Corte d'Appello Milano, sentenza 02/09/2024, n. 644

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Sul provvedimento

Citazione :
Corte d'Appello Milano, sentenza 02/09/2024, n. 644
Giurisdizione : Corte d'Appello Milano
Numero : 644
Data del deposito : 2 settembre 2024

Testo completo

N. R.G. 947/2023
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE D'APPELLO DI MILANO
Sez. Lavoro
Composta da: dott. G P - Presidente dott. M R C - Consigliere dott. P P - Giudice Ausiliario rel. ha pronunciato la seguente
SENTENZA nella causa civile in grado d'appello avverso la sentenza non definitiva n. 2273/2022 e della sentenza definitiva n. 234/2023 del Tribunale di Milano, estensore dott. C, discussa all'udienza collegiale del 20/6/2024, promossa da:
(C.F. ), con il patrocinio dell'avv. TOSI PAOLO e dell'avv. Parte_1 P.IVA_1 CONTI MARIA GIOVANNA, elettivamente domiciliata in VIA PALEOCAPA, 6 MILANO presso i difensori APPELLANTE CONTRO
(C.F. ), (C.F. Controparte_1 C.F._1 CP_2
), (C.F. ), C.F._2 Controparte_3 C.F._3 CP_4
(C.F. ), (C.F. ,
[...] C.F._4 Controparte_5 C.F._5
(C.F. , (C.F. Controparte_6 C.F._6 Controparte_7
), (C.F. ), C.F._7 Parte_2 C.F._8 Parte_3 (C.F. ), (C.F.
[...] C.F._9 Parte_4
), (C.F. ), C.F._10 Parte_5 C.F._11 Pt_6
(C.F. ), con il patrocinio dell'avv. MALASPINA SERGIO,
[...] C.F._12 elettivamente domiciliati in VIALE REGINA MARGHERITA 30 MILANO presso il difensore APPELLATI
CONCLUSIONI
Per parte appellante: “Voglia questa ecc.ma Corte d'Appello, previa fissazione dell'udienza di discussione: nel merito, in parziale riforma della sentenza non definitiva n. 2273/2022 del 5.12.2022 e della sentenza definitiva n. 234/2023 del 21.3.2023 del Tribunale di Milano respingere tutte le domande avversarie perché infondate in fatto e in diritto, con conseguente condanna degli appellati a restituire tutto quanto percepito in esecuzione della sentenza di primo grado;
in subordine, nell'ipotesi in cui venga confermata la nullità delle clausole contrattuali censurate da controparte, dichiarare altresì la nullità di tutte le clausole relative alle indennità in questione, in ragione della clausola di inscindibilità contenuta negli accordi collettivi, e, per l'effetto, escludere ogni debenza delle relative somme ed accertare la natura indebita di quanto già percepito, oltre alla non incidenza di queste sulla
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retribuzione feriale e, con compensazione tra quanto indebitamente corrisposto e quanto domandato in ricorso, rigettare le domande avversarie;
in ulteriore subordine, limitare la condanna della Società agli importi effettivamente dovuti agli appellati nei limiti della prescrizione quinquennale, con esclusione delle differenze retributive in ipotesi maturate per i periodi anteriori a:
25.5.2016 per il sig. ;
CP_1
15.4.2016 per il sig. ;
CP_2
24.5.2016 per il sig. CP_3


1.3.2016 per il sig. ;
CP_4
29.10.2016 per il sig. CP_5
25.11.2016 per il sig. ;
CP_6


7.11.2014 per il sig. ;
CP_7


3.2.2016 per il sig. Pt_2
11.6.2016 per il sig. Pt_4
13.11.2014 per il sig. ;
Pt_7
16.2.2016 per il sig. ;
Pt_6
e per l'effetto condannare gli appellati alla restituzione di tutto quanto eventualmente percepito in eccesso per esecuzione della sentenza di primo grado.”
Per parte appellata: “Voglia questa ill.ma Corte di Appello:
- rigettare l'appello proposto in quanto infondato in fatto e in diritto per tutti i motivi esposti nella presente memoria;

- per l'effetto, confermare la sentenza non definitiva n. 2273/2022 del 5 dicembre 2022 e della sentenza definitiva n. 234 / 2023 del 21 marzo 2023, emesse dal Tribunale di Milano, Sezione Lavoro, Giudice
Dott.ssa C RGN 1991/2022 non notificate.
- Con vittoria di spese competenze ed onorari, di entrambi i gradi del giudizio, comprensivi delle spese generali ex art. 15 D.M. n. 585/94, con distrazione in favore del sottoscritto difensore anticipatario.”
