CGARS, sez. I, sentenza 2022-10-28, n. 202201115

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Sul provvedimento

Citazione :
CGARS, sez. I, sentenza 2022-10-28, n. 202201115
Giurisdizione : Consiglio Di Giustizia Amministrativa per la Regione siciliana
Numero : 202201115
Data del deposito : 28 ottobre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 28/10/2022

N. 01115/2022REG.PROV.COLL.

N. 00793/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA

Sezione giurisdizionale

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 793 del 2019, proposto da
C B, rappresentato e difeso dall'avvocato M M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Palermo, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato G N, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

e con l'intervento di

ad opponendum :
F P L, G L, L A D G, C T, rappresentati e difesi dagli avvocati S R, L R, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio S R in Palermo, via G. Abela n. 10;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Seconda) n. 1043/2019, resa tra le parti,

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Palermo;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 settembre 2022 il Cons. Sara Raffaella Molinaro e uditi per le parti gli avvocati come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO



1. La controversia riguarda la selezione riservata al personale appartenente al bacino ex art. 23 ll.rr. nn. 25/1985 e 24/1996 di 4 posti di esperto contabile (categoria D posizione economica D/1) di cui al bando approvato con determinazione dirigenziale n. 699 del 17 novembre 2017 del Comune di Palermo.



2. Con ricorso al Tar Sicilia – Palermo, proposto per ottenere la trasposizione in sede giurisdizionale di ricorso straordinario al Presidente della Regione, a seguito di opposizione del Comune, la signora C B, dipendente del Comune di Palermo, avendo presentato domanda di partecipazione alla selezione ed essendone stata esclusa, ha impugnato:

- il bando di concorso relativo alla selezione riservata al personale appartenente al bacino ex art. 23 ll.rr. n. 25 del 1985 e 24 del 1996 di numero 4 posti di esperto contabile (categoria D posizione economica D/1);

- la determinazione dirigenziale n. 699 del 17/11/2017 dell'Area risorse umane del Comune di Palermo, pubblicata all'albo pretorio del Comune di Palermo il 17 luglio 2017, con la quale è stato approvato il bando di concorso ed indetto il medesimo;

- la deliberazione n. 94 del 4 maggio 2017 della giunta comunale di Palermo “ Ridefinizione della parte I – Organizzazione e parte II – Acquisizione risorse umane e progressioni di carriera, del Regolamento Uffici e Servizi ” Titolo IV “ assunzioni in attuazione di programma di fuoriuscita dal precariato comunale ” artt. 69, 70, 71, 72, 73, 74 e 75 che disciplina le selezioni totalmente riservate al personale precario;

- ogni altro atto connesso, consequenziale e/o presupposto con quelli impugnati, quali le deliberazioni di Giunta Comunale di Palermo n. 205 del 2 novembre 2017 e n. 206 del 7 novembre 2017 ed altri ancorché non conosciuti, che possano frapporsi al diritto fatto valere dal ricorrente, ivi compresa la graduatoria del concorso e la nomina dei vincitori.



3. Il Tar ha respinto il ricorso con sentenza 12 aprile 2019 n. 1043.



4. La sentenza è stata appellata davanti a questo CGARS con ricorso n. 793 del 2019.



5. Sono intervenuti in giudizio i vincitori della selezione.



6. Con ordinanza collegiale istruttoria n. 1092 del 30 dicembre 2021 sono stati disposti incombenti istruttori, sono stati disposti incombenti istruttori a carico del Comune ed è stato sollecitato il contraddittorio sulle censure nuove, quali la questione interpretativa riferita all’art. 26 comma 6 della l.r. n. 8 del 2018, e la doglianza relativa all’illegittimità delle stabilizzazioni in quanto sottratte ai vincoli previsti dall’art. 17 comma 10 del d.l. n. 78 del 2009.



7. In ottemperanza all’istruttoria, il Comune ha trasmesso una relazione.



8. Con ordinanza 28 marzo 2022 n. 378 sono stati riuniti i ricorsi n. 789 del 2019 e n. 793 del 2019.



9. Con la medesima ordinanza è stato richiesto al Comune di Palermo di approfondire alcune questioni riguardanti la stabilizzazione del personale.

10. Il Comune di Palermo ha depositato la relazione in data 29 aprile 2022.

11. All’udienza del 22 settembre 2022 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

12. In via preliminare si dispone la separazione del ricorso in appello n. 789 del 2019 dal ricorso in appello n. 793 del 2019 in quanto aventi ad oggetto sentenze diverse, impugnate da diversi soggetti e relativi a diverse procedure concorsuali.

L’ordinamento processuale impone, infatti, il rispetto del principio di concentrazione delle impugnazioni limitatamente alla fattispecie delle impugnazioni avverso la medesima sentenza (art. 96, comma 1, c.p.a.).

Al di fuori di tale ipotesi la riunione dei ricorsi in appello può avvenire purché sussista una connessione oggettiva: “ A differenza che nel processo civile, in cui il cumulo delle domande può essere giustificato tanto da una connessione oggettiva, quanto da una connessione soggettiva, nel processo amministrativo impugnatorio di legittimità assume rilevanza soltanto la prima forma di connessione ” (Cons. St., sez. IV, 30 ottobre 2018, n. 2218).

Nel processo amministrativo vale la regola, discendente da un’antica tradizione, per cui il ricorso deve essere diretto contro un solo provvedimento, salvo che tra gli atti impugnati esista una connessione procedimentale o funzionale tale da giustificare un unico giudizio.

