Corte Cost., sentenza 16/12/2010, n. 1
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E' infondata, in relazione agli artt.111 e 117 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionaledell'articolo 1- commi 774, 775 e 776- della legge 29 dicembre 2006 n. 296 nella parte in cui a giudizio del rimettente violerebbe il giusto ed equo processo (art. 6 CEDU) perchè lo Stato ha cambiato i parametri normativi del giudizio, travolgendo le aspettative della controparte- ma la norma denunciata fa salvo ciò perchè riguarda anche il complessivo riequilibrio delle risorse pubbliche.
Testo completo
Ritenuto in fatto
1. - Con ordinanza del 16 novembre 2009,
1.1. - Secondo quanto evidenziato dal rimettente, L R, ricorrente nel giudizio a quo, e' titolare di pensione di reversibilita' a decorrere dal 1° febbraio 2003, quale coniuge superstite di Caruso Ugo, pensionato pubblico dal 1° dicembre 1991, ed alla medesima e' stata liquidata la pensione di reversibilita' nella misura del sessanta per cento unitamente all'indennita' integrativa speciale (I.I.S.) nella stessa misura.
La pensionata ha, quindi, proposto ricorso dinanzi alla Corte dei conti - Sezione giurisdizionale per
Il giudice a quo e', dunque, chiamato a decidere sull'appello proposto dalla pensionata avverso la anzidetta negativa decisione;appello con il quale e' stata eccepita l'incostituzionalita' dei commi 774, 775 e 776 dell'art. 1 della legge n. 296 del 2006.
1.2. - Cio' evidenziato, il rimettente rammenta quale sia il quadro normativo e giurisprudenziale in cui viene ad inscriversi la disciplina oggetto del dubbio di costituzionalita', rilevando che l'art. 15 della legge n. 724 del 1994, al comma
A sua volta - argomenta ancora il giudice a quo - la legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), al comma 41 dell'art.
Il rimettente ricorda che una «giurisprudenza minoritaria ha interpretato questa disposizione, in quanto contenuta in una legge di riforma organica del sistema pensionistico come abrogativa dell'art. 15, comma 5, della legge n. 724 del 1994, che la giurisprudenza prevalente, al contrario, ha ritenuto ancora vigente, dato il suo carattere di norma transitoria e, come tale, non confliggente con la disciplina generale». La medesima prevalente giurisprudenza ha, peraltro, affermato che l'indennita' integrativa speciale in misura intera (secondo la legge 27 maggio 1959, n. 324, recante «Miglioramenti economici al personale statale in attivita' ed in quiescenza») trovava applicazione alle pensioni dirette liquidate entro il 31 dicembre 1994, «pur se le corrispondenti pensioni di riversibilita' siano liquidate dopo tale data».
In tale quadro, precisa il giudice a quo, le Sezioni riunite della Corte dei conti, alle quali era stata devoluta questione di massima, «con sentenza n. 8/QM del 17 aprile 2002, hanno abbracciato la tesi maggioritaria, dichiarando che "in ipotesi di decessi di pensionato, titolare di trattamento di riposo, liquidato prima del 31 dicembre 1994, il consequenziale trattamento di reversibilita' deve essere in ogni caso liquidato secondo le norme di cui all'art. 15, comma 5, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, indipendentemente dalla data della morte del dante causa. L'art. 1 comma 41 della legge 8 agosto 1995, n. 335 non ha effetto abrogativo dell'art. 15, comma 5 della legge 23 novembre 1994, n. 724"».
Nel delineato contesto, prosegue il rimettente, e' intervenuto il legislatore con la disciplina denunciata, prevedendo, al comma 774, che l'estensione di disciplina operata a suo tempo dall'art. 1, comma 41, della legge n. 335 del 1995, «si interpreta nel senso che per le pensioni di reversibilita' sorte a decorrere dall'entrata in vigore della legge 8 agosto 1995. n. 335, indipendentemente dalla data di decorrenza della pensione diretta, l'indennita' integrativa speciale gia' in godimento da parte del dante causa, parte integrante del complessivo trattamento pensionistico percepito, e' attribuita nella misura percentuale prevista per il trattamento di reversibilita'». Si e', poi, stabilito, al comma 775, la salvezza dei trattamenti piu' favorevoli «in godimento alla data di entrata in vigore della presente legge, gia' definiti in sede di contenzioso, con riassorbimento sui futuri miglioramenti pensionistici». Si e', infine, provveduto, al comma 776, all'abrogazione dell'art. 15, comma 5, della legge 23 dicembre 1994, n. 724.
