CGARS, sez. I, sentenza 2024-04-24, n. 202400311

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Sul provvedimento

Citazione :
CGARS, sez. I, sentenza 2024-04-24, n. 202400311
Giurisdizione : Consiglio Di Giustizia Amministrativa per la Regione siciliana
Numero : 202400311
Data del deposito : 24 aprile 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 24/04/2024

N. 00311/2024REG.PROV.COLL.

N. 01110/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA

Sezione giurisdizionale

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello numero di registro generale 1110 del 2021, proposto da
-OMISSIS- e -OMISSIS-, rappresentati e difesi dall’avvocato N B, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;

contro

Comune di -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall’avvocato S P, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;

Regione Siciliana, Assessorato delle infrastrutture e della mobilità - Dipartimento infrastrutture mobilità e trasporti e Ufficio Genio Civile di Messina, in persona dei legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi dall’Avvocatura Distrettuale, domiciliataria ex lege in Palermo, via Valerio Villareale, 6;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, Sezione staccata di Catania (Sezione quarta) n. 2654/2021.

Visto il ricorso in appello;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di -OMISSIS-;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della Regione Siciliana, Assessorato delle infrastrutture e della mobilità - Dipartimento infrastrutture mobilità e trasporti e Ufficio Genio Civile di Messina;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del 9 novembre 2023 il Cons. Anna Bottiglieri e uditi per le parti gli avvocati come da verbale;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

FATTO

I. Con la sentenza impugnata il T, nella resistenza del Comune di -OMISSIS- e della Regione Siciliana, Assessorato delle infrastrutture e della mobilità - Dipartimento infrastrutture mobilità e trasporti e Ufficio Genio Civile di Messina, ha pronunziato sul ricorso e sui due atti di motivi aggiunti proposti dai signori -OMISSIS- e -OMISSIS- avverso vari provvedimenti del predetto Comune e segnatamente:

- l’ordinanza n. 1/2017 che, in relazione a uno stabile edificato in contrada “Rocca” in virtù della concessione edilizia n. 6/1985, ha ingiunto la demolizione delle opere, difformi dal progetto assentito e realizzate in carenza di titolo edilizio e dell’autorizzazione sismica del Genio Civile di Messina (quanto ai primi tre piani, modifiche interne e maggior altezza del piano seminterrato;
interi quarto e quinto piano dell’edificio);

- il provvedimento tacito di rigetto dell’istanza di accertamento di conformità delle predette opere abusive, presentata ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. 380/2001 il 23 novembre 2017;

- l’ordinanza n. 1/2019 che, accertata l’inottemperanza al predetto ordine di demolizione, ha dichiarato l’acquisizione al patrimonio comunale, con immissione in possesso, del quarto e quinto piano dell’edificio, ha irrogato la sanzione di cui all’art. 31, comma 4- bis , del d.P.R. 380/2011, ha disposto la trascrizione del provvedimento alla Conservatoria dei registri immobiliari e l’inserimento del bene nell’inventario del patrimonio comunale;

- del provvedimento n. 15574/2019 che ha confermato i predetti atti;

- di tutti gli atti connessi (verbale n. 9561/207 del sopralluogo tecnico della Polizia municipale;
comunicazione n. 3797/2018 di avvio del procedimento per l’acquisizione e l’immissione in possesso;
comunicazione n. 8762/2018 di avvio del procedimento di rigetto dell’istanza di accertamento in conformità e preavviso di reiezione della stessa;
nota comunale n. 8855/2018).