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il Tribunale di Milano, con la sentenza non definitiva n. 2273/22 ha parzialmente accolto il ricorso dei lavoratori, tutti macchinisti alle dipendenze di , con il quale hanno domandato Parte_1 l'accertamento del loro diritto alla retribuzione di ciascun giorno di ferie con un importo pari alla retribuzione giornaliera complessiva calcolata sulla media dei compensi percepiti da ciascuno nei dodici mesi precedenti la fruizione delle ferie, comprensiva sia della indennità di assenza dalla Part residenza, sia della (detratto l'importo fisso di € 12,80 già riconosciuto), rigettando le domande con riguardo alle residue indennità rivendicate, disponendo la prosecuzione del giudizio per la predisposizione di nuovi conteggi.
Richiamati precedenti di legittimità e di merito e la giurisprudenza europea in materia, il primo giudice ha ritenuto che debbano rientrare nella retribuzione feriale, per renderla paragonabile a quella ordinaria – nella logica teleologica di evitare l'effetto dissuasivo – tutti gli emolumenti che si possono definire intrinsecamente e imprescindibilmente collegati alla esecuzione abituale delle incombenze del lavoratore.
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Rientrano in tale definizione la indennità di utilizzazione professionale (IUP) e l'indennità di assenza dalla residenza, mentre devono essere escluse la indennità di trasferta, lavoro notturno, domenicale e festivo.
Con la sentenza definitiva n. 234/2023, ha ritenuto condivisibili i nuovi conteggi redatti dai lavoratori alla luce della sentenza parziale, essendo corretto l'utilizzo del divisore individuato nei giorni di presenza effettiva nell'anno di maturazione, in luogo del divisore 26, e, rigettata l'eccezione di prescrizione quinquennale, ha condannato al pagamento delle differenze retributiva, per il Parte_1 periodo oggetto di causa (2011 – 2022), nella misura indicata in dispositivo.
Ha proposto appello parziale , con plurimi motivi. Parte_1
Con il primo motivo ha lamentato che la sentenza abbia omesso ogni confronto con le tesi difensive della società e non abbia tenuto in alcuna considerazione la storia e la genesi della “indennità di utilizzazione professionale” (IUP) e del suo confluire nel salario di produttività, pacificamente erogato durante le ferie per importi di circa mille euro l'anno. Inoltre, il primo giudice non ha riservato alcuna attenzione al ruolo della contrattazione collettiva. Con il secondo motivo, richiamata la nozione comunitaria di retribuzione durante le ferie, ha osservato che nel caso di specie il lavoratore dovrebbe dimostrare non solo che le voci variabili richieste costituiscano elementi retributivi intrinsecamente connessi alla natura delle mansioni svolte
o correlati allo status professionale dell'appellato, ma anche che: (a) tali voci non siano state già prese in considerazione dalle parti sociali, al fine di individuare una retribuzione per la giornata di ferie;
(b) il trattamento complessivo comunque reso durante le ferie non sia paragonabile a quello per la giornata ordinaria, secondo una valutazione da effettuare nello specifico settore e in relazione anche al valore degli importi, e quindi, di fatto, si realizzi in concreto un effetto dissuasivo. Con il terzo motivo la società ha dedotto che la “indennità di utilizzazione professionale” (IUP) è già adeguatamente compresa nella retribuzione per ferie. Con il quarto motivo ha rilevato che l'indennità di assenza dalla residenza ha natura indennitaria e non retributiva, tenuto conto del regime fiscale e contributivo applicato.
Con la quinta censura, ha evidenziato come le somme rivendicate e riconosciute in sentenza sia a titolo di “indennità di utilizzazione professionale” sia a titolo di “indennità per assenza dalla residenza” hanno un'incidenza annua irrisoria rispetto alla retribuzione degli appellati, tale da escludere ogni effetto dissuasivo rispetto alla fruizione delle ferie.
Ha poi contestato che nel computo per calcolare la media delle voci richieste come effettivamente percepite nei giorni lavorativi si debba utilizzare l'anno e per valutare l'incidenza del mancato computo delle stesse voci nei giorni di ferie si debba utilizzare il mese. Risulta invece corretto, come ritenuto dalla CDA di Torino, un confronto su base annuale, che consideri sia tutte le giornate lavorative svolte sia tutte le giornate di ferie usufruite, dando conto del reale effetto dissuasivo. Così operando, l'incidenza percentuale risulta alquanto contenuta (si vede per il dettaglio pag. 32 e ss del ricorso in appello).
Ha, poi, insistito nel contestare la quantificazione del dovuto per come calcolata dai lavoratori applicando il divisore 22 o i giorni di effettiva presenza in servizio nel mese, anziché il divisore 26, come previsto dall'art. 68/6 CCNL. Inoltre, da verifiche interne, è risultato che ha fruito di 243 giorni di ferie e non di 258, CP_1 di 268 giorni e non di 276, di 279 giorni e non di 290. In ragione di ciò, a tutto Pt_4 Pt_6 concedere, ed al netto della prescrizione quinquennale, spetterebbero ai lavoratori gli importi indicati
a pag. 36 del ricorso in appello. In ogni caso, la disciplina comunitaria impone quattro settimane di ferie annue con la conseguenza che per i giorni di ferie eccedenti tale periodo i principi comunitari non sono invocabili. Nel caso di specie, essendo l'orario di lavoro articolato su cinque giorni, il godimento di quattro settimane comporta l'utilizzo di soli 20 giorni di ferie.
