CGARS, sez. I, parere definitivo 2023-06-06, n. 202300309
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Numero 00309/2023 e data 06/06/2023 Spedizione
REPUBBLICA ITALIANA
CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA
Adunanza delle Sezioni riunite del 30 maggio 2023
NUMERO AFFARE 00093/2023
NUMERO AFFARE 00088/2023
OGGETTO:
Presidenza della Regione Siciliana - Ufficio legislativo e legale.
Avv. G R.
quanto al ricorso n. 88 del 2023e al ricorso n. 93 del 2023: Ricorso straordinario al Presidente della Regione Siciliana, con istanza sospensiva, proposto della signora I L (avvocato G R e G I), contro l’Asp di Caltanissetta, avverso la deliberazione n. 863 del 12 aprile 2023 avente ad oggetto " Ammissione candidati al concorso pubblico per titoli ed esami a n.1 posto di dirigente medico di oftalmologia. parere su istanza di sospensione ” nella parte in cui ;
LA SEZIONE
Vista la nota di trasmissione della relazione prot. n.10201/91.23.8 in data 17 maggio 2023, con la quale la Presidenza della Regione Siciliana - Ufficio legislativo e legale ha chiesto il parere del Consiglio di Giustizia Amministrativa sull'affare consultivo in oggetto;
Esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere S R M;
Premesso e considerato:
1. Con i ricorsi straordinari in esame la signora I L, rappresentata e difesa dagli avvocati G R e G I, ha impugnato, previa sospensione, la deliberazione dell’Asp di Caltanissetta n. 863 del 12 aprile 2023 avente ad oggetto « Ammissione candidati al concorso pubblico per titoli ed esami a n. 1 posto di Dirigente Medico di Oftalmologia », e, ove occorra, il bando della stessa procedura concorsuale (approvato con deliberazione n. 2557 del 2022, pubblicato nella GURI n. 5 del 20 gennaio 2023), nella parte in cui dispone che « potranno partecipare gli iscritti a partire dal terzo anno del relativo corso di specializzazione richiesta », nonché ogni atto presupposto, connesso e/o consequenziale.
2. Lamenta la discriminazione (in tesi) subita dalla ricorrente a cagione dell’esclusione decisa con il provvedimento impugnato. Lamenta, in particolare, la violazione degli artt. 3 e 37 Cost., degli artt. 25 e 42 del d. lgs. n. 198 del 2006, dell’art. 40 del d. lgs. n. 368 del 1999, degli artt. 3 e 16 d. lgs. n. 151 del 2001, dell’art. 15 della direttiva comunitaria n. 54 del 2006 e dell’eccesso di potere per manifesta irragionevolezza e disparità di trattamento.
3. Il Collegio ritiene che nulla impedisca di definire immediatamente nel merito un affare che sia stato pervenuto soltanto per l’espressione del parere sull’istanza cautelare, qualora, ovviamente, sussistano tutti i presupposti, ivi inclusa la completezza dell’istruttoria svolta, per una definizione immediata delle questioni dedotte con il ricorso straordinario.
4. Tale principio di diritto si attaglia anche al caso in esame, posto che dalla relazione dell’ULL e dagli atti del procedimento si ravvisano sufficienti elementi per deliberare sul merito. Depone in tal senso in tal senso anche il bene della vita di cui parte ricorrente ha chiesto tutela.
5. I ricorsi debbono essere riuniti essendo di identico contenuto.
6. I ricorsi sono fondati quando alla domanda di annullamento, in disparte l’azione di accertamento che non può essere esercitata in sede di ricorso straordinario ed è quindi inammissibile.
6.1. Nell’impugnata deliberazione dell’Asp di Caltanissetta n 863 del 12 aprile 2023, avente ad oggetto « Ammissione candidati al concorso pubblico per titoli ed esami a n. 1 posto di Dirigente Medico di Oftalmologia », si legge che è stato deciso di « escludere dalla partecipazione alla procedura concorsuale […] la dr.ssa Lalicata […] per mancanza del requisito di ammissione, (ossia - NDR) “iscrizione al partire dal terzo anno della scuola di specializzazione” ».
