Corte d'Appello Milano, sentenza 04/06/2024, n. 536
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Testo completo
Sentenza n. 536/2024
N. R.G. 979/2023
REPUBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La CORTE D'APPELLO di MILANO
Sezione Lavoro nelle persone dei seguenti magistrati:
dott.ssa S M R Presidente est. dott.ssa M R C Consigliera dott. A T Giudice Ausiliario
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Nella causa civile in grado di appello avverso la sentenza n.373/2023 del Tribunale di Milano
-sezione lavoro- est dr.ssa M, pubblicata il 3.04.2023, promossa da:
con l'avv. ARTURO MARESCA e l'avv. MARCELLO Parte_1
B, elettivamente domiciliata presso lo studio dell'Avv. A B in
Milano, Via Gustavo Modena, n.
3. contro
Controparte_1
, con l'avv. D B e presso il medesimo
[...] elettivamente domiciliato in Roma alla via Paulucci Fulcieri de' Calboli n. 5,
I procuratori delle parti, come sopra costituiti, così precisavano le
CONCLUSIONI:
Per la parte APPELLANTE:
Voglia l'Ecc.ma Corte, disattesa ogni contraria istanza e richiesta, riformare, per i motivi esposti, la sentenza del Tribunale di Milano n. 373/2023, emessa nella causa R.G. 419/2022, depositata in data 03.04.2023, respingendo il ricorso proposto in primo grado dall' , CP_1
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eventualmente previa sospensione della provvisoria esecuzione della sentenza impugnata, nonché sospensione o differimento del presente giudizio in attesa che la Corte Costituzionale si pronunci sulla questione di legittimità costituzionale, con riguardo agli artt. 3, e 36 della
Costituzione, dell'art. 13 della legge 20 marzo 1975 n.70, nella parte in cui non consente di considerare, nella base di calcolo dell'indennità di anzianità, la cd. “quota onorari” di cui all'art. 26, co.4, della stessa legge, sollevata dal Tribunale di Roma (cfr. ordinanza del
05.04.2023, all. 5).
Con vittoria di spese del doppio grado di giudizio
Per la PARTE APPELLATA
CHIEDE che l'Ill.ma Corte di Appello di Roma, disattesa ogni diversa istanza e domanda, respinga l'istanza cautelare e nel merito rigetti l'appello, confermando la sentenza di primo grado.
Con il favore delle spese di lite secondo Dm 55/14 e ss.mm.ii.
MOTIVI DELLA DECISIONE
In fatto e in diritto
Con la sentenza n. 373/2023 il Tribunale di Milano, sezione lavoro, ha accolto il ricorso proposto dall' , che agiva per ottenere la restituzione di una quota del complessivo TFS CP_1
erogato in ragione dell'errata considerazione – nel c.d. stipendio complessivo annuo – della voce “onorari legali e compensi professionali”, contro l'avv. condannando la Pt_1 medesima a restituire all' la somma complessiva di € 298.651,74, con compensazione CP_1
integrale delle spese di lite.
L'avv. aveva prestato la propria attività lavorativa alle dipendenze di come Pt_1 CP_1 avvocato dal 15/06/1974 sino al 31/1/2014. Una volta cessato il rapporto di lavoro l' CP_1
aveva provveduto a liquidare all'odierna appellante il trattamento di fine servizio (TFS) ripartendolo in tre distinte rate, nel provvedimento di liquidazione è stato precisato che “la quota del trattamento di fine servizio, corrispondente alle voci “onorari legali e compensi professionali” sarebbe stata “corrisposta con riserva di ripetizione ai sensi della circolare n. 66 del 22/9/2004”.
Alla luce di quanto stabilito dalla Suprema Corte con la sentenza n. 7158 del 2010, secondo cui “in tema di base di calcolo del trattamento di quiescenza o di fine rapporto spettante ai dipendenti degli enti pubblici del c.d. parastato, l'art. 13 della legge 20 marzo 1975, n. 70,
[…]detta una disciplina […] non derogabile neanche in senso più favorevole ai dipendenti,
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costituita dalla previsione di un'indennità di anzianità pari a tanti dodicesimi dello stipendio annuo in godimento quanti sono gli anni di servizio prestato.[…] Il riferimento quale base di calcolo allo stipendio complessivo annuo ha valenza tecnico-giuridica, sicché deve ritenersi esclusa la computabilità di voci retributive diverse dallo stipendio tabellare e dalla sua integrazione mediante scatti di anzianità o componenti retributive similari…”, aveva CP_1
proceduto alla riliquidazione del trattamento di fine rapporto, con esclusione delle voci accessorie “onorari legali e compensi professionali” originariamente previste.
L' ha pertanto richiesto all'avv. la restituzione di una somma ari ad € CP_1 Pt_1
298.651,74.
