Cass. civ., sez. V trib., sentenza 24/06/2021, n. 18260
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iato la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 21907 del ruolo generale dell'anno 2014 proposto da: Casaidea s.r.I., in liquidazione, ora cessata, in persona dell'ex liquidatore M C, nonché in persona degli ex soci M C, G G B, M R, A R, Giovanni D'Andrea, E C, i quali ricorrono anche in proprio, rappresentati e difesi dagli Avv.ti R V e R M per procura speciale a margine del ricorso, elettivamente domiciliati in Roma, Piazza Adriana, n. 5, presso lo studio di quest'ultimo difensore;- ricorrenti -contro Agenzia delle entrate, in persona del direttore generale pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui Uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, sono domiciliati;- controrícorrente - per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto, n. 131/5/14, depositata in data 27 gennaio 2014;udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 novembre 2020 dal Consigliere G T;udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale Dott. U D A, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;udito per i ricorrenti l'Avv. R M e per l'Agenzia delle entrate l'Avvocato dello Stato A P. Fatti di causa Dalla esposizione in fatto della pronuncia censurata si evince che: l'Agenzia delle entrate aveva notificato a Casaidea s.r.I., società esercente l'attività di valorizzazione e promozione immobiliare, un avviso di accertamento con il quale, relativamente all'anno di imposta 2005, aveva contestato che in quasi tutte le vendite immobiliari il valore dichiarato negli atti di vendita era inferiore a quello effettivo, sicchè, a seguito di accertamento analitico- induttivo, ai sensi dell'art. 39, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 633/1972, aveva rettificato il reddito dichiarato;avverso il suddetto atto impositivo la società Casaidea s.r.I., cessata in data 2008, in persona del suo ex liquidatore, nonché gli ex soci, anche in proprio, avevano proposto ricorso che era stato accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Venezia;avverso la decisione del giudice di primo grado l'Agenzia delle entrate aveva proposto appello principale e la società Casaideit s.r.l. nonché gli ex soci, anche in proprio, avevano proposto appello incidentale. La Commissione tributaria regionale del Veneto ha accolto l'appello principale dell'Agenzia delle entrate e rigettato quello incidentale, in particolare ha ritenuto che: la circostanza che la società era stata cancellata dal registro delle imprese in data 15 ottobre 2008 non faceva venire meno il potere impositivo dell'amministrazione finanziaria nei confronti dei soci, sicchè correttamente l'avviso di accertamento era stato emesso in data 13 luglio 2010 e notificato a tutti i soci quali successori;l'accertamento del maggior valore degli immobili oggetto di vendita era stato compiuto correttamente dall'amministrazione finanziaria che si era avvalsa di elementi presuntivi consistenti nella discordanza tra il valore dichiarato con quelli contenuti nella banca dati OMI, nell'antieconomicità del comportamento della società nonché nel fatto che per talune vendite gli importi dei mutui concessi agli acquirenti degli immobili era superiore al prezzo della cessione risultante dagli atti;l'antieconomicità del comportamento della società, in particolare, comportava una inversione dell'onere della prova;non rilevava la circostanza che i valori erano stati dichiarati sulla base della rendita catastale, sia in quanto l'art. 15, decreto legge n. 41/1995, abrogato nel 2006, riguardava solo l'Iva, sia in quanto comunque il fatto dell'adeguamento alla rendita catastale non inibiva il successivo controllo o la rettifica dell'imponibile;l'avviso di accertamento era sufficientemente motivato, non essendo rilevante, a tal fine, che i dati OMI o i contratti di mutuo non erano stati allegati, trattandosi di atti comunque conoscibili;erano infondati, inoltre, i motivi di appello incidentale relativi: alla asserita erronea determinazione dei valori al metro quadro dichiarato per avere omesso di considerare l'Iva, alla violazione del principio di imparzialità e di legittimo affidamento, di irragionevolezza ed iniquità in sede di ricostruzione dell'effettivo valore degli immobili (in quanto per talune unità abitative il maggior valore era stato determinato sulla base dei valori OMI mentre per altre sulla base dell'importo del mutuo contratto dagli acquirenti), alla violazione del divieto della doppia presunzione, alla mancata considerazione dei costi, nonché, infine, alla irrogazione delle sanzioni. Avverso la pronuncia hanno quindi proposto ricorso per la cassazione la società Casaidep s.r.I., in persona dell'ex liquidatore, nonché gli ex soci, anche in proprio, affidato a quindici motivi di censura, cui ha resistito l'Agenzia delle entrate depositando controricorso. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione dell'art. 2495, cod. civ., con riferimento alla questione della intervenuta cancellazione ed estinzione della società e del conseguente venire meno del potere dell'amministrazione finanziaria di accertamento nei confronti della medesima. In particolare, secondo i ricorrenti, la sentenza è errata: a) per avere ritenuto legittimo l'avviso di accertamento, in quanto lo stesso, sebbene notificato ai soci, era stato formato nei confronti della società estinta in quanto cancellata dal registro delle imprese;b) per avere ritenuto che i soci succedevano nei debiti sociali della società, in quanto questi succedono solo nei limiti di quanto riscosso, dunque nei limiti di quanto risulta dal bilancio finale di liquidazione e a seguito della liquidazione e solo per i crediti certi o liquidi, ma, nella fattispecie, la pretesa non riguardava un debito esistente prima della cancellazione, ma una mera pretesa, anche se azionata in giudizio;c) per non avere ritenuto che la responsabilità dei soci, a seguito della cancellazione della società, è limitata ai debiti risultanti dal bilancio finale di liquidazione, dunque la successione nei debiti sociali è delimitata dal punto di vista soggettivo ed oggettivo e, quindi, sottoposta a specifici presupposti, il cui onere di prova grava sull'amministrazione finanziaria, mentre la pronuncia censurata ha ritenuto che la stessa sorge sempre e comunque, indipendentemente dall'assolvimento del suddetto onere e da ogni specifico accertamento. 