Corte Cost., sentenza 29/12/2004, n. 423

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Massime5

E' illegittimo, in relazione agli artt. 117 e 119 Cost., l'art. 46, comma 2, L. 27 dicembre 2002, n. 289, limitatamente alle parole "destinando almeno il 10 per cento di tali risorse a sostegno delle politiche in favore delle famiglie di nuova costituzione, in particolare per l'acquisto della prima casa di abitazione e per il sostegno alla natalita", perche' pone un preciso vincolo di "destinazione" nell'utilizzo delle risorse da assegnare alle Regioni e comma 6, nella parte in cui prevede interventi finanziari dello Stato in materia di competenza legislazione regionale seppure destinati a privati poiche' equivarrebbe a riconoscere allo Stato potesta' legislativa e amministrativa sganciate dal sistema costituzionale.

E' illegittimo, in relazione agli artt. 117, 118 e 119 Cost., l'art. 3, comma 101 della legge n. 350/03, limitatamente alle parole "detratte una quota fino a 20 milioni di euro per l'anno 2004 e fino a 40 milioni di euro per ciascuno degli anni 2005 e 2006 da destinare all'ulteriore finanziamento delle finalita' previste dall'art. 2, comma 7, della legge 27 dicembre 2002, n. 289", poiche' trattandosi di materia non concernente l'ambito statale non sono ammessi finanziamenti caratterizzati da vincoli di destinazione, nonche' alle parole "lo Stato concorre al finanziamento delle Regioni che istituiscono il reddito di ultima istanza quale strumento di accompagnamento economico ai programmi di reinserimento sociale, destinato ai nuclei familiari a rischio di esclusione sociale ed i cui componenti non siano beneficiari di ammortizzatori sociali destinati a soggetti privi di lavoro" poiche' anche in tale ipotesi di competenza statale non e' plausibile la previsione di un cofinanziamento vincolato alla specifica finalita' di erogare la misura assistenziale in esame con legge statale.

E' illegittimo, in relazione all'art. 119 Cost.,l'art. 21, comma 6, del D.L. n. 269/2003, limitatamente alle parole "per il finanziamento delle politiche in favore delle famiglie", poiche' in esso e' prevista una finalita' specificamente vincolata di impiego delle somme stanziate.

E' illegittimo, in relazione agli artt. 117 e 119 Cost., l'art. 3, commi 116 e 117, della legge n. 350/03, poiche' tale norma stabilendo, con quali finalita' debba essere utilizzato l'incremento del fondo disposto per l'anno 2004 (dall'art. 21, commi 6 e 7, del D.L. n. 269/03), pone precisi vincoli di destinazione delle risorse con palese violazione dell'autonomia finanziaria di spesa delle Regioni.

E' manifestamente infondata, in relazione agli artt. 117 e 119 Cost., la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4, comma 159, della legge n. 350/03, poiche' tale norma deve essere intesa nel senso che qualora ci sia un autonomo titolo di legittimazione del legislatore statale, quest'ultimo puo' fissare con legge non solo principi fondamentali ma anche le funzioni amministrative a livello centrale, per esigenze di caratere unitario, nell'ambito dell'attivita' della ricerca scientifica che risulti limitata a quanto strettamente indispensabile a tali fini.

Sul provvedimento

Citazione :
Corte Cost., sentenza 29/12/2004, n. 423
Giurisdizione : Corte Costituzionale
Numero : 423
Data del deposito : 29 dicembre 2004
Fonte ufficiale :

Testo completo

 Ritenuto in fatto
1. - Con ricorso (r. ric. n. 22 del 2003) notificato il 28 febbraio 2003
e depositato presso la cancelleria della Corte il successivo 7 marzo, la
Regione Umbria ha proposto questione di legittimita' costituzionale, in via
principale, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge
finanziaria 2003), impugnando - tra le altre - le disposizioni contenute nei
commi 2 e 4 dell'art. 46, per violazione dell'art. 117, quarto comma, della
Costituzione.
L'art. 46, comma 2, attribuisce al Ministro del lavoro e delle politiche
sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e
d'intesa con la Conferenza unificata, il compito di disporre annualmente con
propri decreti la ripartizione delle risorse del Fondo di cui all'art. 59,
comma 44, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la
stabilizzazione della finanza pubblica), disponendo che sia assicurato
prioritariamente l'integrale finanziamento degli interventi che
costituiscono diritti soggettivi, nonche' che sia destinato almeno il 10 per
cento delle risorse a sostegno delle politiche in favore delle famiglie di
nuova costituzione, in particolare per l'acquisto della prima casa di
abitazione e per il sostegno alla natalita'.
La Regione Umbria rileva la difficolta' di "comprendere come
giuridicamente l'intervento possa essere di per se' costitutivo di una
posizione di diritto soggettivo", se non ritenendo che la disposizione
impugnata intenda "fare riferimento a prestazioni a carico dell'Istituto
nazionale per la previdenza sociale (INPS)", cio' che, pero', equivarrebbe a
"sottrarre indebitamente a stanziamenti destinati a politiche sociali quote
per interventi di altra natura". Analogamente, la denunciata violazione del
quarto comma dell'art. 117 della Costituzione, sarebbe, altresi',
evidenziata dalla circostanza che "la disposizione in esame non si limita ad
indicare degli obiettivi generali di politica sociale, ma fissa delle
priorita' ben determinate, sovrapponendosi alla competenza in tale materia
del legislatore regionale".
La norma, infine, contenuta nel comma 4 dell'impugnato art. 46, relativa
al "monitoraggio sull'utilizzo dei fondi", essendo "consequenziale alla
fissazione delle priorita' sopra evidenziate" sarebbe, per gli aspetti prima
sottolineati, invasiva della potesta' legislativa regionale.
2. - Si e' costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,
chiedendo la declaratoria di inammissibilita', o comunque il rigetto, del
ricorso suddetto.
In particolare, la questione proposta sarebbe infondata, atteso che lo
Stato avrebbe legittimamente esercitato la potesta' che gli deriva dalla
lettera m) dell'art. 117, secondo comma, della Costituzione, limitandosi a
fissare i livelli essenziali delle prestazioni concernenti diritti civili e
sociali, al fine di garantirne la uniformita' su tutto il territorio
nazionale.
Cio' premesso, l'Avvocatura generale dello Stato conclude evidenziando
come la "fissazione delle priorita" non esulerebbe, pertanto, dalle
competenze dello Stato.
3. - Con ricorso (r. ric. n. 25 del 2003) notificato il 1 marzo e
depositato presso la cancelleria della Corte il successivo 7 marzo, la
Regione Emilia-Romagna ha proposto questione di legittimita' costituzionale,
in via principale, della medesima legge n. 289 del 2002, censurando -
unitamente a numerose altre disposizioni che non vengono qui in rilievo - i
commi 2, 3, 4, 5 e 6 dell'art. 46, che disciplinano "la gestione del Fondo
nazionale per le politiche sociali".
Sul presupposto che - dopo l'intervenuta riforma del Titolo V della
Costituzione - l'oggetto delle norme censurate rientra nell'ambito della
competenza legislativa residuale delle Regioni, tranne per cio' che riguarda
la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, la ricorrente
sottolinea che, contrariamente a quanto previsto dal comma 2 dell'articolo
impugnato, spetta alle Regioni assicurare l'integrale finanziamento degli
interventi che costituiscono diritti soggettivi. Per il medesimo motivo,
inoltre, risulterebbe privo di base costituzionale l'ulteriore vincolo
rappresentato dalla destinazione di almeno il 10 per cento delle risorse del
Fondo a sostegno delle politiche in favore delle famiglie di nuova
costituzione, con preferenza per finanziamenti relativi all'acquisto della
prima casa di abitazione e al sostegno della natalita', giacche' si tratta -
secondo la ricorrente - "di concrete scelte di politica sociale, la cui
priorita' puo' variare nelle diverse Regioni, secondo criteri di decisione
ormai regionali".
Ne' ad escludere la denunciata violazione del nuovo criterio di
distribuzione della competenza legislativa in materia di "politica sociale"
potrebbe invocarsi la previsione secondo cui "la ripartizione del Fondo tra
i diversi usi avverrebbe "d'intesa con la Conferenza unificata di cui
all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281"", giacche', in
particolare, la previsione di un sistema siffatto equivarrebbe a perpetuare
"un meccanismo centralizzato, sia pure comprendente la partecipazione delle
Regioni", non piu' in linea con l'attuale assetto costituzionale.
La ricorrente, inoltre, censura la previsione di cui al comma 3
dell'art. 46 relativo alla fissazione, con decreto del Presidente del
Consiglio dei ministri, dei livelli essenziali delle prestazioni.
Essa precisa, in proposito, che la propria contestazione non investe tale
meccanismo in se' considerato, ma riguarda "invece la parte in cui si
prevede che la determinazione di tali livelli avvenga "nei limiti delle
risorse ripartibili del Fondo nazionale per le politiche sociali"", e cio'
in quanto dovrebbe essere "la stessa misura complessiva del Fondo" a formare
"oggetto di una determinazione concordata tra Stato e Regioni, al fine di
assicurarne una dimensione che permetta un livello delle prestazioni
adeguato, anche se non ottimale".
Le censure della Regione Emilia-Romagna investono, infine, anche le
previsioni dei commi 5 e 6 dell'art. 46 della legge n. 289 del 2002.
In relazione al primo di tali commi - che, per l'ipotesi di "mancato
utilizzo delle risorse da parte degli enti destinatari entro il 30 giugno
dell'anno successivo a quello in cui sono state assegnate", sancisce la
revoca dei finanziamenti stanziati - la ricorrente evidenzia che, mentre il
persistere di un vincolo di destinazione "puo' essere accettato in quanto
inevitabile, nel presente stato di inattuazione dell'art. 119" della
Costituzione, la previsione, invece, di un gravoso termine di decadenza,
potendo frustrare la programmazione e la gestione di fondi da parte della
singola Regione, rappresenterebbe una violazione dell'autonomia finanziaria
della Regione stessa.
Censurata e', da ultimo, la previsione del comma 6 dell'articolo in
questione, giacche' il conferimento, per il triennio 2003-2005, alla
Federazione dei maestri del lavoro d'Italia di un contributo annuo di
260.000 euro integrerebbe "una destinazione legislativa arbitraria ed
irrazionale, compiuta al di fuori di una competenza statale all'intervento".
Ne', d'altra parte, la sua illegittimita' costituzionale verrebbe meno per
il fatto che all'onere relativo si provveda con risorse prelevate dal Fondo
per l'occupazione di cui all'art. 1, comma 7, del decreto-legge 20 maggio
1993, n. 148 (Interventi urgenti a sostegno dell'occupazione), convertito,
con modificazioni, nella legge 19 luglio 1993, n. 236, ove si consideri - da
un lato - che "anche la tutela del lavoro e' egualmente materia assegnata
alle Regioni dall'art. 117, comma 3", della Costituzione, nonche' -
dall'altro - che "se il legislatore intende destinare i fondi a fini
assistenziali, come sono quelli in questione, la relativa gestione non puo'
che seguire le regole proprie del settore".