Il Tribunale nell'accogliere il ricorso ha richiamato la giurisprudenza di legittimità consolidatosi a partire dalla sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite 25 marzo
2010 n. 7158, secondo cui “in tema di base di calcolo del trattamento di quiescenza o di fine rapporto spettante ai dipendenti degli enti pubblici del c.d. parastato, l'art. 13 legge 20 marzo 1975 n. 70 detta una disciplina non derogabile neanche in senso più favorevole ai dipendenti, costituita dalla previsione di un'indennità di anzianità pari a tanti dodicesimi dello stipendio annuo in godimento quanti sono gli anni di servizio prestato, lasciando all'autonomia regolamentare dei singoli enti solo l'eventuale disciplina della facoltà per il dipendente di riscattare, a totale suo carico, periodi diversi da quelli di effettivo servizio, con la precisazione che il riferimento, quale base di calcolo, allo stipendio complessivo annuo ha valenza tecnico-giuridica, sicché deve ritenersi esclusa la computabilità di voci retributive diverse dallo stipendio tabellare e dalla sua integrazione mediante scatti di anzianità o componenti retributive similari e devono ritenersi abrogate o illegittime, e comunque non applicabili, le disposizioni di regolamenti che prevedono, ai fini del trattamento di fine rapporto o di quiescenza comunque denominato, il computo in genere delle competenze a carattere fisso e continuativo”
Ha altresì richiamato la pronuncia del tribunale di Roma n. 7158 del 2010 con cui è stato ribadito che “il riferimento contenuto nel predetto art. 13 legge n. 70/1975, quale base di calcolo, allo “stipendio complessivo annuo” ha valenza tecnico-giuridica, sicché deve ritenersi esclusa la computabilità nella indennità di anzianità di voci retributive diverse dallo stipendio tabellare e dalla sua integrazione mediante scatti di anzianità o componenti retributive similari”.
Il primo giudice non ha accolto la prospettazione di parte resistente secondo cui la persistente applicazione da parte dell' della delibera del C.d.A. n. 407 del 1982 anche dopo la CP_1
decisione delle Sezioni Unite, integrerebbe la prova di una volontà da parte dell'Ente di
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“ratificare” le suddette disposizioni e ciò in forza del potere attribuitogli dalla L. n. 88/89, la quale attribuisce al Consiglio di Amministrazione dell'ente ricorrente il potere di deliberare il
“regolamento di fine servizio del personale […] anche in deroga alle disposizioni di legge n.
70/75”. Sul punto, il giudicante ha osservato che dal fatto che l'ente non abbia deliberato un nuovo regolamento in deroga alla l. n. 70/1975 “non si può desumere la volontà dell'Ente di continuare a dare applicazione alla delibera n.407 del 1981.” Il giudicante ha altresì ritenuto privo di pregio il richiamo all'art 42 del CCNL di settore il quale prevede che: “resta ferma la disciplina in atto presso gli Enti per la determinazione dell'indennità di anzianità ex art.13
Legge n.70/1975”, osservando che la locuzione “disciplina in atto” deve essere riferita alla legge di riassetto del cd. parastato e non alla deliberazione del C.d.A. n.407 del 1982.
Ha inoltre respinto l'argomentazione secondo cui l'atto con il quale l' ha liquidato CP_1
l'importo complessivo della indennità di fine rapporto non avrebbe natura di atto autoritativo suscettibile di annullamento in autotutela, ma bensì natura di atto negoziale unilaterale, annullabile nel rispetto dell'art. 1442 cc, proponendo la relativa azione nel rispetto del termine di 5 anni. Sul punto, ha precisato che la fonte dell'obbligo di pagamento dell'indennità in oggetto è la disposizione di legge prevista dall'art. 13 L. 70/1975 che, così come interpretato dalle SS. UU. della Cassazione 7154/2010, non consente il computo degli onorari;
avendo liquidato l'indennità sulla base del computo anche degli onorari stessi, CP_2 si è venuto a determinare un pagamento indebito ripetibile ai sensi dell'art. 2033 cod. civ. Il giudicante ha precisato che “l'atto di liquidazione dell'indennità non ha natura di atto costitutivo di diritti patrimoniali del dipendente ma è un atto interamente vincolato con un contenuto meramente ricognitivo dei diritti patrimoniali già costituiti e il pagamento nelle previste tre rate è conseguentemente un atto dovuto imposto dalla legge.”
Il primo giudice ha inoltre sottolineato che con la sentenza n. 8 del 2023 la Corte
Costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.
2033 c.c., per contrarietà agli artt. 11 e 117 Cost., in rapporto all'art. 1 del Protocollo 1 alla
CEDU, nella parte in cui, in caso di indebito retributivo erogato da un ente pubblico e di legittimo affidamento del dipendente pubblico percipiente nella definitività dell'attribuzione, consente un'ingerenza non proporzionata nel diritto dell'individuo al rispetto dei suoi beni.
Il giudice di prime cure ha ritenuto pertanto corretto il ricalcolo del trattamento di fine servizio operato dall' sulla base del suddetto orientamento giurisprudenziale, che ha CP_1 comportato l'esclusione dalla base di calcolo delle voci accessorie “onorari legali e compensi professionali” originariamente incluse, evidenziando un saldo negativo pari ad € 298.651,74e ha condannato la sig.ra alla restituzione all' di tale importo. Pt_1 CP_1
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Con atto depositato in data 2/10/2023 la sig.ra ha proposto appello avverso la Pt_1
suddetta sentenza.
Con un primo motivo di appello la signora lamenta la violazione da parte del giudice Pt_1
di prime cure degli artt. 13 e 26 l. 70/1975, per aver escluso che la componente retributiva degli onorari e competenze potesse essere inclusa nello “stipendio annuo complessivo in godimento”. Parte appellante premette che oggetto della controversia