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Con il sesto motivo ha lamentato la omessa pronuncia circa la eccezione di applicazione della clausola di inscindibilità contenuta nel CCNL di riferimento, secondo la quale le norme del contratto sono correlate, inscindibili ed esigibili, sicchè la declaratoria di nullità di una clausola non può che determinare la nullità anche di tutte le altre norme che disciplinano le indennità in questione, e conseguentemente va esclusa la spettanza in generale di tali indennità, e la domanda resta assorbita dagli importi dovuti in restituzione dal lavoratore per la indebita corresponsione delle somme previste dalla normativa travolta dalla nullità. Infine, ha censurato la sentenza per aver rigettato l'eccezione di prescrizione quinquennale, argomentando a confutazione della pronuncia di legittimità n. 26246/22 intervenuta sul tema della decorrenza del termine estintivo in costanza di rapporto successivamente alla riforma introdotta dal
c.d. job acts.
Hanno resistito i lavoratori, difendendo la sentenza, insistendo per il rigetto del gravame.
Disposta CTU per determinare il numero di giorni di ferie per i tre lavoratori per il quali Parte_1 aveva contestato i conteggi depositati dagli appellati, la causa è stata discussa all'udienza del 20 giugno 2024 e decisa come da dispositivo trascritto in calce.
* * * L'appello non è fondato e deve essere rigettato.
La questione controversa è stata oggetto di numerose pronunce di questa Corte territoriale (tra le tante, n. 1470/2021, n. 397/2022, n. 432/2022, n. 812/2022, n. 814/2022), e da ultimo è recentemente intervenuta la Corte di Cassazione con le sentenze nn. 13932 e 13972/2024, che hanno confermato le pronunce di questa Corte n. 1470/2021 e n. 966/2022, le cui motivazioni si richiamano ai sensi dell'art. 118 disp. att. c.p.c., trattandosi di fattispecie del tutto sovrapponibile alla presente, in relazione ai primi cinque motivi di gravame. In particolare, i giudici di legittimità hanno affermato (sent. n. 13972/2024, in cui i lavoratori, come nel caso in esame, erano inquadrati come macchinisti): “Occorre premettere che la nozione di retribuzione da applicare durante il periodo di godimento delle ferie è fortemente influenzata dalla interpretazione data dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea la quale, sin dalla sentenza
del 2006, ha precisato che con l'espressione "ferie annuali retribuite" contenuta Persona_1 nell'art. 7, nr. 1, della direttiva nr. 88 del 2003 si vuole fare riferimento al fatto che, per la durata delle ferie annuali, "deve essere mantenuta" la retribuzione con ciò intendendosi che il lavoratore deve percepire in tale periodo di riposo la retribuzione ordinaria (nello stesso senso CGUE 20 gennaio 2009 in C.350/06 e C-520/06, e altri). Ciò che si è inteso assicurare è una CP_8 situazione equiparabile a quella ordinaria del lavoratore in atto nei periodi di lavoro sul rilievo che una diminuzione della retribuzione potrebbe essere idonea a dissuadere il lavoratore dall'esercitare il diritto alle ferie, il che sarebbe in contrasto con le prescrizioni del diritto dell'Unione (cfr. C.G.U.E. e altri, C-155/10 del 13 dicembre 2018 ed anche la causa To.He. del 13/12/2018, C-385/17). Per_2 Qualsiasi incentivo o sollecitazione che risulti volto ad indurre i dipendenti a rinunciare alle ferie è infatti incompatibile con gli obiettivi del legislatore europeo che si propone di assicurare ai lavoratori il beneficio di un riposo effettivo, anche per un'efficace tutela della loro salute e sicurezza (cfr. in questo senso anche la recente C.G.U.E. del 13/01/2022 nella causa C-514/20). 10.2. Di tali principi si è fatta interprete questa Corte che in più occasioni ha ribadito che la retribuzione dovuta nel periodo di godimento delle ferie annuali, ai sensi dell'art. 7 della Direttiva 2003/88/CE (con la quale sono state codificate, per motivi di chiarezza, le prescrizioni minime concernenti anche le ferie contenute nella direttiva 93/104/CE del Consiglio, del 23 novembre 1993, cfr. considerando 1 della direttiva 2003/88/CE, e recepita anch'essa con il D.Lgs. n. 66 del 2003), per come interpretata dalla Corte di Giustizia, comprende qualsiasi importo pecuniario che si pone in rapporto di collegamento all'esecuzione delle mansioni e che sia correlato allo "status" personale
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e professionale del lavoratore (cfr. Cass. 17/05/2019 n. 13425). 10.3. Anche con riguardo al compenso da erogare in ragione del mancato godimento delle ferie, pur nella diversa prospettiva cui l'indennità sostitutiva assolve, si è ritenuto che la retribuzione da utilizzare come parametro debba comprendere qualsiasi importo pecuniario che si pone in rapporto di collegamento all'esecuzione delle mansioni e che sia correlato allo "status" personale e professionale del lavoratore (cfr. Cass, 30/11/2021 n. 37589). 