La connessione viene ravvisata al fine di assicurare l’effettività della tutela, allorquando la posizione sostanziale di chi chiede tutela è interessata da più provvedimenti amministrativi di modo che la regolamentazione della situazione controversa non può che avvenire verificando la legittimità di tutti i provvedimenti che la interessano. Ciò tipicamente avviene quando fra gli atti impugnati intercorre una connessione procedimentale di presupposizione giuridica o di carattere logico o quando le domande cumulativamente avanzate si basano sugli stessi presupposti di fatto o di diritto e sono riconducibili al medesimo rapporto o a un'unica sequenza procedimentale.

Nel caso di specie i due giudizi riguardano due procedure diverse, una relativa alla selezione riservata al personale appartenente al bacino ex art. 23 ll. rr. nn. 25 del 1985 e 24 del 1996 di numero 16 posti di funzionario tecnico architetto e l’altra relativa alla selezione riservata al personale appartenente al bacino ex art. 23 ll.rr. nn. 25 del 1985 e 24 del 1996 di numero 4 posti di esperto contabile, seppur avviate con il medesimo atto, la determinazione dirigenziale n. 699 del 17 novembre 2017 del Comune di Palermo.

Non solo. Gli appellanti, già ricorrenti in primo grado, sono soggetti diversi.

Essendo diverse le procedure selettive e i soggetti che le hanno impugnate non si ravvisano i presupposti dello scrutinio congiunto, riespandendosi la regola generale che richiede che ad ogni ricorso in appello corrisponda un giudizio.

Nella presente pronuncia si procede quindi a decidere il ricorso in appello n. 789 del 2019.

13. L’appello è in parte inammissibile e per la restante parte infondato.

14. In via pregiudiziale si rileva che l’esito del gravame, e la conseguente conferma della reiezione del ricorso già decisa dal giudice di primo grado, consente di prescindere dall’esame dell’eccezione di inammissibilità del ricorso introduttivo per mancata notifica ad almeno uno dei controinteressati

Con riferimento alla diversa questione dell’improcedibilità derivante dal fatto che, nelle more del giudizio di primo grado, a seguito dell’ordinanza del CGARS n. 490 del 2018, la signora Bartolo è stata ammessa alla procedura selettiva (con riserva e in mera esecuzione dell’ordinanza cautelare del CGA), collocandosi all’ultimo posto nella graduatoria finale, si rileva che, con ordinanza 28 marzo 2022 n. 378, è stato ritenuto ammissibile il ricorso in quanto l’appellante ha impugnato gli atti in base ai quali è stato collocato nell’ultima posizione in graduatoria.

15. Sempre in via preliminare si rileva che, con ricorso n. 793 del 2019 l’appellante ha dedotto l’erroneità della sentenza appellata in quanto:

- il presupposto essenziale per l’applicazione dell’art. 20 del d. lgs. n. 75 del 2017, relativo alle stabilizzazioni del personale cd. precario, è che l’assunzione originaria sia avvenuta mediante procedure concorsuali e non semplice procedura selettiva;

- la stabilizzazione del personale precario poteva essere attuata dal Comune di Palermo attraverso una delle due procedure alternativamente previste dai commi 10 e 11 d.l. 1 luglio 2009, n. 78, ossia tramite concorso pubblico per l’assunzione a tempo indeterminato:

a) aperto alla partecipazione dei candidati esterni in possesso dei requisiti richiesti per la qualifica da ricoprire, mediante la previsione di una riserva non superiore al 40 o al 50 per cento dei posti messi a concorso;

b) per titoli ed esami, finalizzati a valorizzare con apposito punteggio l'esperienza professionale maturata dal personale precario;

ma non mediante concorso interno interamente riservato;

- la materia della stabilizzazione dei precari, incidendo sull'ordinamento civile, è attribuita dall'art. 117 comma 2 lett. l) della Costituzione alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, per cui la Regione Siciliana non poteva esimersi dal rispetto dei commi 10, 11 e 12 dell'art. 17 del d.l. 1 luglio 2009, n. 78, convertito con modificazioni dalla l. 3 agosto 2009, n. 102, che circoscrive la possibilità di procedere alla stabilizzazione dei profili professionali inquadrati nelle categorie C e D ad una riserva di posti non superiore al 40% dei posti messi a concorso;

- anche la disposizione di cui all’art. 26 comma 6 della l.r. n. 8 del 2018, va intesa nel senso che le procedure concorsuali possano essere interamente “riservate” solo nell’ambito degli spazi assunzionali disponibili per le stabilizzazioni di personale precario (che non possono superare il cinquanta per cento della complessiva disponibilità dell’ente);
inammissibile;

- l’art. 22 della l.r. n. 1 del 2019, ammessane la retroattività, di dubbia legittimità, presenta seri dubbi di legittimità costituzionale, in relazione agli artt. 97 (principio del pubblico concorso) e 117, secondo comma, lett. l), Cost., e comunque sottrae le suddette stabilizzazioni ai vincoli previsti dall’art. 10 comma 10 del d.l. n. 78 del 2009, considerato che le normative regionali prorogate, anteriori al 2009, non prevedevano alcuno dei suddetti vincoli.