In particolare, il T, in estrema sintesi:

- rilevava l’irricevibilità, per tardività, dell’impugnativa dell’ordinanza demolitoria n. 1/2017;

- osservava che l’istanza di accertamento di conformità non aveva sospeso l’ordine demolitorio, in quanto proposta quando il termine di novanta giorni assegnato per la demolizione era già scaduto, e si era quindi perfezionato l’effetto acquisitivo del bene abusivo al patrimonio comunale, con conseguente carenza di legittimazione dei ricorrenti alla presentazione dell’istanza stessa. Esponeva le stesse ragioni anche in riferimento alla contestuale istanza c.d. “di fiscalizzazione” (art. 34, comma 2, d.P.R. 380/2001) di parte del quarto piano e dell’ultimo piano;

- rilevava in ogni caso che gli abusi accertati erano di natura sostanziale e in quanto tali non sanabili ai sensi dell’art. 36, d.P.R. 380/2021;

- escludeva che, una volta denegato il permesso di costruire in sanatoria, il Comune avrebbe dovuto adottare un nuovo ordine demolitorio.

Sulla scorta di tali considerazioni il T dichiarava:

a) in parte irricevibile per tardività e in parte inammissibile per difetto di legittimazione attiva il ricorso introduttivo del giudizio (rivolto avverso l’ordinanza demolitoria n. 1/2017 e il provvedimento tacito di reiezione dell’istanza di accertamento di conformità);

b) inammissibile il primo atto di motivi aggiunti (rivolto avverso l’ordinanza n. 1/2019 di accertamento dell’inottemperanza all’ingiunzione di demolizione e acquisizione di due ultimi piani dell’immobile al patrimonio comunale), stante “ il difetto di legittimazione attiva dei ricorrenti unitamente alla carenza di interesse dipendente dalla stabilità degli effetti dell’ordinanza di demolizione, del conseguente effetto acquisitivo in favore del Comune e del tacito diniego formatosi sull’istanza di accertamento di conformità ”;

c) inammissibile il secondo atto di motivi aggiunti (diretto avverso l’atto n. 15574/2019 di conferma dei precedenti provvedimenti), in quanto avente a oggetto un “ provvedimento meramente confermativo ”, che, quand’anche ritenuto di conferma, non avrebbe potuto superare “ la persistente carenza di legittimazione dei ricorrenti dovuta al perfezionamento dell’acquisto a titolo originario delle opere abusive da parte del Comune ”;

d) condannava i ricorrenti alle spese del giudizio in favore dell’Amministrazione comunale, compensandole per il restante.

II. Gli interessati hanno appellato la sentenza. Dopo aver illustrato i fatti di causa e sintetizzate le motivazioni della pronunzia: ne hanno sostenuto l’erroneità sotto vari profili (pagine 11/23 dell’atto di appello);
hanno riproposto, ai sensi dell’art. 101, comma 2, Cod. proc. amm., tutti i motivi di ricorso formulati in primo grado (pagine 23/43 dello stesso atto);
hanno concluso per la sua riforma, con accoglimento dell’impugnativa di primo grado e annullamento dei provvedimenti gravati, riservando a un separato atto la proposizione dell’azione di risarcimento dei danni subiti per effetto dei provvedimenti stessi.

La Regione Siciliana e il Comune di -OMISSIS- si sono costituiti in appello, la Regione chiedendo l’estromissione dal giudizio poichè nessuna censura attiene all’attività amministrativa degli Uffici evocati in giudizio, il Comune confutando le tesi degli appellanti e concludendo per la reiezione del gravame.

Gli appellanti hanno depositato il 19 ottobre 2023 una memoria di replica alle difese comunali, sostenendo, tra altro, l’erroneità della ricostruzione dei fatti ivi esposta.

Il Comune, con due identiche memorie di replica depositate in pari data, ha sostenuto l’inammissibilità della predetta memoria ai sensi dell’art. 73 Cod. proc. amm..

La causa è stata decisa alla pubblica udienza del 9 novembre 2023.

DIRITTO

1. L’appello è infondato nel merito.

Le questioni preliminari restano pertanto assorbite, ivi compresa quella afferente l’eccezione di carenza di legittimazione passiva spiegata dall’Amministrazione regionale, la quale, del resto, nel giudizio di primo grado si è costituita in giudizio e ha depositato una relazione di servizio del Genio Civile di Messina.

