CGARS, sez. I, sentenza 2017-07-31, n. 201700368
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Testo completo
Pubblicato il 31/07/2017
N. 00368/2017REG.PROV.COLL.
N. 00984/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA
in sede giurisdizionale
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 984 del 2013, proposto da P L G, rappresentata e difesa dall'avvocato S G, con domicilio eletto presso lo studio Maurizio Argento in Palermo, via G. Arimondi 45;
contro
Comune di Marsala, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. SICILIA – PALERMO, Sez. III, n. 1350/2013, resa tra le parti, concernente diniego di rilascio di una sanatoria edilizia.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 giugno 2017 il cons. N G, nessuno essendo comparso per le parti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1 La sig.ra P L G, proprietaria di un fabbricato di civile abitazione e di un magazzino abusivamente realizzati sul terreno ubicato in Marsala, C.da Spagnuola, accatastato al foglio n. 76 - p.lla 577, impugnava con il ricorso al T.A.R. per la Sicilia n. 301/1997, notificato il 3 gennaio 1997 e ritualmente depositato, l’ordinanza sindacale n. 844 dell’11 novembre 1996, con la quale il Comune di Marsala le aveva negato il rilascio della sanatoria edilizia ai sensi della legge n. 47 del 1985 per le suddette opere abusive, da lei richiesta con istanza del 1° aprile 1986.
La sanatoria era stata negata sul rilievo che “ le opere edilizie realizzate ricadono nella fascia di mt. 150 dalla battigia e perché iniziate dopo il 12/06/76 e realizzate in epoca successiva al 31/12/1976 e quindi classificabili tra quelle opere non sanabili, giusta disposizione dell’art. 23 comma 10, della legge Regionale 10/08/1985 n. 3 ”, atteso che “ nella dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà resa dalla sig.ra La Grutta Pierina in data 16.4. 1981, allegata alla istanza di condono succitata, dichiarava … di avere costruito, dall’agosto al novembre 1976, un fabbricato di n. 3 vani e n. 2 accessori e nel luglio 1978 un magazzino per una superficie di mq. 125,83 e un volume complessivo di mq. 429,737 … ”.
Poco dopo la medesima interessata con un secondo ricorso al T.A.R. n. 4646/1997, notificato il 4 dicembre 1997 e ritualmente depositato, impugnava anche la successiva ordinanza sindacale n. 828 del 14 ottobre 1997, con la quale il Comune, facendo seguito al proprio diniego di sanatoria, aveva revocato la pregressa ordinanza n. 432 del 23 dicembre 1977, irrogativa per gli abusi indicati di una mera sanzione amministrativa commisurata al valore delle opere, e ordinato in luogo di questa la demolizione del corpo di fabbrica composto di tre vani oltre accessori e del magazzino, di superficie complessiva pari a mq 125,83 e volume di mc 429,737.
Il nuovo provvedimento si basava sulla seguente motivazione: “ constatato che altresì non può darsi seguito alla applicazione della sanzione amministrativa in alternativa alla demolizione, come disposto con il provvedimento n° 432/77, in quanto le costruzioni di che trattasi ricadono entro la fascia di mt 150 dalla battigia, zona in cui ai sensi del disposto dell’art. 15, lett. a) della L.R. 12/06/76 è inibita qualsiasi attività edificatoria, ed in zona sottoposta a vincolo paesaggistico … ”.
In nessuno dei due giudizi si costituiva l’Amministrazione intimata.
La domanda cautelare proposta con il secondo ricorso trovava accoglimento con ordinanza del 14 gennaio 1998 limitatamente alla parte in cui il Comune aveva disposto la demolizione delle opere oggetto della domanda di sanatoria.
2 All’esito del giudizio di primo grado il Tribunale adìto, con la sentenza n. 1350/2013 in epigrafe, riuniti i ricorsi, li respingeva, reputandoli infondati.
3 Seguiva avverso tale sentenza la proposizione del presente appello da parte della soccombente, che riproponeva le proprie domande e doglianze e sottoponeva a critica le argomentazioni con cui il Tribunale le aveva disattese.
