Corte d'Appello Milano, sentenza 16/12/2024, n. 1006
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Testo completo
Sentenza n. 1006/2024 Registro generale Appello Lavoro n. 831/2024
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO La Corte d' Appello di Milano, sezione lavoro, composta da: Dott. Roberto Vignati Presidente Dott. Giovanni Casella Consigliere Dott.ssa Francesca Beoni Giudice Ausiliario relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile in grado d'appello avverso la sentenza del TRIBUNALE di MILANO n. 115/2024, est. dott.ssa Rossella Chirieleison, discussa all'udienza collegiale del 12/11/2024 e promossa
DA
(C.F: ), in persona del legale rappresentante pro Parte_1 P.IVA_1 tempore, rappresenta e difesa dagli Avv.ti DAFFRA LUCA MATTEO e MONTESARCHIO LUCA ed elettivamente domiciliata presso il loro studio sito in VIA MASCHERONI 20145 MILANO
APPELLANTE
CONTRO
(C.F: ), rappresentata e difesa dagli Controparte_1 C.F._1
Avv.ti SOZZI GIOVANNI, BELLINI ALESSIA e DOLAZZA LAURA ed elettivamente domiciliata presso il loro studio in CORSO ITALIA, 8 20122 MILANO
APPELLATA
I procuratori delle parti, come sopra costituiti, così precisavano le
CONCLUSIONI
Per l'appellante: “In riforma della sentenza n. 115/2024 del Tribunale di Milano, 1. rigettare il ricorso avversario introduttivo del primo grado di questo giudizio e tutte le domande ex adverso proposte, perché inammissibili e/o comunque infondate, ovvero in subordine ridurre il quantum richiesto da Controparte nella misura ritenuta di giustizia;
2. con vittoria di spese, diritti e onorari di entrambi i gradi di giudizio”.
Per l'appellata: “voglia la Corte di Appello di Milano, sezione lavoro, respingere l'appello proposto da e per l'effetto confermare la sentenza appellata, anche con Parte_1 diversa motivazione. Con vittoria di spese e compensi del presente grado di giudizio”.
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MOTIVI DELLA DECISIONE
Con ricorso iscritto a ruolo il 29.07.2024 ha proposto appello Parte_1 avverso la sentenza n. 115/24 mediante la quale il TRIBUNALE di MILANO in accoglimento della domanda proposta da l'ha condannata Controparte_1
a corrispondere alla medesima la somma di Euro 13.653,23 a titolo di retribuzioni maturate e non corrisposte dal 01.07.2022 al 31.01.2023 oltre a interessi e rivalutazione monetaria in forza della sentenza del TRIBUNALE di MILANO n. 715/2018 confermata da questa CORTE con la pronuncia n. 1840/2019 con la quale era stata accertata l'illegittimità della cessione del ramo Part di azienda, cui la stessa era addetta, da a e il suo Controparte_2 conseguente diritto a essere riammessa in servizio presso la cedente che tuttavia aveva provveduto a darvi esecuzione solo in data 01.02.2023.
In via preliminare il TRIBUNALE ha respinto l'eccezione di giudicato formulata dalla convenuta secondo la quale le domande azionate con il presente giudizio erano coperte dal giudicato formatosi sul capo, non impugnato, della sentenza n. 715/2018 del TRIBUNALE di MILANO.
Part Con tale eccezione aveva evidenziato che nell'anzidetto giudizio la ricorrente aveva chiesto al TRIBUNALE, oltre all'accertamento dell'illegittimità del Part trasferimento del ramo d'azienda da e che la cedente venisse CP_2 condannata alla reintegrazione della lavoratrice “con il diritto a tutte le retribuzioni che sarebbero maturate in (e relativa contribuzione) per il periodo Parte_1 dall'estromissione alla reintegrazione» e che tale ultima domanda era stata respinta dal TRIBUNALE con la seguente motivazione: “le pretese retributive avanzate in ricorso non possono, invece, essere accolte. I rapporti di lavoro dei ricorrenti sono proseguiti (seppure in via di fatto) con con Controparte_2 conservazione di tutti i diritti derivanti. È pacifico che i ricorrenti abbiano continuato l'attività lavorativa presso la cessionaria ed abbiano percepito lo stesso trattamento economico in godimento presso la cedente, senza perdita di retribuzioni o di parte di esse. Non essendosi, quindi, verificata alcuna diminuzione del trattamento retributivo, non residuano differenze a credito dei lavoratori”.
Il TRIBUNALE, richiamate le motivazioni rese dalla CORTE di CASSAZIONE con la sentenza n. 6091/2020, in tema di giudicato, il cui orientamento è stato seguito anche da questa CORTE territoriale, tra le tante, con le sentenze nn. 88/23, 421/23 e 517/23 respingeva l'eccezione in quanto la domanda formulata con l'odierna procedura si fondava su fatti giuridici che, alla data di proposizione del giudizio di impugnazione della cessione di ramo di azienda, non erano ancora sorti.