2. Con un primo ordine argomentativo gli appellanti affermano, quanto ai rapporti intercorrenti tra l’ordinanza di demolizione n. 1/2017, l’istanza di accertamento di conformità e di “fiscalizzazione” da essi presentata il 23 ottobre 2017 ai sensi degli artt. 36 e 34 comma 2 del d.P.R. 380/2011, e l’ordinanza di accertamento di inottemperanza e di acquisizione al patrimonio comunale delle opere abusive n. 1/2019, che il T è incorso nell’errore di non considerare che l’ordinanza n. 1/2019 era un provvedimento del tutto nuovo, perché rispetto, all’ordinanza di demolizione n. 1/2017, riguardante tutti piani dell’edificio in cui erano state realizzate le opere abusive, ha limitato l’acquisizione ai soli abusi consistenti nella realizzazione del quarto e quinto piano, con ciò accogliendo implicitamente, in parte, l’istanza di accertamento di conformità, e superando e implicitamente revocando, sempre in parte, l’ordine demolitorio.

Sicchè, proseguono gli appellanti, avendo tale nuovo provvedimento fatto venire meno l’efficacia dei precedenti provvedimenti (espressi e per silentium ), non poteva sussistere il presupposto della carenza di legittimazione attiva dichiarata dal T sia quanto all’atto introduttivo del giudizio che in relazione ai motivi aggiunti.

2.1. L’argomentazione è destituita di qualsiasi fondamento.

2.2. Come rilevato dal T con un capo di sentenza qui non contestato, l’ordinanza di demolizione n. 1/2017 è stata notificata gli appellanti il 25 agosto 2017, mentre il ricorso introduttivo proposto (anche) avverso detta ordinanza è stato notificato il 23 marzo 2018, ossia “ ben oltre il termine di 60 giorni decorrenti dalla notifica ai sensi dell’art. 41 c.p.a. (ivi incluso il periodo feriale intercettato) ”, da cui la declaratoria da parte del T della irricevibilità del gravame per la parte riguardante l’ordinanza stessa.

Per l’effetto, non vi è dubbio che l’ordinanza di demolizione n. 1/2017 si è consolidata nel suo complessivo contenuto prescrittivo, e, quindi, anche per quanto riguarda l’ordine demolitorio degli ultimi due piani dell’edificio per cui è causa.

Tale determinazione, contrariamente a quanto sostiene l’appellante, non è venuta meno in ragione delle successive determinazioni che gli appellanti ritengono a essi favorevoli (segnatamente, l’ordinanza n. 1/2019, che ha limitato l’acquisizione al patrimonio comunale delle sole opere abusive consistenti nella realizzazione dei ridetti quarto e quinto piano dell’edificio).

Invero, tale limitazione, al più, potrebbe avere inciso sulla portata dell’ordinanza n. 1/2017, con la conseguenza che, a prescindere da ogni questione riguardante la sorte degli altri abusi, bene poteva l’ordinanza n. 1/2019, come ha fatto, accertare l’inottemperanza all’ordine impartito per la parte rimasta estranea a siffatta incisione e trarne ogni conseguenza prevista dall’art. 31 del d.P.R. 380/2001.

Parimenti, bene ha fatto il T a rilevare – accertato il consolidamento dell’ordinanza demolitoria n. 1/2017 (per tardività dell’impugnazione), e considerato l’effetto acquisitivo perfezionatosi in favore del Comune a causa della mancata esecuzione nel termine dell’ingiunzione a demolire (sul punto, Cons. Stato, Ad. plen., 11 ottobre 2023, n. 16), non sospesa dall’istanza, tardiva, di accertamento di conformità presentata dagli appellanti – che non residuava in capo ai medesimi, “ non più proprietari ” delle opere abusive, la legittimazione ad agire avverso il provvedimento tacito di reiezione dell’istanza di accertamento di conformità, l’accertamento dell’inottemperanza all’ingiunzione demolitoria nonché l’atto che, infine, ha confermato i precedenti provvedimenti.