4. - Si e' costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,
chiedendo il rigetto della questione.
Premesso che il Fondo nazionale per le politiche sociali e' costituito
presso la Presidenza del Consiglio dei ministri ed e' alimentato con risorse
statali, la difesa erariale assume che "non e' certo invasiva della sfera di
competenza regionale la previsione che al riparto delle sue risorse si
provveda d'intesa con la Conferenza unificata, con prioritaria assicurazione
degli interventi costituenti diritti soggettivi e destinazione di una
percentuale minima a sostegno di politiche in favore di famiglie di nuova
costituzione".
Con specifico riferimento, poi, ai singoli rilievi formulati dalla
ricorrente, l'Avvocatura generale dello Stato deduce la genericita' della
censura relativa alla mancanza di una determinazione concordata tra Stato e
Regioni della "stessa misura complessiva del Fondo".
Nessuna doglianza, rileva la difesa erariale, sarebbe formulata in
ordine al comma 4. Sarebbe, inoltre, "coerente e logica (...) la contestata
disposizione di cui al comma 5, mirando la stessa ad assicurare il sollecito
utilizzo delle risorse da parte degli enti destinatari". Non sarebbe,
infine, "arbitraria ed irrazionale" la previsione del comma 6, stabilendo un
contributo, di limitato importo, a favore della Federazione dei maestri del
lavoro d'Italia e cio' in relazione alle finalita' "di rilievo sociale"
dalla stessa perseguite.
5. - Con ricorso (r. ric. n. 33 del 2004) notificato il 24 febbraio 2004
e depositato presso la cancelleria della Corte il 4 marzo successivo, la
Regione Emilia-Romagna ha proposto questione di legittimita' costituzionale,
in via principale, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge
finanziaria 2004), censurando, in particolare, l'art. 3, commi 101, 116 e
117, nonche' l'art. 4, comma 159.
5.1. - L'art. 3, comma 101, prevede, espone la ricorrente, che lo Stato
- "nei limiti delle risorse preordinate allo scopo dal Ministro del lavoro e
delle politiche sociali nell'ambito del Fondo nazionale per le politiche
sociali (...), e detratte una quota fino a 20 milioni di euro per l'anno
2004 e fino a 40 milioni di euro per ciascuno degli anni 2005 e 2006 da
destinare all'ulteriore finanziamento delle finalita' previste dall'art. 2,
comma 7, della legge 27 dicembre 2002 n. 289, nonche' una quota di 15
milioni di euro per ciascuno degli anni 2004, 2005 e 2006 da destinare al
potenziamento dell'attivita' di ricerca scientifica e tecnologica" -
concorra "al finanziamento delle Regioni che istituiscono il reddito di
ultima istanza quale strumento di accompagnamento economico ai programmi di
reinserimento sociale, destinato ai nuclei familiari a rischio di esclusione
sociale ed i cui componenti non siano beneficiari di ammortizzatori sociali
destinati a soggetti privi di lavoro".
La norma impugnata - secondo la Regione Emilia-Romagna - sarebbe lesiva
delle attribuzioni regionali per diversi profili, giacche', innanzitutto,
"dispone unilateralmente del Fondo nazionale per le politiche sociali",
atteso che, tramite essa, "si scorporano dal Fondo (...) alcuni cospicui
stanziamenti destinati a sostenere specifiche linee d'intervento,
genericamente riferibili alle politiche sociali, disposte unilateralmente
dal Governo", con conseguente palese violazione dell'autonomia finanziaria
regionale, garantita dall'art. 119 Cost., e del principio di leale
collaborazione.
La disposizione de qua - nella misura in cui "distoglie dal Fondo
nazionale per le politiche sociali uno stanziamento cospicuo (20 milioni di
euro per il 2004, il doppio per ciascuno degli anni successivi) per
aumentare consistentemente lo stanziamento entro il quale possono essere
concessi contributi finalizzati alla riduzione degli oneri effettivamente
rimasti a carico per l'attivita' educativa di altri componenti del medesimo
nucleo familiare presso scuole paritarie" - riduce, infatti, "le risorse
trasferite alle Regioni, per sostenere viceversa interventi diretti dello
Stato".
Cio' premesso, risulterebbe evidente - secondo la ricorrente - la
lesione sia delle attribuzioni legislative e amministrative della Regione,
sia della sua autonomia finanziaria, giacche' l'"ulteriore finanziamento di
un fondo settoriale in materia regionale, gestito dal centro, costituisce
violazione dell'art. 117, comma 4, 118 e 119 Cost.".
Il comma censurato, inoltre, presenterebbe un terzo profilo
d'illegittimita' costituzionale, giacche' detrarrebbe dal Fondo stesso
risorse per interventi genericamente destinati al potenziamento
dell'attivita' di ricerca scientifica e tecnologica, cosi' incidendo su una
materia rientrante nell'ambito delle competenze concorrenti, cio' che
precluderebbe "allo Stato d'intervenire con misure unilaterali e per di piu'
indefinite, anziche' con norme di principio e con il pieno coinvolgimento
delle Regioni".
Infine, rileva la ricorrente che l'art. 3, comma 101, nell'introdurre
"il "reddito di ultima istanza" destinato ai nuclei familiari a rischio di
esclusione e privi di altri ammortizzatori sociali" e, dunque, intervenendo,
senza coinvolgimento delle Regioni, "nella materia delle politiche sociali",
di competenza regionale, con una misura che "non puo' essere ricondotta ai
livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti sociali",
violerebbe il riparto delle attribuzioni e il principio di leale
collaborazione, nonche' la stessa autonomia finanziaria regionale.
Con specifico riferimento a tale ultimo profilo, la ricorrente evidenzia
come l'attuale testo dell'art. 119 della Costituzione consenta allo Stato -
secondo quanto chiarito dalla stessa giurisprudenza costituzionale (si
richiamano sul punto le sentenze di questa Corte numeri 49 e 16 del 2004 e
370 del 2003) - di "disporre interventi specifici in materie che non
appartengono alla sua potesta' esclusiva, ma riguardano ambiti di competenza
regionale, solo con risorse aggiuntive e per finalita' perequative", le une
come le altre non essendo, pero', ravvisabili nell'ipotesi in esame.
Ricorrerebbe, dunque, nel caso di specie "un finanziamento "speciale"
alle Regioni, condizionato ad una loro iniziativa di politica sociale",
disciplinata, pero', dalla stessa legge statale, di talche', "in una materia
di competenza regionale, lo Stato prevede un finanziamento vincolato ad una
specifica destinazione a favore non di determinate Regioni (come richiede
l'art. 119, quinto comma, della Costituzione) ma della generalita' delle
Regioni, violando la loro autonomia finanziaria". Sarebbe, infine, lesa la
stessa autonomia legislativa regionale, dato che, in materia rientrante
nell'art. 117, quarto comma, lo Stato "interviene attraverso la disciplina
dell'attivita' che la Regione dovrebbe compiere per usufruire del concorso
statale alla spesa".
5.2. - La ricorrente censura, inoltre, le previsioni contenute nei commi
116 e 117 del medesimo art. 3 della legge n. 350 del 2003.
Il comma 116, in particolare, stabilisce che l'incremento della
dotazione del Fondo nazionale per le politiche sociali - disposto per l'anno
2004 dall'art. 21, comma 6, del d.l. n. 269 del 2003 - debba essere
utilizzato nel medesimo anno 2004 per le seguenti finalita': a) politiche
per la famiglia e in particolare per anziani e disabili, per un importo pari
a 70 milioni di euro;
b) abbattimento delle barriere architettoniche di cui
alla legge 9 gennaio 1989, n. 13, per un importo pari a 20 milioni di euro;
c) servizi per l'integrazione scolastica degli alunni portatori di handicap,
per un importo pari a 40 milioni di euro;
d) servizi per la prima infanzia e
scuole dell'infanzia, per un importo pari a 67 milioni di euro.
Il comma 117, invece, stabilisce che "gli interventi di cui alle lettere
c) e d) del comma 116, limitatamente alle scuole dell'infanzia, devono
essere adottati previo accordo tra i Ministeri dell'istruzione,
dell'universita' e della ricerca e del lavoro e delle politiche sociali e le
Regioni".
Orbene, il summenzionato comma 116 sarebbe - secondo la ricorrente -
lesivo delle attribuzioni regionali, giacche', al pari del gia' esaminato
comma 101 del medesimo art. 3, "dispone unilateralmente del Fondo nazionale
per le politiche sociali", posto che dallo stesso "si scorporano (...)
alcune specifiche linee di finanziamento, vincolandone la destinazione ad
obiettivi scelti unilateralmente dal Governo", con palese "violazione
dell'autonomia legislativa (non trattandosi di materia concorrente, e in
ogni caso non di principio fondamentale di materia) e finanziaria regionale,
garantita dall'art. 119 Cost., nonche' del principio di leale
collaborazione".
Quanto, invece, al successivo comma 117, la censura prospettata si fonda
sulla constatazione che la disposizione ivi contenuta - nello stabilire "che
i servizi per l'integrazione scolastica degli alunni portatori di handicap e
per la scuola d'infanzia "devono essere adottati previo accordo" tra
Ministri competenti e le Regioni" - parrebbe "voler imporre alle Regioni di
esercitare le proprie attribuzioni, non con la garanzia di una definizione
di prestazioni essenziali (...) compiuta dal legislatore nazionale, ma
attraverso il condizionamento da parte degli organi politici o addirittura
burocratici dello Stato", con cio' "mortificando l'autonomia legislativa e
amministrativa regionale", in violazione degli articoli 117 e 118 della
Costituzione.
5.3. - La Regione Emilia-Romagna ha impugnato, infine, anche la
previsione contenuta nell'art. 4, comma 159, della medesima legge n. 350 del
2003.
Pone in luce la ricorrente come la disposizione de qua - nello stabilire
"l'erogazione di contributi in conto capitale per "il sostegno e l'ulteriore
potenziamento dell'attivita' di ricerca scientifica e tecnologica",
rinviando la determinazione delle misure dei contributi, della tipologia
degli interventi ammessi e dei destinatari ad un decreto del Presidente del
Consiglio dei ministri" - violerebbe l'autonomia finanziaria regionale
garantita dall'art. 119 della Costituzione. La norma censurata, infatti, in
una materia - qual e' la "ricerca scientifica e tecnologica e sostegno
all'innovazione per i settori produttivi" - assegnata dall'art. 117, terzo
comma, della Costituzione alla potesta' concorrente, prevede interventi
diretti statali, i quali sarebbero, invece, ammessi soltanto nelle materie
di competenza esclusiva dello Stato.
