Cass. civ., sez. I, sentenza 19/11/2002, n. 16261

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In tema di pegno, dal combinato disposto degli artt. 2786, primo comma, e 2787, terzo comma, cod. civ. si evince che la garanzia reale "de qua" è, nel rapporto tra le parti, validamente costituita con la sola consegna della cosa, senza necessità di ulteriori formalità, mentre l'atto scritto contenente l'identificazione del credito garantito e dei beni assoggettati alla garanzia è richiesto ai soli fini della prelazione, vale a dire dell'opponibilità della garanzia agli altri creditori del soggetto datore di pegno. Ne consegue che della mancanza dell'atto scritto - non dando essa luogo a nullità, bensì a mera inopponibilità (ossia inefficacia relativa) - è inibito il rilievo di ufficio, e la relativa eccezione (in senso stretto) può essere sollevata soltanto con l'osservanza, a pena di decadenza, delle norme stabilite dall'art. 183 cod. proc. civ. (nel testo novellato dalla legge n. 353 del 1990), e dunque non per la prima volta in sede di precisazione delle conclusioni.

In tema di revocatoria fallimentare di pagamenti, gli atti solutori conseguiti all'esecuzione del mandato irrevocabile all'incasso sono revocabili autonomamente, indipendentemente dalla revocabilità o meno del mandato stesso, non integrando il mandato irrevocabile all'incasso una cessione di credito con funzione di garanzia.

In tema di revocatoria fallimentare di pagamenti, l'accredito, da parte di una banca, in un conto corrente assistito da apertura di credito, di somme rimesse da terzi o provenienti da distinta posizione debitoria dell'istituto di credito, costituisce un'operazione che, salvo patto contrario, s'inserisce nell'ambito dell'unitario complesso rapporto di conto corrente e non realizza un'obbligazione autonoma della banca di rimettere al cliente le somme riscosse, suscettibile di compensazione legale con il saldo passivo, in quanto determina una semplice variazione quantitativa del debito del correntista, la quale può configurare, secondo le circostanze, o un atto ripristinatorio della disponibilità del correntista medesimo, ovvero un atto direttamente solutorio del debito di questi, risultante dal saldo contabile.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. I, sentenza 19/11/2002, n. 16261
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 16261
Data del deposito : 19 novembre 2002

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. G O - Presidente -
Dott. G C - Consigliere -
Dott. V P - Consigliere -
Dott. A C - rel. Consigliere -
Dott. F F - Consigliere -
ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A
sul ricorso proposto da:
a F A S, in persona del curatore fallimentare pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA G.

PISANELLI

4, presso l'avvocato G G, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato S C, giusta procura in calce al ricorso;



- ricorrente -


contro
BANCA AMBROSIANO VENETO SPA, ORA BANCA INTESA SPA;

- intimata -
e sul 2^ ricorso n. 10014/00 proposto da:
BANCA INTESA SPA, BANCA AMBROSIANO VENETO SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliate in

ROMA VIA BISSOLATI

76, presso l'avvocato B G, che le rappresenta e difende, giusta delega in calce al controricorso e ricorso incidentale;

- controricorrenti e ricorrenti incidentali -
contro
F A S;

- intimata -
avverso la sentenza n. 816/99 della Corte d'Appello di MILANO, depositata il 30/03/99;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/06/2002 dal Consigliere Dott. Aldo CECCHERINI;

udito per il ricorrente, l'Avvocato GIGLI, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso principale e l'inammissibilità del primo motivo del ricorso incidentale e il rigetto del secondo motivo del ricorso incidentale;