L’Amministrazione non si costituiva in giudizio nemmeno nel nuovo grado processuale.
Alla pubblica udienza del 14 giugno 2017 la causa è stata trattenuta in decisione.
4 L’appello è parzialmente fondato, in quanto la sanatoria non può essere legittimamente negata alla ricorrente per la compiuta consistenza edilizia inequivocabilmente accertata già nel novembre – dicembre 1976;sotto i rimanenti profili l’appello deve invece essere respinto.
5 L’esame della materia del contendere va iniziato con il vaglio del diniego integrale di sanatoria opposto alla ricorrente, cui corrisponde la parte principale della controversia.
La causa richiede per questo aspetto essenzialmente di risolvere la questione di fatto se la costruzione delle opere di cui si tratta fosse iniziata prima dell'entrata in vigore della L.R. n. 78 del 1976 (ossia, il 16 giugno 1976), e, soprattutto, se le loro strutture essenziali fossero state portate a compimento entro il 31 dicembre 1976. La L.R. n. 37/1985 fa dipendere, infatti, la sanabilità degli immobili costruiti entro la fascia di 150 mt dalla battigia dalla duplice condizione che i relativi lavori siano iniziati prima del 16 giugno 1976 e completati entro il 31 dicembre dello stesso anno.
5a Il primo Giudice ha ritenuto al riguardo che la ricorrente, sulla quale gravava l'onere della relativa prova, non lo avesse assolto.
Nella domanda di sanatoria presentata il 1° aprile 1986 le opere abusive in questione erano identificate in un corpo di fabbrica composto di tre vani oltre accessori e altresì in un magazzino – del quale la ricorrente ammetteva però l’avvenuta edificazione solo nel corso dell’anno 1978 –, il tutto per una superficie complessiva di mq 125,83 e un volume di mc 429,737.
Ciò posto, ad avviso del Tribunale, in sintesi:
- l’immobile di civile abitazione oggetto dei verbali di contravvenzione dei VV.UU. era diverso, per estensione, da quello che in seguito sarebbe stato indicato nell’istanza di sanatoria;
- mancava la prova certa che l’edificazione dell’immobile nella sua forma definitiva, che lo aveva portato da fabbricato di due vani della superficie complessiva di mq 72,60 circa, come da accertamento del 24 novembre 1976, alla consistenza finale di tre vani e accessori nonché un magazzino della superficie complessiva di mq 125,83, secondo quanto risultante dalla domanda di sanatoria, fosse avvenuta entro il 31 dicembre 1976;
- la ricorrente, con la propria attività edificatoria successiva al 31 dicembre 1976, aveva operato un ampliamento dell’originario manufatto già interessato da interventi abusivi, così modificando lo stato dei luoghi soggetto a vincolo assoluto d’inedificabilità ai sensi del combinato disposto dell’art. 23 della L.R. n. 37 del 1985 e, soprattutto, dell’art. 15, lett. a), della L.R. n. 78 del 1976, secondo il quale “ le costruzioni debbono arretrarsi di metri 150 dalla battigia;entro detta fascia sono consentite opere ed impianti destinati alla diretta fruizione del mare, nonché la ristrutturazione degli edifici esistenti senza alterazione dei volumi già realizzati ”.
Queste considerazioni hanno quindi indotto il Tribunale a giudicare legittimo il diniego di sanatoria impugnato, e tanto sia rispetto al fabbricato destinato a civile abitazione, considerato nella sua interezza, sia riguardo al magazzino edificato nel 1978.
5b A questo capo di decisione viene opposta con il presente appello l’obiezione di fondo che, secondo quanto comprovato dalla perizia giurata allegata, il fabbricato destinato ad abitazione avrebbe “ volumetria, forma e consistenza conforme a quanto originariamente accertato dai vigili urbani in sede di sopralluogo ” il 29 novembre e il 18 dicembre del 1976, e precisamente una superficie complessiva di mq 67. Dopo il dicembre del 1976 su tale fabbricato non sarebbero cioè state eseguite ulteriori opere.
