Cass. civ., SS.UU., sentenza 10/12/2004, n. 23077

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Massime1

Qualora, nel giudizio promosso dal curatore per il recupero di un credito contrattuale del fallito, il convenuto proponga domanda riconvenzionale diretta all'accertamento di un proprio credito nei confronti del fallimento, derivante dal medesimo rapporto - ovvero quando, in un processo promosso da soggetto "in bonis" per ottenere il pagamento di un proprio credito, il convenuto si costituisca e proponga domanda riconvenzionale per il pagamento di un credito nascente dal medesimo rapporto contrattuale e, a seguito di suo fallimento, il curatore si costituisca per coltivare la riconvenzionale stessa -, la suddetta domanda del creditore "in bonis", per la quale opera il rito speciale ed esclusivo dell'accertamento del passivo ai sensi degli artt. 93 e ss. della legge fallimentare, deve essere dichiarata inammissibile o improcedibile nel giudizio di cognizione ordinaria, e va eventualmente proposta con domanda di ammissione al passivo su iniziativa del presunto creditore, mentre la domanda proposta dalla curatela resta davanti al giudice per essa competente, che pronuncerà al riguardo nelle forme della cognizione ordinaria. Se dopo l'esaurimento della fase sommaria della verifica, sia proposto dal creditore giudizio di opposizione allo stato passivo o per dichiarazione tardiva di credito ed anche la causa promossa dal curatore penda davanti allo stesso ufficio giudiziario, è possibile una trattazione unitaria delle due cause nel quadro dell'art. 274 cod. proc. civ., ove ne ricorrano gli estremi; possibilità che sussiste anche quando le due cause siano pendenti davanti ad uffici giudiziari diversi, potendo trovare applicazione i criteri generali in tema di connessione se non si siano verificate preclusioni e sempre che il giudice davanti al quale il curatore ha proposto la sua domanda non sia investito della competenza per ragioni di competenza inderogabile, dovendo la "translatio" comunque aver luogo nella sede fallimentare. Qualora non si possa giungere a questo risultato, va verificata la sussistenza dei requisiti per l'applicazione dell'art. 295 cod. proc. civ., fermo restando che la sospensione deve riguardare la causa promossa in sede ordinaria.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., SS.UU., sentenza 10/12/2004, n. 23077
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 23077
Data del deposito : 10 dicembre 2004
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARBONE Vincenzo - Presidente aggiunto -
Dott. DUVA Vittorio - Presidente di sezione -
Dott. PAPA Enrico - Consigliere -
Dott. ELEFANTE Antonino - Consigliere -
Dott. CRISCUOLO Alessandro - rel. Consigliere -
Dott. SABATINI Francesco - Consigliere -
Dott. DI NANNI Luigi Francesco - Consigliere -
Dott. MORELLI Mario Rosario - Consigliere -
Dott. ROSELLI Federico - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CURATELA DEL FALLIMENTO "SEGHERIA SANGIORGINA S.N.C. DEI FRATELLI PASSALENTI - DA, SE & C. in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TOSCANA 10, presso lo studio dell'avvocato ANTONIO RIZZO, rappresentata e difesa dall'avvocato FRANCESCO MINEO, giusta delega in calce al ricorso;

- ricorrente -

contro
ORNAMOBIL S.R.L., GI LORIS;

- intimati -

avverso la sentenza n. 101/00 della Corte d'Appello di ANCONA, depositata il 01/04/00;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 23/09/04 dal Consigliere Dott. Alessandro CRISCUOLO;

