Cass. pen., sez. VI, sentenza 23/02/2023, n. 08075
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Testo completo
la seguente SENTENZA sui ricorsi proposti da 1. S G, nato a Grottaglie il 30.11.1976;
2. C A, nato a Torre Santa Susanna il 04.04.1959;
avverso la sentenza del 18 ottobre 2021 emessa dalla Corte di appello di Lecce - Sezione distaccata di Taranto-;
visti gli atti, la sentenza impugnata e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Fabrizio D'Arcangelo;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale M D M, che ha concluso chiedendo di dichiararsi l'inammissibilità dei ricorsi;
uditi i difensori dei ricorrenti, avvocato B L nell'interesse di G S e avvocato C L nell'interesse di A C, che hanno chiesto raccoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
1. Il Pubblico Ministero del Tribunale di Taranto ha tratto a giudizio, tra gli altri, G S e A C. G S è imputato dei delitti di cui agli artt. 81, 110 cod. pen., 73, primo e sesto comma, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, per aver posto in essere plurime cessioni di ingenti quantitativi di hashish in Carosino e Monteparano (TA), dal marzo 2009 al giugno 2009 (capo c);
fatti aggravati dalla recidiva specifica, reiterata ed infraquinquennale. A C è imputato dei delitti di cui agli artt. 81, 110, 112 cod. pen., 73, primo e sesto comma, d.P.R. n. 309 del 1990, commessi, in concorso con E S, A C ed Emiliano D'Angiulli, in Oria (BR) e Carosino (TA) dal mese di marzo al mese di giugno 2009 (capo b), di cui agli artt. 81, 110 cod. pen., 73, primo e sesto comma, d.P.R. n. 309 del 1990, commessi in concorso con D P, in Oria (BR), Carosino e Avetrana (TA) dal mese di marzo al mese di luglio 2009 (capo d) e dei delitti di cui agli artt. 81, 110 cod. pen., 73, primo e sesto comma, d.P.R. n. 309 del 1990, commessi in concorso con D P, in Oria (BR) e Avetrana (TA) dal mese di marzo al mese di giugno 2009 (capo g);
fatti aggravati dalla recidiva specifica, reiterata ed infraquinquennale.
2. Il Tribunale di Taranto, con sentenza emessa in data 3 ottobre 2019, ha ritenuto gli imputati responsabili dei reati loro rispettivamente ascritti e, esclusa la circostanza aggravante di cui al secondo comma dell'art. 80 d.P.R. n. 309 del 1990 contestata in fatto, ritenuta la contestata recidiva e la fattispecie per le sostanza stupefacenti di cui alle tabelle II e IV, unificati in fatti dalla continuazione, ha condannato G S alla pena di cinque anni di reclusione ed euro 10.000,00 di multa e C A alla pena di sei anni di reclusione ed euro 12.000 di multa.
3. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Lecce - Sezione distaccata di Taranto-, in riforma della sentenza di primo grado, appellata, tra gli altri, da G S e A C: - ritenuti assorbiti i fatti di cui ai capi G) nel capo D) quanto al C, ha rideterminato la pena inflittagli in cinque anni, sei mesi di reclusione ed euro 10.000 di multa;
- ha ridotto la pena inflitta a G S in quattro anni, sei mesi di reclusione ed euro 9.000 di multa, riducendo a cinque anni l'interdizione dai pubblici uffici applicata al medesimo;- ha confermato nel resto la sentenza impugnata.