Nel merito, il primo Giudice, rilevato che la giurisprudenza di legittimità si era pronunciata in fattispecie analoghe a quelle oggetto del presente giudizio, evidenziava che “la Corte di Cassazione ha chiarito che in tema di cessione di
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ramo di azienda, ove ne venga accertata l'illegittimità, permane in capo al datore cedente, che, nonostante l'offerta della prestazione, non abbia ottemperato al comando giudiziale di ripristino del rapporto lavorativo giuridicamente rimasto in vita, l'obbligo di pagamento delle retribuzioni;
sancita la natura retributiva e non risarcitoria delle somme da erogarsi ai lavoratori da parte del cedente inadempiente, non trova applicazione il principio della "compensatio lucri cum damno" su cui si fonda la detraibilità di quanto altrimenti percepito (Cass n. 21158, 21160 e 21161 del 07/08/2019, in questa sede da intendersi integralmente richiamate ai sensi dell'articolo 118 disp. att. c.p.c. e, in senso conforme, Cass. n. 5998 del 28/2/2019, Cass. n. 21 ottobre 2019 n. 26759).
In particolare, i giudici di legittimità, in un'ottica costituzionalmente orientata del principio di corrispettività desumibile anche dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 29 del 6/3/19, hanno statuito che, allorquando il datore di lavoro rifiuti illegittimamente di ricevere la prestazione lavorativa regolarmente offerta, al fine anche di garantire l'efficacia dei rimedi, sussista l'obbligo del datore di lavoro inadempiente di corrispondere le retribuzioni (e non già il risarcimento del danno) al lavoratore non riammesso in servizio anche dopo una pronuncia giudiziale”.
Part Quanto alla questione sollevata, in via subordinata dalla difesa di , di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 1206, 1207, 1217, 1218, 2043, 2094, 2099 e 2112 c.c. in relazione agli artt. 3, 24, 36 e 111 Cost. per come interpretati dalla giurisprudenza più recente di merito e di legittimità, che configura in termini di obbligazione retributiva piena dell'obbligazione in capo al cedente inadempiente rispetto all'ordine giudiziale di ripristino del rapporto di lavoro, di cui il lavoratore abbia richiesto l'esecuzione, nel respingere tale questione richiamava ex art. 118 disp. Att. c.p.c. la motivazione della sentenza n. 79/21 di questa CORTE territoriale, nonché la sentenza n. 1726/2020 del medesimo TRIBUNALE.
Part Del pari respingeva la tesi sollevata da secondo la quale le domande proposte dalla ricorrente erano inaccoglibili in quanto la lavoratrice avrebbe potuto pretendere il pagamento della c.d. “doppia retribuzione” solo in costanza di inadempimento dell'ex cedente rispetto all'ordine di ripristino.
Sul punto affermava che “Vero è, infatti, che la soluzione della c.d. doppia retribuzione ha come scopo quello di indurre il datore ad ottemperare all'ordine giudiziale di ricostituzione del rapporto, ma è anche vero che l'intervenuta tardiva riammissione in servizio non elide il fatto che, in costanza di inadempimento, la lavoratrice abbia maturato, per il periodo pregresso, il diritto a detto pagamento. Rispetto a tale periodo risultano, infatti, sussistenti i fatti costitutivi della pretesa azionata (pronuncia giudiziale, messa in mora, inadempimento datoriale)”.
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Quanto alla idoneità della messa in mora, il primo Giudice evidenziava che con lettera dal 22.07.2019 la ricorrente a seguito della sentenza citata aveva invitato la convenuta a riammetterla in servizio offrendo la propria prestazione lavorativa.
Evidenziava che “La prestazione lavorativa in fatto resa per un terzo non esclude poi la validità dell'offerta di prestazione all'originario datore, come chiarito da Cass. 8 aprile 2019, n. 9747, considerato che, una volta che l'impresa cedente, costituita in mora, manifestasse la volontà di accettare la prestazione, il lavoratore potrebbe scegliere di rendere la prestazione non più soltanto giuridicamente, ma anche effettivamente, in favore di essa e, ove ciò non facesse, verrebbero automaticamente meno gli effetti della mora credendi.
Infine, come già osservato da questo Tribunale con le sentenze citate, non possono incidere sul rapporto di lavoro con l'opponente e sul relativo diritto alla retribuzione le vicende verificatesi nel corso del rapporto di lavoro con (assenza per CP_2 malattia, godimento degli ammortizzatori sociali), trattandosi di rapporto la cui funzionalità non è stata realizzata per volontà del datore di lavoro e che quindi non può risentire delle vicende sospensive o estintive che riguardano il diverso rapporto di lavoro intercorso di fatto”.
Considerato che la quantificazione delle somme richieste non risultava contestata, avendo la convenuta concentrato le proprie contestazioni esclusivamente sull'an della pretesa creditoria, accoglieva la domanda di
[...]
CP_1
Part In ragione della soccombenza è stata condannata a rifondere al ricorrente le spese di lite liquidate in 2.700,00 oltre a spese generali e oneri di legge.
Con un primo motivo, proposto in via preliminare e assorbente, Parte_1 lamenta l'erroneità della pronuncia per aver il TRIBUNALE respinto
[...]
l'eccezione di giudicato con la quale aveva dedotto che le pretese della lavoratrice non potevano trovare accoglimento stante il giudicato, formatosi sulla medesima domanda, per effetto della sentenza n. 715/2018 del TRIBUNALE di MILANO emessa all'esito della fattispecie traslativa ex art. 2112 c.c.
A sostegno della doglianza rileva che in tale giudizio la lavoratrice aveva richiesto non solo che venisse dichiarata l'inefficacia della cessione ex art. 2112