcuna delle denunciate violazioni di legge il ricorso va pertanto rigettato. Le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.