Quanto al magazzino edificato nel luglio del 1978, esso corrisponderebbe a un corpo di fabbrica di circa mq 20, separato dal primo e posto a circa due metri di distanza da esso.
5c Dopo queste premesse conviene allora senz’altro ricordare il contenuto delle risultanze documentali in atti, e segnatamente di quelle riflettenti gli accertamenti compiuti dalla Polizia Municipale, nel tempo, sul sito in rilievo.
L’interessata si era resa acquirente del fondo con atto pubblico del 30 giugno 1975.
I VV.UU. di Marsala con un primo verbale del 12 settembre 1975 (seguito poco dopo da una diffida sindacale a demolire) accertavano che il precedente giorno 3 era già in atto, in sito, la costruzione di “ un vano di piano terra delle seguenti dimensioni m. 7x 6 per una altezza di m. 2,50” .
Con successivo verbale della stessa Polizia Municipale in data 24 novembre 1976 veniva poi accertata la realizzazione di un più ampio fabbricato, composto di due vani aventi una superficie complessiva di mq 72,60 circa.
Infine, con una relazione del 22 dicembre dello stesso anno, facendo seguito a un sopralluogo del precedente giorno 18 veniva attestato che i lavori conclusivamente accertati consistevano nella posa in opera dei solai di copertura, nell’elevazione della muratura dei parapetti nonché di una veranda davanti alla porta d’ingresso, e infine nella collocazione di infissi esterni. Con la precisazione che i Vigili Urbani intervenuti non avevano potuto constatare lo stato interno della costruzione “ poiché gli infissi ne vietavano l’accesso .”
5d Ebbene, queste risultanze comprovano con evidenza non solo che la costruzione delle opere in discussione era iniziata ben prima dell'entrata in vigore della L.R. n. 78/1976, ma anche che le loro strutture essenziali erano state portate a compimento entro il 31 dicembre 1976.
Rispetto alla specifica consistenza accertata in occasione dei sopralluoghi del novembre – dicembre 1976 risultavano soddisfatte, pertanto, le condizioni poste dalla L.R. n. 37/1985 per la sanabilità degli immobili ricadenti entro la fascia di 150 mt dalla battigia.
Il Collegio deve sottolineare, inoltre, che le risultanze del dicembre del 1976 acclaravano la sostanziale conclusione ormai già raggiunta (almeno al rustico) dai lavori relativi al manufatto destinato ad abitazione, opere appunto già sfociate nella realizzazione di un corpo di fabbrica conchiuso munito di una sua precisa conformazione, superficie e volumetria.
Ne consegue che l’ipotesi, valorizzata dal T.A.R., che a distanza di tempo possa essersi verificato un ulteriore ampliamento del medesimo fabbricato (come farebbe supporre la dichiarazione sostitutiva dell’interessata del 1981 in atti, per le cui indicazioni di maggior superficie e volume non è stata fornita dal privato alcuna spiegazione alternativa), non toglie che il fabbricato stesso meritasse comunque di conseguire la sanatoria, per quanto solo entro i limiti della minor consistenza da esso già raggiunta nel dicembre del 1976.
Per questa ragione, il Comune di tale sanabile consistenza non poteva ordinare la demolizione. Laddove il diniego di sanatoria e l’ingiunzione a demolire oggetto di gravame si confermano invece legittimi, naturalmente, rispetto al successivo -ed eventuale- ampliamento apportato allo stesso fabbricato in violazione del vincolo introdotto dalla L.R. n. 78/1976.
5e Nessun dubbio può nutrirsi, per converso, sull’integrale incondonabilità del secondo e più piccolo manufatto della ricorrente, definito in atti come “magazzino”.
Sono, invero, pacifiche le circostanze che il medesimo sia stato realizzato soltanto nel 1978, ossia ben oltre l'entrata in vigore della L.R. n. 78/1976, e ricada anch’esso entro la fascia dei 150 mt dalla battigia. Poiché pertanto, come si è ricordato, l’art. 23 della L.R. n. 37/1985 subordinava la sanabilità degli immobili compresi nella detta fascia alla condizione che la realizzazione delle loro strutture essenziali fosse stata completata entro il 31 dicembre 1976, la sanabilità del magazzino risulta per ciò stesso esclusa.
