Corte Cost., sentenza 13/03/2020, n. 54
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E' inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 13, comma 2, della legge 18 ottobre 2001, n. 383 (Primi interventi per il rilancio dell'economia), sollevata, in riferimento agli artt. 2, 29 e 31 della Costituzione, perchè non viene meno al principio di eguaglianza la disciplina che dispone nelle donazioni, un trattamento impositivo diverso tra gli affini e i parenti. La selezione dei soggetti passivi ad un'imposta rientra nell'esercizio del potere discrezionale del legislatore tributario, il quale ha costantemente graduato l'imposizione sulle successioni e donazioni in ragione della prossimità familiare tra il disponente e il beneficiario e trova inoltre una non irragionevole motivazione nell'esigenza di semplificazione e di rilancio dell'economia.
Massima redatta a cura del Ce.R.D.E.F.
Sul provvedimento
Testo completo
1.- Con ordinanza deliberata il 21 settembre 2015 e depositata l'11 marzo 2019, la Commissione tributaria regionale (CTR) del Molise ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 29, e 31 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell'art. 13, comma 2, della legge 18 ottobre 2001, n. 383 (Primi interventi per il rilancio dell'economia), nella parte in cui non include gli affini nel novero dei soggetti per i quali è escluso il pagamento dell'imposta da esso disciplinata.
La disposizione censurata, applicabile ratione temporis nel giudizio principale, prevede che: a) «[i] trasferimenti di beni e diritti per donazione o altra liberalità tra vivi, compresa la rinuncia pura e semplice agli stessi, fatti a favore di soggetti diversi dal coniuge, dai parenti in linea retta e dagli altri parenti fino al quarto grado, sono soggetti alle imposte sui trasferimenti ordinariamente applicabili per le operazioni a titolo oneroso, se il valore della quota spettante a ciascun beneficiario è superiore all'importo di 350 milioni di lire» (primo periodo);
b) «[i]n questa ipotesi si applicano, sulla parte di valore della quota che supera l'importo di 350 milioni di lire, le aliquote previste per il corrispondente atto di trasferimento a titolo oneroso» (secondo periodo).
2.- Le questioni sono sorte nell'ambito di un giudizio che trae origine dal ricorso proposto dal donatario avverso l'avviso di liquidazione dell'imposta complementare di registro, determinata dall'Agenzia delle entrate, al netto della suddetta franchigia, in misura proporzionale all'importo della donazione di euro 7.830.000,00, stipulata il 22 giugno 2006.
Secondo quanto riferito dal rimettente, l'impugnato avviso di liquidazione era stato adottato perché tra il donante e il donatario intercorreva un rapporto di affinità di terzo grado e non di parentela. La Commissione tributaria provinciale di Campobasso aveva rigettato il ricorso - inteso ad ottenere l'estensione dell'esclusione dal pagamento dell'imposta prevista per le donazioni tra parenti -, ribadendo le motivazioni dell'avviso. Il contribuente aveva quindi appellato la sentenza di primo grado davanti alla CTR del Molise.
3.- In punto di rilevanza, il giudice a quo in primo luogo osserva che l'atto di donazione oggetto dell'avviso di liquidazione risale al 22 giugno 2006 ed è stato registrato il 28 giugno 2006, con la conseguenza che la legittimità del provvedimento impositivo deve essere vagliata alla luce del censurato art. 13, comma 2, della legge n. 383 del 2001.
La successiva abrogazione di questa norma, disposta dall'art. 2, comma 52, lettera d), del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2006, n. 286, ha infatti effetto, secondo quanto previsto dal successivo comma 53 del medesimo art. 2, soltanto «per gli atti pubblici formati [ ] dalla data di entrata in vigore della legge di conversione» dello stesso d.l. n. 262 del 2006, ovvero dal 29 novembre 2006.
In secondo luogo, il Collegio rimettente rileva che il rapporto intercorrente tra il donante e l'appellante donatario è di affinità e non di parentela, sicché il contribuente, sulla scorta del tenore testuale della denunciata disposizione, non avrebbe diritto al «beneficio» da questa previsto.
3.1.- Quanto alla non manifesta infondatezza, la CTR ritiene che l'art. 13, comma 2, della legge n. 383 del 2001 arrechi un vulnus, innanzitutto, all'art. 3 Cost., in relazione al principio di eguaglianza.
L'omessa inclusione degli affini nel novero dei soggetti che non sono obbligati al pagamento dell'imposta di cui alla norma censurata determinerebbe, infatti, una ingiustificata discriminazione e una irragionevole disparità di trattamento rispetto ai parenti.
L'irragionevolezza sarebbe apprezzabile anche alla luce di «alcuni elementi ordinamentali» che riserverebbero un trattamento identico, o comunque omogeneo, ai parenti e agli affini e deporrebbero, pertanto, nel senso della loro «necessaria parificazione».
