Corte Cost., sentenza 18/03/2022, n. 73

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La trattazione camerale soddisfa primarie esigenze di celerità e di economia processuale, particolarmente avvertite in un processo, come quello tributario, che attiene alla fondamentale ed imprescindibile esigenza dello Stato di reperire i mezzi per l'esercizio delle sue funzioni attraverso l'attività dell'Amministrazione finanziaria. Pertanto le attuali disposizioni normative, definendo un modello di trattazione flessibile e capace di assicurare, anche nella versione camerale, un confronto tra le parti effettivo e paritario, e conciliandosi con le caratteristiche strutturali e funzionali del contenzioso tributario, costituiscono espressione non irragionevole della discrezionalità riservata al legislatore nella conformazione degli istituti processuali.

Massima redatta a cura del Ce.R.D.E.F.

Sul provvedimento

Citazione :
Corte Cost., sentenza 18/03/2022, n. 73
Giurisdizione : Corte Costituzionale
Numero : 73
Data del deposito : 18 marzo 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Ritenuto in fatto

1.- Con ordinanza del 7 gennaio 2021, iscritta al numero 56 del registro ordinanze 2021, la Commissione tributaria provinciale di Catania ha sollevato questioni di legittimità costituzionale degli artt. 30, comma 1, lettera g), numero 1), della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (Disposizioni per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare e potenziare l'attività di accertamento;
disposizioni per la rivalutazione obbligatoria dei beni immobili delle imprese, nonché per riformare il contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti;
delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia per reati tributari;
istituzioni dei centri di assistenza fiscale e del conto fiscale), 32, comma 3 (in realtà non menzionato espressamente nella motivazione dell'ordinanza, ma riportato nel dispositivo), e 33 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), denunziandone il contrasto con gli artt. 101, 111 e 136 della Costituzione.

1.1.- Il giudice a quo riferisce di essere investito del ricorso in opposizione a cartella di pagamento proposto da S. L.R. nei confronti di Riscossione Sicilia spa ed evidenzia che, non avendo nessuna delle parti costituite richiesto la discussione in pubblica udienza, la necessità di applicare l'art. 33, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, secondo il quale «[l]a controversia è trattata in camera di consiglio salvo che almeno una delle parti non abbia chiesto la discussione in pubblica udienza, con apposita istanza da depositare nella segreteria e notificare alle altre parti costituite entro il termine di cui all'art. 32, comma 2», fonderebbe la rilevanza delle questioni.

1.2.- Quanto alla non manifesta infondatezza, il rimettente ricorda che, nel vigore della previgente disciplina del contenzioso tributario, questa Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 39, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 636 (Revisione della disciplina del contenzioso tributario), nella parte in cui escludeva l'applicabilità ai giudizi che si svolgevano dinanzi alle commissioni tributarie di primo e secondo grado dell'art. 128 del codice di procedura civile e, quindi, del principio di pubblicità dell'udienza ivi enunciato (sentenza n. 50 del 1989).

1.2.1.- Ad avviso del giudice a quo, l'art. 33, comma 1, del d.lgs. 546 del 1992, rimettendo, in attuazione della delega di cui all'art. 30, lettera g), numero 1), della legge n. 413 del 1991, alla valutazione discrezionale delle parti costituite la trattazione in forma pubblica delle controversie tributarie, contrasterebbe con l'assunto, espresso dalla pronuncia anzidetta, secondo il quale la regola della pubblicità dei dibattimenti giudiziari - da ritenersi implicita nel precetto costituzionale espresso dall'art. 101, primo comma, Cost., per il quale la giurisdizione trova fondamento sulla sovranità popolare - può subire eccezioni soltanto in relazione a particolari procedimenti e in presenza di un'obiettiva e razionale giustificazione.

Tali condizioni non sarebbero, infatti, ravvisabili in un processo, come quello tributario, governato dal principio di trasparenza dell'imposizione fiscale enunciato dall'art. 53 Cost., nonché dai principi di universalità e di uguaglianza, in forza dei quali «la posizione del contribuente non è esclusivamente personale e non è tutelabile con il segreto», giacché la generale conoscenza «può giovare alla concreta attuazione del sistema tributario e concorre a ridurre il numero degli inadempimenti e degli evasori in genere» (è citata la sentenza di questa Corte n. 12 del 1971).

Pertanto, argomenta la Commissione rimettente, non essendo configurabile un potere dispositivo delle parti in ordine alla scelta del rito, sarebbe palese l'illegittimità costituzionale della normativa in scrutinio, nella parte in cui affida alle stesse parti la scelta della forma, pubblica o camerale, della trattazione della controversia. Né il valore di rango costituzionale sotteso al principio della pubblicità delle udienze potrebbe essere posto in bilanciamento con un interesse, come quello all'economia processuale perseguito dalla normativa in scrutinio, privo di eguale rilevanza.

1.3.- Sarebbe, altresì, violato l'art. 111 Cost.

