Corte Cost., sentenza 17/05/2018, n. 101

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E' illegittimo, in relazione agli artt. 3, 97, 117- terzo e quarto comma- 119 e 120 Cost., l' art. 1, comma 466, della legge 11 dicembre 2016, n. 232 nella parte in cui stabilisce che, a partire dal 2020, ai fini della determinazione dell'equilibrio del bilancio degli enti territoriali, le spese vincolate provenienti dai precedenti esercizi debbano trovare finanziamento nelle sole entrate di competenza e nella parte in cui non prevede che l'inserimento dell'avanzo di amministrazione e del fondo pluriennale vincolato nei bilanci dei medesimi enti territoriali abbia effetti neutrali rispetto alla determinazione dell'equilibrio dell'esercizio di competenza.

Massima redatta a cura del Ce.R.D.E.F.

E' illegittimo, in relazione agli artt.. 3, 25- secondo comma- 81- primo e sesto comma- 97, 117- terzo comma 119- primo, secondo e sesto comma- Cost, l' art. 1, comma 475, lettere a) e b), della legge n. 232 del 2016 nella parte in cui prevede che gli enti locali delle Province autonome di Trento e di Bolzano e della Regione Friuli-Venezia Giulia sono tenuti a versare l'importo della sanzione per il mancato conseguimento dell'obiettivo di finanza pubblica al bilancio dello Stato anziche' a quello delle suddette autonomie speciali.

Massima redatta a cura del Ce.R.D.E.F.

E' illegittimo, in relazione all' art. 136 Cost. , l' art. 1, comma 519, della legge n. 232 del 2016 perchè il legislatore statale ha perseguito - sia pure attraverso una diversa tecnica normativa - lo stesso risultato cui tendeva la norma dichiarata illegittima con la sentenza n. 188 del 2016 di questa Corte.

Massima redatta a cura del Ce.R.D.E.F.

Sul provvedimento

Citazione :
Corte Cost., sentenza 17/05/2018, n. 101
Giurisdizione : Corte Costituzionale
Numero : 101
Data del deposito : 17 maggio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Ritenuto in fatto

1.- La Provincia autonoma di Bolzano, con ricorso spedito per la notificazione il 17 febbraio 2017 e depositato il 23 febbraio 2017, iscritto al n. 20 del registro ricorsi 2017, ha proposto, tra le altre, questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 475, lettere a) e b), della L. 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019), in riferimento agli artt. 79, commi 1, 3 e 4, 80, 81 103, 104 e 107 del D.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige/Südtirol);
agli artt. 17 e 18 del D.Lgs. 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale);
al D.Lgs. 16 marzo 1992, n. 266, recante "Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra gli atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento");
agli artt. 3 e 97 Cost., sotto il profilo del principio di ragionevolezza, all'art. 117, terzo e quarto comma, Cost., all'art. 119 Cost., in combinato disposto con l'art. 10 della L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), all'art. 120 Cost., con riferimento al principio di leale collaborazione e all'accordo del 15 ottobre 2014 recepito con la L. 23 dicembre 2014, n. 190, recante "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)";
nonché all'art. 9 della L. 24 dicembre 2012, n. 243 (Disposizioni per l'attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell'articolo 81, sesto comma, della Costituzione), in relazione all'art. 81 Cost. e alla L.Cost. 20 aprile 2012, n. 1 (Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale).

1.1.- Premette la ricorrente che, in forza del Titolo VI dello statuto reg. Trentino-Alto Adige/Südtirol, la Provincia autonoma di Bolzano gode di una particolare autonomia in materia finanziaria, sistema rafforzato dalla previsione di un meccanismo peculiare per la modificazione delle disposizioni recate dal medesimo Titolo VI, che ammette l'intervento del legislatore statale con legge ordinaria solo in presenza di una preventiva intesa con la Regione e le Province autonome, in applicazione dell'art. 104 dello statuto medesimo.

La Provincia autonoma di Bolzano richiama il cosiddetto Accordo di Milano del 2009, siglato a Milano il 30 novembre 2009, con il quale la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol e le Province autonome di Trento e di Bolzano hanno concordato con il Governo la modificazione del Titolo VI dello statuto speciale, secondo la procedura rinforzata prevista dal predetto art. 104. Tale intesa ha portato, ai sensi dell'art. 2, commi da 106 a 126, della L. 23 dicembre 2009, n. 191, recante "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010)", a un nuovo sistema di relazioni finanziarie con lo Stato, anche in attuazione del processo di riforma in senso federalista contenuto nella L. 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione). La ricorrente rammenta che, successivamente, è intervenuto l'accordo del 15 ottobre 2014 (cosiddetto "Patto di Garanzia"), sempre tra lo Stato, la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol e le Province autonome di Trento e di Bolzano, il quale ha portato a ulteriori modifiche del Titolo VI dello statuto di autonomia, sempre secondo la procedura rinforzata prevista dall'art. l04 del medesimo statuto. Tale ultima intesa, recepita con la L. 23 dicembre 2014, n. 190, recante "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)", ha, quindi, ulteriormente innovato, ai sensi dell'art. l, commi da 407 a 413, della medesima legge, il sistema di relazioni finanziarie con lo Stato.

La Provincia autonoma di Bolzano evidenzia che il quadro statutario in materia finanziaria (sono richiamati in particolare gli artt. 79, 80 ed 81 dello statuto speciale) si caratterizza, tra l'altro, per la previsione espressa di una disposizione volta a disciplinare il concorso della Regione e delle Province autonome al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, di perequazione e di solidarietà e all'esercizio dei diritti e dei doveri dagli stessi derivanti, nonché all'osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea.

È previsto espressamente che siano la Regione e le Province autonome a provvedere, per sé e per gli enti del sistema territoriale regionale integrato di rispettiva competenza, alle finalità di coordinamento della finanza pubblica contenute in specifiche disposizioni legislative dello Stato, adeguando, ai sensi dell'art. 2 del D.Lgs. 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra gli atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento), la propria legislazione ai principi costituenti limiti ai sensi degli artt. 4 e 5 dello statuto speciale, nelle materie individuate dallo statuto, adottando, conseguentemente, autonome misure di razionalizzazione e contenimento della spesa, anche orientate alla riduzione del debito pubblico, idonee ad assicurare il rispetto delle dinamiche della spesa aggregata delle amministrazioni pubbliche del territorio nazionale, in coerenza con l'ordinamento dell'Unione europea, per cui non si applicano le misure adottate per le Regioni e per gli altri enti nel restante territorio nazionale.

La ricorrente rammenta, inoltre, che il regime dei rapporti finanziari tra Stato e autonomie speciali è dominato dal principio dell'accordo e dal principio di consensualità (sono richiamate le sentenze di questa Corte n. 28 del 2016, n. 133 del 2010, n. 82 del 2007, n. 353 del 2004, n. 98 del 2000 e n. 39 del 1984), definito, per quanto riguarda la Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol e le Province autonome di Trento e di Bolzano, dagli artt. 103, 104 e 107 dello statuto speciale, sicché la previsione di una disciplina statale immediatamente e direttamente applicabile nel territorio provinciale si porrebbe in contrasto con l'art. 107 dello statuto e con il principio di leale collaborazione, in quanto determinerebbe una modificazione unilaterale da parte dello Stato dell'ordinamento provinciale.

La ricorrente osserva che, se nelle materie attribuite alla competenza delle Province autonome, l'art. 2 del D.Lgs. n. 266 del 1992, nel disciplinare il rapporto con l'ordinamento statale, prevede a loro carico un onere di adeguamento della propria legislazione alle norme statali costituenti limiti ai sensi degli artt. 4 e 5 dello statuto speciale - limiti da individuarsi, per le materie di competenza esclusiva, nelle disposizioni qualificabili norme fondamentali di riforma economica e sociale, e, per le materie di competenza concorrente, nelle disposizioni qualificabili come principi - nondimeno tanto non potrebbe significare che le norme statali debbano essere assunte tali e quali e, nelle more dell'adeguamento, resterebbero applicabili quelle provinciali, per cui la disciplina statale nemmeno potrebbe trovare immeditata applicazione.

La ricorrente evidenzia che, sebbene l'art. 1, comma 638, della L. n. 232 del 2016 ne disponga l'applicazione alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione, nondimeno, l'art. l della L. n. 232 del 2016 recherebbe alcune disposizioni che o parrebbero essere destinate ad applicarsi alla ricorrente Provincia, in quanto includono espressamente le Province autonome di Trento e di Bolzano tra i propri destinatari, senza essere state preventivamente concordate;
oppure, in modo indiretto, sarebbero destinate a produrre effetti nei suoi confronti, rendendo ardua un'interpretazione adeguatrice al fine di renderle compatibili con l'ordinamento statutario (sono richiamate le sentenze di questa Corte n. 228 del 2013 e n. 412 del 2004), vanificando così la predetta clausola di salvaguardia con la propria formulazione testuale.

1.2.- Tanto premesso, la Provincia autonoma di Bolzano deduce anzitutto l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 475, lettere a) e b), della L. n. 232 del 2016. Tale comma così dispone: "Ai sensi dell'articolo 9, comma 4, della L. 24 dicembre 2012, n. 243, in caso di mancato conseguimento del saldo di cui al comma 466 del presente articolo: a) l'ente locale è assoggettato ad una riduzione del fondo sperimentale di riequilibrio o del fondo di solidarietà comunale in misura pari all'importo corrispondente allo scostamento registrato .... Gli enti locali delle regioni Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta e delle province autonome di Trento e di Bolzano sono assoggettati ad una riduzione dei trasferimenti correnti erogati dalle medesime regioni o province autonome in misura pari all'importo corrispondente allo scostamento registrato. Le riduzioni di cui ai precedenti periodi assicurano il recupero di cui all'articolo 9, comma 2, della L. 24 dicembre 2012, n. 243, e sono applicate nel triennio successivo a quello di inadempienza in quote costanti. In caso di incapienza, per uno o più anni del triennio di riferimento, gli enti locali sono tenuti a versare all'entrata del bilancio dello Stato le somme residue di ciascuna quota annuale, entro l'anno di competenza delle medesime quote, presso la competente sezione di tesoreria provinciale dello Stato, al capo X dell'entrata del bilancio dello Stato, al capitolo 3509, articolo 2. In caso di mancato versamento delle predette somme residue nell'anno successivo, il recupero è operato con le procedure di cui ai commi 128 e 129 dell'articolo l della L. 24 dicembre 2012, n. 228;
b) nel triennio successivo la regione o la provincia autonoma è tenuta ad effettuare un versamento all'entrata del bilancio dello Stato, di importo corrispondente a un terzo dello scostamento registrato, che assicura il recupero di cui all'articolo 9, comma 2, della L. 24 dicembre 2012, n. 243. Il versamento è effettuato entro il 31 maggio di ciascun anno del triennio successivo a quello di inadempienza. In caso di mancato versamento si procede al recupero di detto scostamento a valere sulle giacenze depositate a qualsiasi titolo nei conti aperti presso la tesoreria statale;
c) nell'anno successivo a quello di inadempienza l'ente non può impegnare spese correnti, per le regioni al netto delle spese per la sanità, in misura superiore all'importo dei corrispondenti impegni dell'anno precedente ridotti dell'l per cento ...;
d) nell'anno successivo a quello di inadempienza l'ente non può ricorrere all'indebitamento per gli investimenti. Per le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, restano esclusi i mutui già autorizzati e non ancora contratti. I mutui e i prestiti obbligazionari posti in essere con istituzioni creditizie o finanziarie per il finanziamento degli investimenti o le aperture di linee di credito devono essere corredati di apposita attestazione da cui risulti il rispetto del saldo di cui al comma 466. L'istituto finanziatore o l'intermediario finanziario non può procedere al finanziamento o al collocamento del prestito in assenza della predetta attestazione;
e) nell'anno successivo a quello di inadempienza l'ente non può procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo, con qualsivoglia tipologia contrattuale, compresi i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa e di somministrazione, anche con riferimento ai processi di stabilizzazione in atto. È fatto altresì divieto agli enti di stipulare contratti di servizio con soggetti privati che si configurino come elusivi della presente disposizione. Le regioni, le città metropolitane e i comuni possono comunque procedere ad assunzioni di personale a tempo determinato, con contratti di durata massima fino al 31 dicembre del medesimo esercizio, necessari a garantire l'esercizio delle funzioni di protezione civile, di polizia locale, di istruzione pubblica e del settore sociale nel rispetto del limite di spesa di cui al primo periodo del comma 28 dell'articolo 9 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 luglio 2010, n. 122;
f) nell'anno successivo a quello di inadempienza, il presidente, il sindaco e i componenti della giunta in carica nell'esercizio in cui è avvenuta la violazione sono tenuti a versare al bilancio dell'ente il 30 per cento delle indennità di funzione e dei gettoni di presenza spettanti nell'esercizio della violazione".

