CGARS, sez. I, sentenza 2015-12-22, n. 201500725

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Sul provvedimento

Citazione :
CGARS, sez. I, sentenza 2015-12-22, n. 201500725
Giurisdizione : Consiglio Di Giustizia Amministrativa per la Regione siciliana
Numero : 201500725
Data del deposito : 22 dicembre 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00010/2013 REG.RIC.

N. 00725/2015REG.PROV.COLL.

N. 00010/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA

in sede giurisdizionale

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10 del 2013, proposto da:
Comune di Brolo, rappresentato e difeso dall'Avv. N B, con domicilio eletto presso Carlo Comande' in Palermo, V. Nunzio Morello N. 40;

contro

P A, rappresentato e difeso dall'Avv. M C, con domicilio eletto presso L C in Palermo, Via Sammartino 2;

Ingegnere Capo Ufficio Genio Civile di Messina;
Ufficio del Genio Civile di Messina, Assessorato Regionale Territorio ed Ambiente, Ass.To Reg. Le delle Infrastrutture e della Mobilità, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura dello Stato, domiciliata in Palermo, Via De Gasperi, N. 81;

per la riforma

della sentenza del TAR SICILIA -

CATANIA :

Sezione I n. 02206/2012, resa tra le parti, concernente sospensione concessione edilizia - approvazione variante urbanistica - restituzione oneri concessori;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 ottobre 2015 il Cons. A. Anastasi e uditi per le parti gli Avvocati P. Stallone su delega di N. Bonfiglio, M. Caldarera e l'Avv. dello Stato Pignatone;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Il 3.5.2007 il sig. P chiese il rilascio di una concessione edilizia per un edificio da costruire su un fondo di proprietà in comune di Brolo alla piazza Vespri Siciliani.

Con nota 1864 del 4.2.2008 il comune annullò in autotutela il titolo tacito formatosi ex l.r. 17/94: il sig. P impugnò tale provvedimento con ricorso al TAR Catania n. 932/2008.

Il 16.7.2008 il P ha presentato una nuova domanda volta ad ottenere il permesso di costruire per lo stesso immobile, domanda che il comune approvò in sede tecnica con prescrizioni e richiesta di versamento degli oneri concessori.

Successivamente con nota 16013 del 6.11.2008 il comune ha comunicato all’istante di aver sospeso l’iter della pratica, in quanto con deliberazione consiliare 48/2008 era stato avviato il procedimento per imposizione sul fondo in questione di vincolo ( in variante al PRG) per la realizzazione di una area a verde attrezzato.

Il sig. P ha impugnato la nota e la presupposta delibera con ricorso n. 67/2009, formulando una domanda cautelare che il TAR etneo ha accolto con ordinanza 701/2009 del 28.4.2009.

Per conseguenza l’istante, ritenendo si fosse formato il titolo per assenso tacito ex art. 2 l.r. 17/1994, ha dato inizio ai lavori in data 29.5.2009.

Il comune ha però annullato in autotutela il titolo tacito con provvedimento n. 10212 del 26.6.2009 che l’interessato ha impugnato con atto di motivi aggiunti al ricorso 67/2009.

Successivamente il Genio civile (in sede di riesame) con provv. 1236 del 19.1.2010 ha concesso il suo nulla osta tecnico alla realizzazione del progetto: il comune di Brolo per parte sua ha impugnato tale autorizzazione con ricorso incidentale.

Quindi con delibera consiliare n. 9 del 23.5.2011 il comune ha preso atto della approvazione tacita della variante ( impositiva del vincolo) da parte della Regione: il sig. P ha impugnato tale presa d’atto con un secondo atto di motivi aggiunti.

Con nota 343232 del 23.5.2011 l’Assessorato ha poi invitato il comune di Brolo ad annullare in autotutela la deliberazione 48/2008 di adozione della variante: il comune di Brolo ha impugnato tale atto regionale con ricorso n. 2707/2011.

