CGARS, sez. I, sentenza 2020-03-30, n. 202000223
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Pubblicato il 30/03/2020
N. 00223/2020REG.PROV.COLL.
N. 00295/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA
Sezione giurisdizionale
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 295 del 2019, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato B C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato S M in Palermo, via di Stefano, n. 19
contro
Regione Siciliana - Assessorato Regionale Agricoltura Sviluppo Rurale e Pesca Mediterranea, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, presso i cui uffici è per legge domiciliata, in Palermo, via Valerio Villareale, n. 6
per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia - Sezione di Catania n. -OMISSIS-
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Siciliana - Assessorato Regionale Agricoltura Sviluppo Rurale e Pesca Mediterranea;
Vista l’ordinanza cautelare di questo Consiglio, n. -OMISSIS-;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 dicembre 2019 il Cons. Maria Immordino e uditi per le parti gli avvocati Giuseppe Impiduglia su delega dell’avvocato B C e l'avvocato dello Stato Giacomo Ciani;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue
FATTO e DIRITTO
1. E’ stata gravata con l’appello in epigrafe la sentenza n. -OMISSIS-, del TAR Sicilia – sezione staccata di Catania che ha respinto il ricorso, n.r.g. -OMISSIS-, dichiarandolo in parte inammissibile, del signor -OMISSIS- per l’annullamento, previa sospensione cautelare degli effetti, del decreto n.3305 del 2 novembre 2017, con il quale il competente Dipartimento dell’Assessorato Regionale dell’Agricoltura, dello Sviluppo Rurale e della Pesca Mediterranea ha revocato il D.D.S. n. 2557 del giorno 11 luglio 2014 con il quale era stata concessa al ricorrente per la Misura 216 Az. B. e C. – II sottofase, un contributo di € 382.612,28 pari al 100% della spesa ritenuta ammissibile, nonché del D.D.S. n. 922 del 10 aprile 2017, con il quale sono state approvate le risultanze della relazione finale dei lavori di cui al decreto n. 2557 dell’11 luglio 2014, ed è stato disposto, inoltre, il recupero delle somme percepite, oltre interessi legali maturati dalla data di valuta del pagamento.
2. Appare opportuno premettere una ricostruzione della vicenda sulla quale si è innestata la controversia.
2.1. Il ricorrente, nella sua qualità di titolare della omonima impresa individuale agricola destinata all’allevamento di bestiame, ha ottenuto con D.D.S del 11 luglio 2014, a seguito della relativa domanda presentata nel 2013, la concessione di un contributo di € 382.612,28 per la Misura 216 Az. B. e C. – II sottofase, per la realizzazione delle seguenti finalità: “ ripristino viabilità, percorsi ed opere accessorie, punto di osservazione bird watching, punti di informazione, aree attrezzate e segnaletica, interventi di ingegneria naturalistica, ripristino boschetto e realizzazione laghetto nell’azienda agricola ”.
Per la concessione del contributo, era stata inoltrata alla Prefettura di Messina, in data 15 aprile 2014 una richiesta di informazione antimafia. Al riguardo l’appellante aveva sottoscritto in data 14 aprile 2014 una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà con la quale chiedeva che il decreto di concessione del contributo venisse emesso sotto “condizione risolutiva”, ai sensi dell'art. 92 comma 3 del d.lgs. n. 159/2011, e dichiarava, altresì, di essere a conoscenza che, nel caso di riscontro positivo dell'informativa antimafia, lo stesso decreto era da considerarsi nullo e, per l’effetto, da “revocare” con conseguente restituzione delle somme già percepite.
2.2. Previa interrogazione della Banca dati nazionale antimafia ed accertamento dell’assenza di segnalazioni, l’amministrazione erogava in favore del ricorrente sulla somma complessiva di € 382.612,28 una prima anticipazione pari a € 180 mila;una seconda anticipazione, pari a € 150.481,95, sempre previa interrogazione della Banca dati nazionale antimafia ed accertamento dell’assenza di segnalazioni. Le anticipazioni sulla somma complessiva concessa erano espressamente sottoposte a “condizione risolutiva” ex art. 92, comma 3, d.lgs. n. 159/2011, il quale dispone che “(…) I contributi, i finanziamenti, le agevolazioni e le altre erogazioni di cui all'articolo 67 sono corrisposti sotto condizione risolutiva e i soggetti di cui all'articolo 83, commi 1 e 2, revocano le autorizzazioni e le concessioni o recedono dai contratti (…) ”. A saldo finale, veniva, infine, erogata la somma di € 51.382,33, anche questa sottoposta a condizione risolutiva ex art. 92, comma 3, d.lgs. n. 159/2011.