Detto comma, con il richiamo all'art. 9, comma 4, della L. n. 243 del 2012, introduce misure sanzionatorie in caso di mancato conseguimento del saldo non negativo, in termini di competenza, tra le entrate finali e le spese finali.

Limitatamente a quanto di interesse delle Province autonome di Trento e di Bolzano, la ricorrente evidenzia come alla lettera a) si preveda che in tal caso i Comuni che ricadono nel territorio delle due Province autonome sono assoggettati a una riduzione dei trasferimenti correnti erogati dalle medesime in misura pari all'importo corrispondente allo scostamento registrato e che tali riduzioni assicurano il recupero di cui all'art. 9, comma 2, della L. n. 243 del 2012 e sono applicate nel triennio successivo a quello di inadempienza in quote costanti. In caso di incapienza, per uno o più anni del triennio di riferimento, gli enti locali sono tenuti a versare all'entrata del bilancio dello Stato le somme residue di ciascuna quota annuale, entro l'anno di competenza delle medesime quote. In caso di mancato versamento delle predette somme residue nell'anno successivo, il recupero è operato con le procedure di cui ai commi 128 e 129 dell'art. l della L. 24 dicembre 2012, n. 228, recante "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2013)". Queste ultime disposizioni prevedono compensazioni a regime tra debiti degli enti locali nei confronti del Ministero dell'interno e assegnazioni ministeriali, anche mediante trattenimento sulle somme a essi spettanti a titolo di imposta municipale propria (IMU).

Quindi, con esplicito riferimento alle Province autonome, la norma in questione disciplina le conseguenze del mancato conseguimento del "saldo non negativo" da parte dei Comuni, nell'ambito della norma dettata in generale per le Regioni a statuto ordinario e gli enti locali delle medesime, introducendo una disciplina specifica per la Regione Siciliana e la Regione autonoma della Sardegna, nonché per le autonomie speciali che hanno competenza in materia di finanza locale (Regione autonoma Valle d'Aosta, Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e Province autonome di Trento e di Bolzano).

L'art. 1, comma 475, lettera b), della L. n. 232 del 2016 prevede inoltre che nel triennio successivo la competente Provincia autonoma è tenuta a effettuare un versamento all'entrata del bilancio dello Stato, di importo corrispondente a un terzo dello scostamento registrato, che assicura il recupero di cui all'art. 9, comma 2, della L. n. 243 del 2012, versamento che deve essere effettuato entro il 31 maggio di ciascun anno del triennio successivo a quello di inadempienza. In caso di mancato versamento si procede al recupero di detto scostamento a valere sulle giacenze depositate a qualsiasi titolo nei conti aperti presso la tesoreria statale.

La Provincia autonoma di Bolzano sostiene che le predette disposizioni interferirebbero in modo evidente con l'assetto dei rapporti finanziari intercorrenti tra le Province autonome e lo Stato, che comprende anche la finanza dei Comuni dei rispettivi territori, come disciplinato nello statuto di autonomia, anche a seguito del citato Patto di Garanzia del 15 ottobre 2014 e delle conseguenti modificazioni statutarie intervenute.

Secondo la ricorrente, sebbene il legislatore statale qualifichi le disposizioni di cui ai commi da 463 a 484 dell'art. 1 della legge n. 232 del 2016 - e, quindi, anche il comma 475 - come "principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, ai sensi degli artt. 117, terzo comma, e 119, secondo comma, della Costituzione", le norme di cui al comma 475, lettere a) e b), avrebbero un contenuto immediatamente precettivo, di diretta applicazione, pur essendo incompatibili con l'ordinamento statutario delle Province autonome. Esse, pertanto, si porrebbero in contrasto con il comma 483 dello medesimo art. l, il quale prevede espressamente che, per le Regioni autonome Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige/Südtirol, nonché per le Province autonome di Trento e di Bolzano, non si applicano le disposizioni di cui ai commi 475 e 479 e che resta ferma la disciplina del patto di stabilità interno recata dall'art. 1, commi 454 e seguenti, della L. n. 228 del 2012, come attuata dagli accordi sottoscritti con lo Stato;
inoltre, secondo la ricorrente, le norme impugnate sarebbero altresì incoerenti, se non in contrasto, con la clausola generale di salvaguardia di cui al comma 638 dello stesso articolo, secondo cui sono applicabili "compatibilmente", vanificandola, in quanto esse menzionano espressamente come destinatarie anche le Province autonome e gli enti locali (Comuni) del rispettivo territorio, senza lasciare spazio ad alcuna possibilità di essere interpretate in modo rispettoso dell'autonomia. Pertanto, esse violerebbero le previsioni statutarie che attribuiscono alle Province autonome la potestà legislativa esclusiva e la corrispondente potestà amministrativa in materia di finanza locale - che, in quanto tale, sarebbe soggetta al limite dei principi costituenti "norme di riforma economico-sociale" e non a quello dei principi delle materie di competenza concorrente - nonché con la funzione attribuita alle medesime del coordinamento della finanza pubblica provinciale, che comprende la finanza locale (sono richiamati gli artt. 16 79, commi 3 e 4, 80 - come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 518, della L. 27 dicembre 2013, n. 147, recante "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)", approvato ai sensi dell'art. 104 dello statuto speciale, a norma dell'art.1, comma 520, della stessa legge - e 81 dello statuto;
nonché gli artt. 17 e 18 del D.Lgs. n. 268 del 1992).

Più specificamente, le disposizioni di cui alla lettera a) del comma 475, laddove definiscono direttamente la sanzione conseguente al mancato rispetto dell'obiettivo del saldo, sarebbero in contrasto con l'attribuzione da parte dello statuto d'autonomia della competenza esclusiva, legislativa e amministrativa, nella materia della finanza locale - e quindi con gli artt. 80 e 81 dello statuto, nonché con il D.Lgs. n. 268 del 1992 - e della funzione di coordinamento della finanza pubblica rispetto ai Comuni del rispettivo territorio, nonché agli altri enti a ordinamento regionale o provinciale, che costituiscono il sistema territoriale integrato (è richiamato l'art. 79, commi 1 e 3, dello statuto).

Per quanto riguarda, invece, le Province autonome, secondo la ricorrente la previsione dell'obbligo di effettuare un versamento all'entrata del bilancio dello Stato in relazione allo scostamento registrato, di importo corrispondente a un terzo, come prescritto dalla lettera b) del comma 475, contrasterebbe con l'autonomia finanziaria codificata dal Titolo VI dello statuto speciale, come riconosciuta e disciplinata in modo esaustivo dall'art. 79, comma 4, a seguito dell'accordo del 15 ottobre 2014, assunto ai sensi dell'art. 104 dello statuto speciale.

Peraltro, la Provincia autonoma di Bolzano evidenzia che la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol non grava sul bilancio dello Stato per il finanziamento della spesa dei propri Comuni, poiché nel territorio regionale la finanza locale è a carico delle Province, con la conseguenza che lo Stato non potrebbe neppure adottare norme per il loro coordinamento finanziario. Richiama in proposito anche la recente sentenza di questa Corte n. 75 del 2016, con la quale, dopo aver ribadito il peculiare assetto della finanza locale nella Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, si afferma che "... lo Stato, non concorrendo al finanziamento dei Comuni che insistono sul territorio della Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, non può neppure adottare norme per il loro coordinamento finanziario, che infatti compete alla Provincia, ai sensi del richiamato art. 79, comma 3, dello statuto". Osserva inoltre che le norme attuative del sistema sanzionatorio definite, tra l'altro, con legge ordinaria, dovrebbero essere coerenti con il precetto contenuto nell'art. 9, comma 2, della L. n. 243 del 2012, il quale impone agli enti che registrino un saldo negativo, di adottare "misure di correzione tali da assicurare il recupero entro il triennio successivo, in quote costanti", sicché le disposizioni impugnate non potrebbero spingersi a definire misure sanzionatorie nei confronti delle autonomie del Trentino­Alto Adige/Südtirol in contrasto con l'ordinamento finanziario statutario.

1.3.- Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo il rigetto del ricorso.

Secondo il resistente, le censure relative al citato comma 475, lettere a) e b), devono ritenersi infondate alla luce di quanto disposto dal successivo comma 483, secondo il quale "per le regioni Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige, nonché per le province autonome di Trento e di Bolzano, non si applicano le disposizioni di cui ai commi 475 e 479 del presente articolo e resta ferma la disciplina del patto di stabilità interno recata dall'articolo l, commi 454 e seguenti, della L. 24 dicembre 2012, n. 228, come attuata dagli accordi sottoscritti con lo Stato. Ai fini del saldo di competenza mista previsto per la regione Trentino-Alto Adige e le province autonome di Trento e di Bolzano, è considerato il fondo pluriennale vincolato, di entrata e di spesa, al netto della quota riveniente dal ricorso all'indebitamento". La norma, dunque, prevede espressamente che ai suddetti enti non si applicano le disposizioni in materia di sanzioni e premialità connesse alla disciplina del pareggio di bilancio di cui all'art. 1, commi 475 e 479, della L. n. 232 del 2016, operando, invece, il regime sanzionatorio connesso alla disciplina del patto di stabilità interno.

A decorrere dall'anno 2018 - prosegue la difesa statale - con il venir meno del vincolo del patto di stabilità interno, il corpus giuridico di riferimento sarà costituito dalla sola disciplina del pareggio di bilancio, in attuazione degli accordi rispettivamente sottoscritti con lo Stato (in particolare, sono richiamati l'art. 8 del Protocollo d'intesa tra lo Stato e la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia del 23 ottobre 2014, recepito dall'art. 1, comma 517, della L. n. 190 del 2014, e il punto 10 dell'Accordo tra lo Stato e la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol e le Province autonome di Trento e di Bolzano del 15 ottobre 2014, recepito dall'art. 79, comma 4-quater, dello statuto di autonomia). Ne consegue che, a decorrere dall'anno 2018, anche nei confronti dei predetti enti ad autonomia differenziata troverà applicazione il nuovo regime sanzionatorio e premiale disciplinato dai citati commi 475 e 479.

Con riguardo alla censura rivolta alla lettera a) del comma 475, il Presidente del Consiglio dei ministri osserva che tale misura sanzionatoria è applicabile agli enti locali dei predetti enti ad autonomia differenziata, assoggettati, già dal 2016, al vincolo del pareggio di bilancio in luogo del patto di stabilità interno;
tale disciplina sarebbe volta a salvaguardare - proprio attraverso misure di correzione dell'eventuale disavanzo registrato - l'equilibrio unitario della finanza pubblica complessiva e sarebbe strumentale al perseguimento di obiettivi nazionali, condizionati anche da obblighi comunitari. Essa costituirebbe pertanto diretta attuazione dei princìpi costituzionali volti al coordinamento della finanza pubblica, che non potrebbero che trovare uniforme applicazione anche nei confronti delle autonomie speciali e dei rispettivi enti locali. Infatti, qualora tali princìpi comportino l'obbligo di contenere la spesa (mediante la riduzione delle correlate entrate), la Regione o la Provincia autonoma, nel momento in cui si sottrae a misure destinate a operare sull'intero territorio nazionale, non adempirebbe all'obbligo solidaristico di cui agli artt. 2 e 5 Cost., avvantaggiando indebitamente i propri residenti rispetto ai cittadini del restante territorio nazionale.