udito per il resistente, l'Avvocato GARGANI, che ha chiesto il rigetto del ricorso principale e l'accoglimento del ricorso incidentale;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Vincenzo MACCARONE che ha concluso per il rigetto del ricorso principale;
l'assorbimento del primo motivo del ricorso incidentale ed il rigetto del secondo motivo del ricorso incidentale. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il tribunale di Monza, con sentenza 5 giugno 1997, accogliendo la domanda proposta in data 17 novembre 1995 ex art. 67, comma secondo legge fallimentare dal Fallimento Aris s.p.a. (dichiarato con sentenza 24 dicembre 1994), revocò i pagamenti eseguiti dalla società fallita a favore del Banco Ambrosiano Veneto s.p.a. in date 13 maggio 1994 per L. 282.784.805, 30 aprile 1994 per L. 13.054.143, 17 e 27 maggio 1994 rispettivamente per 2.934.660 e L. 974.610. Di essi, il primo derivava dalla compensazione del credito della banca con il debito derivante dalla vendita di certificati di deposito, il secondo da incasso di portafoglio (ricevuto bancarie) e gli altri da incasso di bonifici. In comparsa di risposta il Banco convenuto aveva eccepito tra l'altro che il primo di tali pagamenti era stato realizzato con la vendita di certificati di deposito costituiti in pegno a suo favore, e in occasione della precisazione delle conclusioni il Fallimento aveva chiesto che del pegno fosse dichiarata l'inefficacia, ma il Banco aveva dichiarato di non accettare il contraddittorio su questa domanda nuova. Ritenne il Tribunale che l'atto di costituzione del pegno non contenesse gli elementi richiesti dall'art. 2787 comma terzo C.C. Nel giudizio di appello, promosso dal Banco Ambrosiano Veneto, la Corte di Milano, con sentenza depositata il 30 marzo 1999, accogliendo il relativo motivo di gravame, giudicò tardiva la richiesta di accertamento incidentale, ex art. 34 c.p.c., dell'inopponibilità del pegno alla massa dei creditori, e riformò sul punto la sentenza di primo grado;
la corte medesima confermò invece la sentenza di primo grado in relazione alla revoca - pure oggetto di appello - degli altri pagamenti, negando la compensazione legale con l'argomento che nelle operazioni regolate in conto corrente manca l'autonomia dell'obbligazione debitoria, che, sola, consente l'operatività della compensazione con il credito vantato dal correntista.
Per la cassazione della sentenza di appello, non notificata, ricorre con tre mezzi il Fallimento Aris s.p.a. con atto notificato il 29 marzo 2000. Il Banco Ambrosiano Veneto s.p.a. resiste con controricorso notificato il 6 maggio 2000, contenente appello incidentale con due mezzi.
Il Fallimento ha depositato una memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I ricorsi, siccome proposti contro la stessa sentenza, devono essere riuniti a norma dell'art. 335 c.p.c.. Con il primo motivo del ricorso principale si denunzia la violazione degli artt. 1418 e 1421 c.c.;
si censura la sentenza impugnata per aver qualificato quale domanda nuova, preclusa a norma dell'art. 183, Cco. c.p.c., l'eccezione, proposta in sede di precisazione delle conclusioni in primo grado, di nullità dell'atto costitutivo del pegno di titoli, che era invece rilevabile d'ufficio. Con il secondo motivo del ricorso principale si denunzia l'erronea interpretazione degli scritti difensivi e l'insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, nonché la falsa applicazione dell'art. 183 c.p.c.;
si lamenta che un giudice d'appello abbia attribuito erroneamente la qualifica di domanda nuova ad una mera difesa.
I due motivi, per la loro intrinseca connessione, devono essere esaminati congiuntamente. Essi, infatti, muovono entrambi dalla premessa che la difesa svolta dal fallimento in occasione della precisazione delle conclusioni, con riguardo al pegno opposto dall'azienda di credito per paralizzare la revocatoria del versamento in conto corrente, ed imperniata sulla violazione dell'art. 2787 comma 3^ c.c. (per cui la prelazione non ha luogo se il pegno non