10.4. Proprio in applicazione della nozione c.d. "europea" di retribuzione, nell'ambito del personale navigante dipendente di compagnia aerea, poi, si è chiarito che nel calcolo del compenso dovuto al lavoratore nel periodo minimo di ferie annuali di quattro settimane si deve tenere conto degli importi erogati a titolo di indennità di volo integrativa e a tal fine si è ritenuta la nullità della disposizione collettiva (l'art. 10 del c.c.n.l. Trasporto Aereo - sezione personale navigante tecnico) nella parte in cui la esclude per tale periodo minimo di ferie evidenziandosi il contrasto con l'art. 4 del D.Lgs. n. 185 del 2005 (decreto di attuazione della direttiva 2000/79/CE relativa all'Accordo europeo sull'organizzazione dell'orario di lavoro del personale di volo dell'aviazione civile) interpretando tale disposizione proprio alla luce del diritto europeo che impone di riconoscere al lavoratore navigante in ferie una retribuzione corrispondente alla nozione europea di remunerazione delle ferie, in misura tale da garantire al lavoratore medesimo condizioni economiche paragonabili a quelle di cui gode quando esercita l'attività lavorativa (cfr. Cass. 23/06/2022 n. 20216). 10.5. È opportuno poi rammentare, come già ritenuto nella sentenza da ultimo citata, "che le sentenze della Corte di Giustizia dell'UE hanno, infatti, efficacia vincolante, diretta e prevalente, sull'ordinamento nazionale" sicché non può prescindersi dall'interpretazione data dalla Corte Europea che, quale interprete qualificata del diritto dell'unione, indica il significato ed i limiti di applicazione delle norme. Le sue sentenze, pregiudiziali o emesse in sede di verifica della validità di una disposizione UE, hanno perciò "valore di ulteriore fonte del diritto comunitario, non nel senso che esse creino ex novo norme comunitarie, bensì in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione, con efficacia erga omnes nell'ambito della Comunità" (cfr. Cass. n. 13425 del 2019 ed ivi la richiamata Cass. n. 22577 del 2012). 10.6. Nell'applicare il diritto interno il giudice nazionale è tenuto ad una interpretazione per quanto possibile conforme alle finalità perseguite dal diritto dell'Unione nell'intento di conseguire il risultato prefissato dalla disciplina Eurounitaria conformandosi all'art. 288, comma 3, TFUE. L'esigenza di un'interpretazione conforme del diritto nazionale attiene infatti al sistema del Trattato FUE, in quanto permette ai giudici nazionali di assicurare, nell'ambito delle rispettive competenze, la piena efficacia del diritto dell'Unione quando risolvono le controversie ad essi sottoposte (cfr. CGUE 13/11/1990 causa C-106/89 Marleasing p. 8, CGUE 14/07/1994 causa C-91/92 p. 26, CP_9
CGUE 10/04/1984 causa C-14/83 von Colson p. 26, CGUE 28/06/2012 causa p. 51, CP_10 tutte citate da Cass. n. 22577 del 2012 alla cui più estesa motivazione si rinvia), obbligo che viene meno solo quando la norma interna appaia assolutamente incompatibile con quella Eurounitaria, ma non è questo il caso. 10.7. A questi principi si è attenuta la Corte di merito che, come ricordato, ha proceduto, correttamente, ad una verifica ex ante della potenzialità dissuasiva dell'eliminazione di voci economiche dalla retribuzione erogata durante le ferie al godimento delle stesse senza trascurare di considerare la pertinenza di tali compensi rispetto alle mansioni proprie della qualifica rivestita. 10.8. Rileva allora il Collegio che nell'ambito in particolare del primo motivo la ricorrente asserisce che "la sentenza impugnata (come molte altre) muove dall'erronea percezione che la IUP variabile di cui al comma 4 dell'art. 31 CA 2012 e 2016 (la cui incidenza viene rivendicata in causa) sia l'intero, il tutto, il compenso che percepisce il macchinista quando fa il suo lavoro, mentre la IUP giornaliera in misura fissa di cui al punto 5 sia solo una parte, un minus per quando il macchinista non lavora". 10.9. Sennonché, tale specifica affermazione così attribuita alla Corte distrettuale e nel contempo censurata dalla ricorrente neppure si riscontra nel testo dell'impugnata sentenza, la quale, con precipuo riferimento all'indennità di utilizzazione professionale (in sigla IUP), ha svolto tutt'altro genere di considerazioni, legate essenzialmente all'incidenza di tale indennità "sulla retribuzione
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feriale e, di conseguenza, sulla piena libertà di fruizione del periodo di riposo costituzionalmente garantito";
indagine, questa, che la stessa Corte ha operato accertando le decurtazioni subite a riguardo da entrambi i lavoratori all'epoca appellati (cfr. in extenso facciate 8-10 della sua decisione). 10.10. E tale accertamento è in linea con le indicazioni provenienti dalla Corte di Lussemburgo ed in sintonia con la finalità della direttiva, recepita dal legislatore italiano, che è innanzi tutto quella di assicurare un compenso che non possa costituire per il lavoratore un deterrente all'esercizio del suo diritto di fruire effettivamente del riposo annuale. 10.11. Inoltre, con riguardo specificatamente alla idoneità della mancata erogazione di tali compensi ad integrare una diminuzione della retribuzione idonea a dissuadere il lavoratore dal godere delle ferie, ritiene il Collegio che la sua valutazione in concreto appartiene al giudice di merito che nella specie ha plausibilmente dato conto delle ragioni per le quali l'ha ravvisata.
