Cass. pen., sez. V, sentenza 17/11/2022, n. 43640
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Testo completo
la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: FALZEA MARIA GILDA nato a MESSINA il 02/02/1948 avverso la sentenza del 05/04/2019 della CORTE APPELLO di MESSINAvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere A C Rilevato che il difensore della ricorrente ha formulato richiesta di discussione orale ex art. 23, comma 8, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, prorogato, quanto alla disciplina processuale, in forza dell'art. 16 del decreto-legge 30 dicembre 2021, n. 228, convertito, con modificazioni, nella legge 25 febbraio 2022, n. 15. Uditi in pubblica udienza il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione F C, che ha concluso per l'annullamento con rinvio della sentenza 'impugnata nonché, per la parte civile, l'Avv. A P, che ha concluso per il rigetto del ricorso, depositando comparsa conclusionale e nota spese.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza deliberata il 05/04/2019, la Corte di appello di Messina ha confermato la sentenza del 13/10/2017 con la quale, all'esito del giudizio abbreviato, il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Messina aveva dichiarato M G F responsabile del reato di diffamazione, perché, nell'esposto depositato al Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Messina, aveva offeso la reputazione dell'Avv. G M, nel suo ruolo di difensore di P F nel procedimento di volontaria giurisdizione per la nomina di un amministratore di sostegno a beneficio di A F, affermando che il legale, membro dello studio legale A F, aveva agito in conflitto di interessi, accusandolo di aver dolosamente pretermesso il valore dei beni facenti parte della successione di A F, di aver utilizzato in giudizio informazioni acquisite presso lo studio di appartenenza, agendo di concerto con altri legali dello studio allo scopo di avvantaggiare P e G F a danno del loro padre.
2. Avverso l'indicata sentenza della Corte di appello di Messina ha proposto ricorso per cassazione M G F, attraverso i difensori Avv.ti A Mazzone e Vincenzo Nico D'Ascola, articolando due motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Il primo motivo denuncia inosservanza degli artt. 51 e 595 cod. pen., nonché dell'art. 21 Cost., dell'art. 10 Cedu e dell'art. 11 CDFUE, nonché vizi di motivazione. La sentenza impugnata attribuisce rilievo centrale alla "sede" in cui le espressioni ritenute diffamatorie sono state manifestate (ossia l'esposto al consiglio dell'ordine) e sottolinea che l'imputata avrebbe dovuto limitarsi a esporre i soli fatti da cui il denunciato conflitto d'interesse sarebbe derivato, ma tali fatti sono arbitrariamente limitati dalla Corte di appello alla circostanza che M non avrebbe dovuto assumere l'incarico di difendere uno dei figli del P F, in quanto socio del medesimo studio, mentre viene censurato il fatto che la ricorrente sarebbe andata al di là dei limiti della legittima critica di M come legale, descrivendo un intreccio oggettivo di interessi a danno del P F ordito dallo studio legale con la spinta a una nomina di un amministratore di sostegno gradito. Al di là del fatto che la sentenza fa riferimento a termini non presenti nell'esposto (il termine "regista", la descrizione di M come autore di un disegno teso a sottrarre l'eredità utilizzandone gli utili), il criterio imperniato sulla "sede" rivela un'erronea interpretazione dell'art. 595 cod. pen. e, comunque, avrebbe dovuto condurre a escludere la sussistenza del fatto.E' assodato che non vi è alcun dubbio sul nucleo di veridicità inerente ai dati fattuali, il che già impedisce di considerare incerto o labile il confine tra diritto di critica e l'offesa, laddove il criterio della "sede" in cui sono state espresse le affermazioni contestate non trova riscontro nella casistica giurisprudenziale, essendo necessario verificare se i toni "aspri" o "forti" siano o meno "gratuiti" in quanto non pertinenti al tema oggetto di discussione;
nel caso di specie, tutte
udita la relazione svolta dal Consigliere A C Rilevato che il difensore della ricorrente ha formulato richiesta di discussione orale ex art. 23, comma 8, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, prorogato, quanto alla disciplina processuale, in forza dell'art. 16 del decreto-legge 30 dicembre 2021, n. 228, convertito, con modificazioni, nella legge 25 febbraio 2022, n. 15. Uditi in pubblica udienza il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione F C, che ha concluso per l'annullamento con rinvio della sentenza 'impugnata nonché, per la parte civile, l'Avv. A P, che ha concluso per il rigetto del ricorso, depositando comparsa conclusionale e nota spese.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza deliberata il 05/04/2019, la Corte di appello di Messina ha confermato la sentenza del 13/10/2017 con la quale, all'esito del giudizio abbreviato, il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Messina aveva dichiarato M G F responsabile del reato di diffamazione, perché, nell'esposto depositato al Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Messina, aveva offeso la reputazione dell'Avv. G M, nel suo ruolo di difensore di P F nel procedimento di volontaria giurisdizione per la nomina di un amministratore di sostegno a beneficio di A F, affermando che il legale, membro dello studio legale A F, aveva agito in conflitto di interessi, accusandolo di aver dolosamente pretermesso il valore dei beni facenti parte della successione di A F, di aver utilizzato in giudizio informazioni acquisite presso lo studio di appartenenza, agendo di concerto con altri legali dello studio allo scopo di avvantaggiare P e G F a danno del loro padre.
2. Avverso l'indicata sentenza della Corte di appello di Messina ha proposto ricorso per cassazione M G F, attraverso i difensori Avv.ti A Mazzone e Vincenzo Nico D'Ascola, articolando due motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Il primo motivo denuncia inosservanza degli artt. 51 e 595 cod. pen., nonché dell'art. 21 Cost., dell'art. 10 Cedu e dell'art. 11 CDFUE, nonché vizi di motivazione. La sentenza impugnata attribuisce rilievo centrale alla "sede" in cui le espressioni ritenute diffamatorie sono state manifestate (ossia l'esposto al consiglio dell'ordine) e sottolinea che l'imputata avrebbe dovuto limitarsi a esporre i soli fatti da cui il denunciato conflitto d'interesse sarebbe derivato, ma tali fatti sono arbitrariamente limitati dalla Corte di appello alla circostanza che M non avrebbe dovuto assumere l'incarico di difendere uno dei figli del P F, in quanto socio del medesimo studio, mentre viene censurato il fatto che la ricorrente sarebbe andata al di là dei limiti della legittima critica di M come legale, descrivendo un intreccio oggettivo di interessi a danno del P F ordito dallo studio legale con la spinta a una nomina di un amministratore di sostegno gradito. Al di là del fatto che la sentenza fa riferimento a termini non presenti nell'esposto (il termine "regista", la descrizione di M come autore di un disegno teso a sottrarre l'eredità utilizzandone gli utili), il criterio imperniato sulla "sede" rivela un'erronea interpretazione dell'art. 595 cod. pen. e, comunque, avrebbe dovuto condurre a escludere la sussistenza del fatto.E' assodato che non vi è alcun dubbio sul nucleo di veridicità inerente ai dati fattuali, il che già impedisce di considerare incerto o labile il confine tra diritto di critica e l'offesa, laddove il criterio della "sede" in cui sono state espresse le affermazioni contestate non trova riscontro nella casistica giurisprudenziale, essendo necessario verificare se i toni "aspri" o "forti" siano o meno "gratuiti" in quanto non pertinenti al tema oggetto di discussione;
nel caso di specie, tutte
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