udito l'Avvocato Francesco MINEO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PIVETTI Marco che ha concluso per l'accoglimento parziale con riferimento alla domanda proposta del fallimento.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione notificata il 6 agosto 1987 RI NI, titolare dell'impresa individuale OB, convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Pesaro la società RI IO s.n.c. di IE e IU SS & C, chiedendo che fosse pronunziata la risoluzione di un contratto stipulato con quest'ultima (avente ad oggetto la fornitura di faggio essiccato) per vizi della merce, con condanna della detta società alla restituzione dell'acconto versato e al risarcimento dei danni. La società convenuta contestò il fondamento della domanda adducendo di aver consegnato merce conforme all'ordine, eccepì la decadenza dalla garanzia e, in via riconvenzionale, chiese la condanna del NI al pagamento del residuo prezzo, pari a lire 11.572.855 con i relativi accessori. Intervenuto il fallimento (dichiarato dal Tribunale di Udine) di RI IO s.n.c., la curatela fallimentare si costituì in riassunzione per proseguire il giudizio.
Con sentenza depositata il 31 luglio 1996 il Tribunale di Pesaro rigettò le domande del NI, accolse invece la domanda riconvenzionale del fallimento e condannò il detto NI al pagamento delle spese processuali.
A seguito di gravame proposto da quest'ultimo e da OB s.r.l. (cui nel frattempo l'azienda era stata conferita) la Corte di appello di Ancona, con sentenza depositata il 1 aprile 2000, in totale riforma della decisione impugnata pronunziò la risoluzione del contratto stipulato tra le parti e, per l'effetto, rigettò la domanda riconvenzionale di adempimento;
condannò la curatela fallimentare a restituire la somma di lire 2.074.474 (a suo tempo ricevuta dalla società a titolo di acconto) con gli interessi legali e la rivalutazione monetaria calcolati come in sentenza;
condannò la curatela al pagamento della somma di lire 39.000.000 a titolo di risarcimento dei danni, con la rivalutazione monetaria e gli interessi legali;
infine, condannò la curatela medesima al pagamento delle spese processuali del doppio grado. La Corte territoriale osservò che, contrariamente a quanto ritenuto dai primi giudici, la domanda di risoluzione del contratto era proponibile, dovendosi escludere che nella specie la trasformazione della merce fosse stata compiuta con l'univoca volontà di accettare i beni, essendo peraltro indubbia la sussistenza dei vizi emersi soltanto a seguito della detta trasformazione;
che, dunque, la domanda di risoluzione del contratto doveva essere accolta (con conseguente rigetto della riconvenzionale), sicché la curatela fallimentare andava condannata a restituire l'acconto di lire 2.074.474, con gli interessi e la rivalutazione, nonché al risarcimento dei danni da ritenere provati alla stregua delle risultanze probatorie acquisite;
che l'importo dei danni suddetti, sulla base della documentazione prodotta, poteva essere liquidato in lire 39.000.000, oltre alla rivalutazione monetaria dal maggio 1987 e agli interessi legali. Avverso tale sentenza (che non risulta notificata) il curatore del fallimento della RI IO dei fratelli SS IE, IU & C., con atto notificato l'8 febbraio 2001 a RI NI (titolare della ditta individuale OB) e ad OB s.r.l. ha proposto ricorso per Cassazione, affidato ad un unico motivo illustrato con due memorie. Gli intimati non hanno svolto in questa sede attività difensiva. La prima sezione civile di questa Corte, cui la causa era stata assegnata - premesso che il ricorso poneva la necessità di valutare se, intervenuto il fallimento di una società convenuta in giudizio dinanzi al tribunale per la risoluzione di un contratto di vendita mobiliare e il risarcimento dei danni, la quale (società) aveva a propria volta proposto domanda riconvenzionale per il pagamento del residuo prezzo, il medesimo tribunale, dopo l'interruzione e la riassunzione del giudizio ad opera della curatela fallimentare, fosse ancora competente a provvedere in ordine a tali domande e se il relativo procedimento potesse proseguire nelle forme ordinarie - ha ritenuto che la questione (in relazione alla quale non risultava essersi formato alcun giudicato implicito) metteva in evidenza un contrasto tra l'orientamento da lungo tempo seguito da questa Corte, secondo cui entrambe le pretese, inscindibilmente devolute alla cognizione di un unico giudice, dovevano essere trasferite nella sede fallimentare (salva la possibilità di riprendere la via del giudizio ordinario per l'eventuale residuo credito del fallimento, all'esito dell'accertamento del passivo), e il consapevole e motivato dissenso da tale orientamento espresso da una recente pronuncia della stessa prima sezione civile (Cass., n. 148 del 2003). Pertanto ha disposto la trasmissione degli atti al Primo Presidente, per l'eventuale assegnazione della controversia alle sezioni unite. La causa è stata quindi assegnata alle sezioni unite di questa Corte ed è stata chiamata all'odierna udienza di discussione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. - Il fallimento ricorrente, con l'unico mezzo di cassazione, denuncia "Violazione delle norme sulla competenza ex art. 360, n. 2, c.p.c., ovvero violazione o falsa applicazione degli artt. 24 e 52
L.F.