Da ultimo il TAR con la sentenza in epigrafe indicata, riuniti i ricorsi 67/2009 e 2707/2011, ha così in sintesi provveduto:

a) ha rilevato che il titolo tacito sulla originaria richiesta del P non si era formato ed ha pertanto dichiarato improcedibili i motivi aggiunti proposti dal predetto avverso l’atto di revoca comunale;

b) ha accolto il ricorso P n. 67/2009 nella parte volta a censurare la delibera di imposizione del vincolo adottata dal comune e la ha annullata per difetto di motivazione puntuale;

c) ha dichiarato la delibera comunale 9/2011 (di presa d’atto dell’approvazione regionale tacita della variante) illegittima per invalidità derivata ed ha quindi accolto i secondi motivi aggiunti;

d) ha dichiarato improcedibile il ricorso 2707/2011 proposto dal comune avverso la Regione a causa della accertata invalidità della delibera di adozione.

La sentenza è stata impugnata in via principale con l’atto di appello all’esame dal comune di Brolo che ne contesta i capi sfavorevoli e denuncia errori di procedura.

Il sig. P si è costituito insistendo per il rigetto dell’avverso appello e riproponendo le censure assorbite in prime cure.

L’appellato ha altresì proposto ricorso incidentale contro i capi della sentenza a lui sfavorevoli.

Le Parti hanno depositato memorie e note di replica, insistendo nelle già rassegnate conclusioni.

All’udienza del 21 ottobre 2015 gli appelli sono stati spediti in decisione.

DIRITTO

Con il primo motivo di impugnazione l’appellante deduce l’errore di procedura in cui è incorso il primo Giudice allorché ha respinto la richiesta del comune di Brolo di riunire il ricorso n. 67 del 2009 ( deciso con la sentenza impugnata) col precedente gravame n. 932 del 2008, trattandosi di giudizi intimamente connessi.

In tal senso il comune osserva che entrambi i ricorsi proposti dal P hanno ad oggetto – nella sostanza – il diniego opposto dall’Amministrazione a due domande di rilascio di un titolo edilizio, cronologicamente distinte ma aventi identico oggetto ( e cioè la realizzazione dello stesso immobile sullo stesso fondo).

Il mezzo non merita favorevole considerazione in quanto, secondo il prevalente indirizzo giurisprudenziale dal quale questo Collegio non ritiene di doversi discostare, è sostanzialmente inammissibile la censura mossa a carico delle sentenze impugnate in dipendenza della mancata riunione della trattazione dei ricorsi pendenti tra le stesse parti. ( ad es. VI Sez. n. 1133 del 2011 e IV Sez. n. 5012 del 2015).

In tal senso deve infatti considerarsi che già ai sensi dell'art. 52 r.d. 17 agosto 1907 n. 642 e ora dell’art. 70 cod. proc. amm. la riunione dei ricorsi giurisdizionali è rimessa alla potestà discrezionale e insindacabile del giudice.

In ogni caso la doglianza difetta di interesse in quanto – nonostante gli sforzi argomentativi profusi al riguardo dalla Difesa dell’appellante – la mancata riunione dei due ricorsi, a ben vedere, non danneggia il comune.

Tanto chiarito, ulteriori profili della questione sollevati dall’appellante saranno trattati in seguito, nell’esame del motivo di impugnazione rivolto avverso il capo della sentenza impugnata che ha annullato la delibera comunale di adozione della variante.

Con il secondo motivo l’appellante deduce che ha errato il primo Giudice nel non esaminare il ricorso incidentale proposto dal comune avverso il parere positivo espresso dal Genio civile sul progetto edilizio presentato dal P.

Anche questo mezzo non può essere favorevolmente scrutinato in quanto sotto il profilo formale detto ricorso incidentale era volto a contrastare l’impugnazione – proposta dal P mediante motivi aggiunti - del provvedimento comunale n. 10212 del 2009 col quale fu annullato in autotutela il titolo tacito formatosi sulla richiesta di concessione.

Di talché, avendo il TAR dichiarato improcedibili i predetti motivi aggiunti sul rilievo che il titolo tacito non si era invece formato, risulta evidente la sostanziale improcedibilità del connesso gravame incidentale col quale il comune infatti chiedeva l’accertamento dell’intervenuta decadenza di un titolo edilizio tacito in realtà mai perfezionatosi secondo la sentenza impugnata.

