Cass. pen., sez. VI, sentenza 22/12/2022, n. 48832

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. VI, sentenza 22/12/2022, n. 48832
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 48832
Data del deposito : 22 dicembre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da D F, nato a Cuneo il 4 dicembre 1969 avverso la sentenza del 3 dicembre 2021 della Corte di appello di Lecce;
visti gli atti e la sentenza impugnata;
esaminati i motivi del ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere E G;
sentito il PG, in persona del dottor A V, che ha chiesto l'accoglimento del quarto motivo di ricorso con conseguente annullamento con rinvio della sentenza impugnata;
sentito l'avvocato J D G, sostituto processuale del difensore di fiducia dell'imputato avvocato M F, che si è riportato ai motivi di ricorso chiedendone l'accoglimento.

RITENUTO IN FATTO

1. A seguito di sentenza di questa Corte di annullamento parziale - in riferimento al delitto di cui all'art. 635 cod. pen. perché, esclusa l'aggravante dell'esposizione alla pubblica fede, il fatto non è più previsto dalla legge come reato - con rinvio in relazione alla residua imputazione di cui all'art. 4 legge n. 110 del 1975 (Sez. II, n. 29171 dell'8 settembre 2020), la Corte di appello di Lecce con sentenza emessa il 3 dicembre 2021, in riforma di quella del Tribunale di Taranto in data 28 marzo 2018, ha rideterminato la pena nei confronti del D, esclusa la circostanza aggravante di cui all'art. 61 n. 2 cod. pen., nella misura di mesi sette di arresto ed euro 1.200,00 di ammenda.

2. Avverso tale pronuncia l'imputato, a mezzo del proprio difensore, ha presentato ricorso per cassazione, nel quale deduce quattro motivi, di seguito sintetizzati ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen. nei limiti strettamente indispensabili ai fini della motivazione.

2.1. Con il primo motivo si denuncia violazione dell'art. 157 cod. pen. Secondo il ricorrente, la Corte di appello avrebbe dovuto dichiarare l'intervenuta prescrizione in quanto il residuo reato, di natura contravvenzionale e commesso il 30 maggio 2014, era estinto già prima della pronuncia della sentenza di annullamento parziale con rinvio della Cassazione. In quella sede la difesa aveva invocato l'intervenuta prescrizione, ma la Corte di legittimità aveva interpretato le norme relative all'emergenza

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19 in modo non corretto e difforme rispetto a quanto successivamente stabilito dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 5292/2020 - dep. 2021. In base all'interpretazione successivamente accolta dal Supremo collegio, il reato in esame si era - al più tardi - prescritto il 15 agosto 2020: prima quindi dell'udienza nella quale era stato pronunciato l'annullamento con rinvio (8 settembre 2020). La questione dell'intervenuta prescrizione, già dedotta dinanzi alla Cassazione, era stata reiterata nel secondo giudizio di appello, anche alla luce dell'intervento delle Sezioni unite, ma era stata rigettata dalla Corte di appello in base alla considerazione che il profilo della prescrizione era già stato affrontato ed escluso in sede di legittimità e che su di esso si era formato il giudicato, che non poteva essere rimesso in discussione per un mutamento interpretativo. Il ricorrente, anche sulla base dei principi di cui all'art. 625 bis cod. proc. pen., chiede che ora la Corte rettifichi l'erronea valutazione operata da questa Corte nel 2020 e dichiari la prescrizione del reato di cui all'art. 4 legge n. 110 del 1975. 2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente si duole della violazione dell'art.627 comma 3 cod. proc. pen. in relazione agli artt. 133 e 163 cod. pen. In particolare, la sentenza di annullamento con rinvio aveva ad oggetto la rideterminazione della pena per il reato di cui all'art. 4 della In. 110 del 1975. La pena irrogata all'esito del giudizio di rinvio (mesi sette di arresto ed euro 1.200,00 di ammenda) è più grave di quella inflitta nel primo giudizio di appello, relativa a condanna anche per il delitto di danneggiamento - in ordine al quale era intervenuto annullamento per non essere il fatto più previsto dalla legge come reato - (la pena per entrambi i reati era stata infatti determinata in mesi sette di reclusione). Ma v'è di più: la prima sentenza di appello aveva concesso al D il beneficio della sospensione condizionale della pena;
beneficio, questo, non reiterato nella pronuncia conseguente all'annullamento con rinvio. La pena inflitta in misura più elevata - essendo stato l'appello proposto solo dall'imputato - viola palesemente il divieto di reformatio in peius, che in caso di accoglimento di appello dell'imputato relativo ad un reato concorrente, anche se unificato dalla continuazione con altro la cui pena va rideterminata, impone di diminuire corrispondentemente la pena irrogata (art. 597 comma 4 cod. proc. pen.). Sotto altro profilo, si evidenzia che la mancata concessione - senza alcuna motivazione - della sospensione condizionale già disposta nel primo giudizio di appello e negata nel secondo, nonostante la difesa dell'imputato ne avesse richiesto la conferma, ha violato il principio in base al quale il giudice è comunque tenuto a motivare la mancata concessione della sospensione condizionale richiesta in favore dell'imputato.

2.3. Con il terzo motivo si deduce l'illegittimità della mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e l'erronea determinazione della pena. La sentenza di rinvio aveva rimesso alla Corte di appello di verificare la "meritevolezza o meno delle circostanze attenuanti
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