Il resistente rammenta che, al riguardo, questa Corte ha già affermato che "i margini costituzionalmente tutelati dell'autonomia finanziaria e organizzativa della Regione si riducono, quando essa ha trasgredito agli obblighi legittimamente imposti dalla legislazione dello Stato, al fine di garantire la tenuta della finanza pubblica allargata" (sentenza n. 219 del 2013;
in precedenza, sentenza n. 155 del 2011). A questo effetto non si potrebbero sottrarre certamente le autonomie speciali, dato che si renderebbe necessario anche nei loro confronti consentire allo Stato di decidere autonomamente quale sanzione, nei limiti della non manifesta irragionevolezza e della proporzionalità, abbia una sufficiente efficacia compensativa e deterrente.

Ne consegue che la previsione di un meccanismo sanzionatorio a carico degli enti locali delle ricorrenti non si tradurrebbe in una lesione delle prerogative statutarie, una volta che sia stata attribuita allo Stato la competenza a disciplinare gli effetti della violazione del patto di stabilità (si cita la sentenza n. 46 del 2015 di questa Corte).

2.- La Provincia autonoma di Trento, con ricorso spedito per la notificazione il 20 febbraio 2017 e depositato il 28 febbraio 2017, iscritto al n. 24 del registro ricorsi 2017, ha proposto, tra le altre, questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 466, quarto periodo, comma 475, lettere a) e b), comma 479, lettera a), e comma 483, primo periodo, nella parte in cui richiama il comma 479, della L. n. 232 del 2016, in riferimento agli artt. 8, numero 1), 16, 69, 79, 80, 81, 103, 104 e 107 dello statuto speciale Trentino-Alto Adige/Südtirol;
agli artt. 17, 18 e 19 del D.Lgs. n. 268 del 1992;
all'art. 2 del D.P.R. 28 marzo 1975, n. 474 (Norme di attuazione dello statuto per la regione Trentino-Alto Adige in materia di igiene e sanità);
all'art. 2 del D.Lgs. n. 266 del 1992;
al principio di ragionevolezza di cui agli artt. 3 e 97 Cost.;
all'art. 81 Cost., anche in relazione alla L.Cost. n. 1 del 2012 e alla L. n. 243 del 2012;
agli artt. 117, terzo e quarto comma, e 119 Cost., in combinato disposto con l'art. 10 della L.Cost. n. 3 del 2001;
al principio di leale collaborazione, anche in relazione all'art. 120 Cost., e all'accordo del 15 ottobre 2014, recepito con la L. n. 190 del 2014.

2.1.- La ricorrente premette di non ignorare l'esistenza della clausola di salvaguardia contenuta nell'art. 1, comma 638, della L. n. 232 del 2016, ma essa, secondo la ricorrente, non sarebbe di per sé idonea a evitare che le disposizioni specificamente indirizzate alle autonomie speciali, e in particolar modo alla Provincia autonoma di Trento, possano trovare comunque applicazione.

2.2.- Quest'ultima sostiene che l'art. 1, comma 466, della L. n. 232 del 2016, detta norme sull'equilibrio di bilancio applicabili anche alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome ai sensi dell'art. 1, comma 465, della legge medesima. Tali norme sono in parte riproduttive dell'art. 9, commi 1 e 1-bis, della L. n. 243 del 2012, come modificato dall'art. 1 della L. 12 agosto 2016, n. 164 (Modifiche alla L. 24 dicembre 2012, n. 243, in materia di equilibrio dei bilanci delle regioni e degli enti locali). Il primo periodo, infatti, definisce l'equilibrio di bilancio come "saldo non negativo, in termini di competenza, tra le entrate finali e le spese finali" e il secondo periodo specifica quali sono le entrate finali ("quelle ascrivibili ai titoli 1, 2, 3, 4 e 5 dello schema di bilancio previsto dal D.Lgs. 23 giugno 2011, n. 118") e le spese finali ("quelle ascrivibili ai titoli 1, 2 e 3 del medesimo schema di bilancio"). I due successivi periodi del comma 466 riguardano il fondo pluriennale vincolato: il terzo periodo stabilisce che "per gli anni 2017-2019, nelle entrate e nelle spese finali in termini di competenza è considerato il fondo pluriennale vincolato, di entrata e di spesa, al netto della quota riveniente dal ricorso all'indebitamento";
il quarto periodo prevede che "a decorrere dall'esercizio 2020, tra le entrate e le spese finali è incluso il fondo pluriennale vincolato di entrata e di spesa, finanziato dalle entrate finali".

In relazione a detto quarto periodo del citato comma 466, la Provincia autonoma di Trento evidenzia che a decorrere dall'esercizio 2020 vengono posti limiti alla rilevanza dell'avanzo di bilancio se utilizzato per finanziare il fondo pluriennale vincolato, consentendo cioè il computo di tale fondo ai fini dell'equilibrio di bilancio solo se questo sia stato finanziato tramite le entrate finali (e quindi, ad esempio, non con l'avanzo di amministrazione autorizzato ai sensi del comma 502 dello stesso art. 1 della L. n. 232 del 2016 o mediante operazioni di indebitamento).

Tale restrizione costituisce appunto l'oggetto della censura della ricorrente, la quale rammenta che il fondo pluriennale vincolato è una posta di bilancio introdotta in esecuzione dei principi statali di armonizzazione dei bilanci pubblici dettati dal D.Lgs. 23 giugno 2011, n. 118 (Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della L. 5 maggio 2009, n. 42). Il fondo è costituito da risorse già accertate e già impegnate in esercizi precedenti, ma destinate al finanziamento di obbligazioni passive dell'ente che diventeranno esigibili in esercizi successivi a quello in cui è accertata l'entrata. Il fondo pluriennale vincolato rappresenta dunque un saldo finanziario a garanzia della copertura di spese imputate a esercizi successivi a quello in corso e configura lo strumento tecnico per ricollocare su tali esercizi spese già impegnate, relativamente alle quali sussiste un'obbligazione giuridicamente perfezionata, e quindi un vincolo a effettuare i relativi pagamenti, i quali, tuttavia, giungeranno a scadenza negli esercizi su cui vengono reimputate le spese. Tale reimputazione risulta obbligatoria ai sensi del predetto D.Lgs. n. 118 del 2011. Trattandosi di spese già impegnate su esercizi precedenti, esse risultano finanziariamente già coperte con entrate di tali esercizi. Proprio per questo, le regole dell'armonizzazione prevedono che l'operazione di reimputazione delle spese sia accompagnata dalla reimputazione delle relative entrate sui medesimi esercizi finanziari attraverso il fondo pluriennale, alimentato con le risorse degli anni in cui erano state impegnate le spese. Con riferimento al fondo pluriennale vincolato, la L. 28 dicembre 2015, n. 208, recante "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)", ne aveva previsto la considerazione limitatamente all'anno 2016 ai fini dell'equilibrio di bilancio (art. 1, comma 711, secondo periodo), con conseguente esclusione per gli anni successivi. La L. n. 164 del 2016 ha consentito anche per il triennio 2017-2019 l'inclusione del fondo pluriennale vincolato ai fini dell'equilibrio di bilancio, subordinando però questa eventualità a successive previsioni della legge di bilancio e comunque alla sua compatibilità con gli obiettivi di finanza pubblica. La ricorrente rammenta che tali limitazioni erano già state oggetto di contestazione da parte sua, con ricorsi rispettivamente iscritti ai numeri 20 e 69 del registro ricorsi 2016.

In proposito, la Provincia autonoma di Trento osserva che l'art. 1, comma 466, terzo periodo, della L. n. 232 del 2016, sopravvenuto alle citate impugnative, consente ora di considerare il fondo pluriennale vincolato, di entrata e di spesa, al netto della quota riveniente da operazioni di indebitamento per il triennio 2017-2019;
per questa parte, precisa la ricorrente, la disposizione non è censurata.

Diversamente, oggetto di denuncia è la previsione per cui a partire dall'esercizio 2020 l'inclusione del fondo pluriennale vincolato tra le entrate e le spese finali è consentita solo nella parte in cui esso è finanziato con le entrate finali, con esclusione, quindi, della possibilità di considerare il fondo stesso ai fini dell'equilibrio di bilancio se esso sia stato finanziato con entrate diverse da quelle classificate come "finali", quali quelle derivanti dal ricorso all'indebitamento o reperite tramite l'avanzo di amministrazione.

Secondo la Provincia autonoma di Trento, tale limitazione dell'attitudine dell'avanzo della Provincia a essere valorizzato in tutti i suoi possibili impieghi contabili, e in particolare ai fini del finanziamento del fondo pluriennale vincolato, violerebbe sotto diversi profili la propria autonomia finanziaria, garantita dal Titolo VI dello statuto speciale e dall'art. 119 Cost., in combinato con l'art. 10 della L.Cost. n. 3 del 2001, in quanto una componente patrimoniale della Regione verrebbe indebitamente "sterilizzata", con riferimento all'equilibrio di bilancio: e ciò in assenza di ogni forma di accordo con la Provincia autonoma, e dunque in violazione della leale collaborazione e del metodo pattizio. Quanto alla violazione dell'autonomia finanziaria, il meccanismo contabile sopra descritto determinerebbe, secondo la ricorrente, una limitazione all'uso delle proprie risorse, assegnate dagli artt. 70 e seguenti dello statuto speciale senza vincolo di destinazione, per il finanziamento delle funzioni. Evidenzia inoltre che l'autonomia finanziaria di entrata e di spesa è espressamente riconosciuta dall'art. 119, primo comma, Cost., per tutte le Regioni e quindi tale garanzia, nelle parti in cui debba essere riconosciuta più favorevole, dovrebbe intendersi estesa anche alla Provincia autonoma di Trento dall'art. 10 della L.Cost. n. 3 del 2001 e completata dalla autonomia di bilancio, espressamente tutelata dagli artt. 83 e 84 dello statuto speciale.

La Provincia autonoma di Trento rammenta altresì che le limitazioni all'autonomia finanziaria provinciale sono individuate in modo esaustivo nella clausola di garanzia dettata dall'art. 79, comma 4, dello statuto speciale, il che escluderebbe in radice che, in relazione alla ricorrente, le limitazioni alla computabilità del fondo pluriennale vincolato possano essere giustificate in quanto misura funzionale alla generale sostenibilità del debito pubblico e quindi come contributo agli obiettivi di finanza pubblica. La deroga a esse da parte di una legge statale non preceduta da un accordo con la Provincia autonoma o non approvata nelle forme costituzionali prescritte dall'art. 103 dello statuto confermerebbe la violazione, oltre che delle citate disposizioni, anche del principio pattizio sancito negli artt. 104 e 107 dello statuto e ribadito dall'art. 27 della L. n. 42 del 2009, nonché del principio di leale collaborazione (art. 120, secondo comma, Cost.).

Secondo la ricorrente, inoltre, l'effetto materialmente sottrattivo di risorse prodotto dalla regola contabile in contestazione costringerebbe la Provincia a reperire altrove - e non nel proprio avanzo - le risorse per la copertura del fondo pluriennale vincolato ai fini del pareggio di bilancio. Tale effetto, inoltre, sarebbe irragionevole e contrario ai principi di buon andamento dell'amministrazione sanciti dall'art. 97, secondo comma, Cost., dal momento che risorse disponibili (l'avanzo) non potrebbero essere utilizzate, mentre altre risorse dovrebbero essere distolte dai loro possibili impieghi ai soli fini di dare copertura a una spesa pluriennale che ben potrebbe essere finanziata con l'avanzo degli esercizi precedenti.