Al riguardo, il giudice a quo argomenta, innanzitutto, richiamando l'art. 7, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346 (Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta sulle successioni e donazioni), come modificato dall'art. 69, comma 1, lettera c), della legge 21 novembre 2000, n. 342 (Misure in materia fiscale), il quale prevedeva - prima della sua abrogazione ? che l'imposta sulle successioni e donazioni fosse determinata nella stessa misura percentuale sia per i parenti in linea collaterale fino al quarto grado, sia per gli affini in linea retta e per quelli in linea collaterale fino al terzo grado: disposizione, questa, che sarebbe significativa della volontà del legislatore di «accomunare» i parenti e gli affini.
Quindi, la CTR del Molise elenca una nutrita serie di previsioni normative parimenti sintomatiche, a suo avviso, della dedotta necessaria identità di trattamento tra le due categorie di familiari (parenti e affini).
Tali sarebbero, segnatamente, le norme recate dall'art. 87, quarto comma, del codice civile, che include gli affini tra i soggetti per quali è vietato unirsi reciprocamente in matrimonio;
dall'art. 433, quinto comma (recte: primo comma, numeri 4 e 5), cod. civ., che impone agli affini, accanto al coniuge e a determinati parenti, l'obbligo di prestare gli alimenti;
dall'art. 230-bis, terzo comma, cod. civ., che, nel disciplinare l'impresa familiare, considera anche gli affini, appunto, come familiari;
dagli artt. 348 e 417 cod. civ., i quali, rispettivamente, prevedono che gli affini possono essere scelti per rivestire la figura di tutore e sono legittimati a proporre istanza di interdizione o di inabilitazione;
dall'art. 2399 cod. civ., che pone una causa d'ineleggibilità e di decadenza alla carica di sindaco sia per gli affini che per i parenti degli amministratori della società per azioni, o di società da questa controllate, nonché di quelle che la controllano e di quelle sottoposte a comune controllo;
dall'art. 51 del codice di procedura civile, che disciplina le ipotesi di astensione del giudice;
dall'art. 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), il quale riconosce anche agli affini il diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito per l'assistenza al familiare portatore di handicap in situazione di gravità;
infine, dall'art. 74 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30), che, con specifico riguardo alle attività agricole, esclude, a determinate condizioni, la configurabilità di un rapporto di lavoro autonomo o subordinato in relazione alle prestazioni svolte tanto dai parenti quanto dagli affini sino al quarto grado.
3.1.1.- Ad avviso del rimettente, risulterebbero violati anche gli artt. 29 e 31 Cost., «posti in relazione» all'art. 2 Cost., «in considerazione del favore espresso dalla Carta Costituzionale nei confronti della famiglia e dei rapporti che ivi si esplicano».
I precetti di cui agli artt. 29 e 31 Cost. appresterebbero difatti una «particolare e specifica tutela» dell'intera collettività familiare che, alla luce delle considerazioni dianzi svolte, dovrebbe comprendere non solo i parenti ma anche gli affini.
3.1.2.- A conforto degli assunti posti a fondamento delle questioni sollevate, la CTR richiama, infine, la sentenza n. 203 del 2013, con la quale questa Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità, a norma dell'art. 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), nella parte in cui non includeva nel novero dei soggetti legittimati a fruire del congedo da esso previsto, e alle condizioni ivi stabilite, i parenti e gli affini entro il terzo grado conviventi con il familiare versante in situazione di grave disabilità, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti degli altri soggetti individuati dalla disposizione censurata, idonei a prendersi cura della persona disabile.
4.- È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili e, comunque, infondate.
4.1.- L'eccezione d'inammissibilità è argomentata con l'asserito difetto di motivazione della non manifesta infondatezza.
Sarebbe stata, in particolare, omessa qualsiasi motivazione sulle ragioni del contrasto, affermato in via meramente assertiva, tra la norma censurata e gli artt. 2, 29 e 31 Cost.
Analoga carenza minerebbe la prospettata compromissione del principio di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost. Il Collegio rimettente, pur avendo elencato diverse disposizioni dalle quali intende desumere l'uniformità di trattamento tra le due categorie di familiari, non avrebbe, infatti, addotto alcuno specifico argomento diretto a illustrare l'irragionevolezza della diversa disciplina che questa norma riserva agli affini rispetto ai parenti. Né sarebbe stata effettuata alcuna analisi in ordine agli interessi tutelati, tanto dalla disposizione denunciata quanto dalle disposizioni dalle quali sarebbe, in tesi, deducibile la necessità della parità di trattamento tra i parenti e gli affini.
4.2.- Nel merito, poi, l'Avvocatura generale ritiene insussistente la denunciata violazione dell'art. 3 Cost., dovendo escludersi che la categoria degli affini sia omogenea, e tanto meno identica, a quella dei parenti.
Il vincolo di affinità lega, infatti, il coniuge ai parenti dell'altro coniuge, sicché sarebbe meno «solido e stabile» di quello di parentela, che lega invece