risulta da data certa che contenga sufficiente indicazione del credito e della cosa garantita), darebbe luogo a nullità del pegno, rilevabile d'ufficio dal giudice, e per ciò stesso a questione sottratta alla preclusione dell'art. 183 c.p.c.. Occorre premettere che la causa, introdotta con domanda di revocatoria proposta dal fallimento in data 17 novembre 1995, si è svolta sotto il regime dell'art. 183 c.p.c, come sostituito dalla Novella di cui all'art. 17 l. 26 novembre 1990 n. 353 (che non si applicava, invece, alle cause pendenti alla data del 30 aprile 1995):
la norma stabilisce il temine ultimo entro il quale possono essere sollevate nuove eccezioni, ed in base ad essa il Fallimento non poteva sollevare una nuova eccezione in occasione della precisazione delle conclusioni. Nel caso in esame, la questione dibattuta tra le parti concerneva l'osservanza, con riguardo al pegno fatto valere dall'istituto di credito, dell'art. 2787 comma terzo c.c.. Il Fallimento ricorrente, con i motivi sopra sintetizzati, non ha colto la ratio decidendi posta a fondamento della decisione impugnata dalla Corte ambrosiana. Uniformandosi all'indirizzo assunto più di recente da questa Corte di legittimità ed ormai stabilizzatosi (per il quale, dal combinato disposto degli artt. 2786, primo comma e 2787, terzo comma cod. civ. si evince che la garanzia reale de qua è, nel rapporto tra le parti, validamente costituita con la sola consegna della cosa, senza necessità di ulteriori formalità, mentre l'atto scritto contenente l'identificazione del credito garantito e dei beni assoggettati alla garanzia è richiesto ai soli fini della prelazione, vale a dire dell'opponibilità della garanzia agli altri creditori del soggetto datore di pegno: Cass. 7 giugno 1999 n. 5562, 15 dicembre 1999 n. 14070, 23 novembre 2001 n. 14869), la sentenza ravvisa nel vizio del pegno, discendente dalla mancata osservanza dell'art. 2787 comma terzo c.c., non già una causa di nullità, in ordine alla quale
possa farsi questione di rilevabilità d'ufficio (e dei relativi limiti), ma invece una causa di inefficacia relativa, e precisamente di inopponibilità agli altri creditori. La corte territoriale, infatti, ha esplicitamente premesso, richiamandosi al precedente di questa Corte suprema n. 71163/1995, che quella in esame doveva qualificarsi una questione di opponibilità del pegno al Fallimento, per concluderne che di detta questione il Tribunale era stato investito solo a seguito della domanda dell'attore formulata all'udienza di precisazione delle conclusioni. Conseguentemente, i motivi del ricorso principale muovendo dal diverso presupposto che qui si controverta su un motivo di nullità del pegno, non si misurano con l'iter logico seguito nella sentenza impugnata. In questa sede, mancando un puntuale motivo d'impugnazione sul punto decisivo della causa, è sufficiente richiamare la già citata giurisprudenza, dalla quale non si ravvisano ragioni per discostarsi, considerato che il diritto di prelazione non esaurisce il contenuto del pegno, e che il carattere reale di questo si manifesta in modo eminente nel diritto di sequela, il quale non è pregiudicato dalla mancanza delle condizioni per l'applicazione della prelazione ex art. 2787 comma terzo c.c.. La tesi che in quest'ultimo caso ci si trovi
in presenza di mera inopponibilità (vale a dire, di inefficacia relativa) appare, quindi, la più aderente ai principi generali, e ciò comporta che, esclusa la rilevabilità d'ufficio, il vizio debba essere eccepito dal soggetto che all'osservanza della norma aveva un interesse particolare. Ora, trattandosi di eccezione in senso stretto, non può dubitarsi del fatto che essa doveva essere sollevata con l'osservanza delle norme stabilite dal nuovo art. 183 c.p.c. a pena di decadenza, e che il Fallimento sia incorso nella
preclusione, giustamente rilevata dalla Corte di Milano. Con il terzo motivo del ricorso principale si denuncia l'omessa motivazione su un punto decisivo della controversia;
si lamenta l'omessa pronuncia sul fondamento della revocatoria, a prescindere dall'opponibilità e validità del pegno, perché la garanzia reale non avrebbe esonerato il creditore pignoratizio dall'obbligo di versare al fallimento il ricavato della realizzazione del pegno, ma gli avrebbe solo consentito di far valere il pegno all'interno del fallimento.