Infine, la ricorrente osserva che l'introduzione del fondo pluriennale vincolato è imposta dalla legislazione statale di armonizzazione della finanza pubblica, sicché la sua limitata computabilità ai fini del pareggio, se finanziato con l'avanzo di bilancio, sarebbe lesiva anche del principio costituzionale di leale collaborazione, in quanto regole contabili sarebbero imposte a un certo fine (la programmazione della spesa) e poi piegate ad altro scopo (rendere indisponibili le risorse). L'irragionevolezza della regola qui contestata si rifletterebbe negativamente sull'esercizio delle competenze legislative esclusive e concorrenti e delle corrispettive competenze amministrative della Provincia, che tipicamente comportano programmazione di spesa.

2.3.- La Provincia autonoma di Trento impugna poi l'art. 1, comma 475, lettere a) e b), della L. n. 232 del 2016 nella parte in cui dette disposizioni si riferiscono a essa ricorrente e ai suoi enti locali. In subordine, propone questioni di legittimità costituzionale dei successivi commi 479, lettera a), e 483, primo periodo, nella parte in cui esso escluderebbe l'applicazione del comma 479.

Espone al riguardo che se l'art. 1, comma 483, della L. n. 232 del 2016 afferma che "per le regioni Friuli Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige, nonché per le province autonome di Trento e di Bolzano, non si applicano le disposizioni di cui ai commi 475 e 479 del presente articolo e resta ferma la disciplina del patto di stabilità interno recata dall'art. 1, commi 454 e seguenti, della L. 24 dicembre 2012, n. 228, come attuata dagli accordi sottoscritti con lo Stato", nondimeno, in modo del tutto contraddittorio, il comma 475, relativo alle sanzioni per il mancato rispetto dell'equilibrio di bilancio, conterrebbe, alle lettere a) e b), riferimenti espliciti alle autonomie speciali e, in particolare, alle Province autonome.

La ricorrente ritiene che tali riferimenti siano meri residui di precedenti versioni delle disposizioni e che avrebbero dovuto essere eliminati con l'inserimento del comma 483, il quale - in coerenza con quanto concordato con lo Stato e trasfuso nel 2014 nel nuovo art. 79 dello statuto speciale, che disciplina in modo compiuto anche gli oneri di partecipazione delle Province autonome al sistema della finanza statale - ne sanciva l'estraneità al sistema di premi e sanzioni previsto dall'art. 9 della L. n. 243 del 2012.

Pertanto, a fronte della contraddittorietà delle disposizioni, la Provincia autonoma di Trento ha deciso l'impugnativa per vedere affermata la prevalenza e la vigenza del comma 483, che ne esplicita l'esclusione da tale sistema (con prosecuzione del regime della L. n. 228 del 2012). In caso contrario, laddove si dovesse ritenere che la contraddittorietà normativa debba risolversi considerando operanti i riferimenti alla Provincia autonoma di Trento e ai suoi enti locali contenuti nel comma 475, lettere a) e b), la ricorrente ne contesta la legittimità costituzionale.

2.3.1.- Ove si ritenesse che le disposizioni del comma 475 riguardanti la Provincia autonoma di Trento non solo fossero operanti ma dovessero altresì considerarsi conformi alla Costituzione e allo statuto, la ricorrente in tal caso denuncia l'iniquità e l'irragionevolezza di un sistema che la costringerebbe a subire il regime sanzionatorio di cui al comma 475, ma senza partecipare al regime premiale di cui al comma 479.

2.3.2.- La Provincia autonoma di Trento deduce ulteriormente l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 475, lettera a), della L. n. 232 del 2016, nella parte in cui disciplina direttamente e in modo vincolante i rapporti finanziari degli enti locali con la medesima Provincia.

Evidenzia come la lettera a) preveda che gli enti locali ricadenti nel suo territorio siano privati dei trasferimenti correnti erogati dalla Provincia medesima in misura parti all'importo dello scostamento (saldo negativo): tale disposizione sarebbe pressoché identica a quella di cui all'art. 1, comma 723, L. n. 208 del 2015, il cui comma 723 è già stato impugnato davanti a questa Corte, presentando gli stessi vizi.

Precisa al riguardo la Provincia autonoma di Trento che tale impugnazione è coltivata sempre nell'avversata ipotesi che debba considerarsi la disposizione applicabile alla ricorrente nonostante l'esclusione disposta dal già menzionato comma 483. In tal caso - si prosegue - si tratterebbe di un mero "trasferimento" di un meccanismo sanzionatorio previsto per la generalità dei Comuni a quelli della ricorrente Provincia, solo adattandolo alla circostanza che è da essa che i Comuni ricevono parte delle proprie risorse, senza tenere alcun conto delle specifiche responsabilità e competenze della Provincia autonoma nel governo del sistema locale (fondate sugli artt. 79, 80 e 81 dello statuto, in particolare in materia di finanza locale) e delle regole proprie del rapporto tra fonti statali e fonti provinciali nelle materie di competenza provinciale, dettate dall'art. 2 del D.Lgs. n. 266 del 1992. Né, secondo la ricorrente, la competenza statale prevista - in collegamento con quella in materia di coordinamento della finanza pubblica - dall'art. 9, comma 2, della L. n. 243 del 2012 - o, comunque dal comma 4 del medesimo articolo - potrebbe giustificare tale meccanico trasferimento, essendo evidente, ad avviso della Provincia, che tale competenza generale andrebbe esercitata nel rispetto delle regole speciali poste dallo statuto di autonomia e dalle sue norme di attuazione, contenute, in particolare, negli artt. 79, commi 3 e 4, 80, comma 1, e 81, sussistendo unicamente un potere-dovere di adeguamento da parte della Provincia autonoma alla normativa statale, senza che essa possa applicarsi direttamente ed immediatamente nelle materie di sua competenza. Diversamente, il comma 475, lettera a), da un lato, ignorerebbe completamente la responsabilità e i poteri della Provincia autonoma, in contrasto con il citato art. 79 dello statuto, e inoltre disciplinerebbe direttamente la materia, anche in violazione dell'art. 2 del D.Lgs. n. 266 del 1992, stabilendo che ogni ente locale che non rispetti il vincolo del saldo non negativo subisca una corrispondente decurtazione del trasferimento provinciale per la parte corrente.

Secondo la ricorrente, spetterebbe invece alla medesima il compito di disciplinare autonomamente le conseguenze - all'interno del sistema provinciale - del mancato rispetto del principio del saldo non negativo da parte degli enti locali la cui azione essa regola e finanzia.

2.3.3.- La Provincia autonoma di Trento, inoltre, denuncia l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 475, lettera b), della L. n. 232 del 2016, nella parte in cui introduce sanzioni rispetto al sistema di pareggio di bilancio.

La ricorrente precisa che anche tale profilo di censura deve ritenersi proposto in via cautelativa, laddove non dovesse ritenersi prevalente il comma 483, che dispone la non applicazione alle Provincie autonome dell'intero comma 475.

In tal caso, il comma 475, lettera b), contrasterebbe con il principio di determinazione e di certezza sancito nell'accordo del 15 ottobre 2014 e trasfuso nell'art. 79 dello statuto speciale, in forza del quale i possibili trasferimenti finanziari dalla Provincia autonoma allo Stato devono ritenersi descritti in modo esaustivo dallo stesso art. 79, secondo quanto ivi espressamente affermato nel comma 1 e ribadito dal comma 2, secondo cui "le misure di cui al comma 1 possono essere modificate esclusivamente con la procedura prevista dall'art. 104 e fino alla loro eventuale modificazione costituiscono il concorso agli obiettivi di finanza pubblica". Inoltre, il comma 4 dell'art. 79 dispone espressamente che "nei confronti della regione e delle province e degli enti appartenenti al sistema territoriale regionale integrato non sono applicabili disposizioni statali che prevedono obblighi, oneri, accantonamenti, riserve all'erario o concorsi comunque denominati, ivi inclusi quelli afferenti il patto di stabilità interno, diversi da quelli previsti dal presente titolo". A sua volta, il successivo comma 4-quater dispone - nel teso all'epoca vigente - che "a decorrere dall'anno 2016, la regione e le province conseguono il pareggio del bilancio come definito dall'art. 9 della L. 24 dicembre 2012, n. 243", con la precisazione, contenuta nel seguente comma 4-quinquies, che "restano ferme le disposizioni in materia di monitoraggio, certificazione e sanzioni previste dai commi 460, 461 e 462 dell'art. 1 della L. 24 dicembre 2012, n. 228".

Secondo la ricorrente, si tratterebbe di un sistema compiuto, che non tollererebbe commistioni con un diverso sistema sanzionatorio o premiale.

2.3.4.- Ulteriormente, sempre nell'ipotesi di applicabilità del citato comma 475, lettera b), la Provincia autonoma di Trento ne deduce l'illegittimità laddove esso prevede che, "in caso di mancato versamento" degli importi previsti, "si procede al recupero di detto scostamento a valere sulle giacenze depositate a qualsiasi titolo nei conti aperti presso la tesoreria statale". Si tratterebbe, ad avviso della ricorrente, di una disposizione che violerebbe palesemente il principio di leale collaborazione e dell'accordo, consentendo allo Stato non solo di determinare unilateralmente l'an e il quantum del presunto debito, ma addirittura di attribuirsi direttamente la somma in questione, sottraendola alla Provincia, approfittando del fatto, del tutto casuale, che essa si trovi presso la tesoreria statale. Per tale ragione una simile sottrazione, in assenza di qualunque giusto procedimento, violerebbe altresì le regole di base dell'autonomia finanziaria garantita dagli artt. 70 e seguenti dello statuto speciale.

2.3.5.- Infine, la Provincia autonoma di Trento lamenta l'incongruità e l'irragionevolezza del nesso che l'impugnato comma 475 cercherebbe di instaurare tra il meccanismo sanzionatorio del versamento per tre anni di un terzo dell'importo dello scostamento e la disposizione dell'art. 9, comma 2, della L. n. 243 del 2012. Quest'ultima, infatti, richiede che siano previste "misure di correzione tali da assicurarne il recupero entro il triennio successivo": misure di correzione che portano a recuperare lo squilibrio, ma che, secondo la ricorrente, nulla avrebbero a che fare con il meccanismo afflittivo di cui al comma 475, lettera b), la cui applicazione non migliorerebbe, per l'ente che lo subisce, l'equilibrio tra entrate e uscite.

2.3.6.- In via ulteriormente subordinata la Provincia autonoma di Trento deduce l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, commi 479, lettera a), e 483, primo periodo, della L. n. 232 del 2016 nella parte in cui la coinvolgerebbero nel solo sistema sanzionatorio, ma non anche in quello premiale.

Tale impugnazione, si precisa, è proposta in via cautelativa, nel caso in cui la ricorrente soggiaccia allo specifico regime sanzionatorio di cui al comma 475, senza, tuttavia, partecipare al sistema premiale di cui al comma 479: tanto accadrebbe se si considerassero operanti e legittimi i riferimenti espliciti alle Province autonome contenuti nel comma 475 e, di converso, il comma 483, che assicurerebbe comunque la non applicazione del comma 479, il quale, del resto, riferisce il meccanismo premiale alle sole Regioni.

