Cass. pen., sez. III, sentenza 30/12/2021, n. 47300
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la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da B P, nato ad Ischia il 4.4.1944 B A, nato ad Ischia il 19.7.1939 avverso la ordinanza in data 3.6.2021 del Tribunale di Napoli-Sezione distaccata di Ischia visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;udita la relazione svolta dal consigliere D G;lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. G D L, che ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso RITENUTO IN FATTO 1.Con ordinanza in data 3.6.2021 il Tribunale di Napoli-Sez. distaccata di Ischia, adito con incidente di esecuzione, ha rigettato la richiesta, formulata da P ed A B, succedutisi nella veste di legali rappresentanti della Mary Garden s.r.I., di revoca dell'ordine di demolizione, accessorio alla sentenza di patteggiamento emessa nei confronti del primo per reati edilizi in data 15.11.2002 e diventata irrevocabile, in relazione alle opere realizzate in assenza di titolo abilitativo all'interno del complesso alberghiero di proprietà della Mary Garden. A fondamento del diniego/ il G.E. ha ritenuto l'illegittimità sostanziale del provvedimento di sanatoria rilasciato dal Comune in data 29.12.2017, in accoglimento della domanda di condono inoltrata dagli istanti ai sensi della L. 724/1994, sia perché la data di ultimazione dei lavori, accertata con la sentenza passata in giudicato, risultava il 3.4.2001 e dunque ampiamente successiva a quella del 31.12.1993 valevole per il conseguimento del condono del 1994, sia perché i lavori eseguiti in ampliamento dell'immobile preesistente erano ampiamente superiori al limite di cubatura di 750 mc previsto dall'art. 39, primo comma della legge regolatrice il condono, non arginabile con la presentazione di due separate domande riguardanti il medesimo immobile. 2. Avverso il suddetto provvedimento gli istanti hanno congiuntamente proposto, per il tramite dei propri difensori, ricorso per cassazione articolando quattro motivi di seguito riprodotti nei limiti di cui all'art. 173 disp.att. cod.proc.pen.. 2.1. Con il primo motivo censurano, in relazione al vizio di violazione di legge riferito agli artt. 39 e 43 L. 724/1994 e al vizio di manifesta illogicità motivazionale, l'elusione del limite di cubatura di 750 mc, deducendo che ai sensi della circolare del Ministero LL. PP. Del 17.6.1995 esplicativa dei criteri di applicazione della sanatoria, il limite volumetrico per la sua ammissibilità riguarda le sole costruzioni abusive a carattere residenziale, per le quali non sono suscettibili di definizione agevolata gli abusi superiori a 750 mc, ovvero al 30 per cento della costruzione originaria anche se superiore a detto limite, e non quelle destinate ad altri usi, come desumibile dall'art. 39, sedicesimo comnfla i che stabilisce che "anche in deroga ai limiti di cubatura di cui al primo comma del presente articolo", continuano ad applicarsi le riduzioni di cui al settimo comma dell'art.34 della legge 47/1985, relativo alle modalità di calcolo dell'importo dell'oblazione per gli immobili non residenziali in rapporto alla loro superficie o alla loro destinazione, e cioè agli immobili: industriali e artigianali (ivi inclusi gli immobili funzione direzionale);commerciali;a carattere sportivo, culturale o sanitario, religioso o di culto (dove l'ulteriore riduzione è stata portata al 50 per cento);turistico-ricettive, agrituristiche;realizzati in zone agricole per la conduzione del fondo". Deducono pertanto che, attenendo le opere in questione ad un immobile con destinazione turistico ricettiva occupanti una superficie utile complessiva di 303 mq. ed un volume di 933 mc., con un aumento di appena il 13,64% della volumetria originaria, la domanda di condono doveva ritenersi pienamente ammissibile in quanto riferita ad immobile con destinazione non residenziale per il quale è inoperante il limite volumetrico dei 750 mc. Assumono)altres91 travisamento del fatto in ordine alla ritenuta insussistenza del requisito temporale di ultimazione delle opere, collimando, secondo il giudice dell'esecuzione, il completamento dei lavori - intesi come esecuzione del rustico e completamento della copertura - con la data del 3.4.2001 accertata, in difetto di differenti risultanze fornite dalla difesa, dalla sentenza passata in giudicato, e perciò ampiamente successiva alla data del 31.12.1993 fissata quale termine ultimo per il rilascio del condono disciplinato dalla L. n. 724/1994. Sostengono, invece, i ricorrenti che avendo presentato al Comune, ai fini della prova relativa all'epoca di ultimazione delle opere, una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, a fronte di tale atto, configurante un elemento di presunzione relativa consentito dalla stessa legge sul condono, l'onere di dimostrare la falsità del relativo assunto si era riversato sull'ente locale, il quale non lo aveva tuttavia mai contestato, onde la data del 31.12.1993 doveva ritenersi debitamente comprovata. 2.2. Con il secondo motivo deducono la violazione del divieto del ne bis in idem in relazione agli effetti prodotti nell'ordinamento interno dalla sentenza della Corte EDU nel procedimento Grande Stevens c. Italia del 4.3.2014, fondata sul rilievo che l'ordinamento nazionale non prevede adeguate forme di coordinamento tra il procedimento amministrativo e quello penale configurando l'ordine demolitorio amministrativo e penale una duplicazione del medesimo istituto. Rilevano al riguardo, traendo spunto dalla pronuncia delle Sezioni unite del 1987 Brum, che è all'autorità comunale che è riservata l'adozione del provvedimento di ripristino dello stato dei luoghi, nel quale è compreso l'ordine demolitorio del fabbricato abusivo, laddove il giudice penale interviene solo a fronte dell'inerzia delle competenti autorità amministrative e dunque svolgendo un'attività di supplenza rispetto a queste ultime. Nel considerare la successiva evoluzione giurisprudenziale che ha chiarito che sono, invece, motivi di economia processuale ad attribuire all'autorità giudiziaria il potere-dovere di ordinare la demolizione così da rendere ineludibile ab externo la tutela dell'assetto del territorio e prefigurare un chiaro deterrente alla realizzazione dell'illecito urbanistico, afferma la difesa che è la sanzione demolitoria attribuita all'ente comunale a rivestire carattere penale attesa la natura pubblicistica degli interessi tutelati, la finalità repressiva tramite la stessa perseguita e la sua severità, connotati questi resi evidenti dalla maggior gravità delle conseguenze derivanti dalla sua mancata esecuzione rispetto all'ordine impartito dal giudice penale ai sensi dell'art. 31 d.P.R. 380/2001: è sufficiente al riguardo considerare che mentre l'inottemperanza all'ordine giudiziale comporta la sola distruzione fisica del bene abusivo, quella all'ordine del Comune determina l'automatica acquisizione al patrimonio comunale non solo del manufatto, ma altresì della relativa area di sedime, nonché il pagamento da parte del contravventore di una sanzione pecuniaria di notevole entità, pari nel massimo a 20.000 euro, peraltro aumentabile e reiterabile dalle Regioni a statuto ordinario, così come prevista dal nuovo comma 4-bis dell'art. 31 citato. Si ribadisce inoltre la illegittimità costituzionale dell'art. 649 cod. proc. pen. nella parte in cui non prevede l'applicabilità del divieto di un secondo giudizio al caso in cui l'imputato sia risultato destinatario nell'ambito del procedimento amministrativo di un provvedimento definitivo volto all'applicazione della sanzione demolitoria alla quale deve riconoscersi natura penale ai sensi della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali.
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