6. - Si e' costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,
chiedendo il rigetto delle questioni, ovvero la declaratoria
d'inammissibilita', con riserva di argomentare con successiva memoria.
7. - Con ordinanza del 10 giugno 2004, emanata all'esito dell'udienza
pubblica 8 giugno 2004, e' stato rinviato alla successiva udienza gia'
fissata per il 6 luglio (in ragione degli evidenti profili di connessione
con le questioni relative all'art. 3, commi 116 e 117, della legge n. 350
del 2003), l'esame di taluni profili del ricorso n. 13 del 2004;
pertanto,
la Corte risulta investita anche di tale impugnativa, proposta sempre dalla
Regione Emilia-Romagna.
Quest'ultima, infatti, con ricorso notificato il 23 gennaio 2004 e
depositato presso la cancelleria della Corte il successivo giorno 29, ha
sollevato questione di legittimita' costituzionale di numerose disposizioni
del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per
favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici),
convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2003, n. 326.
Rilevano, in questa sede, le questioni aventi ad oggetto esclusivamente
il comma 6 e parte del comma 7 dell'art. 21 del suddetto d.l. n. 269 del
2003.
Il comma 6 stabilisce che per il finanziamento delle politiche in favore
delle famiglie il Fondo nazionale per le politiche sociali e' incrementato
di 232 milioni di euro per l'anno 2004.
Il comma 7 prevede i mezzi di copertura della relativa spesa.
La ricorrente precisa, infine, che la disposizione in esame e' stata
"integrata" dall'art. 3, comma 116, della legge n. 350 del 2003 (con cui
sono stati specificati gli interventi per i quali il Fondo nazionale per le
politiche sociali puo' essere utilizzato nell'anno 2004, con indicazione del
relativo riparto delle risorse), disposizione oggetto di separata
impugnazione, sempre proposta dalla Regione Emilia-Romagna (r. ric. n. 33
del 2004).
Deduce, in particolare, la ricorrente la violazione dell'art. 119 della
Costituzione.
Sul punto la Regione Emilia-Romagna - richiamato, in particolare, il
contenuto della sentenza n. 370 del 2003 - evidenzia come, alla stregua del
citato parametro costituzionale, sia espressamente stabilito che le funzioni
pubbliche regionali e locali debbano essere "integralmente" finanziate
tramite i proventi delle entrate proprie e la compartecipazione al gettito
dei tributi erariali riferibili al territorio dell'ente interessato, nonche'
con quote del fondo perequativo senza vincoli di destinazione.
Nel caso di specie, sussisterebbe, invece, la violazione dell'autonomia
finanziaria sia di entrata che di spesa delle Regioni e degli enti locali
"dal momento che l'attivita' dello speciale servizio pubblico costituito
dagli interventi a favore della famiglia rientra palesemente nella sfera
delle funzioni proprie" delle stesse Regioni e degli enti locali e non
potrebbe, in quanto tale, che essere finanziata secondo le modalita' sopra
indicate.
Da qui, dunque, la illegittimita' non solo del singolo atto di
disposizione del Fondo, ma della stessa previsione di un Fondo nazionale per
le politiche sociali "che non appare piu' compatibile con il novellato art.
119 della Costituzione".
Ne', d'altra parte, potrebbe essere invocata, ad avviso della
ricorrente, la perdurante inattuazione dell'art. 119 della Costituzione, in
quanto lo Stato puo' e deve fin d'ora agire in conformita' al nuovo riparto
di competenze e alle nuove regole, disponendo i trasferimenti senza vincoli
di destinazione, o, se del caso, passando attraverso il filtro dei programmi
regionali, coinvolgendo dunque le Regioni interessate nei processi
decisionali concernenti il riparto e la destinazione dei fondi, e
rispettando, altresi', l'autonomia di spesa degli enti locali (si richiama
la sentenza n. 16 del 2004).
8. - Si e' costituito il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che
il ricorso venga rigettato.
La difesa erariale - riservandosi di argomentare con una successiva
memoria, dopo aver acquisito documentazione inerente l'attivita' svolta dal
Fondo negli anni dal 1998 al 2003 - sottolinea che nel ricorso, pur non
sostenendosi che il citato articolo sia in contrasto con la legge
costituzionale n. 3 del 2001, se ne "sollecita", pero', "la soppressione",
ritenendo esso non piu' compatibile con il nuovo art. 119 della Costituzione.
Successivamente l'Avvocatura generale dello Stato ha depositato, in data
4 maggio 2004, una relazione dell'Ufficio legislativo del Ministero del
lavoro e delle politiche sociali, sugli interventi effettuati dal Fondo
nazionale per le politiche sociali negli anni dal 1998 al 2003, sulle
risorse finanziarie amministrate in tali anni e sui programmi ai quali
veniva dedicato lo stanziamento di 232 milioni di euro, previsto dalla norma
in esame.
La difesa dello Stato ha, altresi', con memoria del 21 maggio 2004,
dedotto, per quanto interessa, l'inammissibilita' del ricorso per
genericita'.
9. - In prossimita' dell'udienza pubblica, l'Avvocatura generale dello
Stato ha svolto con memorie del 14 giugno 2004, ulteriori considerazioni
sulle censure proposte dalla ricorrente Regione Emilia-Romagna nei confronti
dell'art. 46, commi 2, 3, 4, 5 e 6, della legge n. 289 del 2002 (r. ric. n.
25 del 2003).
Innanzitutto, l'Avvocatura generale dello Stato ha ribadito, in
relazione al contenuto di cui al comma 2 dell'art. 46, che lo stesso sarebbe
chiaramente riconducibile alla competenza esclusiva statale prevista
dall'art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione.
Con riferimento, invece, alle censure che investono il comma 3
dell'articolo 46, la difesa erariale ha osservato - in relazione alla
doglianza della ricorrente, secondo cui e' la stessa misura complessiva del
Fondo che "dovrebbe essere oggetto di una determinazione concordata tra
Stato e Regioni" - come non sia dato comprendere "quale sia il fondamento
costituzionale di siffatta affermazione", specie ove si consideri che
"l'alimentazione (e quindi la "dimensione legale") del Fondo stesso, con gli
ivi previsti stanziamenti, e' puntualmente regolata nel comma 1, peraltro
non impugnato, del medesimo articolo".
Nega, inoltre, l'Avvocatura generale dello Stato - quanto alle censure
che investono il comma 5 dell'articolo de quo - che il potere statale di
revoca dei finanziamenti incida "sull'autonomia della Regione accertata
"inadempiente"". Reputa, anzi, la "previsione di un termine massimo (...)
per l'effettivo utilizzo" delle risorse erogate proprio "coessenziale al
"meccanismo del Fondo"", posto che le finalita' di quest'ultimo sarebbero
"chiaramente messe in crisi", ove si consentisse all'ente destinatario delle
risorse suddette di "conservare sine die risorse non impiegate".
Immune dal denunciato vizio di incostituzionalita' sarebbe, infine, il
comma 6 del summenzionato art. 46 della legge n. 289 del 2002.
Non integrerebbe, difatti, alcuna violazione della potesta' legislativa
della Regione (in materia di tutela del lavoro), ne' comprometterebbe la sua
autonomia finanziaria di spesa, la previsione dell'erogazione di una ("del
resto modesta") somma, a carico del Fondo per l'occupazione di cui all'art.
7 del decreto-legge n. 148 del 1993 in favore della Federazione dei maestri
del lavoro d'Italia.
10. - Con memoria del 17 giugno 2004, la Regione Emilia-Romagna ha
specificato le censure - proposte con il ricorso n. 25 del 2003 - aventi ad
oggetto le previsioni contenute nell'art. 46, commi 2, 3, 4, 5 e 6, della
legge n. 289 del 2002.
Prendendo posizione sulle diverse argomentazioni difensive sviluppate
dall'Avvocatura generale dallo Stato, la ricorrente, in particolare,
esclude, che "il riferimento ai "diritti soggettivi"" possa "fondare la
competenza statale", giacche' non si tratta, nel caso di specie, "di
garantire i livelli essenziali di cui all'art. 117, secondo comma, lettera
m), della Costituzione".
11. - Con memoria del 19 giugno 2004, l'Avvocatura generale dello Stato
ha approfondito le difese svolte in relazione al ricorso n. 22 del 2003,
proposto dalla Regione Umbria, avente ad oggetto sempre le previsioni
contenute nell'art. 46, commi 2 e 4, della legge n. 289 del 2002.
Secondo la difesa erariale le "doglianze proposte appaiono infondate",
atteso che l'art. 117, secondo comma, della Costituzione "affida alla
legislazione esclusiva dello Stato la determinazione dei livelli essenziali
delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali di cui alla lettera
m)", nonche' "le norme in materia di previdenza sociale (lettera o)", ed
ancora "la "perequazione delle risorse finanziarie" (lettera e),
perequazione da realizzare con ogni strumento legislativo e non soltanto
attraverso la costituzione del Fondo perequativo di cui all'art. 119, terzo
comma, della Costituzione".
12. - La Regione Umbria, con memoria del 22 giugno 2004, ha sviluppato
le censure mosse nei confronti dell'art. 46, commi 2 e 4, della legge n. 289
del 2002.
In particolare, la ricorrente rileva che il contenuto della norma in
esame non sarebbe riconducibile alla materia di cui all'art. 117, secondo
comma, lettera m), della Costituzione.
Detta norma, infatti, "non fissa standards relativi a prestazioni da
assicurare", ma indica al piu' (e segnatamente allorche' vincola il 10 per
cento del Fondo all'acquisto della prima casa di abitazione e al sostegno
della natalita) "soltanto delle finalita" da conseguire, come confermerebbe,
in particolare, la previsione del successivo comma 3, il quale - quanto
all'effettiva determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni
contemplate dal comma precedente - rinvia allo "specifico procedimento ivi
previsto".
La Regione Umbria, inoltre, svolge argomentazioni a sostegno della
censura formulata nei confronti dell'art. 46, comma 4.
13. - Con la seconda memoria, anch'essa del 14 giugno 2004, l'Avvocatura
generale dello Stato ha svolto ulteriori considerazioni in ordine al ricorso
n. 33 del 2004, proposto dalla medesima Regione Emilia-Romagna.
La difesa erariale, in particolare, si sofferma sulle doglianze relative
alla previsione contenuta nell'art. 4, comma 159, della legge n. 350 del
2003, evidenziando come la ricorrente sembra muovere da una lettura in base
alla quale "allo Stato sarebbe impedito intervenire direttamente e con
proprie risorse finanziarie a sostegno della ricerca", e cio' perche' la
ricerca scientifica e tecnologica rientrerebbe nell'ambito della competenza
concorrente.
Sul presupposto, pero', che la ricerca sia, "per sua natura, a
dimensione mondiale" e che si svolga "in un continuo dialogo tra centri di
eccellenza", la difesa erariale osserva che la ricerca scientifica e
tecnologica "e' dunque attivita' per la quale l'"esercizio unitario" (art.
