CGARS, sez. I, sentenza 2022-02-18, n. 202200219

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Sul provvedimento

Citazione :
CGARS, sez. I, sentenza 2022-02-18, n. 202200219
Giurisdizione : Consiglio Di Giustizia Amministrativa per la Regione siciliana
Numero : 202200219
Data del deposito : 18 febbraio 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 18/02/2022

N. 00219/2022REG.PROV.COLL.

N. 00495/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA

Sezione giurisdizionale

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 495 del 2021, proposto dal sig. -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati A S e G S, con domicilio digitale come da p.e.c. da Registri di Giustizia;

contro

Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato presso la cui sede distrettuale, in Palermo, via Valerio Villareale, n.6, è ex lege domiciliato;

per la riforma

della sentenza n.-OMISSIS-resa dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, sezione staccata di Catania (sez. I^);

e per l’annullamento o per la declaratoria di nullità

della nota del 21 gennaio 2020 prot. n. -OMISSIS- con cui l’Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata ha opposto rifiuto alla richiesta del ricorrente di ottemperare al giudicato formatosi sull’ordinanza dell’ordinanza emessa in data 11 gennaio 2019 dal Tribunale di Catania – Sezione Misure di prevenzione, depositata il 17 gennaio 2019, resa nell’ambito del giudizio n. -OMISSIS-Reg. Inc. Es.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione resistente;

Visti tutti gli atti della causa;

Nominato relatore nella camera di consiglio del giorno 13 ottobre 2021 il cons. Carlo Modica de Mohac e uditi per le parti gli avvocati come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO



1. Con decreto n.-OMISSIS-, il Tribunale di Catania - Sezione Misure di Prevenzione confiscava al sig. -OMISSIS-, ai sensi degli articoli 1 e 2/ter della l. n. 575/1965, alcuni cespiti patrimoniali tra cui figuravano le quote della società -OMISSIS- s.r.l., nonché il saldo attivo del suo conto corrente personale (recante il numero -OMISSIS-) presso la Banca Nazionale del Lavoro di Catania.

La confisca veniva confermata dalla Corte d’Appello di Catania con decreto del 28 febbraio 2007 e dalla Corte di Cassazione con sentenza del 29 novembre 2007.

L’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (nel prosieguo del ricorso indicata come “Agenzia nazionale” o “Agenzia per i beni confiscati”), che gestiva i beni confiscati, autorizzava l’amministratore e liquidatore della Società -OMISSIS-, a presentare - per conto della stessa - un’istanza di ammissione alla procedura di concordato preventivo.

Per far fronte alle spese di tale procedura concordataria, il predetto amministratore prelevava dal conto corrente personale (di cui si è fatto cenno) del sig. -OMISSIS- la somma di €.75.000 affinché venissero destinati a ‘deposito cauzionale’.

Tale somma veniva pertanto trasferita, il 28 marzo 2012, in un libretto di deposito aperto dal liquidatore e vincolato all’ordine del Giudice Delegato.

La procedura di concordato aveva tuttavia esito negativo, sicchè la società -OMISSIS- veniva dichiarata fallita, ed il deposito cauzionale di €.75.000 veniva impiegato per far fronte ai costi per il pagamento dei compensi di competenza del legale e del commercialista incaricati dall’amministratore.



2. Successivamente, con ordinanza del 18 febbraio 2013 n.-OMISSIS-, la seconda sezione penale della Corte d’Appello di Catania, in accoglimento dell’istanza presentata dal signor -OMISSIS-, disponeva la revocazione del decreto di confisca, disponendo la trasmissione degli atti alla sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Catania affinché si provvedesse alla restituzione di tutti i beni confiscati.

Ma, una volta effettuata tale operazione, il sig. -OMISSIS- riscontrava la mancanza della somma di 75.000 euro dal predetto proprio conto corrente personale.



3. Pertanto - avendo ottenuto la revocazione dell’originario decreto di confisca e vantando il conseguente diritto alla integrale restituzione con effetti ex tunc di tutti i beni confiscati ab origine - chiedeva la restituzione della somma al Giudice Delegato della procedura fallimentare.

Ma all’udienza di verifica del 4 novembre 2014, quest’ultimo si dichiarava incompetente, affermando la competenza della Sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Catania.

Avverso tale decreto del Giudice delegato, l’interessato proponeva opposizione al Tribunale di Catania – sez. fallimentare.