Una simile ricostruzione del significato complessivo delle disposizioni impugnate sarebbe per la ricorrente palesemente illegittimo, in quanto - si sostiene - la L. n. 243 del 2012 prevederebbe un impianto nel quale il sistema delle sanzioni non potrebbe essere disgiunto da quello dei premi, destinando i "proventi delle sanzioni a favore dei premi agli enti del medesimo comparto che hanno rispettato i propri obiettivi" (art. 9, comma 4, lettera c, della L. n. 243 del 2012). In attuazione di tali disposti, la L. n. 232 del 2016, accanto alle sanzioni del comma 475, introduce al comma 479 la previsione di corrispettive misure premiali. Sicché, laddove la Provincia autonoma fosse costretta a soggiacere al predetto sistema, l'incasso derivante dalle sanzioni - comprese quelle a suo carico, nell'ipotesi di uno squilibrio di bilancio - costituirebbe il fondo da ripartire tra gli enti virtuosi. Ma, in tal caso, il comma 483 escluderebbe dal sistema dei premi essa ricorrente e lo stesso farebbe il comma 479, lettera a), riferendosi soltanto alle Regioni. In questi termini, il comma 479, lettera a), e il comma 483, nella parte in cui ne esclude l'applicabilità alla Provincia autonoma di Trento, si porrebbero in contrasto con l'art. 9, comma 4, della legge rinforzata n. 243 del 2012, che include le autonomie speciali tra i destinatari del sistema sanzionatorio e di quello premiale.

Secondo la ricorrente, essendo la legge statale rinforzata vincolante per la legge ordinaria in forza dell'art. 81 Cost. e dell'art. 5 della L.Cost. n. 1 del 2012, anche tali disposizioni risulterebbero violate. Inoltre, nelle parti indicate i predetti commi 483 e 479, lettera a), violerebbero anche il principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., in quanto determinerebbero un'evidente e ingiustificata discriminazione tra le Province autonome - che si troverebbero esposte al sistema delle sanzioni, ove non riuscissero a conformarsi ai vincoli di bilancio, ma non potrebbero mai godere del riconoscimento di un comportamento virtuoso - e la totalità delle altre Regioni, per le quali potenzialmente opera il correlato beneficio.

Poiché, tuttavia, detta discriminazione verrebbe automaticamente meno escludendo le Province autonome dallo specifico sistema di premi e sanzioni di cui ai commi 475 e 479, come previsto appunto dal comma 483, tale esclusione terrebbe ferma la richiesta avanzata dalla ricorrente in via principale.

2.4.- Si è costituito anche in questo giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato.

Osserva la difesa dello Stato che le disposizioni in questione hanno la finalità di contribuire al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica derivanti dall'appartenenza all'Unione europea, per cui si tratta di misure di risparmio riconducibili a una scelta di fondo del legislatore statale. In questa prospettiva le disposizioni legislative in oggetto sarebbero dunque espressione di un principio di coordinamento della finanza pubblica e, come tali, non si pongono in contrasto con l'autonomia riconosciuta dalla Costituzione all'ente ricorrente;
peraltro, in termini generali, la specificità delle prescrizioni di per sé non sarebbe idonea a escludere il carattere di principio di una norma (è richiamata la sentenza n. 23 del 2014 di questa Corte).

Il Presidente del Consiglio dei ministri, inoltre, evidenzia che, ai sensi dell'art. 105 dello statuto speciale, "nelle materie attribuite alla competenza della regione o della provincia, fino a quando non sia diversamente disposto con leggi provinciali o regionali, si applicano le leggi dello Stato". La citata disposizione prevederebbe dunque che, anche in caso di materie rientranti nella potestà legislativa esclusiva della Provincia autonoma, qualora la stessa non abbia legiferato e fino a quando ciò non avvenga, la normativa statale sia destinata a trovare applicazione.

3.- La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, con ricorso spedito per la notificazione il 20 febbraio 2017 e depositato il 24 febbraio 2017, iscritto al n. 22 del registro ricorsi del 2017, ha impugnato, tra gli altri, l'art. 1, commi 463, 466, primo, secondo e quarto periodo, 483 e 519, della L. n. 232 del 2016, in riferimento agli artt. 48, 49, 51, 63 e 65 della L.Cost. 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia);
agli artt. 3, 25, secondo comma, 81, primo e sesto comma, 97, 117, terzo comma, 119, primo, secondo e sesto comma, e 136 Cost;
all'art. 5, comma 2, lettera c), della L.Cost. n. 1 del 2012, all'art. 10 della L.Cost. n. 3 del 2001;
al principio dell'accordo;
ai principi di ragionevolezza e di leale collaborazione e alle norme di attuazione contenute nel D.P.R. 23 gennaio 1965, n. 114 (Norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia in materia di finanza regionale);
nel D.Lgs. 2 gennaio 1997, n. 8 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Friuli-Venezia Giulia recanti modifiche ed integrazioni al D.P.R. 23 gennaio 1965, n. 114, concernente la finanza regionale), e nel D.Lgs. 31 luglio 2007, n. 137 (Norme di attuazione dello Statuto speciale della regione autonoma Friuli-Venezia Giulia in materia di finanza regionale);
all'art. 27 della L. n. 42 del 2009 e agli artt. 3, comma 2 e 9, della L. n. 243 del 2012.

La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia premette di non ignorare l'esistenza dell'art. l, comma 638, della L. n. 232 del 2016, ma parimenti ritiene che tale clausola di salvaguardia non sarebbe di per sé idonea a evitare che le disposizioni specificamente indirizzate alle autonomie speciali, e in particolar modo a essa ricorrente - tra cui quelle aventi contenuto lesivo dell'autonomia stessa, come le norme impugnate - possano trovare comunque applicazione.

3.1.- La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia impugna l'art. l, comma 466, primo, secondo e quarto periodo, della L. n. 232 del 2016, per incompetenza, con violazione dell'art. 81, comma sesto, Cost., e dell'art. 5 della L.Cost. n. 1 del 2012.

Premette la ricorrente che l'art. 1, comma 466, primo, secondo e quarto periodo, della L. n. 232 del 2016, altro non farebbe che riprodurre quanto stabilisce l'art. 9, commi 1 e 1-bis, della legge rinforzata n. 243 del 2012, come novellato dalla L. n. 164 del 2016. Sennonché - obietta la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, la competenza a dettare le regole conformative dell'obbligo del pareggio di bilancio, che grava sugli enti territoriali e sulla Regione medesima per effetto degli artt. 81 e 119 Cost. (e anche dell'art. 97 Cost.), deve ritenersi riservata, dall'art. 81, sesto comma, Cost., e dall'art. 5 della L.Cost. n. 1 del 2012, a una legge rinforzata, approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera. Ne conseguirebbe, secondo tale prospettazione, che la comune legge ordinaria non potrebbe sostituirsi alla legge rinforzata con riguardo agli oggetti riservati alla seconda, pena la violazione della riserva. Secondo la ricorrente, l'identità tra i precetti contenuti nelle disposizioni impugnate con quelli dettati dall'art. 9 della L. n. 243 del 2012 non escluderebbe ma, piuttosto, confermerebbe la sussistenza dell'invasione di competenza. Sarebbe poi violato, per effetto della riproduzione di norme riservate ad altra fonte, anche il principio di certezza del diritto (e dunque il principio di ragionevolezza), occultando ai cittadini e agli operatori l'effettiva fonte di validità e operatività del precetto.

Secondo la ricorrente, le considerazioni sopra esposte non potrebbero essere superate affermando che le norme impugnate abbiano carattere attuativo della legge rinforzata, ad esempio rappresentando un'applicazione all'esercizio finanziario 2017 delle regole generali stabilite dalla L. n. 243 del 2012. A suo avviso, infatti, sarebbe evidente il loro carattere duplicativo: il comma 466, esattamente come il citato art. 9, commi l e l-bis, detterebbe a sua volta norme generali, che si applicano a tutti i bilanci successivi, "a decorrere dall'anno 2017" per quanto riguarda l'obbligo di equilibrio e la composizione delle entrate e delle uscite finali, e "a decorrere dall'esercizio 2020" per quanto riguarda l'inclusione del fondo pluriennale vincolato di entrata e di spesa, solo se finanziato dalle entrate finali.

3.2.- Fermo il carattere assorbente della censura rivolta all'art. l, comma 466, primo, secondo e quarto periodo, della L. n. 232 del 2016, la Regione autonoma impugna ulteriormente lo stesso comma 466, secondo e quarto periodo, laddove elenca i titoli di entrata e di spesa considerabili ai fini del rispetto della regola dell'equilibrio di bilancio, escludendo l'eventuale avanzo dell'esercizio precedente (secondo periodo) e ponendo limiti all'utilizzo dell'avanzo di bilancio (quarto periodo). Tali censure riprendono analoghe doglianze proposte contro le identiche disposizioni della L. n. 243 del 2012, novellata dalla L. n. 164 del 2016.

Espone la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia che, secondo quanto prevede il comma 466, tra le entrate finali che possono essere prese in considerazione ai fini dell'equilibrio di bilancio non troverebbe immediata collocazione l'eventuale avanzo dell'esercizio precedente. La ricorrente ritiene che la mancata espressa menzione di tale posta di bilancio possa essere intesa nel senso di divieto di utilizzazione, nel calcolo del bilancio in equilibrio, dell'avanzo di amministrazione dell'esercizio precedente. Tale timore sarebbe confermato dalla disciplina degli spazi finanziari coperti dall'avanzo dettata dall'art. 10, commi 3 e 4, della L. n. 243 del 2012. Le disposizioni citate pongono una disciplina limitativa all'utilizzo dell'avanzo di amministrazione, prevedendo che esso possa impiegato sulla base di intese a livello regionale o dei patti di solidarietà nazionali. In applicazione dell'art. l0, comma 4, l'art. l, comma 485, della stessa L. n. 232 del 2016 dispone che per "... favorire gli investimenti, da realizzare attraverso l'utilizzo dei risultati di amministrazione degli esercizi precedenti e il ricorso al debito, per gli anni 2017, 2018 e 2019, sono assegnati agli enti locali spazi finanziari nell'ambito dei patti nazionali, di cui all'articolo 10, comma 4, della L. 24 dicembre 2012, n. 243, nel limite complessivo di 700 milioni di Euro annui, di cui 300 milioni di Euro destinati a interventi di edilizia scolastica".

Ove l'interpretazione descritta fosse corretta, ad avviso della ricorrente i concreti effetti lesivi della norma impugnata sarebbero particolarmente evidenti (e perciò anche irragionevolmente discriminatori) proprio per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, che ha come principale fonte di entrata le compartecipazioni ai tributi erariali e il gettito derivante dalla presenza sul territorio regionale di grandi gruppi (e quindi di grandi contribuenti, che comunemente praticano operazioni societarie o intragruppo, con rilevanti effetti tributari), circostanze che renderebbero molto variabile, di anno in anno, la dimensione delle entrate regionali. A causa di ciò l'ammontare delle entrate non sarebbe prevedibile dalla ricorrente e quindi non sarebbe programmabile ex ante, dal momento che essa avrebbe contezza dell'entità della compartecipazione di sua spettanza solo a versamento avvenuto e dunque a saldo, secondo quanto previsto dalle norme di attuazione dello statuto speciale. La combinazione delle speciali regole costituzionali sulla finanza regionale con la particolare composizione dei soggetti passivi d'imposta, che rende mutevole la massa imponibile, e con i meccanismi di trasmissioni dei dati normativamente previsti, comporterebbe la fisiologica formazione di avanzi (o disavanzi) di bilancio. Questi costituirebbero una parte essenziale della finanza regionale e dovrebbero trovare la necessaria corrispondenza tra le voci di entrata dell'anno seguente, utili ai fini del pareggio di bilancio. Diversamente, la disposizione sarebbe, ad avviso della Regione, lesiva della propria autonomia finanziaria e illegittima sotto diversi profili, che vengono prospettati sulla base della premessa che un simile meccanismo non avrebbe alcuna base nella L.Cost. n. 1 del 2012 (i cui principi, al contrario, sarebbero anch'essi in parte violati) e che, dunque, nella fissazione delle regole di equilibrio finanziario non potrebbero essere sovvertiti i principi di base dell'autonomia finanziaria regionale.

