Cass. civ., SS.UU., sentenza 18/11/2010, n. 23287

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Nel procedimento disciplinare a carico degli avvocati trovano applicazione, quanto alla procedura, le norme particolari che, per ogni singolo istituto, sono dettate dalla legge professionale e, in mancanza, in via integrativa quelle del codice di procedura civile, mentre le norme del codice di procedura penale si applicano soltanto nelle ipotesi in cui la legge professionale faccia espresso rinvio ad esse, ovvero allorché sorga la necessità di applicare istituti che hanno il loro regolamento esclusivamente nel codice di procedura penale; pertanto, disponendo specificatamente la legge professionale quanto alla competenza territoriale disciplinare (art. 38 r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578; art. 1 del d. lgs. C.p.S. 28 maggio 1947, n. 597) relativamente all'avvocato componente del Consiglio dell'ordine, non è possibile procedere né all'applicazione delle norme del processo civile sulla modificazione della competenza per ragioni di connessione, né, a maggior ragione, di quelle della procedura penale.

Nei procedimenti disciplinari a carico degli avvocati, la concreta individuazione delle condotte costituenti illecito, definite dalla legge mediante una clausola generale (mancanze nell'esercizio della professione o, comunque, fatti non conformi alla dignità e al decoro professionale), è rimessa alla valutazione dell'Ordine professionale ed il controllo di legittimità sull'applicazione di tali criteri non consente alla Corte di cassazione di sostituirsi al Consiglio nazionale forense nell'enunciazione di ipotesi di illecito, se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza. Tale valutazione non riguarda la motivazione del fatto storico, bensì la sussunzione dell'ipotesi specifica nella norma generale, quale sua concretizzazione, sicché il sindacato rimesso alla Corte è su un vizio di violazione di legge, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., e non già su un vizio di motivazione, di cui al n. 5 del medesimo articolo.

In tema di illeciti disciplinari riguardanti gli avvocati, mentre è da ritenere legittima la pubblicità informativa dell'attività professionale finalizzata all'acquisizione della clientela, la medesima è sanzionabile disciplinarmente - ai sensi dell'art. 38 del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, e degli artt. 17 e 17-bis del codice deontologico forense - ove venga svolta con modalità lesive del decoro e della dignità della professione. (Nella specie, le S.U. hanno confermato, "in parte qua", la sentenza del C.N.F. che aveva irrogato la sanzione della censura a carico di due avvocati che avevano aperto uno studio sulla pubblica via con la suggestiva insegna "A.L.T. - assistenza legale per tutti - prima consulenza gratuita").

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., SS.UU., sentenza 18/11/2010, n. 23287
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 23287
Data del deposito : 18 novembre 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VITTORIA Paolo - Primo Presidente f.f. -
Dott. PROTO Vincenzo - Presidente sezione -
Dott. D'ALONZO Michele - Presidente sezione -
Dott. GOLDONI Umberto - Consigliere -
Dott. SALMÈ Giuseppe - Consigliere -
Dott. SEGRETO Antonio - Consigliere -
Dott. TOFFOLI Saverio - rel. Consigliere -
Dott. MAZZACANE Vincenzo - Consigliere -
Dott. TRAVAGLINO Giacomo - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 9075-2010 proposto da:
SS CE, elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO TRIESTE 150, presso lo studio dell'avvocato ARMANDOLA ROBERTO, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati PRINCIPI EMANUELE, JACOPO PENSA, per delega a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro
CONSIGLIO DELL'ORDINE DEGLI AVVOCATI DI BRESCIA, in persona del Presidente pro-tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BOEZIO, 14, presso lo studio degli avvocati SCOGNAMIGLIO GIULIANA, LIBERTINI MARIO, che lo rappresentano e difendono, per delega a margine del controricorso;

- controricorrente -

e contro
CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE;

- intimati -

sul ricorso 10603-2010 proposto da:
MI ST MO, elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO TRIESTE 150, presso lo studio degli avvocati MARZANO RENATA, ARMANDOLA ROBERTO, rappresentato e difeso dall'avvocato PANTANO PASQUALE, per delega in calce al ricorso;

- ricorrente -

contro
CONSIGLIO DELL'ORDINE DEGLI AVVOCATI DI BRESCIA, in persona del Presidente pro-tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BOEZIO 14, presso lo studio degli avvocati SCOGNAMIGLIO GIULIANA, LIBERTINI MARIO, che lo rappresentano e difendono unitamente all'avvocato VACCARELLA ROMANO, per delega a margine del controricorso;

- controricorrente -

e contro
CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;

- intimati -

avverso la decisione n. 183/2009 del CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, depositata il 21/12/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/10/2010 dal Consigliere Dott. ANTONIO SEGRETO;