Sotto altro profilo, non può dirsi, come fanno gli appellanti, che l’ordinanza n. 1/2019 sia un provvedimento nuovo rispetto all’ordinanza n. 1/2017.

Invero, l’ordinanza n. 1/2019 si pone, dichiaratamente e con ogni evidenza, nella stessa sequela provvedimentale dell’ordinanza n. 1/2017, entrambe inscrivendosi all’alveo regolamentato dall’art. 31 del d.P.R. 380/2001, né rilevano le sentenze invocate dagli appellanti per affermare il contrario.

Infatti, non si tratta qui di affrontare la questione, astratta, di se sia possibile o meno ravvisare l’esistenza di un atto amministrativo implicito favorevole agli appellanti, avente a oggetto gli abusi realizzati nei primi tre piani dell’edificio.

Si tratta piuttosto, molto più limitatamente, di prendere atto che siffatta determinazione, anche a volerla ritenere sussistente, non scalfisce l’ordine demolitorio relativo agli ultimi due piani dell’edificio stesso.

3. Con altra censura sostengono gli appellanti che il Comune li ha “autorizzati” a effettuare opere di consolidamento del fabbricato, “interessanti anche i due piani oggetto dell’ingiunzione di demolizione”, con nota n. 8855 del 29 giugno 2018, che, il giorno successivo alla comunicazione di avvio del procedimento di acquisizione e di preavviso del rigetto dell’istanza di accertamento di conformità, ha prescritto al riguardo il deposito di una SCIA, successivamente effettuato senza alcuna opposizione da parte comunale, così implicitamente ritirando l’ordine demolitorio e accogliendo l’istanza di accertamento di conformità.

3.1. La tesi è priva di pregio.

3.2. La giurisprudenza rinviene un provvedimento implicito quando l’amministrazione, pur non adottando formalmente un atto, ne determina univocamente i contenuti sostanziali, o attraverso un comportamento conseguente, ovvero determinandosi in una determinata direzione, anche con riferimento a fasi istruttorie coerentemente svolte, a cui non può essere ricondotto altro volere che quello equivalente al contenuto del provvedimento formale corrispondente. Si ritiene in tal modo integrato, senza possibilità di equivoco, quel collegamento biunivoco tra l’atto adottato, o la condotta tenuta, e la determinazione che da essi si pretende di ricavare, che rende quest’ultima l’unica conseguenza possibile della presupposta manifestazione di volontà ( ex multis , Cons. Stato, Ad. Plen. 20 gennaio 2020, n. 3;
VI, 2 novembre 2020, n. 6732;
V, 24 gennaio 2019, n. 589;
VI, 27 novembre 2014, n. 5887). In altre parole, la presenza di un atto implicito può desumersi indirettamente ma univocamente da altro provvedimento o dal comportamento esecutivo dell’amministrazione, che ne costituisce l’antecedente logico - giuridico (Cons. Stato, V, 19 aprile 2019, n. 2543).

Tali condizioni non sono rilevabili al riguardo della nota in parola.

Questa si è limitata a rappresentare agli interessati che l’istanza di nulla osta per eseguire interventi di adeguamento sismico andava presentata tramite SCIA/DIA con allegati progettuali atti a evidenziare “ dove gli interventi di adeguamento strutturale dovranno essere eseguiti ”: l’atto quindi non solo ha carattere meramente interlocutorio, ma, vieppiù, non presenta alcun puntuale collegamento con i piani quarto e quinto, essendo riferito all’intero immobile di cui trattasi, comprensivo della parte regolarmente edificata.

4. Con altra censura gli appellanti sostengono l’erroneità delle conclusioni della sentenza impugnata ancorate alla rilevata tardività della loro istanza di accertamento di conformità e di “fiscalizzazione” delle opere abusive (quest’ultima relativa a parte del quarto piano e dell’ultimo piano), in quanto presentata il 91° giorno (23 novembre 2021) dalla notifica dell’ingiunzione demolitoria (25 agosto 2017).