15.1. Rispetto a detti motivi questo CGARS ha rilevato, con ordinanza n. 1092 del 2021, ex art. 73 comma 3 c.p.a., che alcuni profili di censura sono stati introdotti per la prima volta in appello, con particolare riferimento alla doglianza con la quale parte appellante afferma che la disposizione di cui all’art. 26 comma 6 della l.r. n. 8 del 2018 andrebbe interpretata nel senso ivi prospettato, nonché la doglianza relativa all’illegittimità delle stabilizzazioni in quanto sottratte ai vincoli previsti dall’art. 17 comma 10 del d.l. n. 78 del 2009, considerato che le normative regionali prorogate, anteriori al 2009, non prevedevano alcuno dei suddetti vincoli.

Dette censure sono inammissibili in quanto il principio del doppio grado di giudizio che informa il processo amministrativo (se non nei casi previsti dallo stesso legislatore, quale il giudizio di ottemperanza di sentenza rese dal giudice di appello) impedisce di poter valutare motivi che siano stati proposti per la prima volta in appello.

Dal thema decidendum di questo secondo grado di giudizio devono quindi essere espunte dette censure.

16. Superate le questioni pregiudiziali può essere affrontato il merito del ricorso in appello.

17. Con il primo motivo l’appellante ha dedotto l’erroneità della sentenza appellata in quanto:

- il presupposto essenziale per l’applicazione dell’art. 20 del d. lgs. n. 75 del 2017, relativo alle stabilizzazioni del personale cd. precario, è che l’assunzione originaria sia avvenuta mediante procedure concorsuali e non semplice procedura selettiva;

- la procedura controversa viola i principi generali dell’ordinamento giuridico, compresa la regola del pubblico concorso per l'accesso agli impieghi di cui all'art. 97 comma 3 della Costituzione;

- la stabilizzazione del personale precario può avvenire attraverso una delle due procedure alternativamente previste dall’art. 17 del d.l. 1 luglio 2009 n. 78, ossia tramite concorso pubblico per l’assunzione a tempo indeterminato aperto alla partecipazione dei candidati esterni in possesso dei requisiti richiesti per la qualifica da ricoprire, mediante la previsione di una riserva non superiore al 40 o al 50 per cento dei posti messi a concorso, o per titoli ed esami, finalizzati a valorizzare con apposito punteggio l'esperienza professionale maturata dal personale precario, ma non mediante concorso interno interamente riservato;

- la materia della stabilizzazione dei precari, incidendo sull'ordinamento civile, è attribuita dall'art. 117 comma 2 lett. l) della Costituzione alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, per cui la Regione Siciliana non poteva esimersi dal rispetto dei commi 10, 11 e 12 dell'art. 17 del d.l. 1 luglio 2009, n. 78, convertito con modificazioni dalla l. 3 agosto 2009, n. 102, che circoscrive la possibilità di procedere alla stabilizzazione dei profili professionali inquadrati nelle categorie C e D ad una riserva di posti non superiore al 40% dei posti messi a concorso.

17.1. Il motivo è infondato.

17.2. La selezione controversa non è stata indetta ai sensi dell’art. 20 del d. lgs. n. 75 del 2017.

L’impugnato bando della selezione in esame è stato adottato con deliberazione 2 novembre 2017 n. 205 mentre l’art. 20 del d. lgs. n. 75 del 2017 è applicabile, in base alla formulazione iniziale, alle procedure bandite nel triennio 2018-2020, come confermato dal fatto che la lettera c) del comma 1 e la lett. b) del comma 2 prescrivono (nel testo vigente ratione temporis ) che il richiesto requisito dei tre anni di servizio deve essere maturato alla data del “ 31 dicembre 2017 ”.

La selezione controversa neppure costituisce attuazione dei commi 10 e 11 dell’art. 17, d.l. n. 78/2009, applicabili alle procedure bandite “ nel triennio 2010-2012 ”.

La selezione oggetto del presente giudizio è stata piuttosto indetta ai sensi dell’art. 3 della l.r. n. 27 del 2016, che infatti viene richiamato nel preambolo del bando e ha inteso risolvere la situazione di precariato nei confronti di personale assunto con modalità di lavoro flessibile a far tempo dal 2004 (così la relazione istruttoria del Comune di Palermo).

L’art. 3 comma 1 della l.r. n. 27 del 2016 dispone che, “al fine di realizzare il graduale superamento dell’utilizzo di personale con contratto di lavoro subordinato a tempo determinato, nei limiti del proprio fabbisogno e delle disponibilità di organico, fermo restando il rispetto degli obiettivi del saldo non negativo, in termini di competenza, tra le entrate e le spese finali e le norme di contenimento della spesa di personale, i comuni possono adottare le procedure previste dall’articolo 4, commi 6 e 8, del decreto legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, con priorità per le procedure di cui al comma 6, negli anni 2017 e 2018, aggiungendo, al limite finanziario fissato dall’articolo 35, comma 3 bis, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, le risorse previste dall’articolo 9, comma 28, ottavo periodo, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e successive modifiche ed integrazioni, in misura non superiore al loro ammontare medio relativo al triennio anteriore al 2016, a condizione che siano in grado di sostenere a regime la relativa spesa di personale e che prevedano nei propri bilanci la contestuale e definitiva riduzione del valore di spesa utilizzato per le assunzioni a tempo indeterminato dal tetto di cui al predetto articolo 9, comma 28, in ogni caso senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le assunzioni secondo le procedure di cui al presente comma sono regolate con contratto di lavoro a tempo indeterminato, anche parziale, che, per singola unità lavorativa, in termini di costo complessivo annuo e di giornate lavorative nonché per gli aspetti connessi all’inquadramento giuridico ed economico, è uguale a quello relativo al contratto a tempo determinato in essere al 31 dicembre 2015”.