1.3.1.- Il giudice a quo, muovendo dal presupposto che «la più ampia tutela giurisdizionale» si attui attraverso la discussione in pubblica udienza, lamenta che le norme in scrutinio, nel condizionare la «completezza» del contraddittorio nel processo tributario all'esercizio di una facoltà che postula la disponibilità ?dell'interesse in contesa, di cui la parte pubblica sarebbe priva, arrecherebbero un vulnus alla piena realizzazione del giusto processo regolato dalla legge.

1.3.2.- Tale principio costituzionale risulterebbe violato anche nella declinazione oggettiva di garanzia della partecipazione delle parti al giudizio.

Precisa, al riguardo, l'ordinanza di rimessione che «nella logica del giusto processo è altresì ravvisabile un profilo oggettivo, in quanto la partecipazione delle parti e la dialettica che ne deriva caratterizzano la giurisdizione e sono fondamentali per l'attuazione della legge da parte del giudice terzo. Di qui l'esigenza che sia prevista la più ampia partecipazione delle parti ai fini dell'integrale attuazione del principio costituzionale, essendo l'attività delle parti connaturata al processo e potendo solo la disponibilità del diritto […] consentire alle parti private di rimettersi in tutto o in parte alla decisione del giudice».

1.4.- In ultimo, secondo il rimettente, l'art. 33, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, prevedendo, in assenza della richiesta della pubblica udienza, la trattazione della causa in camera di consiglio, si porrebbe in contrasto con l'art. 136 Cost., essendo stata già dichiarata costituzionalmente illegittima una norma - espressa dall'art. 39, primo comma, del d.P.R. n. 636 del 1972 - che escludeva l'applicabilità al processo tributario del principio generale di pubblicità dell'udienza di cui all'art. 128 cod. proc. civ.

1.4.1.- Ricorda, a tal fine, il giudice a quo che nella sentenza n. 57 del 2019 questa Corte ha ribadito come sulla norma contenuta nell'art. 136 Cost. poggi «il contenuto pratico di tutto il sistema delle garanzie costituzionali, in quanto essa toglie immediatamente ogni efficacia alla norma illegittima», senza possibilità di «compressioni od incrinature nella sua rigida applicazione».

In aggiunta, il rimettente rammenta che la giurisprudenza costituzionale ha anche affermato che la preclusione del giudicato opera nei confronti del legislatore e riguarda ogni disposizione che intenda mantenere in piedi o ripristinare, sia pure indirettamente, gli effetti della struttura normativa che aveva formato oggetto della pronuncia di illegittimità costituzionale (viene citata la sentenza n. 72 del 2013), ovvero che ripristini o preservi l'efficacia di una norma già dichiarata incostituzionale (sono richiamate le sentenze n. 5 del 2017 e n. 350 del 2010).

Il giudicato costituzionale sarebbe, quindi, violato non solo quando il legislatore emana una norma che costituisca una mera riproduzione di quella già dichiarata costituzionalmente illegittima, ma anche nel caso in cui la nuova disciplina persegua, anche indirettamente, esiti corrispondenti (sono citate, tra le altre, ancora, le sentenze n. 5 del 2017, n. 72 del 2013 e n. 245 del 2012).

1.5.- L'ablazione delle norme in scrutinio, conclude la Commissione tributaria provinciale di Catania, avrebbe come effetto l'estensione a tutti i processi tributari dell'art. 34 del d.lgs. n. 546 del 1992 - recante la disciplina della trattazione in pubblica udienza - il cui contenuto precettivo, divenendo identico a quello di cui al combinato disposto degli artt. 20 e 39, primo comma, del d.P.R. n. 636 del 1972, come modificato a seguito della sentenza n. 50 del 1989, risulterebbe conforme all'art. 101 Cost.

2.- È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la dichiarazione di inammissibilità e, comunque, di non fondatezza delle questioni sollevate.

2.1.- Ad avviso della difesa statale, le doglianze del rimettente sarebbero manifestamente infondate in quanto non considererebbero che la questione di legittimità costituzionale dell'art. 33, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, in riferimento al principio di pubblicità dei dibattimenti giudiziari, è stata già scrutinata e dichiarata non fondata con la sentenza n. 141 del 1998, con la quale la Corte ha precisato che, nell'assetto normativo disegnato dalla riforma del processo tributario del 1992, le forme di trattazione in pubblica udienza e in camera di consiglio coesistono in rapporto di alternatività, e che, comunque, il rito camerale non può ritenersi, in quanto tale, illegittimo, dovendo, per contro, valutarsene la rispondenza alla natura del processo al quale è applicato e ad obiettive ragioni giustificatrici.

2.2.- A sostegno della non fondatezza delle questioni sollevate con riferimento agli artt. 101 e 111 Cost., l'Avvocatura generale dello Stato evoca, comunque, la costante giurisprudenza costituzionale secondo la quale il rito camerale non si pone in contrasto con il diritto di difesa, essendo l'esercizio di quest'ultimo variamente configurabile dalla legge a seconda delle peculiari esigenze dei vari processi (vengono citate, tra le altre, la sentenza n. 103 del 1985 e l'ordinanza n. 748 del 1988).

Inoltre, la trattazione in camera di consiglio assicurerebbe una rapida definizione dei giudizi, in ossequio alla garanzia del giusto processo prefigurata dall'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950,

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