4. L'avvocato B L, nell'interesse di G S, e l'avvocato C L, nell'interesse di A C hanno presentato ricorso per cassazione avverso tale sentenza e ne hanno chiesto l'annullamento 5. L'avvocato B L, nell'interesse di G S, ha dedotto cinque motivi di ricorso e;
segnatamente: - la manifesta illogicità della motivazione in relazione agli artt. 192 e 530, secondo comma, cod. proc. pen. Deduce il ricorrente che la Corte di appello avrebbe, in modo manifestamente illogico, ritenuto in uso a G S l'utenza telefonica sequestrata nell'autovettura di E S al momento del suo arresto. Le intercettazioni sulle quali si fonda la condanna dell'imputato, inoltre, sarebbero prive di contenuto, in quanto si tratterebbe di meri squilli effettuati a tale utenza telefonica, senza ricevere mai una risposta chiara ed univoca;
in questo contesto, ritenere che gli squilli fossero probabilmente delle richieste di sostanza stupefacente sarebbe del tutto fantasioso e, comunque, privo di riscontri esterni. Queste affermazioni della Corte di appello, dunque, violerebbero il canone dell'oltre ogni ragionevole dubbio. Rileva, inoltre, il ricorrente che non si può affermare la responsabilità penale per il delitto di offerta in vendita di sostanza stupefacente se non si è raggiunta la prova che questa fosse nell'effettiva disponibilità dell'offerente. - la manifesta illogicità della motivazione in relazione all'art. 73, quinto comma, d.P.R. n. 309 del 1990, in quanto, essendosi in presenza di "droga parlata" e non essendo stata accertato il quantitativo di sostanza stupefacente ceduto, dovrebbe applicarsi la disciplina più favorevole al reo;
- l'omessa motivazione in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche, in quanto la Corte di appello si sarebbe limitata a richiamare integralmente le statuizioni del giudice di primo grado, senza vagliare criticamente le censure proposte dalla difesa;
- l'omessa motivazione in ordine all'esclusione della recidiva, stante l'esito positivo dell'affidamento in prova ai servizi sociali per le precedenti condanne riportate dall'imputato;
- l'omessa motivazione al decorso dei termini prescrizionali ai sensi dell'art.157 cod. pen., come rilevato a verbale dell'udienza di trattazione.
6. L'avvocato C L, nell'interesse di A C, ha dedotto tre motivi:- 1) la violazione dell'art. 416 cod. proc. pen. e la manifesta illogicità della motivazione sul punto, in quanto la Corte di appello avrebbe illegittimamente confermato il rigetto dell'eccezione di nullità della richiesta di rinvio a giudizio operato dal Tribunale di Taranto con ordinanza del 13 novembre 2017. Rileva il difensore che la richiesta dell'imputato di conferire con il Pubblico Ministero, formulata dal C dopo la notifica dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, non sarebbe stata trasmessa dalla Casa Circondariale di Lecce e, dunque, il decreto che dispone il giudizio sarebbe stato nulla per mancata assunzione dell'interrogatorio ai sensi dell'art. 415-bis cod. proc. pen. La Corte di appello, peraltro, avrebbe motivato esclusivamente in ordine all'inidoneità della richiesta dell'imputato a fondare l'obbligo di assunzione dell'interrogatorio da parte del pubblico ministero e non già in ordine al fatto che la stessa non sia mai pervenuta all'ufficio di Procura;
- la violazione degli artt. 16, 21 e 491 cod. proc. pen. e la manifesta
2. C A, nato a Torre Santa Susanna il 04.04.1959;
avverso la sentenza del 18 ottobre 2021 emessa dalla Corte di appello di Lecce - Sezione distaccata di Taranto-;
visti gli atti, la sentenza impugnata e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Fabrizio D'Arcangelo;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale M D M, che ha concluso chiedendo di dichiararsi l'inammissibilità dei ricorsi;
uditi i difensori dei ricorrenti, avvocato B L nell'interesse di G S e avvocato C L nell'interesse di A C, che hanno chiesto raccoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
1. Il Pubblico Ministero del Tribunale di Taranto ha tratto a giudizio, tra gli altri, G S e A C. G S è imputato dei delitti di cui agli artt. 81, 110 cod. pen., 73, primo e sesto comma, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, per aver posto in essere plurime cessioni di ingenti quantitativi di hashish in Carosino e Monteparano (TA), dal marzo 2009 al giugno 2009 (capo c);
fatti aggravati dalla recidiva specifica, reiterata ed infraquinquennale. A C è imputato dei delitti di cui agli artt. 81, 110, 112 cod. pen., 73, primo e sesto comma, d.P.R. n. 309 del 1990, commessi, in concorso con E S, A C ed Emiliano D'Angiulli, in Oria (BR) e Carosino (TA) dal mese di marzo al mese di giugno 2009 (capo b), di cui agli artt. 81, 110 cod. pen., 73, primo e sesto comma, d.P.R. n. 309 del 1990, commessi in concorso con D P, in Oria (BR), Carosino e Avetrana (TA) dal mese di marzo al mese di luglio 2009 (capo d) e dei delitti di cui agli artt. 81, 110 cod. pen., 73, primo e sesto comma, d.P.R. n. 309 del 1990, commessi in concorso con D P, in Oria (BR) e Avetrana (TA) dal mese di marzo al mese di giugno 2009 (capo g);
fatti aggravati dalla recidiva specifica, reiterata ed infraquinquennale.