Nei confronti della ricorrente risulta « sospesa la formazione specialistica per astensione obbligatoria » con pagamento comunque della parte fissa dell’indennità (così dal decreto 6 ottobre 2022).
Non risulta quindi integrato il presupposto dell’esclusione, cioè la mancata iscrizione al terzo anno della scuola di specializzazione.
Depone in tal senso la lettera del decreto 6 ottobre 2022, che parla di mera sospensione, e il pagamento della parte fissa dell’indennità.
Non solo. Con riferimento ai medici specializzandi l’art. 40 del d. lgs. 368 del 1999, dispone che « Gli impedimenti temporanei superiori ai quaranta giorni lavorativi consecutivi per servizio militare, gravidanza e malattia, sospendono il periodo di formazione, fermo restando che l'intera sua durata non è ridotta a causa delle suddette sospensioni. Restano ferme le disposizioni in materia di tutela della gravidanza di cui alla legge 30 dicembre 1971, n. 1204, e successive modificazioni, nonché quelle sull'adempimento del servizio militare di cui alla legge 24 dicembre 1986, n. 958, e successive modificazioni ».
Dalle suddette disposizioni emerge come, durante la gravidanza e subito dopo il parto, sia imposto ai medici specializzandi la sospensione della concreta attività di formazione specialistica, non l’iscrizione, come si evince anche dalla previsione di applicazione delle disposizioni sulla tutela della maternità.
Depongono in tal senso anche le numerose disposizioni nazionali e internazionali che tutelano la maternità e la parità di genere.
Sul piano sovranazionale, viene in rilievo, in primo luogo, la Convenzione ONU sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti della donna adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 18 dicembre 1979, ratificata e resa esecutiva dall’Italia con l. 14 marzo 1985, n. 132 che, all’art 11, in base alla quale « Gli Stati parte si impegnano a prendere ogni misura adeguata al fine di eliminare la discriminazione nei confronti della donna nel campo dell’impiego ed assicurare, sulla base della parità tra uomo e donna, gli stessi diritti”, e “per prevenire la discriminazione nei confronti delle donne a causa del loro matrimonio o della loro maternità e garantire il loro diritto effettivo al lavoro, gli Stati parte si impegnano a prendere misure appropriate tendenti a: […] d) assicurare una protezione speciale alle donne incinte per le quali è stato dimostrato che il lavoro è nocivo ».
In ambito comunitario, l’art 23 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea dispone che « La parità fra uomini e donne deve essere assicurata in tutti i campi, compreso in materia di occupazione, di lavoro e di retribuzione », mentre l’art 157 TFUE prevede, al comma 1, che « Ciascuno Stato membro assicura l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore » e, al comma 3, che « Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria e previa consultazione del Comitato economico e sociale, adottano misure che assicurino l’applicazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento tra uomini e donne in materia di occupazione e impiego, ivi compreso il principio della parità delle retribuzioni per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore ».
La disposizione da ultimo citata ha costituito la base normativa per l’adozione della direttiva 76/207/CEE del Consiglio del 9 febbraio 1976, nonché della più recente direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 luglio 2006, relative all’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego. L’art. 2, comma 3, lett. c) della direttiva n. 2006/54/CE, riprendendo quanto già previsto dall’art 2 comma 7 della direttiva 76/207/CEE, precisa che « Ai fini della presente direttiva, la discriminazione comprende: […] qualsiasi trattamento meno favorevole riservato ad una donna per ragioni collegate alla gravidanza o al congedo per maternità ai sensi della direttiva 92/85/CEE ”. L’art 14 dispone, altresì, che « è vietata qualsiasi discriminazione diretta o indiretta fondata sul sesso nei settori pubblico o privato, compresi gli enti di diritto pubblico, per quanto attiene: a) alle condizioni di accesso all’occupazione e al lavoro, sia dipendente che autonomo, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione indipendentemente dal ramo di attività e a tutti i livelli della gerarchia professionale, nonché alla promozione ». Infine, il ventitreesimo considerando della medesima direttiva sancisce che « Dalla giurisprudenza della Corte di giustizia risulta chiaramente che qualsiasi trattamento sfavorevole nei confronti della donna in relazione alla gravidanza o alla maternità costituisce una discriminazione diretta fondata sul sesso. Pertanto, occorre includere esplicitamente tale trattamento nella presente direttiva ».