La ricorrente osserva al riguardo che l'avanzo di amministrazione dell'esercizio precedente, una volta che sia stato accertato e rappresentato nei rendiconti, sarebbe un elemento patrimoniale della Regione autonoma, reso, tuttavia, dalla norma impugnata indisponibile per l'ente (salvo che alle condizioni di cui all'art. 10 della L. n. 243 del 2012, come novellata dalla L. n. 164 del 2016), generando una situazione equivalente alla sottrazione materiale di risorse, analoga alla previsione di una riserva all'erario o di un accantonamento di entrata a valere sulle quote di tributi erariali di spettanza regionale.

Ad avviso della Regione, la disposizione restrittiva verrebbe quindi a ledere le norme dello statuto speciale sulle quali si fonda la sua autonomia finanziaria e, dunque, le norme contenute nel Titolo IV della L.Cost. n. 1 del 1963: l'art. 48 - che costruisce la finanza dell'ente come finanza propria della Regione - l'art. 49 - che le attribuisce quote dei tributi erariali - l'art. 51 - che individua le altre entrate della Regione - e l'art. 63, ultimo comma, che consente modifiche alle norme predette solo con il procedimento negoziato ivi previsto. Sarebbero violate anche le corrispondenti norme sull'autonomia finanziaria e patrimoniale della Regione contenute nell'art. 119, primo, secondo e sesto comma, Cost., invocato anche in combinazione con l'art. l0 della L.Cost. n. 3 del 2001, ove più favorevole. Considerando poi l'effetto sostanziale "sottrattivo" sopra descritto, secondo la Regione autonoma risulterebbe violato anche il principio dell'accordo, in applicazione del metodo pattizio che regola i rapporti finanziari tra essa e lo Stato, principio sotteso agli artt. 63 e 65 dello statuto speciale, nonché alle norme di attuazione contenute nel D.P.R. n. 114 del 1965, nel D.Lgs. n. 8 del 1997, nel D.Lgs. n. 137 del 2007 e ribadito, con riferimento a tutte le Regioni a statuto speciale, dall'art. 27 della L. n. 42 del 2009.

Secondo la ricorrente la norma non potrebbe nemmeno giustificarsi con le esigenze della solidarietà nazionale menzionate dall'art. 48 dello statuto speciale, o con quelle di concorso della Regione alla sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni, menzionate dagli artt. 81, sesto comma, e 97, primo comma, Cost., nonché dall'art. 5, comma 2, della L.Cost. n. 1 del 2012. Ad avviso della Regione autonoma, sarebbe ipotizzabile che l'avanzo di amministrazione venga "sterilizzato" ai fini dell'equilibrio del bilancio regionale allo scopo di essere poi riversato e contabilizzato nel conto consolidato delle amministrazioni pubbliche ai fini della rendicontazione europea;
ma tale forma di concorso alla sostenibilità del debito pubblico sarebbe comunque incompatibile con molteplici parametri costituzionali. Sarebbe violato, anzitutto, il principio per cui l'equilibrio complessivo deve risultare dalla sommatoria di bilanci in equilibrio e non dalla somma algebrica di bilanci in disavanzo e bilanci in attivo;
la possibilità di compensazioni, del resto, sarebbe consentita soltanto nei limiti di cui all'art. 10 della L. n. 243 del 2012, in relazione alle operazioni di investimento. Tale principio, secondo la ricorrente, si ricaverebbe dall'art. 81, primo comma, Cost., che impone allo Stato di assicurare "l'equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio" e dall'art. 119, primo comma, Cost. che, analogamente, impone agli enti territoriali "l'equilibrio dei relativi bilanci".

La Regione deduce altresì la violazione dell'art. 97, primo comma, Cost., laddove impone a tutte le amministrazioni, sia singolarmente che nel loro complesso, di avere un bilancio in equilibrio. Al riguardo si precisa che la ricorrente sarebbe legittimata a far valere anche la violazione degli artt. 81, primo comma, e 97, primo comma, Cost., sia perché, come ritenuto in dottrina, quella dell'equilibrio dei rispettivi bilanci è una sorta di garanzia reciproca che tutti i livelli di governo mutuamente si prestano, sia perché la declinazione dell'equilibrio di bilancio come equilibrio complessivo, creato anche attraverso la sterilizzazione degli avanzi di amministrazione, avrebbe un ovvio impatto sull'autonomia finanziaria della Regione autonoma, la quale si vedrebbe impossibilitata a utilizzare ai fini del pareggio il saldo favorevole realizzato a consuntivo dell'esercizio precedente.

Ulteriormente, questo meccanismo violerebbe anche il principio di veridicità e di trasparenza dei bilanci e di responsabilità politica per gli stessi, implicito, oltre che nell'art. 81 Cost., nelle norme statutarie che riservano al Consiglio regionale l'approvazione dei bilanci. In tal caso, infatti, l'organo rappresentativo, che risponde al corpo elettorale, si troverebbe costretto dalla norma impugnata ad approvare un bilancio non trasparente e non veritiero, perché l'avanzo degli esercizi precedenti, pur registrato nelle scritture contabili della Regione, non sarebbe utilizzabile ai fini del pareggio di bilancio, in quanto imputato al consolidamento dei conti della pubblica amministrazione e in esso confuso.

In terzo luogo, sarebbe violato anche il principio sotteso all'art. 5, comma 2, lettera c), della L.Cost. n. 1 del 2012, che vorrebbe appositamente regolate le modalità attraverso le quali i Comuni, le Province, le Città metropolitane, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano concorrono alla sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni. Osserva al riguardo la ricorrente che non potrebbe dirsi regolazione quello che è solo un effetto indiretto - per quanto voluto - di una regola contabile (non a caso contenuta in una disposizione che non si occupa del concorso degli enti territoriali alla sostenibilità del debito pubblico, oggetto, invece, di altra previsione).

Sotto tale profilo risulterebbero inoltre violati il principio di ragionevolezza e il principio di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost., dal momento che la norma produrrebbe effetti del tutto casuali e non correlati a una vera e propria "capacità contributiva" dell'ente, poiché la presenza di una avanzo di amministrazione non sarebbe di per sé sintomatica di una situazione finanziaria dell'ente realmente buona, né significherebbe che tutto quell'avanzo possa essere contabilizzato a servizio del debito consolidato della amministrazioni pubbliche. Detto rilievo di irragionevolezza sarebbe poi confermato, sul piano dei dati normativi, dal fatto che la norma impugnata si pone in contrasto con la logica interna del sistema delineato dalla legge rinforzata n. 243 del 2012, che configura il pareggio di bilancio come un obiettivo di medio termine (art. 3, comma 2: "l'equilibrio dei bilanci corrisponde all'obiettivo di medio termine"). La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia sarebbe quindi costantemente ostacolata nel raggiungimento di questo obiettivo dalla permanente sottrazione alla propria disponibilità delle risorse che pure statutariamente le spettano, ma che non potrebbe ragionevolmente riuscire a impiegare nell'anno di riscossione per la struttura stessa del meccanismo di riscossione. In tal caso, sarebbe evidente la ridondanza di tale violazione sull'esercizio di competenze costituzionalmente riservate alla Regione autonoma, che richiedono l'approvazione di spese e l'erogazione di fondi.

3.3.- La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia censura ulteriormente il predetto comma 466, quarto periodo, laddove stabilisce che "... a decorrere dall'esercizio 2020, tra le entrate e le spese finali è incluso il fondo pluriennale vincolato di entrata e di spesa, finanziato dalle entrate finali".

Osserva che detta disposizione pone limiti alla rilevanza dell'avanzo di bilancio se utilizzato per finanziare il fondo pluriennale vincolato, consentendo, cioè, il computo di tale fondo ai fini dell'equilibrio di bilancio solo se sia stato finanziato tramite le entrate finali (e quindi non con l'avanzo di amministrazione).

Tali censure, che sono sul punto coincidenti con quelle della Provincia autonoma di Trento, considerano la previsione per cui, a partire dall'esercizio 2020, l'inclusione del fondo pluriennale vincolato tra le entrate e le spese finali è consentita solo nella parte in cui esso è finanziato con le entrate finali, con esclusione, quindi, della possibilità di considerare il fondo stesso ai fini dell'equilibrio di bilancio se esso sia stato finanziato tramite l'avanzo di esercizio. Secondo la Regione, tale disposizione restrittiva lederebbe anzitutto la propria autonomia finanziaria, violando le norme contenute nel Titolo IV dello statuto, in particolare l'art. 48 - che configura la finanza dell'ente come finanza propria - l'art. 49 - che attribuisce alla Regione autonoma quote dei tributi erariali - l'art. 51 - che individua le altre entrate della Regione autonoma - e l'art. 63, ultimo comma, che consente modifiche alle norme predette solo con il procedimento negoziato ivi previsto. Secondo la ricorrente, sarebbero lese anche le norme sull'autonomia finanziaria e patrimoniale della Regione dettate dall'art. 119, primo, secondo e sesto comma, Cost., ove più favorevole, in combinazione con l'art. 10 della L.Cost. n. 3 del 2001;
nonché, in ragione degli effetti sostanzialmente sottrattivi che derivano dalla norma qui contestata, il principio dell'accordo, ricavabile dagli artt. 63 e 65 dello statuto speciale e confermato dall'art. 27 della L. n. 42 del 2009 e dalle norme di attuazione elencate al precedente punto.

Ad avviso della ricorrente, tali limitazioni alla computabilità del fondo pluriennale vincolato rimarrebbero incostituzionali anche nell'ipotesi in cui esse dovessero ritenersi strumentali alla sostenibilità del debito pubblico, per ragioni corrispondenti a quelle esposte al punto precedente in relazione alla problematica dell'avanzo di amministrazione. Sarebbe infatti violato anche il principio di cui all'art. 5, comma 2, lettera c), della L.Cost. n. 1 del 2012, che vuole appositamente regolate le modalità con cui gli enti territoriali concorrono alla sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni. Inoltre, sarebbero lesi il principio di ragionevolezza e il principio di eguaglianza, considerato che tale contributo sarebbe automaticamente generato in funzione dell'applicazione di una regola contabile che è dettata a tutt'altri fini e non di un reale capacità contributiva dell'ente, visto che la presenza dell'avanzo di bilancio non è necessariamente strutturale, bensì può dipendere - e nel caso della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia effettivamente dipenderebbe - dalle regole costituzionali sulle entrate regionali, fondate sulle compartecipazioni, e dall'indisponibilità di informazioni sulla base imponibile, monopolizzate dallo Stato.

Anche in questo caso - si prosegue - analogamente a quanto accade con i limiti previsti dall'art. l, comma 466, secondo periodo, della L. n. 232 del 2016 per gli altri utilizzi dell'avanzo di bilancio, l'irragionevolezza della regola contestata si rifletterebbe negativamente sull'esercizio delle competenze legislative e amministrative della Regione, che tipicamente comportano programmazione di spesa. Poiché l'introduzione del fondo pluriennale vincolato è imposta dalla legislazione statale di armonizzazione della finanza pubblica, la sua limitata computabilità ai fini del pareggio, se finanziato con l'avanzo di bilancio, sarebbe lesiva anche del principio costituzionale di leale collaborazione.

3.4.- La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia impugna anche l'art. 1, comma 483, della L. n. 232 del 2016, nel caso in cui tale disposizione si dovesse interpretare nel senso di coinvolgere la Regione nel sistema sanzionatorio relativo al pareggio di bilancio, ma non in quello premiale di cui al comma 479. Secondo la ricorrente, in tale ipotesi si produrrebbe la violazione della L. n. 243 del 2012, e in particolare dell'art. 9, comma 4, che prevede un impianto nel quale il sistema delle sanzioni non potrebbe essere disgiunto dal sistema dei premi.

Inoltre, l'art. l, comma 483, della L. n. 232 del 2016, nella parte in cui escludesse la ricorrente Regione dal solo sistema dei premi, violerebbe anche il principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.), perché determinerebbe un'evidente e ingiustificata discriminazione tra essa - che si troverebbe esposta al sistema delle sanzioni, per l'ipotesi che non riuscisse a conformarsi ai vincoli di bilancio, ma non potrebbe mai godere del riconoscimento di un comportamento virtuoso - e la totalità delle altre Regioni, per le quali potenzialmente opera un siffatto riconoscimento.