Affermano gli appellanti che alla luce degli art. 31, comma 3, e 36 del d.P.R. 380/2001, l’istanza in parola non era tardiva, decorrendo il termine in parola, contrariamente a quanto ritenuto dal T, dal giorno successivo alla notifica dell’ordine demolitorio.

Ulteriormente, gli appellanti lamentano che il T abbia frainteso la loro tesi, ritenendo che essa fondasse sulle modalità di computo dei termini prescrizionali, laddove il riferimento era invece alle complessive norme civilistiche aventi a oggetto l’adempimento delle obbligazioni e i relativi termini (artt. 1173, 1187, e 2963 Cod. civ.), che ritengono perfettamente applicabili al caso di specie, nel quale viene in rilievo non un termine procedimentale bensì un termine entro il quale compiere una determinata attività, nonchè coerenti con una corretta interpretazione delle norme di interesse del d.P.R. 380/2001.

4.1. La censura è infondata.

4.2. La sentenza ha dedicato alla questione articolate argomentazioni, pervenendo a una conclusione che le doglianze in esame non riescono a superare.

Conviene anzitutto rammentare, che la già citata decisione n. 16/2023 dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha escluso che l’istanza ex art. 36, comma 1, d.P.R. 380/2001, in forza del generico riferimento contenuto in quest’ultima norma alla locuzione “ fino all’irrogazione delle sanzioni amministrative ”, possa essere presentata fino all’irrogazione della sanzione pecuniaria di cui al comma 4- bis dell’art. 31. Ciò in quanto “ la situazione del proprietario che lascia trascorrere inutilmente il termine per demolire è quella del soggetto non più legittimato a presentare l’istanza di accertamento di conformità, avendo egli perduto ogni titolo di legittimazione rispetto al bene ”. La stessa decisione ha chiarito, come noto, che l’amministrazione, alla scadenza del termine di 90 giorni previsti nell’ordine di demolizione dell’abuso edilizio, diviene ipso iure proprietaria del bene abusivo, essendo l’accertamento dell’inottemperanza all’ordine adempimento indispensabile al solo fine di rendere pubblico nei rapporti con i terzi l’avvenuto trasferimento del diritto di proprietà e consolidarne gli effetti.

Del resto, già precedentemente la giurisprudenza aveva affermato che la sanatoria di un immobile abusivo ex art. 36 d.P.R. 380/2001 non può essere più richiesta dopo il decorso il termine di novanta giorni dall’ingiunzione di demolizione (Cons. Stato, VI, 9 agosto 2022, n. 7023;
5 aprile 2022, n. 2523;
VI, 15 febbraio 2019, n. 714).

Tanto chiarito, va escluso che, come in sostanza espongono gli appellanti, il termine di 90 giorni in parola non abbia carattere procedimentale, e ciò per la semplice ed evidente ragione che per il comma 3 dell’art. 31 del d.P.R. 380/2001 il suo infruttuoso decorso determina l’acquisizione del bene abusivo in capo all’amministrazione: la norma, quindi, si incentra sulla dinamica del procedimento di contestazione degli abusi edilizi e non sul compimento delle attività del privato cui è stato notificato l’ordine demolitorio, come del resto è naturale che sia, dal momento che si verte nel campo del diritto pubblico.

Il punto è stato correttamente evidenziato dalla sentenza impugnata, ove rileva che “ quello in questione è un procedimento amministrativo sanzionatorio esplicativo di una pubblica potestà autoritativa preordinata alla repressione di una grave violazione della disciplina concernente l’uso del territorio ed il diritto ad edificare ”, e, ulteriormente, che il termine di 90 giorni in questione “ è certamente un termine di decadenza e non di prescrizione, potendo essere soddisfatto soltanto ed esclusivamente dal compimento dell’atto per il quale è previsto, ossia la demolizione delle opere abusivamente realizzate ”, sicchè non si coglie “ alcuna analogia con l’attività contrattuale o iure privatorum disciplinata dal codice civile ”. Ha soggiunto che la stessa ordinanza di demolizione n. 1/2017 imponeva espressamente di procedere alla rimozione delle opere abusive entro novanta giorni dalla notifica del provvedimento.