10.12. Del resto, è la stessa ricorrente ad ammettere che la IUP è comunque riconosciuta "per attività svolte tipiche del macchinista", ossia, in relazione alla qualifica rivestita da entrambi i lavoratori attuali controricorrenti.
11. Quanto all'indennità di assenza dalla residenza, come premesso in narrativa, la Corte di merito ne ha motivatamente ritenuto la natura "di componente retributiva certamente rientrante nel concetto di retribuzione, delineato dalla giurisprudenza" in precedenza richiamata (cfr. in extenso facciate 10- 11 della sua sentenza). 11.1. A fronte di tale argomentata qualificazione di detta indennità, la ricorrente assume essenzialmente che essa "costituisce un ristoro forfettizzato delle micro-spese variabili (considerato anche l'importo esiguo) che il macchinista deve sopportare quando si trova fuori dall'impianto", sicché si tratterebbe di emolumento che avrebbe "natura realmente indennitaria" oppure "natura e funzione risarcitoria". 11.2. Tale tesi, però, è sostenuta in termini essenzialmente assertivi, assumendosi la "pacifica natura giuridica" appunto "indennitaria" della voce in questione, e senza specificare da quali precisi indici letterali della precipua previsione collettiva cui si è riferita la Corte di merito, ossia, l'art. 77, comma 2, dei CCNL Mobilità, Area Attività Ferroviaria, del 20.7.2012 e del 16.12.2016, si dovrebbe trarre "il valore ristorativo del compenso (rimborso forfettizzato di micro-spese, es. bottiglia di acqua) che coerentemente scatta solo dopo 3 ore di lontananza". Del resto, è la stessa ricorrente a far presente che il compenso per assenza dalla residenza è erogato solo per "... servizi che comportano complessivamente, per ciascuna giornata di turno, un'assenza di durata non inferiore a 3 ore ...", e non già a titolo di rimborso magari forfettizzato.
11.3. La ricorrente insiste, poi, sull'assunto che l'indennità in questione non rientrerebbe nell'imponibile fiscale, ma correttamente la Corte territoriale ha ritenuto non rilevante tale profilo. La nozione di retribuzione ai fini fiscali e previdenziali non è, infatti, dirimente per accertare l'effettiva natura retributiva di un determinato emolumento al diverso scopo di stabilire se rientri nella retribuzione dovuta nel periodo feriale. Condivisibilmente, perciò, la stessa Corte a riguardo ha evidenziato la funzione sostanziale dello stesso emolumento, in "diretta correlazione ad un disagio intrinseco alla mansione".
12. Le considerazioni innanzi richiamate, espressive dell'indirizzo di questa Corte in subiecta materia, valgono a respingere anche il terzo, il quarto, il quinto, il sesto ed il settimo motivo di ricorso.
13. Più nello specifico, con riferimento al terzo motivo ed al quinto motivo, la Corte d'appello non ha certamente fatto un'applicazione in via generale ed astratta dei principi espressi dalla CGUE nella materia che ci occupa, ma, avuto riguardo all'orientamento delineato nelle due decisioni di questa Corte Suprema che ha richiamato, a loro volta basate su estesa considerazione della specifica giurisprudenza di detta Corte UE (cfr. facciate 5-8 della sua sentenza), e tenendo conto di conformazione, natura ed incidenza delle indennità in questione secondo la contrattazione collettiva di settore e aziendale, ha concluso che dette indennità dovessero essere incluse (integralmente, nel caso della ) nella retribuzione dovuta nel periodo feriale. E si è già chiarito, del resto, che Part
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precipue disposizioni collettive, ove risultanti in contrato con la nozione "europea" di retribuzione come recepita nel nostro ordinamento, possano essere giudicate nulle.