3.5.- La ricorrente lamenta altresì l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 519, della L. n. 232 del 2016, laddove avrebbe irragionevolmente escluso dall'accordo tra Stato e Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia l'individuazione dell'annualità dell'imposta comunale sugli immobili (ICI) di riferimento per la verifica degli accantonamenti dell'IMU finalizzati alla neutralità finanziaria, infrangendo il giudicato costituzionale formatosi con la sentenza n. 188 del 2016 di questa Corte.

Espone che tale decisione ha dichiarato incostituzionale l'art. 1, commi 711, 712 e 729, della L. n. 147 del 2013 - nella parte in cui tali disposizioni si applicavano alla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia - in quanto contrastanti con gli artt. 49, 51, secondo comma, e 63, quarto comma, dello statuto e con il principio di leale collaborazione. La questione sottoposta allora all'attenzione di questa Corte riguardava l'imposizione alla Regione autonoma, al fine di preservare la neutralità finanziaria dopo la sostituzione dell'ICI con l'IMU, del sistema dell'accantonamento a favore dello Stato di una parte dei tributi altrimenti destinati agli enti locali, maggiore o minore a seconda delle previsioni di gettito e stabilita, peraltro, senza tenere conto del minor introito causato dai numerosi casi di esenzione dall'applicazione dell'IMU stessa (per effetto del comma 712). Nello stesso contesto si precisava che lo Stato può sì adottare delle determinazioni unilaterali (come accadeva per l'accantonamento), ma che tale metodo deve essere tuttavia inteso come rimedio provvisorio per assicurare una corretta fase di "sperimentazione finanziaria", indispensabile per realizzare un neutrale trapasso al nuovo sistema tributario definito dalla riforma. Le determinazioni unilaterali, in altre parole, non potrebbero essere permanenti, ma, per loro natura, interinali. L'attribuzione del carattere permanente agli accantonamenti stabiliti unilateralmente su mere basi previsionali costituiva invece una violazione del principio dell'accordo, come emergeva confrontando la disposizione impugnata con il combinato delle norme contenute, rispettivamente, nell'art. 49 dello statuto speciale, che prevede le compartecipazioni regionali ai tributi erariali, nel successivo art. 51, secondo comma, il quale stabilisce la spettanza alla Regione di compartecipazioni e addizionali su tributi erariali che le leggi dello Stato attribuiscono agli enti locali del proprio territorio, e nell'art. 63, quarto comma, del medesimo statuto, il quale prevede il metodo dell'accordo, nonché nell'art. l, comma 159, della L. 13 dicembre 2010, n. 220, recante "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2011)", volto ad assicurare la neutralità finanziaria correlata a nuove forme di imposizione in sostituzione di tributi vigenti.

Nel merito, la ricorrente evidenzia come già in occasione degli incombenti istruttori disposti in quel procedimento fosse emerso il "... vizio genetico derivante dalla grave sottovalutazione del precedente gettito effettivo dell'ICI, indefettibile termine di paragone per verificare la neutralità finanziaria delle compensazioni previste dalla riforma", cui sarebbe correlata "la sovrastima del maggior gettito dell'IMU, la quale altererebbe ulteriormente la forbice differenziale, riverberandosi sul calcolo dell'accantonamento per tutte le annualità successive" (sentenza n. 188 del 2016). Nella medesima sentenza, inoltre, si evidenziava che le disposizioni statutarie e il principio di leale collaborazione erano stati violati anche "... sotto un ulteriore profilo: ossia per la mancata previsione di una corretta condivisione, da parte dello Stato, dei dati analitici necessari ad effettuare in contraddittorio le compensazioni indispensabili ad assicurare la neutralità della riforma fiscale nelle relazioni finanziarie tra Stato ed enti territoriali della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ed, eventualmente, le altre operazioni di cui all'art. 27 della L. n. 42 del 2009 finalizzate alla razionalizzazione delle risorse tributarie assegnate alla medesima Regione ed ai propri enti locali". Così, il legislatore aveva finito per offrire "un quadro opaco ed autoreferenziale per quel che concerne le dinamiche applicative del riparto del gettito", che si traduceva in un'"inadeguata traduzione del modello costituzionale nel meccanismo giuridico", recante pregiudizio alla "possibilità di un consapevole contraddittorio, finalizzato ad assicurare la cura di interessi generali quali l'equilibrio dei reciproci bilanci, la corretta definizione delle responsabilità politiche dei vari livelli di governo in relazione alle scelte e alle risorse effettivamente assegnate e la sostenibilità degli interventi pubblici in relazione alle possibili utilizzazioni alternative delle risorse contestate, nel tessuto organizzativo delle amministrazioni concretamente interessate al riparto del gettito fiscale". In sintesi, pertanto, si sarebbe evidenziato, per un verso, che era mancato il necessario accordo alla base delle modalità di compensazione per il maggiore o minore gettito derivante dalla sostituzione dell'ICI con l'IMU, onde conservare la neutralità finanziaria;
per altro verso, a monte di ciò, veniva posto in luce come una discussione sul punto non potesse in ogni caso essere intavolata tra le parti in assenza di una reale condivisione dei dati di base volti ad assicurare la neutralità finanziaria dell'operazione nel suo complesso.

Tanto premesso, secondo la Regione ricorrente la disposizione di cui all'art. l, comma 519, della L. n. 232 del 2016, adottata in conseguenza della sentenza n. 188 del 2016 di questa Corte, ne soddisferebbe solo parzialmente i dettami. Se infatti, da un lato, si dispone che "il Ministero dell'economia e delle finanze e la regione Friuli Venezia Giulia procedono, mediante intesa da raggiungere entro il 30 giugno 2017, alla verifica della misura degli accantonamenti effettuati nei confronti della regione Friuli Venezia Giulia, ai sensi dell'articolo l, commi 711, 712 e 729, della L. 27 dicembre 2013, n. 147, per gli anni dal 2012 al 2015" - richiamandosi, quindi, al metodo dell'accordo imposto dalla sentenza poc'anzi citata - dall'altro, proprio con l'ultima parte del comma si viene a escludere dall'accordo un elemento di estrema importanza, sancendo cioè che la verifica riguarderà gli accantonamenti effettuati "per effetto delle modifiche intervenute rispetto all'anno 2010 in materia di imposizione locale immobiliare".

Osserva al riguardo la ricorrente che l'ultimo anno di applicazione dell'ICI è stato il 2011 e i rendiconti dei Comuni della Regione hanno registrato un gettito ICI nel 2011 superiore a quello del 2010.

Stando così le cose, secondo la ricorrente sarebbe evidente che il legislatore statale abbia determinato del tutto unilateralmente il referente temporale cui agganciare il parametro di valutazione del gettito, scegliendo, inoltre, non l'annualità più recente, e dunque quella meglio in grado di registrare l'effettiva dimensione del gettito del tributo locale, ma l'annualità precedente. Tale arbitraria scelta sarebbe pregiudizievole per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, in quanto, attraverso di essa, si sovrastimerebbe il maggior gettito e dunque si determinerebbe un artificioso incremento delle spettanze dello Stato. Così facendo, inoltre, quest'ultimo escluderebbe dall'accordo proprio uno di quegli altri profili di natura contabile tra i quali rientra, come affermato nella citata sentenza n. 188 del 2016, "la verifica di congruità di dati e basi informative finanziarie e tributarie", così occultando - o comunque dando per già acquisito, a monte di ogni possibile discussione con la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia - un dato invece fondamentale, quale quello dell'annualità di riferimento.

Secondo la ricorrente, l'art. 1, comma 519, della L. n. 232 del 2016 contrasterebbe, altresì, con l'art. 119 Cost. e con gli artt. 48, 49, 51, 63 e 65 dello statuto speciale, nonché con l'art. 27 della L. n. 42 del 2009 e, in definitiva, con il principio dell'accordo, secondo i principi stabiliti dalla sentenza n. 188 del 2016. Infine, proprio perché si tratta di profili di incostituzionalità già sanzionati, sarebbe leso anche l'art. 136, Cost. e quindi sussisterebbe violazione del giudicato costituzionale.

3.6.- La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia impugna l'art. 1, comma 463, della L. n. 232 del 2016, laddove questo dovesse essere inteso nel senso di determinare l'applicazione alla ricorrente, per l'anno 2016, delle sanzioni di cui all'art. 1, comma 723, della L. n. 208 del 2015.

Espone la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia che, secondo quanto dispone l'art. l, comma 463, primo periodo, della legge 232 del 2016, "a decorrere dall'anno 2017 cessano di avere applicazione i commi da 709 a 712 e da 719 a 734 dell'articolo 1 della L. 28 dicembre 2015, n. 208", cioè alcune delle disposizioni della legge di stabilità 2016 in materia di pareggio di bilancio. La questione di costituzionalità sollevata dalla ricorrente riguarda l'interpretazione, in relazione alla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, della decorrenza della cessazione di tale applicazione dall'anno 2017. Al riguardo, lo stesso comma 463 citato prosegue mantenendo fermi non solo "gli adempimenti degli enti territoriali relativi al monitoraggio e alla certificazione del saldo di cui all'articolo 1, comma 710, della L. 28 dicembre 2015, n. 208", ma anche "l'applicazione delle sanzioni in caso di mancato conseguimento del saldo 2016, di cui al medesimo comma 710, accertato ai sensi dei commi da 720 a 727 dell'articolo 1 della L. 28 dicembre 2015, n. 208". Di seguito, la disposizione precisa che "sono fatti salvi gli effetti connessi all'applicazione nell'anno 2016 dei patti di solidarietà di cui ai commi da 728 a 732 dell'articolo 1 della L. 28 dicembre 2015, n. 208" (terzo periodo). Una delle disposizioni alle quali il primo periodo dell'art. 1, comma 463, della L. n. 232 del 2016 toglie efficacia "a decorrere dall'anno 2017" è l'art. 1, comma 734, della L. n. 208 del 2015, il quale sanciva che "per gli anni 2016 e 2017, alle regioni Friuli-Venezia Giulia, Valle d'Aosta, Trentino-Alto Adige, alla Regione siciliana e alle province autonome di Trento e di Bolzano non si applicano le disposizioni di cui al comma 723 del presente articolo e resta ferma la disciplina del patto di stabilità interno recata dall'articolo l, commi 454 e seguenti, della L. 24 dicembre 2012, n. 228, come attuata dagli accordi sottoscritti con lo Stato". In estrema sintesi, secondo la ricorrente con detto comma 734 lo Stato applicava alle indicate autonomie speciali, tra le quali la ricorrente, sia la disciplina del patto di stabilità, sia quella del pareggio di bilancio, provvedendo tuttavia a escludere l'applicazione delle sanzioni in caso di violazione delle norme relative al pareggio di bilancio. La nuova disposizione di cui all'impugnato comma 463, nel primo periodo, sopprime tale esenzione a decorrere dall'anno 2017 mentre, contestualmente, nel secondo periodo, stabilisce che rimane ferma "l'applicazione delle sanzioni in caso di mancato conseguimento del saldo 2016, di cui al medesimo comma 710, accertato ai sensi dei commi da 720 a 727 dell'articolo 1 della L. 28 dicembre 2015, n. 208".