118, comma primo, della Costituzione) costituisce, per cosi' dire, la
dimensione minima", di talche' "sarebbe incongruo dimensionare la ricerca e
le istituzioni che la coltivano sulla misura di ciascun territorio regionale
e del relativo ente territoriale".
La conclusione dell'Avvocatura generale dello Stato e', pertanto, nel
senso che la competenza legislativa nella materia in esame sia concorrente
"in una accezione che non preclude totalmente ai legislatori regionali
qualsiasi iniziativa a "sostegno"" (specie quando essa sia indirizzata ai
settori produttivi dell'economia locale), consentendo al tempo stesso "al
Parlamento nazionale di assumere proprie iniziative di diretto "sostegno"
quando vi e' duplice inerenza alle (o contiguita' con le) materie o funzioni
di cui all'art. 117, primo e secondo comma, della Costituzione, oppure
quando sussistono esigenze di "esercizio unitario"".
14. - Con memoria del 19 giugno 2004, l'Avvocatura generale dello Stato
ha ulteriormente svolto le proprie difese in relazione al ricorso n. 33 del
2004, proposto dalla Regione Emilia-Romagna, avente ad oggetto le previsioni
contenute nell'art. 3, commi 101, 116 e 117, della legge n. 350 del 2003.
Rileva la difesa erariale che il primo dei commi sopra menzionati, non
lederebbe le autonomie regionali, in quanto lascerebbe le Regioni libere di
istituire o meno il "reddito di ultima istanza", devolvendo a quelle che lo
istituiscano parte del Fondo nazionale per le politiche sociali, dando cosi'
vita - nel settore dei servizi sociali - ad un sistema di "cofinanziamento".
15. - Con memoria del 18 giugno 2004, la Regione Emilia-Romagna -
replicando alle osservazioni svolte dall'Avvocatura generale dello Stato con
memoria del 21 maggio 2004 - insiste per la declaratoria d'illegittimita'
costituzionale dell'art. 21, commi 6 e parte del comma 7, del decreto legge
n. 269 del 2003 (r. ric. n. 13 del 2004).
La ricorrente contesta l'eccezione d'inammissibilita' del ricorso - per
genericita' delle censure ivi contenute - sollevata dalla difesa erariale;
assume, infatti, la Regione Emilia-Romagna, replicando ai rilievi sollevati
dall'Avvocatura generale dello Stato, di avere, nel proprio ricorso,
"espressamente lamentato la violazione dell'art. 119 della Costituzione" (e
cio' "argomentando e invocando" la sentenza di questa Corte n. 370 del 2003).
Considerato in diritto
1. - Le Regioni Umbria ed Emilia-Romagna, con quattro distinti ricorsi,
hanno proposto questioni di legittimita' costituzionale, in riferimento agli
artt. 117, 118 e 119 della Costituzione, nonche' al principio di leale
collaborazione, di numerose disposizioni della legge 27 dicembre 2002, n.
289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello
Stato - legge finanziaria 2003), del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269
(Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione
dell'andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella
legge 24 novembre 2003, n. 326, e della legge 24 dicembre 2003, n. 350
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello
Stato - legge finanziaria 2004).
1.1. - In particolare, la Regione Umbria (r. ric. n. 22 del 2003) ha
impugnato l'art. 46, commi 2 e 4, della legge n. 289 del 2002, mentre la
Regione Emilia-Romagna (r. ric. n. 25 del 2003) ha impugnato lo stesso art.
46 nei commi 2, 3, 4, 5 e 6. Entrambe le impugnazioni censurano le
disposizioni concernenti il Fondo nazionale per le politiche sociali,
istituito dall'art. 59, comma 44, della legge 27 dicembre 1997, n. 449
(Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica), osservando che la
materia trattata, rientrando nell'ambito della competenza residuale delle
Regioni, ai sensi dell'art. 117, quarto comma, della Costituzione, non
potrebbe formare oggetto di disciplina da parte della legge statale. Questa,
pertanto, avrebbe invaso sfere di competenza riservate dalla Costituzione
all'autonomia regionale, nonche' violato, secondo la sola Regione
Emilia-Romagna, anche l'art. 119 della Costituzione.
1.2. - Inoltre, la Regione Emilia-Romagna (r. ric. n. 13 del 2004) ha
impugnato le disposizioni dell'art. 21, comma 6 e parte del comma 7, del
decreto-legge n. 269 del 2003, la' dove prevedono l'incremento del Fondo
nazionale per le politiche sociali e la relativa copertura, per il
finanziamento delle politiche in favore delle famiglie. Tali disposizioni
vengono censurate sotto il profilo della violazione dell'autonomia
finanziaria delle Regioni.
1.3. - Infine, la stessa Regione Emilia-Romagna (r. ric. n. 33 del 2004)
ha impugnato le disposizioni contenute nell'art. 3, commi 101, 116 e 117,
nonche' quelle contenute nell'art. 4, comma 159, della legge n. 350 del
2003, censurandole sotto il profilo della violazione degli artt. 117, 118 e
119 della Costituzione e del principio di leale collaborazione, in base al
rilievo che illegittimamente la legge dello Stato avrebbe invaso sfere di
competenza regionale con norme disciplinanti la utilizzazione del Fondo in
questione, anche in palese violazione dell'autonomia finanziaria propria
delle Regioni.
Le impugnazioni di cui innanzi vengono trattate separatamente rispetto
alle altre questioni proposte e, per ragioni di omogeneita' di materia,
devono essere decise, previa riunione in parte qua dei ricorsi, con la
medesima sentenza.
2. - Considerato che tutti gli atti di impugnazione, sia pure sotto
diversi angoli prospettici, censurano l'attuale sistema di disciplina e
finanziamento della spesa sociale e, in particolare, le modalita' di
"gestione" delle risorse finanziarie del Fondo nazionale delle politiche
sociali, in quanto ritenute lesive dell'autonomia finanziaria delle Regioni,
e' opportuno, prima di procedere all'analisi specifica delle singole
censure, richiamare i nuovi principi fissati dall'art. 119 della
Costituzione successivamente alla riforma del Titolo V, di cui alla legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte
seconda della Costituzione), nonche' ripercorrere le linee fondamentali di
evoluzione della normativa relativa alla istituzione e al funzionamento del
suddetto Fondo.
3. - La giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di riconoscere in
piu' occasioni (sentenze numeri 320, 49, 37, 16 del 2004 e 370 del 2003)
che, sul piano finanziario, in base al nuovo testo dell'articolo 119, le
Regioni - come gli enti locali - sono dotate di "autonomia finanziaria di
entrata e di spesa" (primo comma) e godono di "risorse autonome"
rappresentate da tributi ed entrate propri, nonche' dispongono di
compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al proprio
territorio (secondo comma). E per i territori con minore capacita' fiscale
per abitante, la legge dello Stato istituisce un fondo perequativo "senza
vincoli di destinazione" (terzo comma). Nel loro complesso tali risorse
devono consentire alle Regioni ed agli altri enti locali "di finanziare
integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite" (quarto comma). Non di
meno, al fine di promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la
solidarieta' sociale, di rimuovere gli squilibri economici e sociali, di
favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona o di provvedere a
scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato puo'
destinare "risorse aggiuntive" ed effettuare "interventi speciali" in favore
"di determinati Comuni, Province, Citta' metropolitane e Regioni" (quinto
comma).
3.1. - L'attuazione di questo disegno costituzionale richiede, pero',
"come necessaria premessa, l'intervento del legislatore statale, il quale,
al fine di coordinare l'insieme della finanza pubblica, dovra' non solo
fissare i principi cui i legislatori regionali dovranno attenersi, ma anche
determinare le grandi linee dell'intero sistema tributario, e definire gli
spazi e i limiti entro i quali potra' esplicarsi la potesta' impositiva,
rispettivamente, di Stato, Regioni ed enti locali" (sentenza n. 37 del
2004). Ed e' evidente come cio' presupponga la definizione di una disciplina
transitoria in grado di consentire l'ordinato passaggio dall'attuale sistema
- caratterizzato dalla permanenza di una finanza regionale ancora in non
piccola parte "derivata", cioe' dipendente dal bilancio statale, e da una
disciplina statale unitaria di tutti i tributi, con limitate possibilita'
delle Regioni e degli enti locali di effettuare autonome scelte - ad un
nuovo sistema (sentenze numeri 320 e 37 del 2004).
3.2. - Tuttavia, deve ritenersi che l'art. 119 della Costituzione ponga,
sin da ora, precisi limiti al legislatore statale nella disciplina delle
modalita' di finanziamento delle funzioni spettanti al sistema delle
autonomie.
Innanzitutto, non sono consentiti finanziamenti a destinazione
vincolata, in materie e funzioni la cui disciplina spetti alla legge
regionale, siano esse rientranti nella competenza esclusiva delle Regioni
ovvero in quella concorrente, pur nel rispetto, per quest'ultima, dei
principi fondamentali fissati con legge statale (sentenze numeri 16 del 2004
e 370 del 2003). D'altronde, come precisato con la sentenza n. 16 del 2004,
ove non fossero osservati tali limiti e criteri, il ricorso a finanziamenti
ad hoc rischierebbe di divenire uno strumento indiretto, ma pervasivo, di
ingerenza dello Stato nell'esercizio delle funzioni delle Regioni e degli
enti locali, nonche' di sovrapposizione di politiche e di indirizzi
governati centralmente a quelli legittimamente decisi dalle Regioni negli
ambiti materiali di propria competenza.
In applicazione dei suindicati principi, questa Corte ha dichiarato la
illegittimita' costituzionale delle norme con le quali, successivamente
all'entrata in vigore della legge costituzionale n. 3 del 2001, sono stati
istituiti nuovi Fondi vincolati e in particolare il Fondo nazionale per il
sostegno alla progettazione delle opere pubbliche delle Regioni e degli enti
locali, nonche' il Fondo nazionale per la realizzazione di infrastrutture di
interesse locale (sentenza n. 49 del 2004);
il Fondo per la riqualificazione
urbana dei comuni (sentenza n. 16 del 2004);
il Fondo per gli asili nido
(sentenza n. 370 del 2003).
La Corte ha, inoltre, dichiarato l'illegittimita' costituzionale - per
violazione del riparto delle competenze legislative, ex art. 117 della
Costituzione - del Fondo di rotazione per il finanziamento dei datori di
lavoro che realizzano servizi di asilo nido o micro-nidi (sentenza n. 320
del 2004), nonche' del Fondo finalizzato alla costituzione di garanzie sul
rimborso di prestiti fiduciari in favore degli studenti capaci e meritevoli
(sentenza n. 308 del 2004).
