Corte d'Appello Catanzaro, sentenza 11/01/2024, n. 1466
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.
Segnala un errore nella sintesiSul provvedimento
Testo completo
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
CORTE DI APPELLO DI CATANZARO
Sezione Lavoro
La Corte, riunita in camera di consiglio, così composta: dott.ssa G P Presidente dott. E S Consigliere dott. avv. D O S Consigliere relatore
SENTENZA nella causa in grado di appello iscritta al numero 264 del ruolo generale affari contenziosi dell'anno 2018, vertente
TRA
, con l'Avv. S M ---- appellante Parte_1
E
, in persona del Controparte_1 rettore in carica, con l'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Catanzaro
----appellata
oggetto: appello a sentenza del Tribunale di Catanzaro. Rimborso trattenuta indebita.
Conclusioni per l'appellante: “… accogliere il presente appello e, per
l'effetto, annullare e/o modificare la sentenza ... e, di conseguenza, previa disapplicazione della normativa secondaria stabilita dall'Accordo del 29 luglio 1999 e dal DPCM 20 dicembre 1999, rigettare l'opposizione dell perché inammissibile e/o infondata, Parte_2 Parte confermando il decreto ingiuntivo n. 338/2016, con condanna dell alla refusione delle spese e compensi professionali di entrambi i gradi di giudizio”;
Conclusioni per l'appellata: “… rigettare l'appello proposto perché infondato.
Pag. 1 di 6
Svolgimento del processo
1. Il Tribunale di Catanzaro, adito dall con Parte_3 ricorso n° 1731/2016, ha accolto l'opposizione al decreto ingiuntivo n°
338/2016, precedentemente emesso dallo stesso Tribunale, su istanza della D.ssa , la quale aveva chiesto in via monitoria il Parte_1 rimborso di quanto indebitamente trattenuto dal datore di lavoro, in busta paga, nella misura del 2,5% della retribuzione, calcolato sull'imponibile lordo dello stipendio.
2. In particolare, il Tribunale ha ritenuto che detta trattenuta doveva considerarsi legittima perché consentiva di colmare la differenza di trattamento tra i dipendenti pubblici beneficiari di TFS rispetto a quelli beneficiari di TFR, che, al pari della ricorrente in monitorio, erano stati assunti presso una pubblica amministrazione dopo il 31/12/2000.
In altri termini, il Tribunale ha affermato che, nel passaggio dal regime di TFS a quello di TFR, si correva il rischio di avvantaggiare coloro che avrebbero goduto del TFR, perché su di essi non sarebbe gravato il contributo previdenziale obbligatorio nella misura del 2,5% della base retributiva previsto dall'art. 11 della L. 8/3/1968 n° 152 e dall'art. 37 del DPR 29/12/1973 n° 1032.
Sicché, correttamente a suo dire, il DPCM 20/12/1999 (che aveva recepito l'art. 6 dell'Accordo Quadro Nazionale in materia di TFR), per evitare l'invarianza della retribuzione netta complessiva e di quella utile ai fini previdenziali dei dipendenti fruenti del TFR, aveva stabilito, in forza dell'art. 1, comma 3, un “recupero in misura pari alla riduzione attraverso un corrispondente incremento figurativo ai fini previdenziali
e dell'applicazione delle norme sul trattamento di fine rapporto, ad ogni fine contrattuale nonché per la determinazione della massa salariale per
i contratti collettivi nazionali”.
Sulla scorta di tale principio, corroborato dal successivo DPCM
2/3/2001, mediante una trattenuta non previdenziale, bensì per il tramite di una decurtazione del trattamento retributivo lordo ai fini fiscali, pari ad un corrispondente 2,5%, si sarebbe ottenuta una retribuzione netta non disparitaria tra i dipendenti in regime TFS e quelli in regime TFR e, parimenti, una