La Corte di Giustizia ha qualificato come discriminazione diretta fondata sul sesso tanto il rifiuto di assumere una donna a causa del suo stato di gravidanza quanto il licenziamento di una lavoratrice per la medesima ragione (8 novembre 1990, Dekker, C-177/88 e Handels- og Kontorfunktionaerernes Forbund, C-179/88;sent. del 4 ottobre 2001, Jiménez Melgar, C-438/99 e Tele Danmark A/S, C-109/00, nonché 30 giugno 1998, Brown, C-394/96).
In Corte di Giustizia, 18 novembre 2004, C-284/02, Land Brandenburg v. Sass, si legge che la lavoratrice madre non può subire un trattamento sfavorevole con riguardo ai requisiti necessari ad accedere ad un livello superiore della gerarchia professionale.
Il giudice comunitario ha altresì affermato l’« efficacia diretta nei confronti non solo degli Stati membri ma anche dei singoli datori di lavoro15, in quanto “principio fondamentale dell‟ordinamento giuridico comunitario » (Corte di Giustizia, 10 febbraio 2000, C-50/96, Deutsche Telekom, e Corte di Giustizia, 26 giugno 2001, C-381/99).
Sul piano costituzionale rilevano la realizzazione del principio di eguaglianza nell’accesso ai pubblici uffici è sancito dall’art. 51 Cost., ovvero del diritto di uomini e donne ad accedere ai pubblici uffici in condizioni di parità.
L’evoluzione che ha progressivamente esteso la portata della norma costituzionale oltrepassando il principio di eguaglianza formale per approdare all’affermazione delle pari opportunità di genere, in modo conforme sia al precetto contenuto nel secondo comma dell’art. 3 Cost. sia alle molteplici fonti a carattere internazionale ed euro-unitario.
Anche l’art. 4 Cost. (« la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto »), l’art. 31 Cost., che qualifica compito della Repubblica l’agevolazione della formazione della famiglia e la protezione della maternità, e l’art. 37 Cost., che impone la fissazione di condizioni di lavoro per la donna compatibili con l’adempimento della sua funzione familiare.
Il legislatore ordinario ha dato attuazione ai precetti costituzionali, statuendo che « la parità di trattamento e di opportunità tra donne e uomini deve essere assicurata in tutti i campi, compresi quelli dell’occupazione, del lavoro e della retribuzione » (art. 1 comma 2 d. lgs n. 198 del 2006).
Per quanto di interesse in questa sede l’art. 25 comma 1 del d. lgs. n. 198 del 2006 vieta espressamente la discriminazione in sede di selezione concorsuale.
L’impianto normativo, sia nazionale che sovranazionale, è quindi univoco nell’escludere che lo stato di gravidanza possa rappresentare un ostacolo nell’accesso al lavoro.
In tale contesto deve essere interpretato l’art. 16 del d. lgs. n. 151 del 2001 n. 151, laddove stabilisce il divieto di adibire le donne al lavoro « a) durante i due mesi precedenti la data presunta del parto, salvo quanto previsto all’art. 20 » e « c) durante i tre mesi dopo il parto, salvo quanto previsto all’art. 20 ».
Da questa previsione, posta a tutela della maternità, non può conseguire alcun effetto pregiudizievole per una donna in maternità in quanto l’astensione dal lavoro è volta non a comportare la perdita del rapporto negoziale ma, al contrario, a conseguirne la prosecuzione pur in mancanza di esecuzione della prestazione principale, quella lavorativa.
Risulta quindi confermata l’illegittimità del provvedimento di esclusione della ricorrente.