3.3. - La giurisprudenza di questa Corte ha, inoltre, chiarito che
opera, fino all'attuazione dell'art. 119 della Costituzione, un ulteriore
limite per il legislatore statale, rappresentato dal divieto imposto di
procedere in senso inverso a quanto oggi prescritto dall'art. 119 della
Costituzione, e cosi' di sopprimere semplicemente, senza sostituirli, gli
spazi di autonomia gia' riconosciuti dalle leggi statali in vigore, alle
Regioni e agli enti locali, o di procedere a configurare un sistema
finanziario complessivo che contraddica i principi del medesimo art. 119
(sentenze numeri 320, 241 e 37 del 2004).
4. - Il Fondo per le politiche sociali e' stato istituito dall'art. 59,
comma 44, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, con lo scopo, fissato dal
successivo comma 45, in attesa dell'entrata in vigore della legge generale
di riforma dell'assistenza, di provvedere: a) alla promozione di interventi
per la realizzazione di standard essenziali ed uniformi di prestazioni
sociali su tutto il territorio dello Stato concernenti i diritti
dell'infanzia e dell'adolescenza, la condizione degli anziani,
l'integrazione e l'autonomia dei portatori di handicap, il sostegno alle
famiglie, la prevenzione ed il trattamento delle tossicodipendenze,
l'inserimento e l'integrazione dei cittadini stranieri;
b) al sostegno a
progetti sperimentali attivati dalle Regioni e dagli enti locali;
c) alla
promozione di azioni concertate ai livelli nazionale, regionale e locale per
la realizzazione di interventi finanziati dal Fondo sociale europeo;
d) alla
sperimentazione di misure di contrasto delle poverta';
e) alla promozione di
azioni per lo sviluppo delle politiche sociali da parte di enti,
associazioni ed organismi operanti nell'ambito del volontariato e del terzo
settore.
Nella sua originaria configurazione, il Fondo era alimentato da una
dotazione generale disposta dalla stessa legge istitutiva, nonche' dalla
confluenza degli stanziamenti previsti per gli interventi disciplinati da
una serie di leggi di settore elencate dal comma 46 dello stesso art. 59.
Tali risorse venivano poi ripartite annualmente con decreto del Ministro
per la solidarieta' sociale, sentiti i Ministri interessati (art. 59, comma
46), ed erano, in mancanza di una legge di sistema sull'assistenza,
sostanzialmente destinate al soddisfacimento delle specifiche esigenze
perseguite dalle singole leggi di settore.
4.1.- La disciplina sin qui richiamata e' stata modificata, anche al
fine di garantire un coinvolgimento delle Regioni e degli enti locali,
dall'art. 133 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di
funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni ed agli enti
locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), il quale
- dopo aver denominato il Fondo istituito dalla legge n. 449 del 1997 "Fondo
nazionale per le politiche sociali" (comma 1) - ha stabilito che la
ripartizione delle risorse debba avvenire "sentiti" non solo i Ministri
interessati, ma anche la Conferenza unificata di cui al decreto legislativo
28 agosto 1997, n. 281 (comma 4). Con la stessa disposizione si e', inoltre,
stabilito che le risorse affluenti al Fondo siano "destinate ad interventi
in materia di "servizi sociali", secondo la definizione di cui all'art. 128"
del medesimo decreto legislativo e, dunque, in generale a rimuovere e
superare le situazioni di bisogno e di difficolta' che la persona umana
incontra nel corso della sua vita (art. 128, comma 2).
4.2. - Con la riforma organica della materia dei servizi sociali attuata
con la legge 8 novembre 2000, n. 328 (Legge quadro per la realizzazione del
sistema integrato di interventi e servizi sociali), il sistema di
finanziamento delle politiche sociali ha subito ulteriori modifiche,
consistenti, innanzitutto, nella previsione della regola generale secondo
cui la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali
si avvale di un finanziamento plurimo al quale concorrono, secondo
competenze differenziate e con dotazioni finanziarie afferenti ai rispettivi
bilanci, lo Stato, le Regioni e gli enti locali (art. 4, comma 1). Lo Stato
concorre al suddetto finanziamento della spesa sociale mediante, appunto, le
risorse del Fondo nazionale, il cui stanziamento complessivo e' determinato
a decorrere dall'anno 2002 "dalla legge finanziaria" (art. 20, comma 8), con
possibilita' di affluenza al Fondo stesso anche di "somme derivanti da
contributi e donazioni eventualmente disposti da privati, enti, fondazioni,
organizzazioni, anche internazionali, da organismi dell'Unione europea"
(art. 20, comma 10). Dette risorse sono, in particolare, assegnate - per la
promozione e il raggiungimento degli obiettivi di politica sociale - alle
Regioni e agli enti locali (artt. 4 e 20), nonche' destinate al
finanziamento di prestazioni previdenziali connesse alla erogazione (tramite
l'Istituto nazionale per la previdenza sociale - INPS) di assegni per
l'invalidita' civile, la cecita' e il sordomutismo e ripartite osservando
modalita' e procedure che dovranno essere determinate con regolamento
governativo da emanarsi ai sensi dell'art. 17, comma 2, della legge 23
agosto 1988, n. 400 (art. 20, comma 5). La concreta ripartizione delle somme
dovra' poi avvenire annualmente con decreto del Ministro per la solidarieta'
sociale, sentiti i Ministri interessati, d'intesa con la Conferenza
unificata (art. 20, comma 7), sulla base delle linee contenute nel Piano
nazionale degli interventi e dei servizi sociali e dei parametri - indicati
dall'art. 18, comma 3, lettera n) della stessa legge n. 328 del 2000 -
"basati sulla struttura demografica, sui livelli di reddito e sulle
condizioni occupazionali della popolazione".
Le linee tracciate dal suddetto Piano nazionale - approvato per il
triennio 2001-2003 con d.P.R. 3 maggio 2001 - sono consistite, in relazione
alle metodologie di allocazione delle risorse, nella indicazione di criteri
di riparto per "aree di intervento" e "aree territoriali" (parte terza,
punti 3.1 e 3.2). La ripartizione per "aree di intervento" (es.
responsabilita' familiari, diritti dei minori, ecc.) comporta una
articolazione degli interventi stessi "in base ai bisogni da soddisfare". La
ripartizione per "aree territoriali" richiede, invece, di avere riguardo
alla "popolazione destinataria delle politiche sociali, di volta in volta
definita con riguardo alle caratteristiche demografiche, economiche e
occupazionali verosimilmente correlate al fabbisogno finanziario delle
singole realta' regionali (o locali)" (parte terza, punto 3.2).
5. - Dalla descrizione delle caratteristiche che connotano l'attuale
struttura e funzione del Fondo nazionale per le politiche sociali si desume
che lo stesso non e' riconducibile a nessuno degli strumenti di
finanziamento previsti dal nuovo art. 119 della Costituzione. In
particolare, la "generalita" dei destinatari delle risorse - essendo le
stesse ripartite, per quanto interessa, tra "tutti" gli enti regionali -
nonche' le finalita' perseguite consistenti nel finanziamento, tra l'altro,
delle funzioni pubbliche regionali, determinano una deviazione sia dal
modello del Fondo perequativo da istituire senza vincoli di destinazione -
che deve essere indirizzato ai soli "territori con minore capacita' fiscale
per abitante" (art. 119, terzo comma) - sia dalla sfera degli "interventi
speciali" e delle "risorse aggiuntive", che lo Stato destina esclusivamente
a "determinate" Regioni (o a determinati Comuni, Province e Citta'
metropolitane) per finalita' enunciate nella norma costituzionale o comunque
per "scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni" (art. 119,
comma quinto). Da cio' non consegue, pero', come ritenuto dalla Regione
Emilia-Romagna, la soppressione del Fondo nazionale per le politiche
sociali, sia perche' lo stesso e' destinato a finanziare anche funzioni
statali, sia perche' la sua perdurante operativita' per gli aspetti di
incidenza sul sistema dell'autonomia finanziaria regionale si giustifica in
via transitoria, nei limiti che saranno illustrati, fino all'attuazione del
nuovo modello delineato dall'art. 119 della Costituzione. Una volta attuato
tale modello, dovranno essere riformati i vigenti meccanismi di
finanziamento della spesa sociale attraverso la riconduzione degli
interventi statali - al di fuori ovviamente dei casi in cui gli stessi
riguardino funzioni e compiti dello Stato - ai soli strumenti consentiti dal
nuovo art. 119 della Costituzione.
In questa fase "transitoria" - e' bene ribadire - non sono comunque
ammesse, per le ragioni gia' illustrate, nuove prescrizioni che incidano in
senso peggiorativo sugli spazi di autonomia gia' riconosciuti dalle leggi
statali in vigore ovvero che contraddicano i principi fissati dallo stesso
art. 119.
6. - Posta questa premessa di carattere generale, si puo' ora passare ad
analizzare nel dettaglio il contenuto delle disposizioni impugnate e delle
relative censure.
7. - Viene, innanzitutto, all'esame la questione di legittimita'
costituzionale, sollevata da entrambe le Regioni ricorrenti, dell'art. 46,
commi 2, 3, 4, 5 e 6, della legge n. 289 del 2002 (la Regione Umbria ha
impugnato i soli commi 2 e 4).
Il citato art. 46 - dopo aver stabilito al comma 1 (escluso dalla
contestazione) che il Fondo nazionale per le politiche sociali e'
determinato tanto dagli stanziamenti previsti per gli interventi
disciplinati dalle disposizioni legislative indicate dall'articolo 80, comma
17, della legge n. 388 del 2000, e successive modificazioni, quanto da
quelli contemplati per gli interventi, comunque finanziati a carico del
Fondo medesimo, disciplinati da altre disposizioni (precisando, altresi',
che detti stanziamenti affluiscono al Fondo senza vincoli di destinazione) -
ha disposto, al comma 2, che il Ministro del lavoro e delle politiche
sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e
d'intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del d.lgs. n. 281
del 1997, provvede annualmente, con propri decreti, alla ripartizione delle
risorse del Fondo di cui al comma 1 per le finalita' legislativamente poste
a carico del Fondo medesimo, assicurando prioritariamente l'integrale
finanziamento degli interventi che costituiscono diritti soggettivi e
destinando almeno il 10 per cento di tali risorse a sostegno delle politiche
in favore delle famiglie di nuova costituzione, in particolare per
l'acquisto della prima casa di abitazione e per il sostegno della natalita'.
In stretta connessione con il comma 2, il successivo comma 3 dispone che
- nei limiti delle risorse ripartibili del Fondo in questione, tenendo conto
di quelle ordinarie destinate alla spesa sociale dalle Regioni e dagli enti
locali e nel rispetto delle compatibilita' finanziarie definite per l'intero
sistema di finanza pubblica dal Documento di programmazione
economico-finanziaria - con decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di
concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con la
Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del d.lgs. n. 281 del 1997, sono
determinati i livelli essenziali delle prestazioni da garantire su tutto il
territorio nazionale.