Il richiamato comma 6 dell’art. 4 del d.l. n. 101 del 2013 stabilisce che “A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino al 31 dicembre 2016, al fine di favorire una maggiore e più ampia valorizzazione della professionalità acquisita dal personale con contratto di lavoro a tempo determinato e, al contempo, ridurre il numero dei contratti a termine, le amministrazioni pubbliche possono bandire […] procedure concorsuali, per titoli ed esami, per assunzioni a tempo indeterminato di personale non dirigenziale riservate esclusivamente a coloro che sono in possesso dei requisiti di cui all’articolo 1, commi 519 e 558, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e all’articolo 3, comma 90, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, nonché a favore di coloro che alla data di pubblicazione della legge di conversione del presente decreto hanno maturato, negli ultimi cinque anni, almeno tre anni di servizio con contratto di lavoro subordinato a tempo determinato alle dipendenze dell’amministrazione che emana il bando, con esclusione, in ogni caso, dei servizi prestati presso uffici di diretta collaborazione degli organi politici”.

Il combinato disposto delle due disposizioni, dunque, consente alle amministrazioni di svolgere selezioni riservate interamente al personale in possesso dei requisiti di cui all’art. 1 commi 519 e 558 della l. n. 296 del 2006 e all’art. 3 comma 90 della l. n. 244 del 2007, ossia, in estrema sintesi, al personale in servizio a tempo determinato da almeno tre anni. La finalità è quella di ridurre il cd. precariato e, al contempo, di valorizzare le professionalità acquisite dai lavoratori a tempo determinato.

Si rileva innanzitutto che il richiamo, effettuato dall’art. 3 comma 1 della l.r. n. 27 del 2016, al comma 6 dell’art. 4 del d.l. n. 101 del 2013 consente di superare la censura relativa alla violazione della competenza esclusiva dello stato in materia di ordinamento civile (art. 117 comma 2 lettera l) della Cost.) in quanto la procedura controversa risulta disciplinata dalla legge dello Stato del 2013.

La stessa finalità dell’art. 3 comma 1 della l.r. n. 27 del 2016 ( “realizzare il graduale superamento dell’utilizzo di personale con contratto di lavoro subordinato a tempo determinato ”) è perseguita dal legislatore con l’art. 20 della l. n. 75 del 2017, che prevede, sempre con l’obiettivo di salvaguardare la posizione del lavoratore precario (pubblico), di stabilizzare il personale assunto da almeno tre anni con contratto a tempo determinato (comma 1) e di bandire concorsi parzialmente riservati a favore del personale con rapporto di lavoro flessibile da almeno tre anni, anche non continuativi (comma 2).

Allo stesso modo la precedente previsione volta al superamento del precariato, contenuta nell’art. 17 del d.l. n. 78 del 2009, individua, con riferimento alle annualità dal 2010 al 2012, due modalità per detto superamento, la stabilizzazione dei lavoratori in servizio a tempo determinato da almeno tre anni (comma 12) o l’indizione di concorsi pubblici parzialmente riservati ai medesimi lavoratori (comma 10) o con previsione di punteggio che li valorizzi (comma 11).

Nell’ordinamento, dunque, coesistono due differenti tipi di disposizioni.

Vi sono norme generali sul reclutamento dei dipendenti nelle p.a. attraverso lo strumento (obbligatorio) del pubblico concorso, le quali si fanno carico della problematica del “precariato storico” prevedendo strumenti, quali le riserve di posti o specifici punteggi, che si articolano all’interno delle ordinarie procedure concorsuali, e non pongono pertanto problemi di costituzionalità in tal senso.

Vi sono poi norme speciali sulla stabilizzazione del precariato che, perseguendo il duplice interesse pubblico di rimuovere le conseguenze dell’illecito derivante dall’abuso della reiterazione dei contratti a termine e, al tempo stesso, di avvalersi delle professionalità così acquisite dai dipendenti precari, prevedono, in deroga alle norme generali sull’accesso con pubblico concorso, specifiche (speciali, appunto) procedure riservate esclusivamente a tali dipendenti precari che abbiano maturato determinati requisiti.

La previsione di assunzioni dirette, senza procedura concorsuale, contenuta sia nell’art. 20 comma 1 del d. lgs. n. 75 del 2017, sia nell’art. 17 comma 12 del d.l. n. 78 del 2009, costituisce una rilevante eccezione al principio del concorso pubblico di cui agli artt. 51 e 97 Cost., la cui inderogabilità è stata più volte ribadita dalla Corte costituzionale.

Con sentenza n. 277 del 22 novembre 2013 la Corte costituzionale ha affermato il principio della illegittimità delle norme che prevedono le stabilizzazioni di personale precario delle pubbliche amministrazioni senza richiedere la necessità del superamento di un concorso pubblico, ossia a semplice domanda.

Diversa è l’ipotesi presa in esame dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 205 del 26 maggio 2006 n. 205, con cui pure è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale di una disposizione dettata da una legge regionale che prevedeva una riserva di posti in favore di coloro che semplicemente avessero prestato servizio presso l’Amministrazione.

In sintesi, dal quadro delle enunciazioni contenute nelle varie sentenze della Corte costituzionale discende che il principio del pubblico concorso, di cui è corollario quello del limite alla riserva di posti al personale interno, ammette deroghe ove queste non appaiano immotivate, ma sorrette da consistenti ragioni di interesse pubblico.