14. Contrariamente, poi, a quanto sostenuto nel quarto motivo, la Corte di merito non ha operato un'erronea lettura di Cass. n. 22401/2020 e n. 13425/2019, che ha richiamato nella propria motivazione. Come già rilevato in precedenza, infatti, ai medesimi principi di diritto già enunciati in quelle decisioni di legittimità è stata poi data continuità da questa Corte anche nel campo della mobilità/settore attività ferroviarie, che qui viene in considerazione. Né assume rilievo il dato che "i casi concreti decisi dalla CGE riguardano situazioni di fatto e compensi strutturalmente differenti rispetto a quelli qui in esame". Come evidenziato nelle recenti sent. n. 18160/2023, n. 19663/2023, n. 19711/2023, n. 19716/2023, citate all'inizio di questa motivazione, la valutazione del caso concreto, vale a dire la verifica se alcune indennità aggiuntive legate al concreto svolgimento di una determinata mansione, possano o meno essere escluse dal computo della retribuzione da erogare nei giorni per le ferie annuali, è attività riservata comunque al giudice nazionale e non ha quello europeo che vi ha provveduto applicando le direttive provenienti dalla Corte del Lussemburgo.
15. Inoltre, per quanto già osservato, la decisione gravata non ha sicuramente "elevato di fatto a fonte normativa generale ed astratta le sentenza della CGE rese su un caso concreto", come invece sostenuto nel sesto e nel settimo motivo di ricorso.”
*** I principi di cui sopra, applicati alle singole voci retributive di cui è causa, rivelano ulteriormente l'infondatezza dei motivi di gravame. Per quanto riguarda l'“indennità di utilizzazione professionale” (IUP), l'evoluzione dell'istituto nel succedersi dei contratti collettivi e il fatto che i contratti aziendali del Gruppo Ferrovie dello Stato 2012 e 2016 non escludano totalmente tale voce dalla base di calcolo della retribuzione in periodo feriale (riconoscendola nell'importo fisso di 12,80 euro al giorno) non assumono rilievo dirimente, né consentono di ritenere l'anzidetta previsione collettiva conforme ai principi enunciati dalla Corte di Giustizia in tema di retribuzione da corrispondere nel periodo feriale in base all'art. 7 della direttiva 2003/88 e dell'art. 31 n. 2 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea. Infatti, pacifico essendo che l'indennità in discorso sia correlata allo specifico status professionale del lavoratore, il fondamentale criterio di giudizio desumibile dall'assetto normativo e giurisprudenziale sopra delineato è quello della tendenziale omogeneità fra la retribuzione delle ferie annuali e la retribuzione percepita nei periodi di effettivo lavoro. Tale criterio non può dirsi soddisfatto nel caso di specie, tenuto conto dell'incidenza della IUP sulla retribuzione mensile degli appellati nei periodi lavorati e del divario tra la stessa e gli importi liquidati a tale titolo in misura fissa nei giorni di ferie (cfr. buste paga prodotte): l'entità del divario appare non trascurabile e in grado di incidere sulla decisione dei lavoratori se fruire o meno delle ferie. Nella fattispecie concreta qui in discussione, esaminando le buste paga prodotte, risulta che i lavoratori hanno goduto di periodi di ferie “spalmati” nel corso dell'anno;
ciò non comporta l'esclusione dell'effetto dissuasivo (l'effetto disincentivante di cui alla giurisprudenza europea comporta un giudizio ex ante e oggettivamente riscontrabile, che non deve essere influenzato da fattori soggettivi
o circostanziali, come la “diluizione” delle ferie nell'anno di competenza, anche perché l'argomento potrebbe essere facilmente rovesciato, potendosi dare l'ipotesi che il lavoratore non usufruisca delle ferie concentrate nel medesimo periodo proprio per non vedersi decurtata la retribuzione di quel periodo in misura eccessiva). Tale situazione comporta soltanto che non sia macroscopicamente apprezzabile la diminuzione patrimoniale correlata all'esercizio del diritto alle ferie. Part Tornando alla deve aggiungersi che, pacifico essendo che si tratta di un istituto retributivo che compensa specifici incomodi connessi alle mansioni prestate dal personale mobile ferroviario, non si giustifica, in base ai principi sopra evidenziati, l'inclusione nella retribuzione feriale solo della quota che compensa l'attività prestata presso l'impianto ed invece l'esclusione della quota (di fatto ben superiore alla prima) che compensa più propriamente l'attività svolta a bordo treno. Il fatto che nelle