in relazione all'art. 36 c.p.c., ex art. 360, n. 3, c.p.c.". La Corte territoriale avrebbe dovuto dichiarare d'ufficio la propria incompetenza, perché la vicenda - viste le domande in concreto formulate contro la segheria e poi rinnovate verso la curatela - sarebbe stata demandata alla cognizione del Tribunale di Udine, quale foro del concorso.
Infatti, la domanda di risoluzione per inadempimento proposta prima del fallimento, essendo idonea a giustificare una pretesa restitutoria o risarcitoria, non sarebbe potuta sfuggire al giudizio di verifica del passivo.
Il problema sarebbe stato da tempo risolto affermando l'esclusiva e funzionale competenza del tribunale fallimentare, anche qualora sia stata dedotta in giudizio e in riconvenzionale, ma non soltanto per paralizzare le istanze della massa, una pretesa derivante dal medesimo rapporto obbligatorio;
a fortiori il principio si sarebbe dovuto applicare nel caso di specie, nel quale la risoluzione (con le domande connesse) avrebbe rappresentato l'oggetto della domanda principale avversaria.
Il fatto che essa dovesse essere compresa nell'area concettuale dell'art. 24 L.F. sarebbe confermato dalla giurisprudenza di questa Corte, e così pure il carattere esclusivo e inderogabile della relativa competenza. Al riguardo, il disposto del citato art. 24 andrebbe coordinato con quello del successivo art. 52, secondo comma, concernente le modalità di accertamento dei crediti verso il fallito. Alla stregua di tale norma i creditori devono partecipare al concorso nelle forme previste dagli artt. 93 e ss. R.D. n. 267 del 1942, e da ciò deriverebbe "l'inammissibilità di una nuova domanda
e l'improcedibilità rilevabile d'ufficio della domanda precedentemente proposta".
Pertanto la verifica del passivo diventerebbe una condizione fondamentale ai fini della partecipazione al concorso. Ancorché i relativi accertamenti non abbiano efficacia all'esterno della procedura, essa non ammetterebbe altra fonte per determinare la graduazione dello stato passivo.
In definitiva la Corte di Ancona avrebbe dovuto riconoscere la propria incompetenza, pure in assenza di specifici rilievi di parte, dichiarando quella del Tribunale di Udine, unico organo "autorizzato ex lege" ad occuparsi di ogni aspetto correlato alla procedura fallimentare.
2. - Il mezzo di Cassazione ora riassunto pone la questione sulla quale, a seguito della citata sentenza n. 148 del 2003, è insorto il contrasto che ha indotto la prima sezione civile di questa Corte a rimettere la questione medesima all'esame delle sezioni unite. Come l'ordinanza di rimessione rileva, sul punto l'orientamento di questa Corte è rimasto a lungo fermo, consolidandosi sul principio che qualora, nel giudizio promosso dal curatore per il recupero di un credito contrattuale del fallito, il convenuto, invocando contrapposte ragioni derivanti dal medesimo contratto, proponga domanda riconvenzionale diretta all'accertamento di un proprio credito nei confronti del fallimento, ai fini del concorso fallimentare entrambe le pretese - inscindibilmente devolute alla cognizione di un unico giudice (art. 36 c.p.c.) - vanno trasferite, su iniziativa spettante all'una o all'altra parte, nella sede concorsuale del procedimento di accertamento e verificazione dello stato passivo, tenuto conto del fatto che soltanto in tale sede - secondo i principi fissati dall'art. 52 della legge fallimentare (d'ora in avanti L.F.) - è ammissibile la formazione di un titolo creditorio nei confronti della massa. Peraltro, se l'indicato procedimento si concluda ponendo in evidenza un saldo attivo nei confronti del fallito - e, quindi, col rigetto della domanda di ammissione al passivo contenuta in quella riconvenzionale - resta onere del curatore agire nella sede della cognizione ordinaria per conseguire l'accertamento del relativo credito e la condanna della controparte al pagamento (cfr., ex multis. Cass., 15 febbraio 1967, n. 374;
26 aprile 1977, n. 1568;
16 febbraio 1978, n. 723;
3 luglio 1979, n. 3730
;
Cass. sez. un.. 6 luglio 1979. n. 3878: Cass., 17 febbraio 1982, n. 998;
21 febbraio 1983
, a 1302;
21 maggio 1984, n. 3113;
12 settembre 1984, n. 4791;
11 dicembre 1987, n. 9174;
13 giugno 1991, n. 6713;
9 ottobre 1992, n. 11021;
9 aprile 1997, n. 3068;
13 dicembre 1999, n. 13944;
16 giugno 2000, n. 8231;
26 luglio 2000, n. 9801;
14 dicembre 2000, n. 15779;
19 aprile 2002, n. 5725). Tale indirizzo, che trova il suo principale punto di riferimento nella citata pronunzia delle S.U. n. 3878 del 1979, riflette l'esigenza di contemperare i principi generali del processo civile con le regole del fallimento, al fine di conseguire (nel segno della concentrazione delle domande) una soluzione unitaria delle controversie, così realizzando il simultaneus processus. Esso è affidato alle seguenti linee argomentative (v. sentenza da ultimo richiamata):
a) nell'ipotesi di unico rapporto contrattuale, in relazione al quale si deve pronunciare su una domanda principale e su una domanda riconvenzionale derivante dal titolo dedotto in giudizio dall'attore (art. 36 c.p.c.) allo scopo di ottenere una pronunzia opponitele in sede concorsuale, si tratta di stabilire se la domanda principale e la domanda riconvenzionale possano essere esaminate nella sede dell'ordinario giudizio di cognizione promosso dall'attore, oppure se entrambe (o, eventualmente, una di esse) debbano essere esaminate nella sede concorsuale;