4. Non ostante l’avvenuta proposizione - in funzione tuzioristica - della predetta opposizione, il 24 novembre 2015 il Signor -OMISSIS- proponeva, la domanda restitutoria anche alla Sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Catania, la quale - tuttavia - con ordinanza del 3 dicembre 2015, la rigettava affermando che la somma prelevata dal conto corrente personale del richiedente risultava ormai acquisita all’attivo del fallimento, con la conseguenza che ogni domanda di rivendica o di riconoscimento del debito avrebbe dovuto essere riservata alla cognizione esclusiva del Giudice Fallimentare.



5. A fronte di tale conflitto negativo di giurisdizione, l’interessato proponeva ricorso innanzi la Corte di Cassazione la quale - qualificato il ricorso come opposizione avverso il provvedimento impugnato (nella specie: l’ordinanza del 3 dicembre 2015 con la quale la sezione Misure di prevenzione aveva affermato la competenza del Tribunale Fallimentare) - con sentenza del 7 luglio 2015 disponeva la trasmissione degli atti al Tribunale di Catania, Sezione Misure di Prevenzione per l’ulteriore corso dell’esecuzione dell’obbligo di restituzione.



6. Poco più di dieci mesi dopo, con decreto del 13 maggio 2016 il Tribunale di Catania - sez. Fallimentare affermava - decidendo così sulla opposizione avverso la decisione del Giudice delegato illo tempore proposta - che la richiesta di restituzione della somma in questione avrebbe dovuto essere formulata nei confronti dell’Agenzia per i beni confiscati, quale unico soggetto tenuto a “...disporre la restituzione di quanto oggetto di confisca …”.



7. Il sig. -OMISSIS- proponeva, pertanto, un’ennesima azione giudiziaria convenendo - questa volta - l’Agenzia nazionale innanzi al Tribunale Civile di Catania ai sensi dell’articolo 702 bis del codice di procedura civile (ric. RG n.-OMISSIS-).



8. Nel frattempo con ordinanza del 27 aprile 2017 il Tribunale di Catania - sezione Misure di prevenzione rigettava per la seconda volta la richiesta di restituzione.



9. Sicchè al Signor -OMISSIS- proponeva nuovamente ricorso innanzi la Corte di Cassazione la quale, con la sentenza n.-OMISSIS-annullava l’ordinanza impugnata disponendo (per la seconda volta) la trasmissione degli atti alla competente Sezione Misure di prevenzione per un nuovo esame.

10. A questo punto con ordinanza dell’11 gennaio 2019 (depositata il 17 gennaio 2019 e notificata all’Agenzia dei beni confiscati il 18 gennaio 2019), il Tribunale di Catania, Sezione Misure di prevenzione - preso atto della ampia e significativa motivazione contenuta nella citata sentenza della Corte di Cassazione e dei principi di diritto con essa affermati - ha ordinato la restituzione al Signor -OMISSIS-, “… a cura dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, della somma di euro 75.000,00, prelevata dal c\c n. -OMISSIS- acceso presso la Banca Nazionale del Lavoro di Catania, intestato al detto -OMISSIS-, oggetto di revocazione della confisca con ordinanza della Corte di Appello di Catania del 18.02.2013...” .

11. E poco più di sei mesi dopo, con sentenza n. -OMISSIS-la Corte d’appello di Catania dichiarava l’intervenuta estinzione dell’appello proposto avverso l’ordinanza (ex art.702 c.p.c.) del 27 novembre 2018 (resa sul ricorso n.-OMISSIS-) con cui nel frattempo il Tribunale di Catania aveva respinto il ricorso proposto dal sig. -OMISSIS-.

12. Sulla scorta di tali pronunzie, il 9 luglio 2019 il sig. -OMISSIS- chiedeva all’Agenzia dei beni confiscati la restituzione della somma (di €.75.000,00) della quale risulta creditore.

Ma con provvedimento del 21 gennaio 2020 l’Agenzia nazionale ha opposto rifiuto alla richiesta affermando (ed eccependo) la sua intenzione di aderire al “prevalente giudizio reso in sede civile” - e cioè, ad avviso dell’Amministrazione, al giudicato formatosi sulla sentenza n.-OMISSIS-della Corte d’appello di Catania, sostanzialmente confermativa dell’ordinanza ex art.701 c.p.c. resa il 27 novembre 2018 dal Tribunale di Catania - secondo cui non sussisterebbe alcun obbligo di restituzione a carico dello Stato.