Orbene, le disposizioni cui il Comune di Palermo ha dato applicazione, ossia l’art. 3 della l.r. n. 27 del 2016 ed il comma 6 dell’art. 4 del d.l. n. 101 del 2013, non appaiono in contrasto con la Carta costituzionale, per almeno due ragioni:

- per un verso in quanto il rapporto di lavoro a tempo indeterminato non viene costituito sulla base di una semplice domanda (come nell’ipotesi di cui alla sopra citata sentenza della Corte cost. n. 277 del 2013), ma a mezzo di una procedura selettiva, per titoli ed esami (valutazione project work e colloquio);

- e, per altro verso, in quanto le selezioni sono riservate a chi abbia maturato un’anzianità quale lavoratore a tempo determinato di almeno tre anni, con la conseguenza che la stabilizzazione realizza il fine (espressamente dichiarato dalla citata disposizione nazionale) “ di favorire una maggiore e più ampia valorizzazione della professionalità acquisita dal personale con contratto di lavoro a tempo determinato e, al contempo, di ridurre il precariato.

In altre parole il combinato disposto dell’art. 3 della l.r. n. 27 del 2016 e del comma 6 dell’art. 4 del d.l. n. 101 del 2013 consente l’effettuazione di una procedura intermedia fra le due previste dall’art. 20 del d. lgs. n. 75 del 2017 e dall’art. 17 del d.l. n. 78 del 2009, nella quale viene assunto a tempo indeterminato personale avente una determinata anzianità di servizio (personale in servizio a tempo determinato da almeno tre anni) attraverso una procedura concorsuale. Così facendo viene assicurata l’effettuazione di una procedura concorsuale (nei termini indicati infra ), come richiesto dalla Corte costituzionale (su cui infra ), avente come platea soggetti titolari di contratto di lavoro flessibile per un certo numero di anni (così come previsto dalla procedura di stabilizzazione di cui all’art. 20 del d. lgs. n. 75 del 2017 e dall’art. 17 del d.l. n. 78 del 2009).

Il meccanismo di inserimento dei lavoratori precari nell’organico a tempo indeterminato delle amministrazioni ai sensi dell’art. 3 comma 1 della l.r. n. 27 del 2016 rappresenta quindi una modalità meno dirompente (rispetto alla regola del concorso pubblico) di quella prevista dall’art. 20 comma 1 della l. n. 75 del 2017, che dispone la stabilizzazione del personale a tempo determinato senza pubblico concorso, pur richiedendo che la precedente assunzione (a tempo determinato) sia avvenuta a seguito di pubblico concorso.

Non può infatti dubitarsi che la procedura di cui al bando impugnato sia da annoverare nell’ambito delle selezioni concorsuali.

Per concorso si intende infatti la procedura di valutazione comparativa sulla base dei criteri e delle prove fissate in un bando da parte di una commissione esaminatrice con poteri decisori e destinata alla formazione di una graduatoria finale di merito dei candidati, mentre al di fuori di questo schema l’individuazione del soggetto cui conferire l’incarico costituisce l’esito di una valutazione di carattere discrezionale, che rimette all’amministrazione la scelta, del tutto fiduciaria, del candidato da collocare in posizione di vertice, ancorché ciò avvenga mediante un giudizio comparativo tra curricula diversi.

In particolare, le selezioni del secondo tipo, che sfuggono al regime tipico delle procedure concorsuali, “ indipendentemente dall'esperimento o meno di apposite prove, si caratterizzano per la valutazione meramente fiduciaria dei candidati, in quanto non prevedono la formazione, nei termini vincolanti dell'esercizio di una discrezionalità di ordine tecnico, affidata a soggetti esperti, di una definitiva graduatoria di merito ” (Cons. St. sez. III, 11 novembre 2021 n. 7536).

La procedura in esame, nella quale è prevista la valutazione dei titoli e lo svolgimento di esami, valutazione project work e colloquio, sono predeterminati i criteri di valutazione, è nominata una commissione giudicatrice ed è prevista l’approvazione di una graduatoria e la nomina dei vincitori, non può che essere annoverata fra le procedure concorsuali, seppur riservata, con la conseguenza che è rispettato il canone dell’effettuazione di una procedura concorsuale per l’immissione in ruolo e che non si tratta di stabilizzazione effettuata sulla base di una mera domanda.

Né, allorquando si disquisisce in merito alla legittimità di un concorso riservato, si mette in dubbio, sulla base del criterio di ammissione, la natura concorsuale o meno della procedura comparativa, che è ancorata piuttosto alle modalità di svolgimento della medesima.

In ogni caso la giurisprudenza costituzionale ha ritenuto legittime le deroghe alla regola dell’accesso mediante pubblico concorso in presenza di peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico idonee a giustificarle e purché le forme di reclutamento diverse dal concorso riguardino singoli casi e si attuino secondo modalità predeterminate dal legislatore che rispondano a criteri di ragionevolezza che non contraddicano i principi di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione. Tra le eccezioni consentite vi è quella finalizzata a garantire alla pubblica amministrazione l’esigenza di consolidare specifiche esperienze professionali maturate all’interno e non acquisibili all’esterno, dovendosi escludere tale evenienza quando le procedure di stabilizzazione del personale precario siano indiscriminate o comunque si risolvano in un privilegio per determinate categorie (sentenza n. 227 del 2021).