b) in tali ipotesi non si può, in primo luogo, dubitare che, siccome la decisione della controversia dipende dall'esame di un unico rapporto contrattuale e dalla vantazione di pretese reciproche e tra loro intimamente connesse tutte derivanti da quel rapporto, l'intera causa debba essere in modo unitario attribuita alla cognizione di un unico giudice nell'ambito di un medesimo processo, come del resto l'art. 36 del c.p.c. dispone;

c) la sede processuale non può essere quella della cognizione ordinaria, perché la domanda della curatela viene ad essere inserita, in seguito alla proposizione della domanda riconvenzionale, in un contesto che sfugge a quella sede. Infatti, la pronunzia emessa dal giudice della cognizione ordinaria si tradurrebbe in una decisione suscettibile di costituire cosa giudicata nei confronti della curatela rendendo così possibile, in tema di accertamento del passivo fallimentare, la creazione di un titolo utilizzabile dal creditore in sede concorsuale ad opera di un giudice diverso da quello della verifica. In tal modo si realizzerebbe l'ipotesi, del tutto contraria ai principi del diritto concorsuale, di un titolo di partecipazione al concorso formatosi in contraddittorio col curatore ma nell'assenza degli altri creditore concorrenti, al di fuori del processo fallimentare, con conseguente elusione del precetto dettato dall'art. 52 L.F., alla stregua del quale chiunque voglia costituirsi un titolo siffatto durante il fallimento deve sottoporsi alla verifica del credito nelle forme prescritte dagli artt. 93 e ss. della detta legge;

d) va affermato, dunque, che quando al curatore, agente per il recupero del credito di un fallito, venga opposta una domanda riconvenzionale (diretta ad ottenere il pagamento di somma che si assume dovuta dal fallito) finalizzata alla partecipazione al concorso, tale domanda è materia di competenza del giudice investito della verifica del passivo fallimentare e deve essere esaminata - nel contesto unitario delle contrapposte pretese - da tale giudice, nella cui cognizione ricade l'intera materia controversa;

e) il credito preteso dal curatore in dipendenza del medesimo contratto (cui si ricollega anche la domanda riconvenzionale) non è materia di una causa autonoma perché, a differenza di quanto accade nel caso dell'eccezione di compensazione, non trae titolo da un distinto rapporto ed appartiene ad un tema unitario, sicché l'accertamento di quel credito altro non è che uno dei momenti della complessa indagine necessaria per l'esame della domanda di ammissione al passivo;

f) se tale indagine si conclude con l'accertamento di un saldo attivo a favore dell'attore in riconvenzionale, il

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