13. Il Signor -OMISSIS- ha quindi proposto ricorso per l’esecuzione dell’ordinanza del Tribunale di Catania - Sezione Misure di prevenzione del 17 gennaio 2019 (divenuta irrevocabile il 7 febbraio 2019) innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale di Catania che con la sentenza n.-OMISSIS-, lo ha rigettato.

Con la predetta sentenza, il Tribunale Amministrativo Regionale ha ritenuto, innanzitutto, che il ricorso per l’esecuzione del giudicato (formatosi sulla ordinanza dell’11 gennaio 2019 (depositata il 17 gennaio 2019), fosse (e sia da ritenere) inammissibile in quanto il ricorrente, pur procedendo mediante giudizio di ottemperanza, ha omesso di notificare preventivamente il titolo esecutivo all’Amministrazione.

Ciò avrebbe violato l’art.14 del d.l. n.669 del 1996 (convertito in legge 30/1997) in quanto, ad avviso del Giudice di primo grado, “… risulta chiaro che esso ha inteso rendere obbligatoria, sempre e in ogni caso, la preventiva notifica del titolo esecutivo, come condizione di ammissibilità dell’esecuzione forzata, in disparte la previsione dell’art. 479 c.p.c. .

Il Tribunale Amministrativo Regionale ha inoltre ritenuto che il ricorso in ottemperanza fosse (e sia) anche infondato nel merito;
e ciò in quanto il giudicato del Giudice ordinario (nella specie: quello formatosi con la sentenza n.-OMISSIS- della Corte d’appello di Catania) prevarrebbe sul giudicato nascente dall’ordinanza (che ha ordinato la restituzione) resa dalla Sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Catania.

14. Con l’appello in esame l’interessato ha impugnato la predetta sentenza n.-OMISSIS- del Tribunale Amministrativo Regionale di Catania e ne chiede l’annullamento per le conseguenti statuizioni conformative e di condanna.

Ritualmente costituitasi, l’Agenzia nazionale ha eccepito l’infondatezza del gravame.

Nel corso del giudizio entrambe le parti hanno insistito nelle rispettive domande ed eccezioni.

Infine, all’udienza fissata per la discussione conclusiva sul merito del ricorso, la causa è stata posta in decisione.

DIRITTO

15. L’appello è fondato.

15.1. Con il primo mezzo di gravame il ricorrente lamenta l’ingiustizia dell’impugnata sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art.14 del d.l. n.669/1996, convertito in l. n.30/1997, deducendo che il Giudice di primo grado ha errato nel ritenere il ricorso inammissibile in ragione ed a cagione della omessa notificazione del titolo esecutivo prima della proposizione del ricorso per ottemperanza.

La doglianza merita accoglimento.

15.1.1. Il Giudice di primo grado ha ritenuto che il ricorso per ottemperanza proposto dal sig. -OMISSIS- sia (innanzitutto) inammissibile (prim’ancora che addirittura infondato) in quanto il predetto ricorrente ha proposto l’azione esecutiva senza aver preventivamente notificato all’Amministrazione il “titolo esecutivo” (e cioè l’ordinanza dell’11 gennaio 2019, depositata il 17 gennaio 2019 che ha definitivamente disposto che la somma indebitamente sottratta dal suo conto corrente gli fosse restituita).

Ad avviso del Giudice di primo grado tale “onere” (di notifica) deriverebbe - come già cennato nella parte dedicata alla ricostruzione dei fatti - dal tenore ( rectius : dalla corretta esegesi) dell’art.14, comma 1, del decreto legge 669/1996 convertito con modificazione in legge n.30/1997;
norma che stabilisce che “… le amministrazioni dello Stato completano le procedure per l’esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali e dei lodi arbitrali aventi efficacia esecutiva e comportanti l’obbligo di pagamento di somme di denaro entro il termine di centoventi giorni dalla notificazione del titolo esecutivo. Prima di tale termine il creditore non può procedere ad esecuzione forzata né alla notifica di atto di precetto” .

Secondo il detto Giudice tale norma avrebbe introdotto implicitamente l’obbligo di notifica del titolo esecutivo in qualsiasi procedimento volto ad ottenere l’esecuzione di un provvedimento girisdizionale.

Senonché, ad avviso del Collegio l’argomentazione del Giudice di primo grado - che ha accolto in pieno la tesi difensiva proposta dall’Amministrazione appellata (Agenzia per i beni confiscati) - non merita di essere condivisa.