In tale prospettiva le disposizioni volte al superamento del precariato nella pubblica amministrazione non sono sospettabili di illegittimità costituzionale in riferimento agli artt. 51 e 97 Cost. Esse costituiscono piuttosto “ uno strumento di reclutamento derogatorio rispetto a quello ordinario del pubblico concorso, in quanto introducono un percorso riservato ad una platea ristretta di soggetti, che risultino in possesso di determinati requisiti e abbiano maturato un determinato periodo di esperienza lavorativa in ambito pubblico, secondo dettagliate disposizioni previste da specifiche leggi ” (Corte cost., 21 dicembre 2021 n. 250). L’art. 20, in particolare, ha introdotto una normativa a portata temporale limitata, applicabile in presenza di requisiti rigorosi e predeterminati, atti a valorizzare la pregressa esperienza professionale maturata in un arco di tempo ragionevolmente prolungato ed in relazione alle medesime attività svolte. “ La scelta legislativa appare conforme a criteri di ragionevolezza perché limitata a soggetti che già hanno superato una pubblica selezione ed anche in linea con i principi di uguaglianza e di imparzialità per la piena e uniforme utilizzazione della 22 professionalità maturata dagli aspiranti alla stabilizzazione in un periodo prossimo all’entrata in vigore della normativa di favore ” (Cons. St., sez. V, 14 febbraio 2022 n. 1052).

Del resto, la disciplina recata dalla normativa sopra richiamata (art. 3 comma 1 della l.r. n. 27 del 2016, art. 20 comma 1 della l. n. 75 del 2017 e art. 17 del d.l. n. 78 del 2009) si pone al crocevia, da un lato, delle regole che disciplinano l’accesso all’impiego presso le pubbliche amministrazioni e, dall’altro lato, delle disposizioni che tutelano i lavoratori precari.

Invero, la regolamentazione del contratto a tempo determinato e, più ampiamente, delle forme di impiego flessibili nella pubblica amministrazione, è contenuta, nelle sue linee generali, nell’art. 36 del d. lgs. 30 marzo 2001, n. 165, che prevede, quale principio generale, quello secondo cui “[p] er le esigenze connesse con il proprio fabbisogno ordinario le pubbliche amministrazioni assumono esclusivamente con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato seguendo le procedure di reclutamento previste dall’articolo 35 ” (comma 1) e aggiunge che il ricorso alla flessibilità, sempre nel rispetto delle medesime modalità di reclutamento, è consentito “ soltanto per comprovate esigenze di carattere esclusivamente temporaneo o eccezionale ” (comma 2).

Il comma 5 dell’art. 36 del d. lgs. n. 165 del 2001 stabilisce, infatti, che, “[i] n ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione. Il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative ”.

Il divieto della trasformazione del rapporto a tempo indeterminato è espressamente richiamato dal d. lgs. n. 81 del 2015 nell’ambito delle norme deputate alla disciplina del lavoro a tempo determinato (art. 29, comma 4).

Sicché, nel caso di illegittimo ricorso al contratto a termine, la forma di tutela del lavoratore pubblico consiste nello strumento risarcitorio, a differenza di quanto avviene nel sistema privatistico, dove è previsto il rimedio reintegratorio.

La Corte costituzionale “ ha da tempo chiarito (sentenza n. 89 del 2003) che tale diversificazione, tra il settore pubblico e il settore privato, della disciplina dei rimedi dell’inosservanza delle regole imperative sul contratto di lavoro a termine non si traduce in una illegittima e discriminatoria riduzione della tutela attribuita al pubblico dipendente, ma integra la necessaria implicazione dell’esigenza di rispettare il canone espresso dall’ultimo comma dell’art. 97 Cost., secondo cui agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge;
canone che, a sua volta, costituisce proiezione del principio di eguaglianza, il quale esige che tutti, secondo capacità e merito, valutati per il tramite di una procedura di concorso, possano accedere all’impiego pubblico e che all’opposto non consente l’accesso in ruolo stabile per altra via, tanto più se segnata da illegalità
” (Corte cost. 21 dicembre 2021 n. 250).

Il frequente ricorso, da parte delle pubbliche amministrazioni, ai contratti a termine, di formazione e lavoro, di somministrazione e, in genere, alle forme contrattuali flessibili – pur consentito solo per esigenze di carattere esclusivamente temporaneo o eccezionale, ma spesso reiterato oltre i previsti limiti temporali – ha determinato situazioni di precariato, cronicizzate nel tempo.

Ciò ha indotto il legislatore ad introdurre procedure di stabilizzazione, finalizzate all’obiettivo dell’assorbimento dei lavoratori precari nel personale stabile con contratti a tempo indeterminato, con una previsione di legge che supera il divieto di trasformazione del rapporto di lavoro flessibile in rapporto di lavoro a tempo indeterminato per via individuale e rimediale.

Le procedure di stabilizzazione costituiscono, da un lato, uno strumento di reclutamento derogatorio rispetto a quello ordinario del pubblico concorso ma, dall’altro lato, rappresentano la modalità individuata dal legislatore per superare il precariato, e la forma di discriminazione che esso comporta allorquando si protende per un lasso di tempo consistente, considerata la previsione del solo rimedio risarcitoria nel settore pubblico.

La sentenza della Corte di giustizia UE, sez. X, 25 ottobre 2018 in C-331/17 ha chiarito che “ poiché la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale non consente in nessuna ipotesi, nel settore di attività delle fondazioni lirico-sinfoniche, la trasformazione dei contratti di lavoro a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato, essa può instaurare una discriminazione tra lavoratori a tempo determinato di detto settore e lavoratori a tempo determinato degli altri settori, poiché questi ultimi, dopo la conversione del loro contratto di lavoro in caso di violazione delle norme relative alla conclusione di contratti a tempo determinato, possono diventare lavoratori a tempo indeterminato comparabili ai sensi della clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro ”.