Il motivo è infondato. La sentenza impugnata non ha ignorato questo argomento della difesa, ma ha giudicato che anche in tal caso si trattasse di eccezione, sollevata solo in comparsa di costituzione di secondo grado, e quindi tardivamente. Il ricorrente non tiene conto di questa ratio decidendi, che non sottopone a critica. Con il primo motivo - condizionato - del ricorso incidentale si ripropone, per il caso di soccombenza nel giudizio di legittimità, la questione del difetto d'interesse del Fallimento ad agire in revocatoria, sulla quale il giudice di appello non si era pronunciato giudicandola assorbita. Il motivo, espressamente condizionato all'eventuale accoglimento del ricorso principale, è superato dal rigetto di questo.
Con il secondo motivo del ricorso incidentale si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1241 ss., 1268 ss., 1271 ss. 1853 c.c. e 56 legge fallimentare, nonché l'omessa o insufficiente motivazione;
si censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha confermato la revocatoria relativa ai pagamenti effettuati mediante incasso di ricevute bancarie e bonifici di terzi, senza riconoscere l'intervenuta compensazione legale. Il motivo è infondato sotto tutti i profili denunciati. Premesso che dalla sentenza impugnata non risulta vi fosse controversia sulla ricostruzione dei fatti, e neppure sulla loro qualificazione, bensì esclusivamente sulle norme applicabili, deve innanzi tutto rilevarsi che il motivo è inammissibile nella parte in cui denuncia l'omessa motivazione sulla supposta qualificazione di delegazione degli ordini impartiti dal correntista: infatti, dalla sentenza non risulta che fosse stata sostenuta una simile qualificazione dei rapporti, e il motivo richiedeva, per soddisfare il requisito dell'autosufficienza, la puntuale indicazione del luogo in cui sul punto era stato sollecitato il giudizio della Corte territoriale, e la riproduzione testuale e per esteso della formulazione della tesi, al fine di consentire a questa Corte la preventiva verifica del carattere decisivo del punto in relazione al quale si denuncia l'omessa motivazione.
Peraltro la sentenza impugnata ha dato adeguata motivazione della soluzione adottata, sfavorevole alla tesi della compensazione legale degli accrediti derivanti dall'esecuzione di ordini del correntista, poi fallito, e da bonifici di terzi, richiamando la costante giurisprudenza di questa corte sulla natura del contratto di conto corrente di corrispondenza, e della mancanza di autonomia delle singole poste annotate in conto, con la conseguente inapplicabilità delle norme in materia di compensazione.
Per i mandati a riscuotere, sarà dunque sufficiente ricordare che, non integrando il mandato irrevocabile all'incasso una cessione di credito con funzione di garanzia, indipendentemente dalla revocabilità o meno del mandato stesso, sono autonomamente revocabili gli atti solutori conseguiti all'esecuzione del mandato (Cass. 23 luglio 1997 n. 6882). E, con riguardo ai bonifici, l'accredito, da parte di una banca, in un conto corrente assistito da apertura di credito, di somme rimesse da terzi o provenienti da distinta posizione debitoria dell'istituto di credito, costituisce un'operazione che, salvo patto contrario, s'inserisce nell'ambito dell'unitario complesso rapporto di conto corrente e non realizza un'obbligazione autonoma della banca di rimettere al cliente le somme riscosse, suscettibile di compensazione legale con il saldo passivo, in quanto determina una semplice variazione quantitativa del debito del correntista, la quale può configurare, secondo le circostanze, o un atto ripristinatorio della disponibilità del correntista medesimo, ovvero un atto direttamente solutorio del debito di questi, risultante dal saldo contabile (Cass. sent. 23 aprile 1987 n. 3919). In conclusione i ricorsi devono essere rigettati.
Stante la reciproca soccombenza, si ravvisano giusti motivi per la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

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