uditi gli avvocati Emanuele PRINCIPI, Roberto ARMANDOLA, Jacopo PENSA, Romano VACCARELLA, Pasquale PANTANO, Mario LIBERTINI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CENICCOLA RAFFAELE, che ha concluso per il rigetto del ricorso Passerini, accoglimento del primo motivo, assorbiti gli altri motivi del ricorso Caminotto.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L'avv. Adolfo Laviani trasmetteva al Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Milano 2 articoli di giornali nei quali si riferiva dell'iniziativa degli avvocati Cristiano Cominotto e Passerini Francesca, che avevano aperto uno studio legale in Milano "simile a qualsiasi attività commerciale" sotto la insegna "A.L.T. ovvero Assistenza legale per tutti". Il Consiglio dell'Ordine di Milano trasmetteva gli atti per competenza a quello di Brescia, poiché l'avv. Passerini era consigliere dell'Ordine di Milano. Il Consiglio dell'ordine di Brescia iniziava procedimento disciplinare nei confronti dei due avvocati per avere gli stessi, al fine di acquisire rapporti di clientela, posto in essere una condotta non conforme a correttezza e decoro, consistita nell'avere aperto in *Milano*, sotto la suggestiva insegna "A.L.T. Assistenza legale per tutti", un ufficio direttamente affacciato sulla pubblica via, alla cui porta di ingresso era applicata una scritta a caratteri vistosi, recante l'indicazione "Prima consulenza gratuita". Il Consiglio, esclusa ogni responsabilità per l'uso di ambienti diversi da quelli tradizionali, riteneva l'illecito disciplinare nell'uso dell'acronimo ALT, suggestivo come invito a fermarsi, nonché per l'utilizzo dello slogan "assistenza per tutti" e per quello "prima consulenza gratuita";
quindi irrogava la sanzione della censura.
Il Consiglio Nazionale Forense, adito dagli avv.ti Cominotto Cristiano e Francesca Passerini, con decisione del 10.12.2009, rigettava i ricorsi.
Riteneva il CNF che gli slogans usati, avevano solo funzione di pubblicità suggestiva ed emozionale e non informativa dei possibili clienti, finalizzata a realizzare un vantaggio competitivo dei due incolpati nell'acquisizione della clientela e non informativa della professionalità e dei settori di esercizio dello studio legale, per cui sussisteva la lesione del decoro e della dignità della professione.
Avverso questa decisione hanno proposto separati ricorsi per Cassazione gli incolpati.
Resiste con separati controricorsi il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Brescia.
Tutte le parti hanno presentato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente vanno riuniti i ricorsi.
Va, quindi, esaminato il ricorso proposto dall'avv. Cominotto Cristiano Massimo.
Questi con il primo motivo di ricorso lamenta la violazione dell'art. 38 L. prof., e, quindi, l'incompetenza territoriale del Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Brescia (eccezione tempestivamente proposta), assumendo che erroneamente la decisione impugnata abbia ritenuto sussistente tale competenza per effetto della connessione del procedimento a carico del Cominotto con quello a carico della Passerini, non operando tale figura nel procedimento disciplinare. A tal fine il ricorrente si riporta ad una decisione del 1996 del CNF, in contrasto con quella del 2001 richiamata nel provvedimento
impugnato.

2. Il motivo è fondato.
Osserva preliminarmente questa Corte che nella giurisprudenza del Consiglio Nazionale Forense vi è contrasto sull'applicabilità della connessione da cumulo soggettivo (nell'ipotesi che si proceda contro due o più iscritti all'ordine) ai fini della determinazione della competenza territoriale.
Secondo un orientamento più risalente, fatto proprio dal ricorrente, la competenza territoriale disciplinare è determinata dal luogo dell'iscrizione dell'incolpato ovvero dal luogo in cui si sono verificati i fatti oggetto di incolpazione. Non sono invece applicabili ai procedimenti disciplinari ne' il principio della connessione oggettiva proprio del processo penale (perché non richiamato dalla normativa disciplinare), ne' le regole sulla competenza per ragioni di connessione previste nel processo civile, in quanto ogni procedimento disciplinare deve ritenersi autonomo rispetto a quello contro altri incolpati (Cons. Naz. Forense 06-11- 1996, n. 151). Secondo altro orientamento, fatto proprio dalla decisione impugnata, la competenza territoriale disciplinare è determinata dal luogo dell'iscrizione dell'incolpato, ovvero dal luogo in cui si sono verificati i fatti oggetto di incolpazione, secondo il principio della prevenzione, e la competenza è attribuita al C.d.O. che per primo abbia dato inizio al procedimento. Tale competenza può essere derogata, in caso di connessione di illeciti disciplinari consumati da più iscritti, sulla base dei principi in tema di cumulo soggettivo fissati dal codice di procedura civile (Cons. Naz. Forense 13-07-2001, n. 159).

3.1. Osserva preliminarmente questa Corte (riportandosi ad un principio già espresso, per quanto risalente, di queste S.U. sent. 13/04/1981, n. 2176) che, data anche la natura amministrativa della fase procedimentale davanti al Consiglio dell'Ordine Locale, nei procedimenti disciplinari a carico di avvocati e procuratori, si devono seguire, quanto alla procedura, le norme particolari che sono dettate dalla legge professionale per ogni singolo istituto ovvero, qualora manchino disposizioni specifiche si deve far ricorso alle norme del codice di procedura civile. Trovano applicazione le norme del codice di procedura penale invece, quando la legge professionale ne faccia espresso rinvio ovvero quando siano da applicare istituti, quali l'amnistia e l'indulto, che trovano la loro regolamentazione solo in detto codice.

3.2. Il R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 38 statuisce, per quanto qui interessa, che: "Salvo quanto è stabilito negli artt. 130, 131 e 132 c.p.p. e salve le disposizioni relative alla polizia delle udienze,
gli avvocati ed i procuratori che si rendano colpevoli di abusi o mancanze nell'esercizio della loro professione o comunque di fatti non conformi alla dignità e al decoro professionale sono sottoposti a procedimento disciplinare.
La competenza a procedere disciplinarmente appartiene tanto al Consiglio dell'ordine che ha la custodia dell'albo in cui il professionista è iscritto, quanto al Consiglio nella giurisdizione del quale è avvenuto il fatto per cui si procede: ed è determinata, volta per volta, dalla prevenzione. Il Consiglio dell'ordine che ha la custodia dell'albo nel quale il professionista è iscritto è tenuto a dare esecuzione alla deliberazione dell'altro Consiglio". Il D.Lgt.C.P.S. n. 597 del 1947, art. 1 statuisce che "La competenza a procedere disciplinarmente in confronto dell'avvocato o del procuratore che è componente del Consiglio dell'ordine, appartiene al

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