Cass. pen., sez. V, ordinanza 25/06/2018, n. 29243
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Testo completo
la seguente ORDINANZA sul ricorso proposto da: C D, nato il 17/05/1983 a Venaria Reale avverso la sentenza del 12/02/2018 della Corte di Appello di Torino visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;udita la relazione svolta dal Consigliere GIUSEPPE RICCARDI. RITENUTO IN FATTO 1. C D ricorre per cassazione avverso la sentenza emessa ex art. 599 bis cod. proc. pen. il 12/02/2018 con la quale la Corte di Appello di Torino lo ha condannato alla pena di mesi undici di reclusione ed C 400,00 di multa per il reato di cui all'art. 624 bis cod. pen., previa rinuncia concordata ai motivi di appello. Deduce il vizio di motivazione, non avendo la sentenza motivato sulla assenza di cause di non punibilità ex art. 129 cod. proc. pen. . CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è inammissibile perché propone motivi non consentiti dalla legge, e perché è generico, non deducendo quale sarebbe la causa di proscioglimento non valutata. L'art. 599-bis, comma 1, cod. proc. pen., introdotto dalla legge n. 103 del 23 giugno 2017, dispone che la Corte di appello provvede in camera di consiglio anche quando le parti, nelle forme previste dall'articolo 589 dello stesso codice, ne fanno richiesta dichiarando di concordare sull'accoglimento, in tutto o in parte, dei motivi di appello, con rinuncia agli altri eventuali motivi. Se i motivi dei quali viene chiesto l'accoglimento comportano una nuova determinazione della pena, il pubblico ministero, l'imputato e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria indicano al giudice anche la pena sulla quale sono d'accordo. In seguito alla reintroduzione del c.d. patteggíamento in appello, dunque, deve ritenersi nuovamente applicabile il principio - elaborato dalla giurisprudenza di legittimità nel vigore del similare istituto previsto dell'art. 599, comma 4, cod. proc. pen. e successivamente abrogato dal decreto legge n. 92 del 2008 - secondo cui il giudice d'appello, nell'accogliere la richiesta di pena concordata, a causa dell'effetto devolutivo, una volta che l'imputato abbia rinunciato ai motivi d'impugnazione, limita la sua cognizione ai motivi non rinunciati;e non è neppure tenuto a motivare sul mancato proscioglimento per taluna delle cause previste dall'art. 129 cod. proc. pen., in considerazione della radicale diversità tra l'istituto dell'applicazione della pena su richiesta delle parti e l'istituto in esame, prima disciplinato dal citato art. 599 cod. proc. pen. (tra le altre Sez. 6, n. 35108 del 08/05/2003, Zardini, Rv. 226707;Sez. 5, n. 3391 del 15/10/2009, dep. 2010, Camassa, Rv. 245919);determinando, invero, la rinuncia ai motivi una preclusione processuale che impedisce al giudice di prendere cognizione di quanto deve ormai ritenersi non essergli devoluto (non solo in punto di affermazione di responsabilità). Ne consegue che è inammissibile il ricorso per cassazione relativo a questioni, anche rilevabili d'ufficio, alle quali l'interessato abbia rinunciato in funzione dell'accordo sulla pena in appello, in quanto il potere dispositivo riconosciuto alla parte, oggi dall'art. 599-bis cod. proc. pen., non solo limita la cognizione del giudice di secondo grado, ma ha effetti preclusivi sull'intero svolgimento processuale, ivi compreso il giudizio di legittimità, analogamente a quanto avviene nella rinuncia all'impugnazione (Sez. 4, n. 53565 del 27/09/2017, Ferro, Rv. 271258).Nel caso in esame, la rinuncia ai motivi di appello concernenti l'an della responsabilità penale ha determinato una preclusione processuale, e la conseguente inammissibilità del ricorso per cassazione avente ad oggetto il relativo punto. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e la corresponsione di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende, somma che, in ragione della pretestuosità del ricorso, si ritiene equo determinare in Euro 4.000,00.
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