La clausola 4 punto 1 dell’Accordo quadro “ Principio di non discriminazione” , allegato alla direttiva 1999/70/CE, stabilisce che “ Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive ”.

La Corte di giustizia in quel caso ha posto a confronto lavoratori a tempo determinato di diversi settori e ha accertato in tal modo la discriminazione subita in particolare da quelli del settore delle fondazioni lirico-sinfoniche.

Più recentemente nella sentenza della Corte di giustizia UE, sez. II, 20 giugno 2019 nella causa in C72/18 sono state definite le “ ragioni oggettive ” di cui alla clausola 4 punto 1.

La Corte era chiamata a stabilire se la clausola 4 punto 1 dell’accordo quadro debba essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale che riserva il beneficio di un’integrazione salariale agli insegnanti assunti nell’ambito di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato in quanto funzionari di ruolo, con esclusione segnatamente degli insegnanti assunti a tempo determinato come impiegati amministrativi a contratto.

La Corte ha quindi richiamato la propria giurisprudenza sull’esatta nozione di “ ragioni oggettive ” che permettono, senza incorrere in un’ingiustificata discriminazione, un differente trattamento nei confronti di lavoratori a tempo determinato, quanto alle condizioni di impiego, rispetto a lavoratori a tempo indeterminato con mansioni identiche o simili (tenuto conto delle qualifiche/competenze).

Ebbene, secondo la Corte, perché siano ravvisabili tali rilevanti “ ragioni oggettive ”, si “ richiede che la disparità di trattamento constatata sia giustificata dalla sussistenza di elementi precisi e concreti, che contraddistinguono il rapporto di impiego di cui trattasi, nel particolare contesto in cui s’inscrive e in base a criteri oggettivi e trasparenti, al fine di verificare se tale disparità risponda a una reale necessità, sia idonea a conseguire l’obiettivo perseguito e risulti a tal fine necessaria. Tali elementi possono risultare, segnatamente, dalla particolare natura delle funzioni per l’espletamento delle quali sono stati conclusi contratti a tempo determinato e dalle caratteristiche inerenti alle medesime o, eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro ”.

Alla luce di tali considerazioni, la Corte ha dichiarato “ che la clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro deve essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che riserva il beneficio di un’integrazione salariale agli insegnanti assunti nell’ambito di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato in quanto funzionari di ruolo, con esclusione, in particolare, degli insegnanti assunti a tempo determinato come impiegati amministrativi a contratto, se il compimento di un determinato periodo di servizio costituisce l’unica condizione per la concessione di tale integrazione salariale ”.

In assenza delle suddette ragioni oggettive, pertanto, la reiterazione di contratti a tempo determinato presso le amministrazioni pubbliche costituiscono una forma di discriminazione.

Sicché il legislatore, nel bilanciare le contrapposte esigenze sottese alla tematica in esame (tutela del precariato e accesso per pubblico concorso), ha individuato strumenti volti a inserire il personale assunto a tempo determinato nel ruolo dei tempi indeterminati, così assicurando ad alcune condizioni la tutela in forma specifica assicurata nel settore privato, pur richiedendo il previo espletamento di una procedura selettiva pubblica, o precedentemente all’instaurazione del rapporto a tempo determinato o per la trasformazione di quest’ultimo in rapporto a tempo indeterminato.

In tale contesto non si giustificano gli argomenti sostenuti da parte appellante, in quanto la procedura seguita non contrasta con l’impostazione che emerge dalla giurisprudenza, costituzionale, eurounitaria e interna, circa la compatibilità delle modalità di superamento del precariato nelle amministrazioni con le coordinate del sistema.

Né rileva il rispetto dei commi 10, 11 e 12 dell'art. 17 del d.l. n. 78 del 2009, che circoscrive la possibilità di procedere alla stabilizzazione dei profili professionali inquadrati nelle categorie C e D mediante concorsi pubblici con una riserva di posti non superiore al 40% dei posti messi a concorso, al rispetto della programmazione triennale del fabbisogno nonché dei vincoli finanziari previsti dalla normativa vigente in materia di assunzioni e di contenimento della spesa di personale secondo i rispettivi regimi limitativi fissati dai documenti di finanza pubblica, , con possibilità di valorizzare nei concorsi per titoli ed esami l'esperienza professionale maturata dal personale di cui trattasi con l'attribuzione di un apposito punteggio.

Allo stesso modo non rileva la circolare n. 1 del 6 maggio 2011 della Presidenza della Regione Siciliana e la circolare n. 5 del 2013 della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della Funzione Pubblica.

La prima precisa che, ai sensi dell'art. 6 della l.r. 29 dicembre 2010 n. 24, le amministrazioni interessate ai processi di stabilizzazione sono tenute al rispetto delle seguenti disposizioni:

- commi 10, 11 e 12 dell'art. 17 del d.l. n. 78 del 2009;

- principio di programmazione triennale del fabbisogno di personale;

- limiti di invarianza della spesa previsti dall’art. 13, comma 1, della l.r. n. 24/2010;

- disposizioni di cui all’art. 1 commi 562 e 557 della l. n. 296/2006;

- art. 76 comma 7 e art. 76-bis del d.l. n. 112 del 2008.