La sentenza impugnata merita quindi senz’altro conferma anche per questa parte.
6 Il Collegio deve ora occuparsi più specificamente della parte di appello tesa a coltivare il gravame introdotto contro l’ordinanza sindacale n. 828/1997, con la quale il Comune, facendo seguito al proprio diniego di sanatoria, aveva revocato la precedente ordinanza del 1977 irrogativa di una mera sanzione amministrativa, e ordinato la demolizione di tutti gli abusi accertati.
6a La ricorrente aveva contestato dinanzi al T.A.R. la legittimità di tale ulteriore provvedimento sotto i seguenti profili:
1) l’ordinanza con la quale il Sindaco aveva applicato la sanzione amministrativa in luogo di quella demolitoria era, in realtà, la n. 330 del 12 settembre 1977, e “ non, come erroneamente indicato nell’ordinanza impugnata, la n. 432 del 23/12/1977 ”;
2) il pagamento dell’oblazione ai sensi dell’art. 38, comma 3, legge n. 47/1985 non avrebbe estinto la sanzione amministrativa, bensì il procedimento di esecuzione di questa;
3) la ricorrente, oltre ad avere titolo alla sanatoria per il fabbricato di civile abitazione, non avrebbe potuto essere assoggettata alla sanzione demolitoria per il magazzino, in quanto questo avrebbe richiesto solo un’autorizzazione, e non una concessione edilizia.
6b Questi profili di censura sono stati tutti disattesi, dal T.A.R., sulla base della seguente motivazione.
“ In primo luogo, quanto al rilevato mero errore materiale nell’indicazione del numero e della data di emissione dell’ordinanza oggetto di revoca va detto che esso non determina l’illegittimità di quest’ultima né la sua inefficacia ab origine, a fronte della chiara identificabilità dell’atto revocato quanto al suo contenuto sostanziale (destinatario e immobile abusivo).
Neanche l’asserito errore nel quale sarebbe incorsa l’Amministrazione comunale nel sostenere l’avvenuta estinzione della sanzione amministrativa, appare determinante, attesa l’avvenuta revoca del provvedimento di irrogazione della stessa.
Infine, quanto alla terza censura, la sua infondatezza consegue direttamente alla ritenuta legittimità del diniego di sanatoria impugnato, non soltanto rispetto al fabbricato destinato a civile abitazione ma, anche, riguardo al magazzino edificato nel 1978, poiché entrambi ubicati in zona soggetta a vincolo assoluto d’inedificabilità ai sensi del combinato disposto dall’art. 23 della l.r. n. 37 del 1985 e dall’art. 15, lett. a), della l.r. n. 78 del 1976.”
6c Con il presente appello viene ripreso soltanto l’ultimo dei tre profili di censura a suo tempo sollevati, il che esonera il Collegio dall’esame dei primi due, ormai definitivamente disattesi dal T.A.R..
L’appellante torna in questa sede a dedurre che il magazzino costituiva una pertinenza della già menzionata casa di abitazione ai sensi dell’art. 5 della L.R. n. 37/1985, e, di riflesso, esso non richiedeva una concessione edilizia ma una semplice autorizzazione: onde per tale manufatto non solo non avrebbe potuto essere negata la sanatoria, ma l’ordine di demolizione emesso sarebbe stato in parte qua illegittimo per violazione dell’art. 10 della legge n. 47/1985.
6d In precedenza è stato però già rilevato che l’incontestata circostanza che il magazzino sia stato realizzato soltanto nel 1978, ossia ben dopo l'entrata in vigore della L.R. n. 78 del 1976, ne esclude la sanabilità.
6e Né può accedersi all’assunto che tale locale avrebbe integrato una semplice pertinenza, come tale soggetta a regime autorizzatorio e non concessorio, con la conseguenza che la sua realizzazione abusiva non avrebbe potuto dare adito a una sanzione demolitoria.