Il comma 4 dispone, a sua volta, che le modalita' di esercizio del
monitoraggio, della verifica e della valutazione dei costi, dei rendimenti e
dei risultati dei livelli essenziali delle prestazioni di cui al comma 3
sono definite, secondo criteri di semplificazione ed efficacia, con
regolamento da emanare ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge n.
400 del 1988, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del
d.lgs. n. 281 del 1997.
Il comma 5 prevede che, in caso di mancato utilizzo delle risorse da
parte degli enti destinatari entro il 30 giugno dell'anno successivo a
quello in cui sono state assegnate, il Ministro del lavoro e delle politiche
sociali provvede alla revoca dei finanziamenti, i quali sono versati
all'entrata del bilancio dello Stato per la successiva assegnazione al Fondo.
Infine, il comma 6 dispone che per far fronte alle spese derivanti dalle
attivita' statutarie della Federazione dei maestri del lavoro d'Italia,
consistenti nell'assistenza ai giovani al fine di facilitarne l'inserimento
nel mondo del lavoro e nella collaborazione volontaristica con gli enti
preposti alla difesa civile, alla protezione delle opere d'arte, all'azione
ecologica, all'assistenza ai portatori di handicap ed agli anziani non
autosufficienti, e' conferito alla Federazione medesima, per il triennio
2003-2005, un contributo annuo di 260.000 euro. Lo stesso comma dispone,
inoltre, che il relativo onere e' posto a carico del Fondo per l'occupazione
di cui all'articolo 1, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148
(Interventi urgenti a sostegno dell'occupazione), convertito, con
modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236.
7.1. - In via preliminare, deve essere dichiarata inammissibile la
censura relativa al comma 4 dell'art. 46, impugnato da entrambe le Regioni
ricorrenti, per mancanza dei requisiti argomentativi minimi che l'atto
introduttivo del giudizio sulle leggi in via principale deve contenere (ex
multis, sentenza n. 176 del 2004). Nei due ricorsi manca, infatti, la
prospettazione di specifiche censure che abbiano ad oggetto le disposizioni
inserite nel comma stesso. Ne' rileva che soltanto nella memoria la
ricorrente Regione Umbria abbia, per la prima volta, specificato i motivi di
censura, atteso che la questione, in sede di impugnazione di norme
legislative statali ad opera delle Regioni, e viceversa, deve essere
individuata sulla base dell'atto introduttivo del giudizio di
costituzionalita'.
7.2. - Vanno quindi esaminate le ulteriori censure formulate nei
confronti degli altri commi dell'articolo in esame.
Con riferimento al comma 2, le ricorrenti lamentano che spetterebbe
soltanto alle Regioni "assicurare l'integrale finanziamento degli interventi
che costituiscono diritti soggettivi" e che risulterebbe privo di base
costituzionale il vincolo del 10 per cento delle risorse, rappresentato
dalla destinazione - tra i diversi obiettivi di politica sociale possibili -
al sostegno delle famiglie di nuova costituzione, in particolare per
l'acquisto della prima casa di abitazione e per il sostegno alla natalita'.
A nulla rileverebbe poi che la ripartizione del Fondo tra i diversi usi
dovrebbe avvenire "d'intesa con la Conferenza unificata", giacche' secondo
l'attuale assetto costituzionale le scelte di politica sociale spetterebbero
a ciascuna Regione e non dovrebbero essere assunte attraverso un meccanismo
centralizzato, sia pure comprendente la partecipazione delle Regioni.
7.3. - La questione e' parzialmente fondata.
Innanzitutto, la previsione concernente l'integrale e prioritario
finanziamento degli interventi relativi a diritti soggettivi deve
interpretarsi nel senso che la stessa si riferisca esclusivamente al settore
delle prestazioni previdenziali e, dunque, ad ambiti di competenza non
regionale, in quanto riconducibili alla materia "previdenza sociale" di
competenza statale ex art. 117, secondo comma, lettera o), della
Costituzione.
Pertanto, in relazione a questo specifico profilo, la questione non e'
fondata.
7.3.1. - Deve, invece, ritenersi fondata la questione relativa alla
prevista destinazione di almeno il 10 per cento delle risorse del Fondo "a
sostegno delle politiche in favore delle famiglie di nuova costituzione, in
particolare per l'acquisto della prima casa di abitazione e per il sostegno
alla natalita". Tale disposizione, come emerge chiaramente dalla sua
formulazione, pone un preciso vincolo di destinazione nell'utilizzo delle
risorse da assegnare alle Regioni secondo le modalita' gia' illustrate
(punto 4.2). Cio' si pone in contrasto con i criteri e limiti che presiedono
all'attuale sistema di autonomia finanziaria regionale, delineato dal nuovo
art. 119 della Costituzione, che non consentono finanziamenti di scopo per
finalita' non riconducibili a funzioni di spettanza statale. Ne' puo' essere
condivisa la tesi difensiva dell'Avvocatura generale dello Stato secondo cui
l'oggetto della disciplina sarebbe espressione della potesta' statale di
determinare, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera m), della
Costituzione, i "livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti
civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio
nazionale": la norma censurata, infatti, non determina alcun livello di
prestazione, ma si limita a prevedere somme a destinazione vincolata (cfr.
sentenze numeri 370, 88 del 2003 e 282 del 2002).
Deve, pertanto, essere dichiarata l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 46, comma 2, limitatamente alle parole in esso contenute:
"destinando almeno il 10 per cento di tali risorse a sostegno delle
politiche in favore delle famiglie di nuova costituzione, in particolare per
l'acquisto della prima casa di abitazione e per il sostegno alla natalita".
E quanto alla eventuale utilizzazione, che potrebbe essere gia' avvenuta, ad
opera delle Regioni nei limiti delle somme loro assegnate per le suddette
finalita', essa costituirebbe comunque l'espressione di una scelta di
politica sociale del tutto legittima, sicche' non viene in rilievo un
problema di salvaguardia di effetti, in ipotesi, gia' prodottisi.
7.4. - La ricorrente Regione Emilia-Romagna censura, inoltre, il comma 3
dello stesso art. 46, nella parte in cui non ha previsto che la "misura
complessiva" del Fondo sia determinata con il coinvolgimento delle Regioni,
necessario per assicurare "una dimensione che permetta un livello delle
prestazioni adeguato, anche se non ottimale". Si contesta, in altri termini,
che la quantita' di risorse da destinare alla spesa sociale non sia stata
"concordata tra Stato e Regioni".
La questione non e' fondata.
Al riguardo, tenuto anche conto della tipologia dei flussi finanziari
destinati a confluire nel Fondo in questione, secondo quanto disposto
dall'art. 20 della legge n. 328 del 2000, deve escludersi che nella fase di
determinazione, ad opera del legislatore nazionale, dell'ammontare delle
risorse da allocare nel Fondo stesso per il finanziamento della spesa
sociale, sia configurabile - "nella perdurante assenza di una trasformazione
delle istituzioni parlamentari e, piu' in generale, dei procedimenti
legislativi" anche solo "nei limiti di quanto previsto dall'art. 11 della
legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3" (sentenza n. 6 del 2004) - un
diretto coinvolgimento delle Regioni. Spetta, infatti, in via esclusiva allo
Stato, nell'esercizio dei poteri di regolazione finanziaria, stabilire
quanta parte delle risorse debba essere destinata alla copertura della spesa
sociale. Ne', d'altra parte, in sede di predisposizione e di approvazione
dell'annuale legge finanziaria o di altri atti legislativi incidenti sulla
formazione o sull'assestamento del bilancio dello Stato, e' configurabile il
formale coinvolgimento delle Regioni. Tale coinvolgimento - in ossequio al
principio di leale collaborazione - deve, invece, essere assicurato nella
fase di concreta ripartizione delle risorse finanziarie alle Regioni, anche
attraverso l'intesa in sede di Conferenza unificata, cosi' come previsto
dall'art. 20, comma 7, della citata legge n. 328 del 2000.
7.5. - Il comma 5 dello stesso art. 46 e' censurato dalla sola Regione
Emilia-Romagna, nella parte in cui fissa un termine per l'utilizzo delle
risorse da parte degli enti destinatari, ritenuto eccessivamente gravoso per
le Regioni e dunque in violazione dell'autonomia finanziaria di esse.
Detto comma, come si e' sopra precisato, stabilisce che "in caso di
mancato utilizzo delle risorse da parte degli enti destinatari entro il 30
giugno dell'anno successivo a quello in cui sono state assegnate, il
Ministro del lavoro e delle politiche sociali provvede alla revoca dei
finanziamenti, i quali sono versati all'entrata del bilancio dello Stato per
la successiva assegnazione al Fondo di cui al comma 1".
La ricorrente lamenta che il termine del 30 giugno dell'anno successivo
a quello dell'assegnazione delle risorse sia tale da frustrare la
programmazione e la gestione dei fondi da parte delle singole Regioni.
La questione non e' fondata.
Il termine in esame, scadente il 30 giugno dell'anno successivo
all'assegnazione delle risorse, appare congruo per consentire le attivita'
programmatorie e gestionali delle Regioni e non si traduce, pertanto, in una
violazione dell'autonomia finanziaria di ciascuna di esse. Il termine
risponde, tra l'altro, all'esigenza di assicurare che le risorse non
tempestivamente utilizzate siano rese nuovamente disponibili per gli scopi
che la normativa si propone di raggiungere.
Nel termine predetto, al fine di evitare la revoca dei finanziamenti, e'
sufficiente che intervenga l'atto di impegno della spesa, sicche' e' a tale
momento che deve essere riferito il mancato utilizzo delle risorse.
7.6. - Il comma 6 dell'articolo 46 e' censurato dalla ricorrente Regione
Emilia-Romagna sotto il profilo della illegittima sottrazione di risorse,
comunque destinate ad attivita' assistenziali che sarebbero, per loro
natura, di competenza regionale.
Detto comma assegna alla Federazione dei maestri del lavoro d'Italia un
contributo annuo di 260.000 euro per il triennio 2003-2005, per far fronte
alle spese derivanti dalle attivita' statutarie consistenti nell'assistenza
ai giovani al fine di facilitarne l'inserimento nel mondo del lavoro e nella
collaborazione volontaristica con gli enti preposti alla difesa civile, alla
protezione delle opere d'arte, all'azione ecologica, all'assistenza ai
portatori di handicap e agli anziani non autosufficienti.
Per il relativo onere il comma in questione dispone che si provveda a
carico del Fondo per l'occupazione di cui all'art. 1, comma 7, del
decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148.
Secondo la ricorrente, l'illegittimita' e' duplice, in quanto, da un
lato, anche la tutela del lavoro e' materia assegnata alle Regioni dall'art.
117, terzo comma, della Costituzione nei limiti dei principi della
legislazione statale;
dall'altro, cio' che conta, prosegue la ricorrente, e'
che, "se il legislatore intende destinare i fondi a fini assistenziali, come
sono quelli in questione, la relativa gestione non puo' che seguire le
regole proprie del settore".