La circolare n. 5 del 2013, al punto 3.7, rinvia all’art.35 comma 3-bis del d. lgs. n. 165 del 2001, indicando che “ per coloro che hanno i requisiti di cui alla lettera a) del medesimo articolo, può essere prevista nel bando una riserva di posti non superiore al 40% di quelli banditi, in tal caso il concorso è pubblico e per esami ”.

Si rileva infatti, al riguardo, che la procedura di cui all’art. 3 comma 1 della l.r. n. 27 del 2016 costituisce un’ipotesi di superamento del precariato non assimilabile ai concorsi con riserva di posti, qualunque sia la fonte che le prevede, comprese quelle cui fa cenno parte appellante nel ricorso in appello, basandosi su condizioni e procedure diverse (compresa la selezione concorsuale).

D’altro canto il rispetto delle norme di contenimento della spesa (siano quelle previste dal combinato disposto dell’art. 3 della l.r. n. 27 del 2016 e dal comma 6 dell’art. 4 del d.l. n. 101 del 2013, o quelle previste dall’art. 17 del d.l. n. 78 del 2009 o dall’art. 20 del d. lgs. n. 75 del 2017) si riverberano all’interno dell’ordinamento contabile (sulla relativa responsabilità), non comportando conseguenze nell’ordinamento giuridico generale se non nei casi espressamente previsti dal legislatore. Sicché il meccanismo della stabilizzazione e quello delle procedure concorsuali riservate soggiace a precisi vincoli di bilancio che ne devono garantire, e preservare, la sostenibilità finanziaria, che finisce per costituire il limite esterno, invalicabile, “ a pena di illecito disciplinare e di conseguente responsabilità erariale ” (Cons. St., comm. spec., parere 11 aprile 2017 n. 422 del 2017), non riverberandosi, invece, sulla legittimità degli atti impugnati. E ciò in disparte dal fatto che le risorse a copertura delle assunzioni controverse, sulla base dell’art. 3 della l.r. n. 27 del 2016, derivano dalle risorse previste per i contratti di lavoro flessibili di cui all’art. 9 comma 28 del d.l. n. 78 del 2010, in misura non superiore al loro ammontare medio nel triennio antecedente al 2016, fatta salva la sostenibilità a regime della relativa spesa, con contestuale e definitiva riduzione del valore di spesa utilizzato per le assunzioni a tempo indeterminato dal tetto di cui al predetto art. 9 comma 28 (aspetti sui quali si è soffermato il Comune di Palermo nella relazione istruttoria depositata).

18. Con il secondo motivo l’appellante ha posto all’attenzione del CGARS la questione dell’inutilizzabilità dell’art. 22 della l.r. n. 1 del 2019 al fine di stabilire la portata applicativa dell’art. 3 della l.r. n. 27 del 2016 in materia di stabilizzazione del personale precario, laddove stabilisce che “ Le disposizioni di cui all'articolo 3 della legge regionale n. 27/2016 e di cui all'articolo 26, comma 6, della legge regionale 8 maggio 2018, n. 8 sono da intendersi relative a procedure di reclutamento straordinario volte al superamento del precariato storico, che prescindono dalle procedure rivolte all'esterno e sono interamente riservate ai soggetti richiamati nel medesimo articolo 26 ”.

18.1. Il motivo è infondato.

18.2. Innanzitutto la censura non è contenuta nel ricorso di primo grado, come eccepito dagli intervenienti con memoria depositata il 25 novembre 2021, ed è quindi inammissibile.

18.3. In ogni caso si rappresenta come la disposizione rispetti i canoni di ammissibilità, dettati dalla Corte costituzionale e dalla Corte EDU, per le disposizioni di interpretazione autentica.

Il legislatore può infatti adottare norme di interpretazione autentica in presenza di incertezze sull'applicazione di una disposizione o di contrasti giurisprudenziali, purché la scelta imposta dalla legge rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario, così rendendo vincolante un significato ascrivibile ad una norma anteriore (Corte cost. 11 giugno 2010 n. 209). Al riguardo “ si tratta di accertare se la retroattività della norma, il cui divieto non è stato elevato a dignità costituzionale, salvo il disposto dell'art. 25, secondo comma, Cost., trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non contrasti con altri valori e interessi costituzionalmente protetti ” (Corte cost. 21 marzo 2011 n. 93). La Corte richiama quindi i limiti generali all'efficacia retroattiva delle leggi individuati nella propria giurisprudenza: limiti attinenti alla salvaguardia di principi costituzionali, tra cui il principio generale di ragionevolezza, che si riflette nel divieto d'introdurre ingiustificate disparità di trattamento;
la tutela dell'affidamento legittimamente sorto nei soggetti, quale principio connaturato allo stato di diritto;
la coerenza e la certezza dell'ordinamento giuridico;
il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario.

Con riguardo al sindacato sulle leggi retroattive, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha costantemente ritenuto che, in linea di principio, non è precluso al potere legislativo regolamentare in materia civile, con nuove disposizioni dalla portata retroattiva, diritti risultanti da leggi in vigore. Essa ha precisato che “ il principio della preminenza del diritto e il concetto di processo equo sanciti dall’art. 6 ostano, salvo che per imperative ragioni di interesse generale, all’ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia al fine di influenzare l’esito giudiziario di una controversia» e ha aggiunto che «l’esigenza della parità fra le parti implica l’obbligo di offrire a ciascuna parte una ragionevole possibilità di presentare la propria causa senza trovarsi in una situazione di netto svantaggio rispetto alla controparte ” (Corte EDU, sentenze 25 marzo 2014, Biasucci e altri

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