Il T ha quindi correttamente applicato al termine di 90 giorni di cui trattasi la regola di cui all’art. 2, comma 6, della l. 241/1990, che stabilisce che “ I termini per la conclusione del procedimento decorrono dall’inizio del procedimento d’ufficio o dal ricevimento della domanda, se il procedimento è ad iniziativa di parte ”.

Ancora, il T non è incorso in alcuna erronea interpretazione della tesi ricorsuale, che ha dichiaratamente ascritto all’insieme delle regole civilistiche aventi a oggetto l’adempimento delle obbligazioni, che ha giustamente ritenuto inapplicabili alla materia per cui è causa: anche nella censura in esame gli appellanti richiamano tali regole, e, segnatamente, quelle di cui all’art. 2963 Cod. civ., Computo dei termini di prescrizione , sicchè non si vede come i medesimi possano dolersi del passaggio della sentenza impugnata che ha riassunto la tesi ricorsuale non condivisa ascrivendola alla richiesta di applicare le “ regole contemplate dal codice civile per l’adempimento delle obbligazioni e il computo dei termini di prescrizione ”.

Può solo aggiungersi, per completezza, che la sentenza ha escluso, sempre in relazione al computo del termine di 90 giorni di cui trattasi, anche l’applicazione dell’art. 155, comma 1, Cod. proc. civ., pure a suo tempo invocato dagli interessati, rilevando che “ Lo scopo unico dei termini processuali è garantire il corretto e pieno esercizio del diritto costituzionale di difesa delle parti in causa, mentre nei termini procedimentali la preminente esigenza è costituita dalla necessità di assicurare il corretto e celere agire dell’attività autoritativa della Pubblica Amministrazione entro la tempistica normativamente prestabilita, dovendo l’eventuale diritto al contraddittorio dell’interessato esplicarsi nel rispetto del tempo predefinito per la conclusione del procedimento ”.

5. Per le stesse ragioni appena esposte è infondata la successiva censura, con cui gli appellanti sostengono l’erroneità del capo della sentenza impugnata che ha affermato che l’istanza di accertamento di conformità deve essere presentata entro il ridetto termine di 90 giorni decorrente dalla notifica dell’ingiunzione demolitoria, mentre il provvedimento eventualmente autorizzativo può essere rilasciato anche successivamente, prima dell’irrogazione delle sanzioni.

6. Confermata, come sopra, la tardività dell’istanza di accertamento di conformità presentata dagli appellanti, la censura immediatamente seguente si rivela sfornita di un sottostante interesse alla sua decisione.

Ci si riferisce in particolare alle doglianze con cui gli appellanti contestano la parte della sentenza che ha affermato che, anche a non volerla considerare tardiva, la presentazione dell’istanza di accertamento di conformità non avrebbe comunque potuto avere alcun effetto utile, essendo stata essa respinta per silentium e non avendo gli appellanti tempestivamente impugnato l’ordine di demolizione.

Al riguardo, per mera completezza, possono essere richiamate le motivazioni dei precedenti capi 2 e 3, ove sono già state respinte le tesi, qui ribadite, circa l’implicito accoglimento dell’istanza stessa a opera della nota comunale n. 8855/2018 e dell’ordinanza n. 1/2019, ciò che porta anche ad escludere che, come pure sostenuto dagli appellanti avverso la contraria affermazione del T, ai fini dell’acquisizione al patrimonio comunale dei piani quarto e quinto dell’edificio si imponesse l’adozione di un nuovo ordine demolitorio.