Con il terzo e centrale motivo di impugnazione il comune deduce che ha errato il TAR nell’annullare per difetto di motivazione la delibera con la quale fu adottata la variante urbanistica volta ad imporre sul fondo già edificabile del ricorrente la destinazione a verde attrezzato.

In tal senso il comune da un lato nega che l’interessato fosse portatore di una situazione di affidamento differenziato;
dall’altro deduce che in ogni caso la motivazione addotta a supporto dell’atto impugnato era del tutto esauriente.

Il mezzo non è fondato.

Come è noto, le scelte urbanistiche di carattere generale costituiscono apprezzamenti di merito, sottratte come tali al sindacato di legittimità, salvo che non siano inficiate da errori di fatto o da illogicità, irragionevolezza, con la conseguenza che esse non necessitano di apposita motivazione, oltre quella che si può evincere dai criteri generali (di ordine tecnico — discrezionale) seguiti nell'impostazione del piano stesso, essendo sufficiente l'espresso riferimento alla relazione di accompagnamento al progetto di modificazione del Piano Regolatore.

A tale impostazione fa però eccezione, per costante giurisprudenza, il caso in cui la nuova disciplina urbanistica viene ad incidere su un affidamento qualificato dei proprietari delle aree interessate, derivante ad esempio da convenzioni di lottizzazione, da accordi di diritto privato intercorsi tra il Comune e i titolari delle aree stesse, dalle aspettative nascenti da giudicati di annullamento di dinieghi di permesso di costruire o di silenzio-rifiuto su una domanda di concessione.

Una ulteriore evenienza nella quale in sostanza si richiede una più incisiva e singolare motivazione delle varianti agli strumenti urbanistici generali è data dal superamento degli standard minimi di cui al D.M. 2 aprile 1968, con riferimento alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona di determinate aree. ( ad es. IV Sez. n. 2453 del 2015).

Di tali costrutti ermeneutici il TAR Catania ha fatto, nel caso all’esame, rigorosa e condivisibile applicazione, analiticamente indicando – in primo luogo – le ragioni molteplici e concorrenti in base alle quali andava riconosciuta appunto in capo al proprietario una situazione di affidamento qualificato.

Come ben si evince dalla sentenza impugnata infatti:

“ a) da una parte, il ricorrente stipulò alcuni anni prima con l’amministrazione comunale un atto di permuta, che aveva ad oggetto una piccola area comunale limitrofa a quella oggetto del ricorso, preventivamente sdemanializzata e cedutagli allo scopo di ampliare l’estensione della propria zona edificabile con l’obbligo di eliminare la preesistente cabina dell’Enel (cfr. atto di permuta 236/2000);

b) sussiste un contenzioso tra il ricorrente e l’amministrazione, avente ad oggetto l’annullamento di una precedente concessione edilizia tacita relativa all’area oggetto del presente gravame (cfr. ricorso 932/08 R.G.);

c) la stessa amministrazione comunale aveva favorevolmente istruito ed accompagnato con parere positivo (richiedendo persino il pagamento degli oneri concessori) la domanda di concessione edilizia presentata dal ricorrente, ma circa un mese lo stesso lotto è stato elevato a sede di “verde pubblico attrezzato” con la contestata deliberazione 48/2008.”.

In secondo luogo la sentenza impugnata stigmatizza il difetto di motivazione che vizia la delibera di adozione impugnata con riferimento alla omessa specificazione puntuale e documentata delle ragioni in base alle quali gli standard urbanistici previsti dal vigente piano – in particolare per quanto concerne le aree a verde attrezzato – dovevano ritenersi invece insufficienti.

Ciò chiarito, le conclusioni alle quali è pervenuto il TAR meritano dunque di essere confermate, in primo luogo perché non sembra possibile negare la sussistenza in capo al P di una situazione di affidamento differenziato.

In tal senso il richiamo del TAR al pregresso contenzioso non sembra – diversamente da come sostiene l’appellante – contraddittorio rispetto alla decisione di non riunire le varie impugnative succedutesi nel tempo.

Il pregresso annullamento in autotutela del titolo tacito formatosi sull’istanza del 2007 ed il contenzioso insorto in dipendenza della impugnazione da parte del P del relativo provvedimento costituiscono in effetti obiettivi dati materiali presi in considerazione dal TAR al solo fine di verificare – nel caso, peraltro in via concorrente con altri presupposti fattuali – l’esistenza di una situazione di affidamento.