La questione e' fondata.
La Federazione dei maestri del lavoro d'Italia e' un ente privato che,
come emerge dallo stesso contenuto della disposizione censurata, svolge
attivita' incidente, per profili diversi, su materie e funzioni di
competenza regionale. Non e', pertanto, consentito al legislatore statale
dettare specifiche disposizioni con le quali si conferiscono a tali enti
contributi finanziari che possono incidere su politiche pubbliche regionali.
Questa Corte ha, infatti, gia' avuto modo di affermare che "le funzioni
attribuite alle Regioni ricomprendono pure la possibilita' di erogazione di
contributi finanziari a soggetti privati, dal momento che in numerose
materie di competenza regionale le politiche pubbliche consistono appunto
nella determinazione di incentivi economici ai diversi soggetti che vi
operano e nella disciplina delle modalita' per loro erogazione". Il tipo di
ripartizione delle materie fra Stato e Regioni di cui all'art. 117 Cost.,
"vieta comunque che in una materia di competenza legislativa regionale, in
linea generale, si prevedano interventi finanziari statali seppur destinati
a soggetti privati, poiche' cio' equivarrebbe a riconoscere allo Stato
potesta' legislative e amministrative sganciate dal sistema costituzionale
di riparto delle rispettive competenze" (sentenza n. 320 del 2004).
8. - Con il ricorso n. 33 del 2004 la Regione Emilia-Romagna ha
impugnato, tra le altre disposizioni della legge n. 350 del 2003, l'art. 3,
comma 101, per violazione degli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione.
Il predetto comma 101 dispone che "nei limiti delle risorse preordinate
allo scopo dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali nell'ambito del
Fondo nazionale per le politiche sociali di cui all'articolo 59, comma 44,
della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni, e detratte
una quota fino a 20 milioni di euro per l'anno 2004 e fino a 40 milioni di
euro per ciascuno degli anni 2005 e 2006 da destinare all'ulteriore
finanziamento delle finalita' previste dall'articolo 2, comma 7, della legge
27 dicembre 2002, n. 289, nonche' una quota di 15 milioni di euro per
ciascuno degli anni 2004, 2005 e 2006 da destinare al potenziamento
dell'attivita' di ricerca scientifica e tecnologica, lo Stato concorre al
finanziamento delle Regioni che istituiscono il reddito di ultima istanza
quale strumento di accompagnamento economico ai programmi di reinserimento
sociale, destinato ai nuclei familiari a rischio di esclusione sociale ed i
cui componenti non siano beneficiari di ammortizzatori sociali destinati a
soggetti privi di lavoro".
La ricorrente censura la citata disposizione sotto diversi profili.
Innanzi tutto, essa lamenta che, in violazione dell'articolo 119 della
Costituzione e del principio di leale collaborazione, lo Stato disponga
unilateralmente del Fondo, scorporando alcuni cospicui finanziamenti, con
conseguente riduzione delle risorse disponibili per le Regioni.
In secondo luogo, la disposizione censurata, con il richiamo alle
finalita' previste dell'art. 2, comma 7, della legge n. 289 del 2002,
distoglie dal Fondo per le politiche sociali uno stanziamento cospicuo (20
milioni di euro per il 2004, fino al doppio per ciascuno dei due anni
successivi) per aumentare consistentemente quello stanziamento entro il
quale possono essere concessi contributi finalizzati alla riduzione degli
oneri effettivamente rimasti a carico per l'attivita' educativa di altri
componenti del medesimo nucleo familiare presso scuole paritarie. In tal
modo, la norma impugnata riduce l'entita' delle risorse suscettibili di
essere trasferite alle Regioni per sostenere, invece, interventi diretti
dello Stato in una materia che e' in parte di competenza residuale delle
Regioni ("diritto allo studio"), salva la definizione con legge dello Stato
di "livelli essenziali", in parte di competenza concorrente ("istruzione").
Di qui la dedotta violazione degli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione.
In terzo luogo, la norma impugnata, a giudizio della ricorrente, e'
incostituzionale, in quanto distoglie dal Fondo 15 milioni di euro per
ciascuno degli anni 2004-2006 per interventi genericamente destinati al
"potenziamento dell'attivita' di ricerca scientifica e tecnologica", materia
rientrante nella competenza concorrente, in relazione alla quale non sono
ammissibili misure unilaterali dello Stato.
Infine, la norma stessa, intervenendo nella materia delle politiche
sociali di competenza residuale delle Regioni e fuori dall'ipotesi di
determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, introduce il
"reddito di ultima istanza", destinato ai nuclei familiari a rischio di
esclusione sociale e privi di altri ammortizzatori sociali, sostituendo le
precedenti misure sperimentali previste dal Fondo per il reddito minimo di
inserimento. In tal modo, la norma in questione violerebbe le attribuzioni
costituzionali delle Regioni in materia finanziaria e si porrebbe in
contrasto anche con il principio di leale collaborazione. Il vulnus alla
autonomia finanziaria regionale sarebbe attuato, secondo la ricorrente, per
il tramite di finanziamenti speciali, in materie di stretta competenza delle
Regioni, vincolati a specifiche destinazioni.
8.1. - Le questioni sono parzialmente fondate.
Innanzitutto, la ricorrente lamenta che, in violazione dell'art. 119
della Costituzione e del principio di leale collaborazione, lo Stato
disponga unilateralmente del Fondo, scorporando alcuni cospicui
finanziamenti, con conseguente riduzione delle risorse disponibili per le
Regioni.
Per quanto attiene alla lamentata "gestione" unilaterale del Fondo si e'
gia' sottolineato (punto 7.4) che cio' rientra nell'ambito della competenza
legislativa dello Stato.
Allo stesso modo, non e' fondata la questione con cui la ricorrente fa
valere la violazione dell'autonomia finanziaria regionale derivante dallo
"scorporo" dal Fondo - che "di conseguenza viene corrispondentemente
ridotto" - di somme "genericamente riferibili alle politiche sociali".
Nulla vieta, infatti, che lo Stato nella stessa legge finanziaria moduli
gli stanziamenti attraverso una pluralita' di disposizioni in cui l'una
integri l'altra, senza con cio' incidere in senso peggiorativo
sull'autonomia finanziaria delle Regioni, quale disciplinata in attesa
dell'attuazione dell'art. 119 della Costituzione (sentenze numeri 320 e 37
del 2004).
8.2. - Chiarito cio', occorre verificare se le previste modalita' di
ridistribuzione delle risorse stesse a seguito della disposta
"rimodulazione" concretizzi egualmente una lesione dell'art. 119 della
Costituzione.
Sotto questo profilo viene in rilievo, innanzitutto, la censura con la
quale la ricorrente lamenta che la "destinazione" di somme pari "a 20
milioni di euro per l'anno 2004" e "40 milioni di euro per ciascuno degli
anni 2005 e 2006" per l'attribuzione "alle persone fisiche di un contributo,
finalizzato alla riduzione degli oneri effettivamente rimasti a carico per
l'attivita' educativa di altri componenti del medesimo nucleo familiare
presso scuole paritarie" (art. 2, comma 7, della legge n. 289 del 2002),
incidendo su materie di competenza delle Regioni, si porrebbe in contrasto
con l'attuale sistema di riparto di competenze legislative e amministrative
di cui agli artt. 117 e 118 della Costituzione, nonche' con il nuovo sistema
della finanza regionale.
La questione e' fondata.
Deve, innanzitutto, precisarsi che la disposizione impugnata - essendo
relativa a contributi per la iscrizione a scuole paritarie - incide sulla
materia dell'"istruzione" attribuita alla competenza legislativa concorrente
(art. 117, terzo comma, della Costituzione). Gia' prima della riforma del
Titolo V l'art. 138, comma 1, lettera e), del decreto legislativo n. 112 del
1998 aveva conferito alle Regioni le funzioni amministrative relative a "i
contributi alle scuole non statali", nel cui ambito devono essere ricomprese
anche le scuole paritarie (sentenza n. 177 del 2004). Di talche' appare
"implausibile che il legislatore costituzionale abbia voluto spogliare le
Regioni di una funzione che era gia' ad esse conferita nella forma della
competenza delegata dall'art. 138 del decreto legislativo n. 112 del 1998"
(sentenza n. 13 del 2004). Vertendosi, dunque, in ambiti in cui le funzioni
in esame non spettano allo Stato, deve ribadirsi che non sono ammessi
finanziamenti caratterizzati da vincoli di destinazione. Da qui la
illegittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 101, nella parte in cui
prevede la erogazione delle somme ivi indicate per le finalita' previste
dall'art. 2, comma 7, della legge n. 289 del 2002.
La particolare rilevanza della misura in questione - che richiede
continuita' di erogazione, in relazione ai diritti costituzionali implicati
- giustifica "che restino salvi gli eventuali procedimenti di spesa in
corso, anche se non esauriti" (sentenza n. 370 del 2003).
8.2.1. - Per quanto concerne, invece, lo stanziamento previsto dal comma
101 in esame per interventi destinati al potenziamento dell'attivita' di
ricerca scientifica e tecnologica, la relativa questione sara' esaminata in
prosieguo, per connessione, congiuntamente a quella relativa all'art. 4,
comma 159, della legge n. 350 del 2003, sollevata dalla Regione
Emilia-Romagna con il ricorso n. 33 del 2004.
8.3. - E', altresi', fondata la censura relativa alla previsione,
contenuta nello stesso comma 101 dell'art. 3, con cui e' stato disposto un
intervento finanziario a favore delle Regioni che si determinino ad
istituire il reddito di ultima istanza, quale strumento di accompagnamento
economico ai programmi di reinserimento sociale destinato ai nuclei
familiari a rischio di esclusione sociale.
Il "reddito di ultima istanza" cui fa riferimento la norma in esame -
essendo destinato ai nuclei familiari a rischio di esclusione sociale e
dunque a favore di soggetti che si trovano in situazione di estremo bisogno
- costituisce una misura assistenziale riconducibile alla materia "servizi
sociali" (cfr. sentenza n. 287 del 2004) di competenza legislativa delle
Regioni. Ne' puo' ritenersi che l'oggetto della disciplina in esame attenga
alla potesta' legislativa esclusiva statale di "determinazione dei livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che
devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale" ex art. 117,
secondo comma, lettera m), della Costituzione. Cio' in quanto, a prescindere
dal rispetto delle procedure di determinazione e di finanziamento dei
livelli essenziali delle prestazioni, il legislatore non ha posto "norme
necessarie per assicurare a tutti, sull'intero territorio nazionale, il
godimento di prestazioni garantite (...) senza che la legislazione regionale
possa limitarle o condizionarle" (sentenza n. 282 del 2002), ma, al
contrario, ha rimesso all'iniziativa legislativa delle singole Regioni
l'istituzione della misura in esame ponendo talune condizioni di accesso
alla prestazione che le Regioni stesse dovrebbero osservare nel disciplinare
l'istituto.