2. Il Tribunale di Taranto, con sentenza emessa in data 3 ottobre 2019, ha ritenuto gli imputati responsabili dei reati loro rispettivamente ascritti e, esclusa la circostanza aggravante di cui al secondo comma dell'art. 80 d.P.R. n. 309 del 1990 contestata in fatto, ritenuta la contestata recidiva e la fattispecie per le sostanza stupefacenti di cui alle tabelle II e IV, unificati in fatti dalla continuazione, ha condannato G S alla pena di cinque anni di reclusione ed euro 10.000,00 di multa e C A alla pena di sei anni di reclusione ed euro 12.000 di multa.
3. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Lecce - Sezione distaccata di Taranto-, in riforma della sentenza di primo grado, appellata, tra gli altri, da G S e A C: - ritenuti assorbiti i fatti di cui ai capi G) nel capo D) quanto al C, ha rideterminato la pena inflittagli in cinque anni, sei mesi di reclusione ed euro 10.000 di multa;
- ha ridotto la pena inflitta a G S in quattro anni, sei mesi di reclusione ed euro 9.000 di multa, riducendo a cinque anni l'interdizione dai pubblici uffici applicata al medesimo;- ha confermato nel resto la sentenza impugnata.
4. L'avvocato B L, nell'interesse di G S, e l'avvocato C L, nell'interesse di A C hanno presentato ricorso per cassazione avverso tale sentenza e ne hanno chiesto l'annullamento 5. L'avvocato B L, nell'interesse di G S, ha dedotto cinque motivi di ricorso e;
segnatamente: - la manifesta illogicità della motivazione in relazione agli artt. 192 e 530, secondo comma, cod. proc. pen. Deduce il ricorrente che la Corte di appello avrebbe, in modo manifestamente illogico, ritenuto in uso a G S l'utenza telefonica sequestrata nell'autovettura di E S al momento del suo arresto. Le intercettazioni sulle quali si fonda la condanna dell'imputato, inoltre, sarebbero prive di contenuto, in quanto si tratterebbe di meri squilli effettuati a tale utenza telefonica, senza ricevere mai una risposta chiara ed univoca;
in questo contesto, ritenere che gli squilli fossero probabilmente delle richieste di sostanza stupefacente sarebbe del tutto fantasioso e, comunque, privo di riscontri esterni. Queste affermazioni della Corte di appello, dunque, violerebbero il canone dell'oltre ogni ragionevole dubbio. Rileva, inoltre, il ricorrente che non si può affermare la responsabilità penale per il delitto di offerta in vendita di sostanza stupefacente se non si è raggiunta la prova che questa fosse nell'effettiva disponibilità dell'offerente. - la manifesta illogicità della motivazione in relazione all'art. 73, quinto comma, d.P.R. n. 309 del 1990, in quanto, essendosi in presenza di "droga parlata" e non essendo stata accertato il quantitativo di sostanza stupefacente ceduto, dovrebbe applicarsi la disciplina più favorevole al reo;
- l'omessa motivazione in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche, in quanto la Corte di appello si sarebbe limitata a richiamare integralmente le statuizioni del giudice di primo grado, senza vagliare criticamente le censure proposte dalla difesa;
- l'omessa motivazione in ordine all'esclusione della recidiva, stante l'esito positivo dell'affidamento in prova ai servizi sociali per le precedenti condanne riportate dall'imputato;
- l'omessa motivazione al decorso dei termini prescrizionali ai sensi dell'art.157 cod. pen., come rilevato a verbale dell'udienza di trattazione.
6. L'avvocato C L, nell'interesse di A C, ha dedotto tre motivi:- 1) la violazione dell'art. 416 cod. proc. pen. e la manifesta illogicità della motivazione sul punto, in quanto la Corte di appello avrebbe illegittimamente confermato il rigetto dell'eccezione di nullità della richiesta di rinvio a giudizio operato dal Tribunale di Taranto con ordinanza del 13 novembre 2017. Rileva il difensore che la richiesta dell'imputato di conferire con il Pubblico Ministero, formulata dal C dopo la notifica dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, non sarebbe stata trasmessa dalla Casa Circondariale di Lecce e, dunque, il decreto che dispone il giudizio sarebbe stato nulla per mancata assunzione dell'interrogatorio ai sensi dell'art. 415-bis cod. proc. pen. La Corte di appello, peraltro, avrebbe motivato esclusivamente in ordine all'inidoneità della richiesta dell'imputato a fondare l'obbligo di assunzione dell'interrogatorio da parte del pubblico ministero e non già in ordine al fatto che la stessa non sia mai pervenuta all'ufficio di Procura;
- la violazione degli artt. 16, 21 e 491 cod. proc. pen. e la manifesta
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