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giornate di ferie venga corrisposta la quota fissa, come se il lavoratore fosse a disposizione in impianto e non nello svolgimento delle mansioni tipiche, rivela proprio che la retribuzione feriale non è calcolata, in linea di principio, in modo tale da coincidere con la retribuzione ordinaria del lavoratore, anzi è calcolata in modo tale da escludere a priori tale coincidenza. Passando a considerare le censure dell'appellante riguardo all'indennità di assenza dalla residenza, osserva il Collegio che si tratta di componente certamente rientrante nel concetto di retribuzione, delineato dalla giurisprudenza sopra riportata. Essa appare, infatti, volta a compensare – non già una modalità temporanea o un esborso occasionale – bensì un disagio intrinsecamente connesso alla prestazione lavorativa tipica del personale mobile, determinato dalla mancanza di un luogo fisso di lavoro e dalla costante lontananza dalla propria sede. Giova, infatti, rammentare che l'art. 77 c. 2 CCNL riconosce detta voce al personale mobile, in ragione dell'assenza dalla residenza di lavoro, in proporzione alla relativa durata, determinandola secondo misure orarie specificamente indicate. Né rilevano, in senso contrario, l'omologazione del relativo regime fiscale a quello del trattamento di trasferta e l'esclusione dell'elemento in esame dal calcolo della retribuzione spettante per tutti gli istituti di legge e/o di contratto, stabilite dai punti nn. 3 e 4 del citato art. 77 co. 2, in quanto inidonee ad incidere sulla funzione sostanziale dell'emolumento e, in particolare, sulla sua diretta correlazione ad un disagio intrinseco alla mansione. Tale è, del resto, il criterio da utilizzare, secondo la giurisprudenza sopra richiamata, nell'individuazione della retribuzione rilevante ai fini di causa.
Anche il motivo con il quale l'appellante censura la sentenza sotto il profilo della correttezza dei conteggi di controparte va respinto. Nello specifico, l'appellante sostiene che, al fine di ottenere un importo medio giornaliero delle competenze accessorie in questione, il totale delle indennità percepite dovrebbe essere diviso, come previsto dall'art. 68 punto 6 CCNL “convenzionalmente per 26” anziché per il numero dei giorni effettivi di servizio, come da conteggi della parte appellata. L'assunto non è condivisibile. L'art. 68 punto 6 del CCNL prevede espressamente:
“6. Retribuzione giornaliera e oraria La retribuzione giornaliera e oraria si ottiene dividendo rispettivamente per 26 e per 160 la retribuzione mensile determinata dagli elementi retributivi di cui al punto 1.1, ed alla lettera d) del punto 1.2 del presente articolo”. A sua volta, il punto 1.1 del medesimo articolo stabilisce che
“1. Elementi della retribuzione 1.1. Sono elementi della retribuzione: a) minimo contrattuale, di cui al punto 3 del presente articolo;
b) aumenti periodici di anzianità;
c) assegni "ad personam" pensionabili, di cui al punto 4 del presente articolo”. La richiamata lettera d) del punto 1.2 prevede:
“1.2. Sono elementi ulteriori della retribuzione: (...) d) salario professionale”. Il divisore 26, invocato dall'appellante, si applica solo a fini convenzionali ed alle competenze fisse, mentre per le competenze variabili– quali quelle oggetto di causa– che sono legate alle effettive presenze in servizio, il divisore convenzionale non è utilizzabile dovendosi invece preferire un divisore basato sulle presenze reali, al fine di individuare una retribuzione media basata sul periodo di lavoro effettivo, come richiesto dalla giurisprudenza GCUE (v. sentenza Torsten Hein, punto 37). Quanto, invece, alla questione del limite delle quattro settimane di ferie garantite, osserva il Collegio l'argomentazione secondo cui “In ogni caso la pretesa avversaria trova un limite invalicabile nel fatto che la disciplina comunitaria impone quattro settimane di ferie annue (art. 7, Direttiva 2003/88/CE), con la conseguenza che per i giorni di ferie annualmente eccedenti tale periodo, i
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principi comunitari non sono invocabili.” (così pag. 36 appello) è stata formulata solo in questa sede ed è quindi tardiva.
In relazione alla contestazione del numero di giorni di ferie effettivamente fruiti dai lavoratori
, e , la espletata consulenza tecnica, con motivazione coerente ed CP_1 Pt_4 Pt_6 argomentata, che il Collegio fa propria, stante anche l'assenza di specifiche censure ad opera dei consulenti di parte, ha determinato in 260 i giorni di ferie goduti da (a fronte dei 258 CP_1 indicati dal lavoratore), in 276 quelli fruiti da e in 293 quelli goduti da (a fronte dei Pt_4 Pt_6 290 indicati dal lavoratore), sicchè il conteggio proposto da nei propri scritti difensivi non Parte_1 trova corrispondenza e va disatteso. Anche sotto questo profilo, pertanto, vanno confermate le somme riconosciute dalla sentenza impugnata, corrispondenti agli importi richiesti dai tre lavoratori e computate in base ad un numero di giorni di ferie corretto o leggermente inferiore a quello risultato in sede di CTU.