7. Con altra censura gli appellanti contestano la parte della sentenza che ha affermato che “ le illegittimità accertate dal Comune di -OMISSIS- sono di natura sostanziale e non sanabili ai sensi dell’art.36 D.P.R. n.380/2001 se si pensa che i ricorrenti avevano già presentato il progetto con i relativi calcoli statici per la realizzazione di 5 piani fuori terra ed avevano ottenuto l’autorizzazione a realizzarne soltanto 3 con la Concessione edilizia n.6 del 7 marzo 1985. La circostanza, peraltro, è stata ulteriormente chiarita con l’ordinanza di sgombero, acquisizione al patrimonio comunale, immissione in possesso ed irrogazione sanzione

Era, dunque, evidente, sin dalla notifica dell’ordinanza di demolizione, che la sopraelevazione costituiva un abuso sostanziale e non formale, con conseguente onere di tempestiva impugnazione non ottemperato e perfezionamento dell’effetto acquisitivo delle opere abusive in favore del Comune ed in danno dei ricorrenti, in quanto autori e responsabili dell’abuso edile ”.

Sostengono in particolare gli appellanti che con tali statuizioni il T ha formulato un giudizio, l’abusività sostanziale delle opere e la loro non sanabilità, che è proprio di una giurisdizione di merito di cui non era attributario, e si è posto vieppiù in contrasto con la sanabilità delle opere abusive dei primi tre piani dell’edificio riconosciuta dall’ordinanza n. 1/2019.

7.1. Le censure sono infondate.

7.1. Le affermazioni qui contestate hanno espressamente ancorato la insanabilità degli abusi edilizi commessi nell’edificio in parola a quanto emergente dai provvedimenti dell’Amministrazione (ordinanze n. 1/2017 e n. 1/2019) oggetto di contestazione, e, quindi, della disamina tipica del giudizio di legittimità

Inoltre, il capo di sentenza in parola si riferisce agli abusi consistenti nella “sopraelevazione” e non a quelli realizzati nei primi tre piani dell’edificio.

8. L’ultima censura si dirige avverso il capo della sentenza che ha affermato che le stesse considerazioni appena sopra riportate “… valgono anche con riguardo all’istanza di fiscalizzazione di parte del quarto piano e dell’ultimo piano ai sensi dell’art. 34 D.P.R. n.380/2001, poiché quando presentata, ed ossia il 23 novembre 2017, i ricorrenti non erano più proprietari delle opere abusive ”.

8.1. La doglianza è infondata.

8.2. Non si vede infatti come il T potesse ritenere gli appellanti, già riconosciuti carenti di legittimazione alla presentazione della istanza di accertamento di conformità, stante, a quella data, il consolidamento dell’ordine demolitorio, non tempestivamente gravato, e lo spirare del termine di 90 giorni per la demolizione degli abusi, e, quindi, non più proprietari delle opere abusive consistenti nella realizzazione del quarto e del quinto piano dell’edificio, legittimati alla presentazione, alla stessa data, dell’istanza di “fiscalizzazione” di cui all’art. 34, comma 2, del d.P.R. 380/2001 (“ Quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell’ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla legge 27 luglio 1978, n. 392, della parte dell’opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale ”).

E nulla muta tenendo conto dei principi affermati al riguardo di tale istituto dalla sentenza di questo Consiglio 26 aprile 2021, n. 368, poiché essi vanno ormai coordinati con i principi espressi dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato nella ridetta decisione n. 16 del 2023, con cui la sentenza appellata si rivela del tutto coerente, con conseguente irrilevanza, ai fini per cui è causa, della necessità di consolidamento del fabbricato, attestate secondo quanto illustrato nella censura: di essa, infatti, per la parte relativa agli ultimi due piani, non spetta ormai più agli appellanti tenere conto.

9. Accertata come sopra la correttezza dell’arresto operato dalla sentenza gravata alle questioni di rito, non vi è luogo per la disamina delle censure di merito a suo tempo formulate avverso gli atti gravati e qui riproposte ai sensi dell’art. 101, comma 2, Cod. proc. amm.

10. In definitiva, l’appello deve essere respinto.

Le spese del grado, in considerazione del numero e della complessità delle questioni trattate, possono essere compensate.

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