2.3. Successivamente, con relazione del 27 ottobre 2016, l’amministrazione accertava che il contributo concesso era stato integralmente e correttamente destinato dal ricorrente per la realizzazione dei lavori finanziati.
2.4. A conclusione dell’iter procedurale è stato emanato, in data 10 aprile 2017, il D.D.S. n.922 di approvazione della suindicata relazione di accertamento finale di esecuzione dei lavori e di chiusura del progetto, il quale riportava la seguente clausola (art.1): “ al presente provvedimento si applicano le disposizioni di cui all'art. 11, comma 2, del d.P.R. n. 252/1998, relativamente alla condizione risolutiva fino all'acquisizione delle informazioni relative alla inesistenza delle cause di divieto o di sospensione di cui all'art.10 della legge n.575/1965, né il divieto di cui all'art. 4, comma 6, del D.L. n. 490/1994 e successive disposizioni di cui all'art. 92 del D. Leg.vo n. 159/2011 ".
3. Nel frattempo, la Prefettura di Messina – Area I – Ordine e Sicurezza Pubblica – Ufficio Antimafia trasmetteva, tramite PEC, in data 9 maggio 2017, al ricorrente un’informativa con effetti interdittivi ai sensi dell’art.91 d.lgs. n.159/2011, che l’interessato impugnava con ricorso straordinario al Presidente della Regione Siciliana notificato il 6 settembre 2017, ancora in attesa di decisione.
3.1. A seguito della trasmissione dell’informativa antimafia nei confronti del ricorrente, l’Assessorato Regionale dell’Agricoltura, dello Sviluppo Rurale e della Pesca Mediterranea comunicava all’odierno appellante l’avvio del procedimento di revoca del decreto di concessione del suddetto contributo, nonché della citata relazione di accertamento finale di approvazione dei lavori, per il conseguente recupero delle somme già erogate, oltre agli interessi legali maturati dalla data di valuta del pagamento.
3.2. Il ricorrente, a difesa della propria situazione giuridica soggettiva, partecipava al procedimento di revoca presentando una memoria difensiva, con la quale eccepiva, sia la violazione dell’art. 21 quinquies della legge n. 241/1990, così come successivamente modificato e integrato, per la mancata corresponsione dell’indennizzo dovuto per i pregiudizi subiti a causa della revoca, nonché eccesso di potere sotto molteplici profili;sia la violazione dell’art. 92, comma 3, del d.lgs. n. 159/2011;richiamando, altresì, a sostegno delle proprie deduzioni un parere dell'ufficio Legislativo e Legale della Presidenza della Regione Siciliana, prot. n. 6631/24,2016.11, del 23 marzo 2016, avente, in ogni caso, ad oggetto una fattispecie parzialmente diversa dalla fattispecie de qua ;sostenendo, inoltre, l’applicabilità nei suoi confronti della clausola di salvaguardia che nell’ipotesi di revoca di un’autorizzazione, concessione o di recesso da un contratto fa salvo il “ pagamento delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l'esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite ".
3.3. La memoria difensiva non sortiva l’effetto auspicato e l’amministrazione gli notificava il 3 novembre 2017 il preannunciato provvedimento di revoca, che l’interessato impugnava dinanzi al T.A.R. Sicilia, sezione staccata di Catania, per sentirne pronunciare l’annullamento.
3.4. Con ordinanza cautelare depositata il 15 gennaio 2018, il TAR adito respingeva la domanda di sospensione degli effetti degli atti impugnati proposta dal ricorrente.
Con ordinanza n.102, depositata il 23 febbraio 2018, questo Consiglio accoglieva l’appello proposto dal ricorrente avverso l’ordinanza di reiezione della sua domanda cautelare.
3.5. Con la sentenza n. -OMISSIS-, il Giudice adito respingeva il ricorso, dichiarandolo in parte inammissibile.
4. La sentenza è stata gravata con l’appello in epigrafe, con contestuale richiesta della sospensione della relativa esecutività ai sensi dell’art. 98 c.p.a., accolta con ordinanza -OMISSIS-, avendo il Collegio ritenuto, ad un primo esame tipico della fase cautelare, sussistente il periculum in mora allegato dall’appellante, avendo lo stesso da tempo percepito e già impiegato il finanziamento del quale si controverte in linea con gli scopi per i quali era stato concesso.