In tale prospettiva, in sintesi, rileva soltanto l’esistenza materiale di quello specifico contenzioso e non già la fondatezza o la ragione giuridica delle contrapposte pretese.

In secondo luogo, come si è detto, il comune non ha chiarito le ragioni in base alle quali gli standard preesistenti dovevano ritenersi sotto dimensionati.

In definitiva, a fronte dell’affidamento sulla concreta edificabilità del lotto ingenerato nel P e a fronte di una situazione di apparentemente corretto dimensionamento degli standard preesistenti, la decisione di allocare su uno specifico ed individuo fondo del centro cittadino una ulteriore area di verde attrezzato a servizio della comunità necessitava comunque di una motivazione più puntuale di quella valorizzata dal Consiglio comunale, dovendosi chiarire da un lato la necessità generale dell’intervento e dall’altro la specifica impraticabilità di soluzioni ragionevolmente alternative rispetto a quella in concreto prescelta.

In altri termini, come insegna antica giurisprudenza, nel caso all’esame il comune non poteva limitarsi a enunciare in via generale l’interesse pubblico perseguito con la nuova destinazione ma aveva l’obbligo di una motivazione specifica sui risultati di una attenta comparazione tra le emergenti realtà economico-sociali di pubblica rilevanza e la misura qualitativa e quantitativa del sacrifico da imporre ai privati. ( cfr. ad es. IV Sez. n. 267 del 1989).

Una volta confermato l’annullamento della delibera comunale di adozione della variante, risulta ovviamente infondato il quarto motivo d’appello, volto a stigmatizzare la declaratoria di improcedibilità per sopravvenuto difetto di interesse delle censure ( secondo atto di motivi aggiunti) rivolte dal ricorrente avverso la delibera di presa d’atto dell’approvazione regionale.

Parimenti infondato è il quinto motivo col quale l’appellante contesta la sentenza impugnata nel capo portante la declaratoria di improcedibilità del ricorso 2707/2011 proposto dal comune avverso la nota regionale di invito all’annullamento in autotutela della delibera di adozione della variante: è evidente infatti che, una volta annullata in sede giurisdizionale tale delibera di variante, la richiesta regionale diventa priva di oggetto con la conseguenza che il comune non ha più interesse a contestarla e quindi non ha interesse alla decisione del ricorso proposto avverso la richiesta stessa.

Alla stregua delle considerazioni che precedono ( e fatto salvo il vaglio di alcune eccezioni in ordine alla ammissibilità del ricorso introduttivo avversario che saranno richiamate in occasione dell’ esame dell’’appello incidentale) l’appello del comune di Brolo è quindi infondato.

Restano quindi assorbite le ulteriori censure contenute nel ricorso introduttivo avverso la variante, già non esaminate dal TAR in conseguenza dell’annullamento della stessa e qui riproposte dall’appellato ex art. 101 cod. proc. amm..

Si procede quindi all’esame dell’appello incidentale proposto dal privato.

Con il primo motivo l’appellante incidentale deduce che il Tar non ha percepito come il richiesto titolo edilizio fosse stato in realtà già implicitamente rilasciato a seguito della positiva valutazione del progetto da parte del responsabile dell’ufficio preposto e della conseguente richiesta di versamento degli oneri concessori.

Tale mezzo – che ripropone la prima censura del ricorso introduttivo – è infondato già alla stregua della prospettazione dell’appellante incidentale: il che, per ragioni di economia processuale, dispensa il Collegio dall’approfondimento in questa sede delle eccezioni mediante le quali – in sintesi – il comune sostiene che il parere di che trattasi in realtà non era positivo, contenendo prescrizioni cogenti non contestate dal destinatario.

Ciò premesso, la tesi dell’appellante incidentale circa la configurabilità di un titolo edilizio tacito non trova riscontro alcuno nella consolidata giurisprudenza, la quale ha da tempo chiarito come, a partire dalla l. 28 gennaio 1977 n. 10, il parere favorevole della commissione edilizia e gli atti endoprocedimentali non possono essere considerati né formalmente, né sostanzialmente provvedimenti di assentimento della concessione edilizia richiesta e non possono avere, anche implicitamente, un rilievo autorizzatorio in quanto solo il perfezionamento dell'iter normativo può consentire l'edificazione legittima. (ex multis cfr. IV Sez. n. 1016 del 2014).

