Cass. pen., sez. III, sentenza 09/01/2023, n. 00218
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la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da R A, nato a Brindisi il 01/10/1985 avverso l'ordinanza in data 05/08/2022 del Tribunale di Lecce visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;udita la relazione svolta dal consigliere A C;udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale V M, che ha concluso per il rigetto del ricorso;udito l'avvocato L M, difensore di fiducia del ricorrente, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza emessa in data 5 agosto 2022, e depositata il 16 settembre 2022, il Tribunale di Lecce, pronunciando in materia di misure cautelari personali, ha respinto l'istanza di riesame avverso il provvedimento con il quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecce ha applicato / /1( ad A R la custodia in carcere. La misura cautelare nei confronti di A R è stata disposta in ordine al reato di partecipazione ad un'associazione criminale dedita al narcotraffico, operante in Brindisi da maggio 2018 a febbraio 2020 ed in permanenza. 2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso l'ordinanza del Tribunale indicata in epigrafe A R, con atto sottoscritto dall'avvocato L M, articolando tre motivi. 2.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all'art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 ed agli artt. 125, comma 3, 292, comma 1, lett. c), 273 e 649 cod. proc. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza. Si deduce che l'ordinanza impugnata illegittimamente ha applicato la misura cautelare con riferimento ad un fatto per il quale è già in corso altro e distinto procedimento, in relazione al quale, in data 9 luglio 2021, è stata già pronunciata sentenza di condanna in primo grado nei confronti dell'attuale ricorrente. Si premette che, nel processo definito in primo grado, la partecipazione all'associazione finalizzata al narcotraffico nota con il nome "clan Romano-Coffa" è contestata da febbraio 2018 ad aprile 2018, mentre, nell'ordinanza cautelare di cui si discute, la condotta di cui all'art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, sempre riferita a gruppo denominato "clan Romano-Coffa", è contestata da maggio 2018 a febbraio 2020. Si osserva, poi, che: -) l'unico elemento indiziario nel presente procedimento è costituito da una conversazione tra l'attuale ricorrente e A C, durante la quale la donna, avendo appreso dell'avvenuto arresto in flagranza dell'interlocutore, gli chiede: «i cazzi nostri li hai cancellati?», ottenendo in risposta: «sì, no, a posto a posto», dalla quale, però, non è desumibile alcun ruolo dell'uomo nell'illecito sodalizio;-) le altre conversazioni possono al più far ritenere il possesso di droga presso la propria abitazione da parte dell'attuale ricorrente;-) le dichiarazioni di A C e Annarita Coffa, divenute nel frattempo collaboratrici di giustizia, escludono legami di tipo associativo con il loro gruppo del ricorrente, e indicano lo stesso come uno spacciare in proprio. Si rileva, quindi, che la condotta contestata nell'altro procedimento, in difetto di elementi da cui inferire la cessazione della permanenza della partecipazione dell'attuale ricorrente nel associazione finalizzata al narcotraffico "clan Romano-Coffa", deve ritenersi conclusa solo in data 9 luglio 2021, per effetto della pronuncia della sentenza di condanna in primo grado;sicché, è indebito il frazionamento della condotta associativa ritenuto nell'ordinanza genetica della misura cautelare confermata dal 4 provvedimento impugnato, e tale provvedimento deve ritenersi in violazione del divieto di bis in idem, come tale da caducare. Si aggiunge che la censura concernente la violazione del divieto di bis in idem, nella specie, è ulteriormente avvalorata dal contenuto della sentenza del 9 luglio 2021, la quale ha valorizzato anche elementi indiziari relativi a fatti successivi al periodo febbraio 2018/aprile 2018, formalmente oggetto dell'imputazione valutata in quella sede. 2.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all'art. 297, comma 3, cod. proc. pen., a norma dell'art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., avendo riguardo alla ritenuta esclusione dell'ipotesi della contestazione a catena. Si deduce che l'ordinanza impugnata illegittimamente ha escluso la retrodatazione dell'ordinanza genetica della misura confermata dal provvedimento impugnato alla data di emissione dell'ordinanza adottata nel procedimento definito in primo grado con sentenza del 9 luglio 2021. Si premette che il Pubblico Ministero ha riunito i procedimenti relativi all'associazione denominata "clan Romano-Coffa" e indicato come periodo rilevante quello «da novembre 2014 a febbraio 2020». Si osserva, innanzitutto, che i fatti ascritti all'odierno ricorrente nelle due ordinanze cautelari debbono ritenersi contestati nell'ambito dello «stesso procedimento», in quanto la separazione dei fascicoli è solo formale, essendo stata disposta dal medesimo ufficio del Pubblico Ministero, e l'iscrizione nei confronti dell'indagato in questione è avvenuta nel 2019. Si conclude che, trattandosi di fatti contestati nell'ambito dello «stesso procedimento», la retrodatazione della misura confermata dall'ordinanza impugnata dovrebbe operare senza ulteriori accertamenti. Si rileva, inoltre, che, se anche si volesse ritenere i fatti ascritti all'attuale ricorrente nelle due ordinanze cautelari come oggetto di due distinti procedimenti, sussisterebbe comunque la connessione tra gli stessi, in quanto riferiti alla medesima associazione finalizzata al narcotraffico, ed in streka prosecuzione temporale, con conseguente applicazione, allo stesso modo, della regola della retrodatazione. Si segnala, specificamente, che non può condividersi l'osservazione dell'ordinanza impugnata secondoVi fatti da essa valutati sono successivi alla data di emissione della prima ordinanza, perché non assume alcun significato la condotta di rassicurazione telefonica ad A C di aver cancellato tutti i dati "pericolosi" per il sodalizio. Si aggiunge, infine, che la desumibilità dagli atti degli indizi relativi ai fatti oggetto della seconda ordinanza si evince dall'attività di direzione di entrambe le indagini da parte dello stesso ufficio del Pubblico Ministero.
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