Quanto alla omessa pronuncia in relazione alla eccepita clausola di inscindibilità (sesto motivo di appello), deve disattendersi l'argomentazione riproposta in questa sede da , in quanto Parte_1 l'inscindibilità delle clausole contrattuali presuppone la validità delle clausole stesse, non essendo concesso alla contrattazione collettiva di derogare ad una disposizione imperativa (cfr. Cass. 27920/21).
Rimane da considerare l'ultimo motivo di gravame, relativo alla prescrizione.
Sulla questione si è pronunciata la Corte di Cassazione con la sentenza già precedentemente richiamata, affermando “16. È infine infondato anche l'ottavo motivo di ricorso in cui viene riproposta, in subordine, la questione della prescrizione dei crediti vantati dai lavoratori. 16.1. Va precisato che in giudizio sono state chieste differenze retributive maturate nel periodo da settembre 2012 al 31 dicembre 2019. Orbene questa Corte, proprio affrontando la questione della decorrenza della prescrizione dei crediti maturati nel corso del rapporto di lavoro, ha recentemente affermato che per effetto delle modifiche apportate dalla Legge n. 92 del 2012 e poi dal D.Lgs. n. 23 del 2015, nel rapporto di lavoro a tempo indeterminato è venuto meno uno dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata, di tal che questo non è assistito da un regime di stabilità. Ne consegue che per tutti quei diritti che, come nella specie, non siano prescritti al momento di entrata in vigore della legge n. 92 del 2012, il termine di prescrizione decorre, a norma del combinato disposto degli artt. 2948, n. 4, e 2935 c.c. dalla cessazione del rapporto di lavoro (così Cass. 06/09/2022 n. 26246, poi seguita da altre conformi).”
La motivazione è del tutto condivisibile e coerente con la pronuncia di legittimità n. 26246/2022 del 6/9/2022, ove si è dettato il seguente principio di diritto: “Il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, così come modulato per effetto della legge n. 92 del 2012 e del decreto legislativo n. 23 del 2015, mancando dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata, non è assistito da un regime di stabilità. Sicché, per tutti quei diritti che non siano prescritti al momento di entrata in vigore della legge n. 92 del 2012, il termine di prescrizione decorre, a norma del combinato disposto degli artt. 2948, n. 4 e 2935 c.c., dalla cessazione del rapporto di lavoro”.
Il Collegio condivide pienamente tale conclusione, confermativa dell'orientamento in precedenza assunto da questa Corte (cfr. ad es. sentenza n. 376/2019).
Le argomentazioni spese da a confutazione di detto principio giurisprudenziale non Parte_1 inducono ad un ripensamento nel senso auspicato dall'appellante, tenuto anche conto che recentemente (ord. n. 6840/2023) i giudici di legittimità hanno affermato, proprio in relazione al tema specifico della censura in esame, che il “Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi da tali
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precedenti, atteso che, una volta che l'interpretazione della regula iuris è stata enunciata con l'intervento nomofilattico della Corte regolatrice, essa “ha anche vocazione di stabilità, innegabilmente accentuata (in una corretta prospettiva di supporto al valore delle certezze del diritto) dalle novelle del 2006 (art. 374 c.p.c.) e 2009 (art. 360 bis c.p.c., n. 1)” (Cass. SS.UU. n. 15144 del 2011);
invero, la ricorrente affermazione nel senso della non vincolatività del precedente deve essere armonizzata con l'esigenza di garantire l'uniformità dell'interpretazione giurisprudenziale attraverso il ruolo svolto dalla Corte di Cassazione (Cass. SS.UU. n. 23675 del 2014), atteso che, in un sistema che valorizza l'affidabilità e la prevedibilità delle decisioni, il quale influisce positivamente anche sulla riduzione del contenzioso, vi è l'esigenza, avvertita anche dalla dottrina, “dell'osservanza dei precedenti e nell'ammettere mutamenti giurisprudenziali di orientamenti consolidati solo se giustificati da gravi ragioni” (in termini: Cass. SS.UU. n. 11747 del 2019)”.
Per tutte le considerazioni esposte la sentenza appellata deve essere integralmente confermata.
Le spese processuali seguono la soccombenza e vanno, pertanto, poste a carico dell'appellante, liquidate in base al DM 10.3.2014 n.55, come modificato dal d.l. 147/2022, considerato il valore della causa, rilevata l'assenza di attività istruttoria nel presente grado di giudizio, tenuto conto della serialità della fattispecie e del numero delle parti, come da dispositivo, con distrazione in favore del difensore dichiaratosi antistatario.
Pone definitivamente a carico di le spese di CTU, come liquidate con separato Parte_1 provvedimento.
Si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento da parte dell'appellante dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato di cui all'art. 13 comma 1-quater del DPR n. 115/02 così come modificato dall'art. 1 comma 17 della L. 24.12.12 n. 228.
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