D’altra parte, fin da epoca assai risalente la giurisprudenza ha specificamente negato che la richiesta di pagamento dei contributi di urbanizzazione potesse qualificarsi come provvedimento implicito di concessione edilizia. (ad es. Ap. n. 5 del 1989).

Il primo mezzo incidentale va pertanto respinto.

Con il secondo motivo l’appellante torna a dedurre che – diversamente da come affermato dal TAR – il comune non poteva applicare le misure di salvaguardia a seguito della adozione della delibera di localizzazione dell’intervento con variante implicita.

Il mezzo non merita positiva considerazione, indipendentemente da ogni approfondimento sulla natura ( implicita o espressa) della variante urbanistica.

Infatti, ai sensi del combinato disposto dell'art. 19, comma 3, l. reg. Sicilia n. 71 del 1978 e dell'art. 19, comma 2, d.P.R. n. 327 del 2001, l'approvazione di un progetto di opera pubblica costituisce adozione di variante al piano regolatore e, in pendenza dell'approvazione regionale di tale modifica, l'ente locale è obbligato ad applicare le misure di salvaguardia.

Sotto un diverso profilo l’appellante incidentale osserva che le misure di salvaguardia non potevano comunque essere applicate nelle more della pubblicazione della delibera di adozione della variante.

Il rilievo non ha pregio in quanto l’art. 12 del T.U. edilizia così dispone al comma 3: “3. In caso di contrasto dell'intervento oggetto della domanda di permesso di costruire con le previsioni di strumenti urbanistici adottati, è sospesa ogni determinazione in ordine alla domanda. La misura di salvaguardia non ha efficacia decorsi tre anni dalla data di adozione dello strumento urbanistico, ovvero cinque anni nell'ipotesi in cui lo strumento urbanistico sia stato sottoposto all'amministrazione competente all'approvazione entro un anno dalla conclusione della fase di pubblicazione.”.

Ne deriva che l’applicazione delle misure decorre dalla data di adozione della variante, fermo restando il rilievo della pubblicazione o comunicazione dell’atto ai fini del decorso del termine decadenziale per la sua impugnazione.

Con il terzo motivo incidentale si sostiene – se ben si comprende – che il titolo edilizio tacito si sarebbe comunque formato nel corso del giudizio.

In tal senso osserva l’appellante incidentale che ai 113 giorni intercorsi tra la richiesta e la risposta del responsabile tecnico devono aggiungersi i 31 giorni intercorsi tra la data del 28.4.2009 ( in cui il TAR ha sospeso l’efficacia della variante con ord.za 701/2009) e la data di comunicazione dell’inizio lavori.

Così formulato il motivo è inammissibile per la sua novità in quanto nel ricorso introduttivo il P aveva sostenuto che il titolo tacito si era formato ex art. 2 comma 4 l.r. 17/1994 per decorso di giorni trenta dal parere favorevole del responsabile tecnico, sostitutivo del parere della commissione edilizia.

Resta per l’effetto confermato ai fini del presente giudizio che – come statuito dal TAR – il titolo tacito non si era formato per mancato decorso del termine di comporto e resta di conseguenza confermata l’improcedibilità dei motivi aggiunti proposti dal ricorrente avverso il provvedimento col quale il comune aveva annullato in autotutela il titolo stesso: è evidente infatti che il ricorrente non ha più interesse alla decisione di un ricorso proposto avverso un provvedimento privo di oggetto.

D’altra parte è evidente che il comune – il quale ha sempre contestato l’avvenuta formazione del titolo tacito – è intervenuto in autotutela a fini tuzioristici solo dopo che l’ord.za citata ha concesso l’invocata misura cautelare in ragione della allora ( erroneamente) ritenuta formazione del titolo stesso.

In conclusione anche l’appello incidentale va respinto.

Le spese di questo grado del giudizio devono essere compensate tra le parti, attesa la reciproca soccombenza.

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