All’udienza pubblica del 12 dicembre 2020, sentiti gli avvocati delle parti, il ricorso è stato trattenuto per la decisione.
5. L’appello - che riguarda, giova precisare, non la validità e l’efficacia dell’interdittiva antimafia, oggetto di un ricorso straordinario al Presidente della Regione non ancora deciso, bensì le conseguenze economiche dell’interdittiva medesima, ed è affidato a sei motivi, con i quali vengono, in linea di massima, ribadite le censure di cui al ricorso di primo grado e mosse motivate critiche alla sentenza - è infondato per le ragioni che si vanno ad esporre.
5.1. Con il primo motivo il ricorrente contesta la sentenza impugnata che erroneamente non avrebbe tenuto conto della doglianza relativa alla illegittimità del provvedimento impugnato per violazione e/o falsa applicazione dell’art.21 quinquies l. n. 241/1990.
La doglianza, riproposta in sede di appello, è infondata.
Secondo l’appellante la revoca in autotutela così come disciplinata da tale norma sarebbe ammissibile soltanto con riguardo a provvedimenti la cui efficacia sia ancora attuale e non anche in relazione a provvedimenti i cui effetti siano già esauriti, come appunto il decreto di erogazione del contributo in questione. Il che corrisponde astrattamente al vero, essendo la revoca disciplinata dal cit. art. 21 quinquies , un istituto finalizzato, ricorrendone i relativi presupposti, alla rimozione di soli provvedimenti ad efficacia durevole, che abbiano iniziato a produrre ma non esaurito i loro effetti. Ma, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, la revoca del contributo già erogato, a seguito dell’informativa antimafia dalla quale lo stesso è stato attinto, è una fattispecie non riconducibile nell’alveo della disciplina di cui al citato art. 21 quinquies , bensì nell’ambito dell’art. 92, comma 3, del d.lgs. n.159/2011, il quale dispone che “ decorso il termine di cui al comma 2, primo periodo, ovvero nei casi di urgenza, immediatamente, i soggetti di cui all’art.83, commi 1 e 2, procedono anche in assenza dell’informazione antimafia. I contributi, i finanziamenti, le agevolazioni e le altre erogazioni di cui all’articolo 67 sono corrisposti sotto condizione risolutiva e i soggetti di cui all’articolo 83, commi 1 e 2, revocano le autorizzazioni e le concessioni o recedono dai contratti, fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l'esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite ”. Con la conseguenza che, mentre la prima forma di revoca ha natura discrezionale ed efficacia ex nunc , potendo altresì dare luogo ad un indennizzo ove la stessa comporti pregiudizi in danno dei soggetti interessati, la revoca ex art. 92, comma 3, del d.lgs. n.159/2011, a differenza della revoca di cui all’articolo 21- quinquies , cit., è un atto dovuto, nel senso che l’amministrazione, qualora l’informativa antimafia sia stata rilasciata dopo la conclusione di un contratto o, come nella fattispecie in oggetto, dopo l’erogazione del contributo chiesto, ha il dovere imprescindibile di revocare il contributo già erogato, con efficacia ex tunc , essendo in questa ipotesi l’interesse pubblico alla revoca in re ipsa . Indicazioni in tale senso emergono dalla giurisprudenza e, in particolare da una sentenza del Consiglio di Stato (sez. VI, n. 5470/2017) che, opportunamente richiama una propria precedente decisione (sez. VI, n. 6188 del 2007), dove si è affermato, il più generale principio, secondo cui “ la revoca del contributo costituisce un vero e proprio dovere dell'amministrazione che è tenuta a porre rimedio alle sfavorevoli conseguenze derivate all'erario per effetto di una erogazione non dovuta di contributi pubblici, non sussistendo in questo caso uno specifico obbligo di motivazione, atteso che l'interesse pubblico all'adozione dell'atto è “ in re ipsa ” quando ricorre un indebito esborso di denaro pubblico con vantaggio ingiustificato per il privato ”. Come si è già detto, anche nella fattispecie oggetto dell’odierno ricorso, l’interesse pubblico è rilevante e in re ipsa , con conseguente configurazione della revoca come atto vincolato nell’an, rispetto al quale non sussiste un obbligo di motivazione inerente al bilanciamento tra l’interesse pubblico al recupero dell’indebito e l’interesse del destinatario dell’atto medesimo alla stabilità del contributo percepito, essendo stato il bilanciamento fra i diversi interessi in gioco operato ‘ ex ante ’ dal Legislatore.