La ricorrente ritiene che un'interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione imporrebbe di ritenere che l'applicazione delle sanzioni in caso di mancato conseguimento del saldo 2016 rimanga bensì "ferma", ma soltanto per le Regioni per le quali essa era fin dall'inizio prevista, con l'eccezione, cioè, delle autonomie speciali di cui all'art. 1, comma 734, della L. n. 208 del 2015. In altre parole, l'espressione "a decorrere dall'anno 2017" dovrebbe essere intesa come rivolta a sottoporre a monitoraggio e potenziale sanzione gli eventi contabili relativi al 2017, lasciano impregiudicati i corrispondenti eventi relativi al 2016, anche se la chiusura della relativa rendicontazione avverrà, come è ovvio, nel corso del 2017. Tale impostazione sarebbe del resto confortata proprio dalla presenza, all'interno del nuovo sistema, dell'art. 1, comma 483, della L. n. 232 del 2016, che ha tenore analogo a quello del citato comma 734, volto, cioè, a escludere le autonomie speciali dal sistema sanzionatorio del pareggio di bilancio.

La presente impugnazione viene prospettata, perciò, per la contraria ipotesi in cui si dovesse ritenere che le citate disposizioni del comma 463 sottopongano a monitoraggio e sanzione situazioni e comportamenti relativi al 2016, ossia a un periodo nel quale quelle situazioni e quei comportamenti ne erano esenti in ragione dell'art. 1, comma 734, della L. n. 208 del 2015. In questo caso, espone la ricorrente, il legislatore pretenderebbe di regolare l'esercizio trascorso con norme diverse da quelle che lo regolavano durante l'esercizio medesimo e, così facendo, renderebbe possibile applicare alla Regione autonoma Friuli­Venezia Giulia delle sanzioni per comportamenti tenuti in un anno - il 2016 - nel quale essi non erano sanzionabili per espressa previsione della legge statale.

Tanto, secondo la ricorrente, contrasterebbe sia con l'art. 25, secondo comma, Cost., sotto il profilo del divieto di retroattività sanzionatoria, sia con il canone di ragionevolezza di cui all'art. 3, Cost., da ritenersi lesi per il fatto che lo Stato avrebbe prima legiferato, esentando la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia dal regime delle sanzioni relative al pareggio di bilancio, e poi avrebbe eliminato tale esenzione, regolando così una fattispecie - evidentemente non più modificabile nelle sue caratteristiche storicamente consolidate - collocata nell'anno passato in modo opposto a quanto fatto mentre esso era in corso. Secondo la ricorrente sarebbe inoltre evidente, sempre in relazione all'art. 3 Cost., e anche in connessione con l'art. 97 Cost., la violazione del legittimo affidamento risposto dagli amministratori della Regione autonoma nella permanenza, per l'anno 2016 ormai trascorso, del regime disposto dal legislatore statale specificamente per il 2016. E tali violazioni ridonderebbero in una lesione della autonomia finanziaria regionale consacrata dagli artt. 48 e 49 dello statuto speciale.

4.- Si è costituito anche in questo giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato.

La difesa dello Stato preliminarmente osserva che nell'ordinamento italiano l'allineamento del sistema di regole interne con i vincoli del nuovo patto europeo denominato Fiscal Compact è avvenuto con la L.Cost. n. 1 del 2012, la quale, novellando gli artt. 81, 97, 117 e 119 Cost., ha introdotto un principio di carattere generale, secondo cui tutte le amministrazioni pubbliche devono assicurare l'equilibrio tra entrate e spese del bilancio e la sostenibilità del debito.

Le norme impugnate non sarebbero pertanto lesive dei princìpi in tema di riserva di legge rinforzata. Ciò in quanto il citato art. 81, sesto comma, Cost., nel prevedere che "il contenuto della legge di bilancio, le norme fondamentali e i criteri volti ad assicurare l'equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni sono stabiliti con legge approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, nel rispetto dei principi definiti con legge costituzionale", non precluderebbe l'utilizzo di una legge ordinaria per la disciplina di dettaglio.

Nella fattispecie le norme oggetto di ricorso, nel rispetto dei princìpi di cui alla legge rinforzata, ne avrebbero richiamato il contenuto al fine di dare fondamento ai successivi meccanismi applicativi (monitoraggio e sanzioni).

In merito alla doglianza concernente il fatto che tra le entrate finali valide ai fini dell'equilibrio di bilancio non risulti anche l'avanzo di amministrazione dell'anno precedente, la difesa dello Stato rileva preliminarmente che l'art. 1, comma 466, della L. n. 232 del 2016 contiene le indicazioni relative alle nuove regole di finanza pubblica previste per le Regioni, le Province autonome di Trento e di Bolzano, le Città metropolitane, le Province e i Comuni al fine di adeguarle alle modifiche recentemente apportate dalla L. n. 164 del 2016 alla disciplina dell'equilibrio di bilancio, contenuta nella L. n. 243 del 2012, di attuazione del principio costituzionale del pareggio di bilancio.

In particolare, l'art. 9, comma 1-bis, della L. n. 243 del 2012, inserito dall'art. 1, comma 1, lettera b), della citata L. n. 164 del 2016, al fine della determinazione del saldo di competenza tra entrate finali e spese finali, specifica che "le entrate finali sono quelle ascrivibili ai titoli 1, 2, 3, 4 e 5 dello schema di bilancio previsto dal D.Lgs. 23 giugno 2011, n. 118, e le spese finali sono quelle ascrivibili ai titoli 1, 2 e 3 del medesimo schema di bilancio". Ne consegue che l'avanzo di amministrazione non risulterebbe ricompreso tra le voci di entrata che costituiscono gli equilibri di bilancio, declinati attraverso il rispetto del predetto saldo.

Il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene che la previsione censurata risponda all'esigenza di coordinare le regole di finanza pubblica cui sono sottoposti gli enti territoriali con le regole europee della competenza economica, secondo cui gli avanzi di amministrazione realizzati in esercizi precedenti non sono conteggiati ai fini del conto consolidato delle Amministrazioni pubbliche utilizzato per la verifica del rispetto dei vincoli europei.

Non sarebbero quindi condivisibili le censure concernenti la violazione degli artt. 48, 49, 51 e 63 dello statuto speciale, atteso che le regole di finanza pubblica sarebbero connotate da una generalità e sistematicità che non accetta deroghe in favore di singoli enti.

Pur potendosi comprendere le difficoltà richiamate nel ricorso dovute alla variabilità delle entrate della Regione, il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene che esse debbano trovare soluzione non nell'ambito delle regole generali di finanza pubblica, ma semmai attraverso l'introduzione di meccanismi correttivi nell'attribuzione alla Regione del gettito da compartecipazione ai tributi erariali, ovvero mediante una modifica statutaria che sancisca il passaggio dal gettito riscosso al gettito maturato, come già avvenuto per le altre autonomie speciali.

Anche in relazione all'impugnazione del quarto periodo del citato comma 466, la difesa statale osserva che anche tale disposizione recepisce pedissequamente, con riferimento agli obiettivi di finanza pubblica per il triennio 2017-2019, quanto espressamente previsto nella fonte sovraordinata e, in particolare, dal comma l-bis del novellato art. 9 della L. n. 243 del 2012.

Evidenzia al riguardo che il menzionato art. 9, anche nella versione originaria, precedente alle modifiche introdotte dalla L. n. 164 del 2016, aveva provveduto a individuare i saldi rilevanti ai fini dell'equilibrio di bilancio, escludendo l'avanzo di amministrazione, nonché le entrate rinvenienti da debito, dalle voci di entrata che costituivano gli equilibri di bilancio.

Infine, il Presidente del Consiglio dei ministri richiama quanto già sopra osservato in merito al necessario coordinamento tra la contabilità utilizzata in sede europea e la contabilità adoperata dagli enti territoriali, tenuto conto che il pareggio di bilancio richiesto ai predetti enti trova una sua giustificazione nell'assunto che ognuno di essi contribuisce a determinare il saldo consolidato delle pubbliche amministrazioni su cui l'Italia ha un vincolo esterno da rispettare nei confronti dell'Unione europea.

Pertanto, non sarebbero fondate le censure concernenti la compressione dell'autonomia finanziaria formulate in riferimento allo statuto, atteso che le regole di finanza pubblica contenute nelle disposizioni in esame sono connotate da una generalità e sistematicità che non consente deroghe in favore di singoli enti.

Con riguardo all'impugnazione dell'art. 1, comma 519, della L. n. 232 del 2016, il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene il ricorso infondato, in quanto si baserebbe su una lettura non corretta della sentenza n. 188 del 2016 di questa Corte.

Per quanto concerne il fatto che la norma sarebbe il frutto di una scelta unilaterale del legislatore nazionale, il Presidente del Consiglio dei ministri evidenzia come l'individuazione dell'annualità di riferimento per calcolare il gettito ICI rappresenti il punto di riferimento che si ritiene non debba essere oggetto di concertazione e condivisione con la Regione, né al momento della formulazione della norma, né tanto meno in fase di accordo. Ciò in quanto l'annualità 2010 rappresenterebbe l'anno di riferimento preso in considerazione dalla relazione tecnica allegata al D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito nella L. 22 dicembre 2011, n. 214, con il quale si è realizzato il passaggio dall'ICI all'IMU, il cui importo, di Euro 9.193 milioni, rappresenterebbe il dato di contabilità nazionale rilevato dall'ISTAT, per il gettito ICI 2010, risultante dalla tabella allegata al predetto decreto-legge e che ne costituisce parte integrante.

La difesa statale rammenta che il passaggio dall'ICI all'IMU costituisce solo una fase della più complessa riforma fiscale programmata dalla L. n. 42 del 2009 e cominciata nel 2011 con il D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale), che contiene la disciplina dell'IMU, anticipata poi in via sperimentale proprio dall'art. 13 del D.L. n. 201 del 2011 "in tutti i comuni del territorio nazionale in base agli articoli 8 e 9 del D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23".

Pertanto, il valore del gettito dell'ICI così determinato rappresenterebbe un dato di finanza pubblica e, in quanto tale, farebbe venir meno le censure di unilateralità e autoreferenzialità del comportamento del legislatore nazionale.

D'altronde, lo stesso dato - si prosegue - sarebbe utilizzato al fine di definire i rapporti finanziari sia con i Comuni delle Regioni a statuto ordinario, della Regione Siciliana e della Sardegna nell'ambito del fondo di solidarietà comunale sia con le altre Regioni o Province autonome che hanno la competenza in materia di finanza locale.

Il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene dunque che il principio di indivisibilità di cui all'art. 5 Cost. imponga di considerare il dato del gettito dell'ICI riferito all'anno 2010 unico per tutto il territorio italiano al fine di definire i rapporti finanziari conseguenti all'introduzione in via sperimentale dell'IMU.

Alla luce del quadro di riferimento sopra descritto, si chiarirebbe anche la portata dell'art. 13, comma 17, del D.L. n. 201 del 2011, sulla quale non è intervenuta la citata sentenza n. 188 del 2016, laddove stabilisce che "... con le procedure previste dall'articolo 27 della L. 5 maggio 2009, n. 42, le regioni Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta, nonché le Province autonome di Trento e di Bolzano, assicurano il recupero al bilancio statale del predetto maggior gettito stimato dei comuni ricadenti nel proprio territorio".

Pertanto, il dato dell'ICI 2010, pari a Euro 9.193 milioni, dovrebbe ritenersi incontestabile anche sulla base di quanto ha ritenuto questa Corte e quindi sarebbe legittimo l'espresso riferimento operato dall'impugnato comma 519 alle "modifiche intervenute rispetto all'anno 2010 in materia di imposizione locale immobiliare".

Il resistente, inoltre, richiama quanto affermato dalla sentenza del Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenza 3 novembre 2015, n. 5008, che ha parzialmente accolto la doglianza avanzata dalla difesa dello Stato e ha precisato che il dato di gettito stimato dell'ICI relativo all'anno 2010, pari a Euro 9.193 milioni, era stato alla base dell'accordo del 1 marzo 2012 che aveva definito l'importo della dotazione del citato fondo di solidarietà ed era immodificabile. Di conseguenza - si prosegue - la norma impugnata non poteva che far riferimento alle "modifiche intervenute rispetto all'anno 2010 in materia di imposizione locale immobiliare", considerato che l'utilizzo di un parametro di riferimento differente rispetto al dato

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