1.1. Il motivo è infondato. Il giudice del gravame ha accertato, e gli stessi ricorrenti ne danno atto (vd. pag. 24, ricorso), che l'atto impositivo, seppure intestato alla società, era stato notificato ai soci, e nella stessa sentenza si riporta specificamente il passaggio dell'avviso di accertamento nel quale è precisato che: "In considerazione che la società Casaidea s.r.l. risulta cessata a far data dal 15 ottobre 2008 ed alla luce della recente sentenza n. 4062 del 22.02.2010 della Corte di cassazione a Sezioni Unite, il presente atto viene notificato a tutti i sotto elencati soci della cessata società". In sostanza, nell'avviso di accertamento era chiarito che, sebbene l'atto era stato formalmente intestato alla società, dalla cancellazione della stessa dal registro delle imprese derivava la necessità di provvedere alla notifica nei confronti dei soci a titolo di successori per le obbligazioni relative alla società. A tal proposito, va osservato che, secondo questa Corte, ai sensi dell'art. 2495 c.c. (nel testo, applicabile nel caso di specie ratione temporis, risultante dopo la riforma del diritto societario, attuata dal decreto legislativo n. 6/2003) a seguito dell'estinzione della società, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale l'obbligazione della società non si estingue ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate, fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali (Cass., Sez. U, 12 marzo 2013, n. 6070 e n. 6072). Sotto tale profilo, la circostanza che l'atto impositivo era intestato alla società deriva dal fatto che la stessa era titolare del debito sociale e nei suoi confronti, quindi, si era formato il presupposto impositivo, ma ciò che rileva, ai fini della valutazione della legittimità della pretesa, è il fatto che il suddetto atto è stato, correttamente, notificato ai soci proprio in ragione della intervenuta successione dei medesimi nell'obbligazione originatasi nei confronti del soggetto sociale non più esistente. Va inoltre osservato che l'effettiva liquidazione e ripartizione dell'attivo e, prima ancora, ovviamente, la sua sussistenza, se costituisce fondamento sostanziale e misura, nonché limite, della responsabilità di ciascuno dei successori, non può però anche ritenersi presupposto della assunzione, in capo al socio, della qualità stessa di successore e, correlativamente, della legittimità della notifica nei confronti del medesimo dell'atto impositivo. Sul punto, deve seguirsi l'orientamento di questa Corte secondo cui i principi affermati dalle Sezioni Unite individuano sempre nei soci coloro che son destinati a succedere nei rapporti debitori già facenti capo alla società cancellata, ma non definiti all'esito della liquidazione, indipendentemente, dunque, dalla circostanza che essi abbiano goduto di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione (Cass. civ., 7 aprile 2017, n. 9094). Si osserva, infatti, che nei citati arresti delle Sezioni Unite, può trarsi il principio secondo cui il successore che risponde solo intra vires dei debiti trasmessigli non cessa, per questo, di essere un successore;e se il suaccennato limite di responsabilità dovesse rendere evidente l'inutilità per il creditore di far valere le proprie ragioni nei confronti del socio, ciò si rifletterebbe sul requisito dell'interesse ad agire, anche se il creditore potrebbe avere comunque interesse all'accertamento del proprio diritto, ad esempio in funzione dell'escussione di garanzie, ma non sulla legittimazione passiva del socio medesimo. Peraltro, la suddetta pronuncia ha osservato che il fatto che i soci abbiano goduto, o no, di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione non è dirimente neanche ai fini dell'esclusione dell'interesse ad agire dell'amministrazione finanziaria creditrice, tenuto conto di diritti e beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, i quali pur sempre si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa, con la sola esclusione delle mere pretese, ancorchè azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un'attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato, a favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo. La possibilità di sopravvenienze attive o anche semplicemente la possibile esistenza di beni e diritti non contemplati nel bilancio non consentono, dunque, di escludere l'interesse dell'Agenzia a procurarsi un titolo nei confronti dei soci, in considerazione della natura dinamica dell'interesse ad agire, che rifugge da considerazioni statiche allo stato degli atti. Pertanto, in caso di cancellazione della società e di estinzione della medesima, legittimamente l'amministrazione finanziaria notifica ai soci l'avviso di accertamento per far valere nei confronti degli stessi la pretesa relativa agli obblighi tributircui era tenuta la società, non costituendo condizione della legittimazione passiva la circostanza che non si sia provveduto al riparto in base al bilancio finale di liquidazione.
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