Ad avviso del rimettente, la normativa del 2006, «presentandosi espressamente come interpretazione autentica, e quindi con efficacia retroattiva, dell'art. 1, comma 41, della legge 8 agosto 1995, n. 335», avrebbe impedito al giudice delle pensioni di seguire l'interpretazione fornita dalle Sezioni riunite del 2002;peraltro,
Con cio', prosegue ancora il giudice a quo, la «giurisprudenza prevalente della Corte dei conti ha di conseguenza ritenuto superata e percio' ha disatteso la pronuncia di massima delle Sezioni riunite, proprio in applicazione all'art. 1, commi 774-776, della legge n. 296 del 2006». Tuttavia, a seguito dell'articolo 42 della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita' nonche' in materia di processo civile), integrativo dell'articolo 1, comma 7, del d.l. 15 novembre 1993, n. 453 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti), convertito, con modificazioni, nella legge 14 gennaio 1994, n. 19 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453, recante disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti), la sezione giurisdizionale, centrale o regionale, che ritiene di non condividere il principio di diritto enunciato dalle Sezioni riunire, deve rimettere «a queste ultime, con ordinanza motivata, la decisione del giudizio».
Secondo il rimettente, detta disposizione imporrebbe «una maggiore cautela» nel considerare la sentenza delle Sezioni riunite n. 8/QM/2002 «effettivamente travolta» dalla disciplina interpretativa denunciata, cosi' da suggerire «di accertare con maggior rigore se detta normativa resista alle censure di illegittimita' costituzionale rivoltele dall'appellante». Difatti, ove
1.3. - Cio' premesso, il giudice a quo sostiene che i profili di incostituzionalita' della disciplina recata dai commi 774-776 dell'art. 1 della legge n. 296 del 2006, prospettati dalla parte appellante in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 36 e 28 Cost., sarebbero privi di consistenza e, comunque, in parte gia' scrutinati nel senso della non fondatezza dalla Corte costituzionale con la citata sentenza n. 74 del 2008.
Diversamente dovrebbe, invece, opinarsi, ad avviso del rimettente, in relazione all'eccezione di legittimita' costituzionale che la stessa appellante, richiamando anche la sentenza della Corte EDU 14 febbraio 2006 (L v. Francia), ha prospettato con riferimento agli artt. 117 e 111 Cost., giacche' le norme denunciate non rispetterebbero, nel primo caso, «i vincoli internazionali gravanti sullo Stato in forza della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU), e piu' specificamente il principio di preminenza del diritto evincibile dal Preambolo CEDU e l'art. 1 del Protocollo n. 1 della CEDU in tema di diritto di proprieta'»;mentre, nel secondo caso, contrasterebbero con il principio di "equo processo", posto che la relativa disciplina opererebbe «una palese ingerenza del potere legislativo sul funzionamento del potere giudiziario, vietato dalla CEDU».
Il rimettente reputa non manifestamente infondati i dubbi di costituzionalita' prospettati dalla parte appellante osservando che il legislatore, con i denunciati commi 774-776, e' intervenuto sul "diritto vivente" costituito dalla pronuncia delle Sezioni riunite n. 8/QM/2002, introducendo «una normativa diversa ed opposta», alla quale ha espressamente attribuito efficacia retroattiva, qualificandola come di interpretazione autentica. La retroattivita' della disciplina - argomenta il giudice a quo - «di per se' non sarebbe anticostituzionale», ma potrebbe «diventarlo indirettamente, per via del contrasto con l'art. 117, primo comma, Cost.», andando cosi' a confliggere con l'art. 6, par. l, della CEDU, sottoscritta dall'Italia il 4 novembre 1950 e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952).
1.3.1. - A tal riguardo, il rimettente sostiene che, in base all'interpretazione della Corte di Strasburgo, nel contenuto dell'art. 6 citato «rientra il divieto per lo Stato contraente, che sia parte in un giudizio, di legiferare nella materia oggetto di giudizio in corso ingerendosi cosi' nell'amministrazione della giustizia». E, secondo quanto precisato dalla Corte di cassazione, Sezione lavoro, con l'ordinanza n. 22260 del 4 settembre 2008 (richiamando la sentenza della Corte di Strasburgo del 21 giugno