Trattandosi, pertanto, di norma dettata in ambiti in cui le funzioni
sono di spettanza regionale, deve ritenersi costituzionalmente illegittima,
per violazione degli artt. 117 e 119 della Costituzione, la previsione di un
cofinanziamento vincolato alla specifica finalita' di erogare la misura
assistenziale in esame.
9. - Con il ricorso n. 13 del 2004 la Regione Emilia-Romagna ha
impugnato l'art. 21, commi 6 e in parte 7, del decreto-legge n. 269 del
2003, la' dove ha previsto per l'anno 2004 l'incremento del Fondo nazionale
per le politiche sociali, in misura pari a 232 milioni di euro, per il
finanziamento delle politiche in favore delle famiglie (comma 6) e i mezzi
di copertura della relativa spesa (comma 7). La ricorrente, richiamando la
sentenza di questa Corte n. 370 del 2003, assume che tali disposizioni si
pongono in contrasto con l'art. 119 della Costituzione, in quanto le
funzioni regionali dovrebbero essere integralmente finanziate tramite i
proventi delle entrate proprie e la compartecipazione al gettito dei tributi
erariali, nonche' con quote del fondo perequativo senza vincoli di
destinazione.
La questione e' parzialmente fondata.
La norma non contrasta con il parametro costituzionale invocato dalla
ricorrente, nella parte in cui si limita a disporre un "incremento del Fondo
di 232 milioni di euro per l'anno 2004" e a prevedere la relativa copertura
di spesa, in quanto tale previsione non incide in alcun modo sull'autonomia
finanziaria delle Regioni.
Deve, invece, ritenersi costituzionalmente illegittima la previsione di
una finalita' specificamente vincolata di impiego delle somme cosi'
stanziate.
Va, pertanto, dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 21,
comma 6, limitatamente all'inciso "per il finanziamento delle politiche in
favore della famiglie".
10. - Con il ricorso n. 33 del 2004, la Regione Emilia-Romagna ha
impugnato anche l'art. 3, commi 116 e 117, della legge n. 350 del 2003 che
ha integrato quanto previsto dal citato art. 21, commi 6 e 7, disponendo
(comma 116) che "l'incremento della dotazione del Fondo nazionale per le
politiche sociali di cui all'art. 59, comma 44, della legge 27 dicembre
1997, n. 449, disposta per l'anno 2004 dall'art. 21, comma 6, del
decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni,
dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, come modificato dalla presente legge,
deve essere utilizzato nel medesimo anno 2004 per le seguenti finalita': a)
politiche per la famiglia ed in particolare per anziani e disabili, per un
importo pari a 70 milioni di euro;
b) abbattimento delle barriere
architettoniche di cui alla legge 9 gennaio 1989, n. 13, per un importo pari
a 20 milioni di euro;
c) servizi per l'integrazione scolastica degli alunni
portatori di handicap, per un importo pari a 40 milioni di euro;
d) servizi
per la prima infanzia e scuole dell'infanzia, per un importo pari a 67
milioni di euro".
Inoltre, il successivo comma 117 dispone che "gli interventi di cui alle
lettere c) e d) del comma 116, limitatamente alle scuole dell'infanzia,
devono essere adottati previo accordo tra i Ministeri dell'istruzione,
dell'universita' e della ricerca e del lavoro e delle politiche sociali e le
Regioni".
La questione e' fondata.
La previsione degli interventi di cui all'art. 3, comma 116, della legge
n. 350 del 2003 - non costituendo determinazione di "livelli essenziali
delle prestazioni" cui fa riferimento l'art. 117, secondo comma, lettera m),
della Costituzione - viola le competenze regionali concernenti i "servizi
sociali" e l'"istruzione".
Siffatte disposizioni - stabilendo con quali finalita' debba essere
utilizzato l'incremento del Fondo disposto per l'anno 2004 dall'art. 21,
commi 6 e 7, del citato decreto-legge n. 269 del 2003 - pongono precisi
vincoli di destinazione delle risorse nelle suddette materie, con palese
violazione dell'autonomia finanziaria di spesa delle Regioni e non sono,
dunque, conformi al nuovo modello di finanza regionale delineato dall'art.
119 della Costituzione;
deve, pertanto, essere dichiarata l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 3, commi 116 e 117, della legge n. 350 del 2003.
Il venir meno del vincolo di scopo comporta che le suddette somme
dovranno confluire nei bilanci regionali in maniera "indistinta" e potranno,
pertanto, essere impiegate dalle Regioni stesse secondo autonome scelte di
politica sociale.
11. - Infine, con il ricorso n. 33 del 2004 la Regione Emilia-Romagna ha
impugnato l'art. 4, comma 159, della legge n. 350 del 2003.
La questione deve essere esaminata congiuntamente a quella relativa
all'art. 3, comma 101, della medesima legge, nella parte concernente il
finanziamento con 15 milioni di euro per ciascuno degli anni 2004, 2005 e
2006 da destinare al potenziamento dell'attivita' di ricerca scientifica e
tecnologica.
Il citato comma 159 prevede l'erogazione di contributi in conto capitale
"per il sostegno e l'ulteriore potenziamento dell'attivita' di ricerca
scientifica e tecnologica", rinviando la determinazione delle misure dei
contributi, della tipologia degli interventi ammessi e dei destinatari ad un
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.
L'art. 3, comma 101, fornisce in parte copertura alla suddetta spesa
attraverso, come si e' detto, il prelievo delle relative risorse dal Fondo
nazionale per le politiche sociali.
Entrambe le disposizioni vengono censurate dalla ricorrente sotto il
profilo della violazione dell'autonomia finanziaria regionale in
correlazione con la competenza legislativa concorrente nella materia della
"ricerca scientifica e tecnologica" cui fa riferimento, in uno con il
"sostegno all'innovazione per i settori produttivi", l'art. 117, terzo
comma, della Costituzione.
11.1. - Le questioni non sono fondate nei termini di seguito precisati.
Per quanto attiene alla censura di violazione dell'autonomia finanziaria
delle Regioni per la disposta sottrazione di somme stanziate nel Fondo
nazionale per le politiche sociali, valgono le considerazioni gia' svolte in
ordine alla legittimita' della mera "rimodulazione" delle risorse
nell'ambito di uno stesso contesto legislativo.
Relativamente, invece, alla finalizzazione delle suddette risorse per il
finanziamento della ricerca scientifica appare necessario, ai fini dello
scrutinio di costituzionalita' delle norme impugnate, valutare, in via
preliminare, quale sia l'attuale configurazione del riparto di competenze
tra Stato e Regioni in materia di ricerca scientifica.
A tal proposito, e' necessario ricordare che prima della riforma del
Titolo V della Costituzione di cui alla legge costituzionale n. 3 del 2001,
l'art. 117 non assegnava esplicitamente nel settore in esame alcun ruolo
alle Regioni. La stessa legge 15 marzo 1997, n. 59 aveva escluso - art. 1,
comma 3, lettera p) - dal conferimento di una serie di funzioni e compiti
alle Regioni e agli Enti locali quelli relativi alla ricerca scientifica;
il
decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 aveva poi confermato il
mantenimento in capo allo Stato di dette funzioni, tra le quali la
"cooperazione scientifica internazionale". Uno spazio autonomo di intervento
e' stato riconosciuto alle Regioni soltanto nel settore della ricerca
applicata, dall'art. 1 della legge 16 giugno 1998, n. 191, che ha modificato
l'art. 1, comma 6, della legge n. 59 del 1997.
In presenza del descritto riparto di competenze nella materia in
questione, questa Corte ha chiarito, in una prospettiva di valorizzazione
del ruolo regionale, che "la ricerca scientifica non ha, di per se', limiti
territoriali, ma tuttavia essa presenta indubbio interesse regionale in
tutte quelle ipotesi in cui la Regione avverte la necessita' di dotarsi di
mezzi tecnico-scientifici e di avvalersi di attivita' conoscitive - sia
organizzando direttamente le attivita' di ricerca, sia promuovendo studi
finalizzati - allo scopo specifico di un migliore espletamento delle
funzioni regionali" (sentenza n. 569 del 2000;
cfr. anche sentenza n. 134
del 1997).
Il legislatore costituzionale, riscrivendo il testo dell'art. 117 Cost.,
ha incluso la ricerca scientifica tra le materie appartenenti alla
competenza concorrente.
La ricerca scientifica deve essere considerata non solo una "materia",
ma anche un "valore" costituzionalmente protetto (artt. 9 e 33 della
Costituzione), in quanto tale in grado di rilevare a prescindere da ambiti
di competenze rigorosamente delimitati (cfr. sentenze numeri 259 del 2004 e
407 del 2002).
Premesso cio', si deve ritenere, innanzitutto, che un intervento
"autonomo" statale e' ammissibile in relazione alla disciplina delle
"istituzioni di alta cultura, universita' ed accademie", che "hanno il
diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello
Stato" (art. 33, sesto comma, Cost.). Detta norma ha, infatti, previsto una
"riserva di legge" statale (sentenza n. 383 del 1998), che ricomprende in
se' anche quei profili relativi all'attivita' di ricerca scientifica che si
svolge, in particolare, presso le strutture universitarie (art. 63 del
d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, recante "Riordinamento della docenza
universitaria, relativa fascia di formazione nonche' sperimentazione
organizzativa e didattica").
Al di fuori di questo ambito lo Stato conserva, inoltre, una propria
competenza in relazione ad attivita' di ricerca scientifica strumentale e
intimamente connessa a funzioni statali, allo scopo di assicurarne un
migliore espletamento, sia organizzando direttamente le attivita' di ricerca
sia promuovendo studi finalizzati (cfr. sentenza n. 569 del 2000).
Infine, e' bene precisare che il legislatore statale puo' sempre nei
casi in cui, al di fuori degli ambiti sopra indicati, sussista la potesta'
legislativa concorrente nella "materia" in esame, non solo ovviamente
fissare i principi fondamentali, ma anche attribuire con legge funzioni
amministrative a livello centrale, per esigenze di carattere unitario, e
regolarne al tempo stesso l'esercizio - nel rispetto dei principi di
sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza - mediante una disciplina
che sia logicamente pertinente e che risulti limitata a quanto strettamente
indispensabile a tali fini (sentenze numeri 6 del 2004 e 303 del 2003).
Alla luce delle osservazioni che precedono le disposizioni censurate
devono essere interpretate nel senso che le stesse siano finalizzate a
sostenere e potenziare esclusivamente quell'attivita' di ricerca scientifica
in relazione alla quale e' configurabile, nei limiti indicati, un autonomo
titolo di legittimazione del legislatore statale. Da cio' consegue che tali
disposizioni, cosi' interpretate, non determinino alcun vulnus a competenze
regionali.
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