La giurisprudenza ha invero da tempo puntualizzato (cfr. ad es. C.d.S., sez. IV, 22 maggio 2014, n. 2634) che la nozione civilistica di pertinenza è più ampia di quella applicata nella materia urbanistica, nel senso che beni che in diritto civile rivestono senz'altro natura pertinenziale ben possono non essere ritenuti tali per l'applicazione delle regole che governano, invece, l'attività edilizia. Ai fini urbanistici ed edilizi tale nozione assume, infatti, un significato più circoscritto, e si fonda sulla mancanza di autonoma destinazione e valore del manufatto pertinenziale, sulla sua mancata incidenza sul carico urbanistico, e infine sulle sue ridotte dimensioni, tali da non alterare in modo significativo l'assetto del territorio.
Deve quindi trattarsi di un’opera sfornita di un autonomo valore di mercato e dotata di un volume solo minimo. Sicché la relativa qualificazione si addice soltanto a opere di modesta entità e accessorie rispetto a un'opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici et similia , e non anche a opere che dal punto di vista delle dimensioni e della funzione si connotino per una propria autonomia rispetto all'opera cosiddetta principale, e non siano coessenziali a questa al punto che non ne risulti possibile alcuna diversa utilizzazione economica (C.d.S., sez. V, 24 luglio 2014, n. 3952).
La giurisprudenza è consolidata, dunque, nel senso che ai fini in esame occorre che l'opera pertinenziale abbia una dimensione ridotta e modesta rispetto al bene cui essa inerisce, tale da renderla priva di un autonomo valore di mercato e non comportante un carico urbanistico né un’alterazione significativa dell'assetto del territorio (cfr. ad es. C.d.S., VI, 16 giugno 2016, n. 2658;4 gennaio 2016, n. 19;29 gennaio 2015, n. 406;5 gennaio 2015, n. 13;V, 28 aprile 2014, n. 2196).
E anche questo Consiglio di Giustizia amministrativa si è da tempo espresso in senso analogo, aderendo all’indirizzo secondo il quale la nozione di “pertinenza” enucleata dalla giurisprudenza amministrativa in materia edilizia è meno ampia di quella civilistica, in quanto ai suoi fini la funzione pertinenziale delle opere non può commisurarsi semplicemente al servizio reso all'edificio principale ma dipende anche, appunto, dalla consistenza delle opere stesse, che devono essere tali da non alterare in modo significativo l'assetto del territorio e comunque inquadrarsi nei limiti di un rapporto adeguato e non esorbitante rispetto alle esigenze dell'edificio principale: cfr. C.G.A., 14 aprile 2014, n. 203;27 aprile 1998, n. 275;14 ottobre 1997, n. 413).
6f In coerenza con le coordinate esposte è allora agevole osservare che il magazzino in discussione, che integra un corpo di fabbrica a sé stante della superficie di circa mq 20, non soddisfa i requisiti che occorrerebbero a qualificarlo quale pertinenza edilizia.
A parte l’incertezza della sua pur allegata destinazione strumentale, in realtà carente di riscontri oggettivi, le dimensioni del locale non possono obiettivamente dirsi ridotte e modeste, tanto più alla luce del fatto che il presunto manufatto principale risulta superare di poco i 70 mq, bensì hanno un loro non trascurabile impatto sull’assetto del territorio.
E se si tiene poi debito conto della particolare localizzazione del manufatto, sito in prossimità della battigia, è agevole avvedersi anche dell’impossibilità di escludere la sua suscettibilità di un’autonoma utilizzazione e di un valore di mercato suo proprio.
6g Per queste ragioni il magazzino non integrava una semplice pertinenza, ma era soggetto alle regole generali dell’attività edilizia. Da qui la legittimità della sanzione demolitoria per esso inflitta: e ciò vieppiù al cospetto del vincolo di inedificabilità assoluta già vigente, in forza dell’art. 15, lett. a), della L.R. n. 78/1976, sulla fascia dei 150 mt dalla battigia.
7 In conclusione, l’appello merita accoglimento parziale nei limiti che sono stati già indicati.
La reciprocità della soccombenza suggerisce al Collegio la compensazione delle spese processuali tra le parti.