La ratio dell’art.14, comma 1, del d.l. n.669/1996 (convertito in l. n.30/1997) non è affatto quella di introdurre l’onere della preventiva notifica del titolo esecutivo anche nel giudizio di ottemperanza - ed invero, se il Legislatore avesse inteso introdurre tale onere lo avrebbe sancito espressamente (anziché lasciarlo desumere indirettamente) - ma, unicamente, quella di concedere alle Amministrazioni statali una dilazione di pagamento di centoventi giorni decorrenti dalla richiesta di corresponsione della somma dovuta.

Da un’attenta lettura della norma in esame emerge chiaramente che il riferimento alla “notificazione” è formulato in senso “a/tecnico” (e che il termine è adoperato in senso ampio e generale): lo si desume dal fatto che il Legislatore ha accordato la dilazione in questione non solamente nell’ambito del “processo di esecuzione” , ma nell’ambito di qualunque “procedura” volta ad ottenere l’esecuzione di qualsiasi provvedimento giudiziario avente efficacia esecutiva , e dunque anche di quelle che non implicano alcuna notifica del titolo esecutivo.

Il che significa, all’evidenza:

- non già - e non certo, contrariamente a quanto affermato nell’appellata sentenza - che il Legislatore abbia inteso modificare (la disciplina di) tutte le procedure esecutive alternative al “processo di esecuzione” regolato dal Libro III del codice di procedura civile, omologandole - con una disposizione così sintetica, per non dire sommaria - ad esso (o comunque introducendo anche per esse i medesimi requisiti prescritti per la domanda giudiziale introduttiva dell’ archetipica azione ivi regolamentata);

- ma, molto più semplicemente, che abbia solamente inteso sancire che nell’ambito di ogni (dunque: di qualsiasi) procedura volta ad ottenere da un’Amministrazione statale una somma di denaro in forza di un titolo esecutivo (pur se la notifica di quest’ultimo non sia contemplata come atto propedeutico e necessario), occorre che alla predetta “debitrice” venga inderogabilmente concessa la dilazione in questione .

Ciò che dunque è essenziale , nel paradigma normativo in esame (ed al fine di realizzare la ratio innovativa della norma):

- non è il fatto che nell’ambito del procedimento venga effettuata una formale notifica del titolo esecutivo all’Amministrazione debitrice;

- ma che a quest’ultima venga effettivamente accordata la prescritta dilazione .

E del resto gli artt. 112, 113, 114 e 115 del codice del processo amministrativo, che disciplinano il giudizio di ottemperanza, non prevedono affatto - tassativamente e neanche espressamente - alcun onere (né tampoco alcun obbligo o dovere ) di preventiva formale notifica del titolo esecutivo (e, al riguardo, l’art.114 si premura di sottolineare che l’azione può essere proposta addirittura “anche senza previa diffida”). Il che lascia intendere che ciò che effettivamente rileva ai fini della corretta instaurazione dell’azione in questione (i requisiti che si passa ad elencare devono sussistere tutti) è:

- che sia fornita la prova incontrovertibile che l’Amministrazione abbia ricevuto la domanda volta all’ottenimento dell’esecuzione del provvedimento giudiziale (rimasto poi ineseguito);

- che il titolo esecutivo esista e sia perfetto ;

- e che sia fornita la prova che anche quest’ultimo (il titolo esecutivo sulla scorta del quale si procede) sia stato portato a conoscenza dell’Amministrazione , e sia stato da essa acquisito in forma autentica, unitamente alla predetta domanda.

Mentre non occorre affatto - è il caso di ribadirlo - che il titolo esecutivo sia trasmesso all’Amministrazione mediante notifica ( rectius : che sia esso stesso notificato), pur se ciò è quanto di regola accade;
né, comunque, che sia munito di “formula esecutiva” (cfr. art.115, comma 2, c.p.a.).

E non v’è ragione per ritenere che l’art.14, comma 1, del d.l. n.669/1996 (convertito in l. n.30/1997) abbia inteso modificare tale struttura generale del giudizio di ottemperanza;
e con essa quella di qualsiasi altra azione volta ad ottenere l’esecuzione di provvedimenti giudiziari (tra i quali quelli adottati in sede penale o nell’ambito dei procedimenti di prevenzione).

15.1.2. Tanto sopra premesso in via preliminare e generale, va comunque rappresentato e sottolineato che nella fattispecie per cui è causa non si può in alcun modo affermare che la notifica del titolo esecutiva sia realmente mancata ;
e che l’Amministrazione non sia stata posta (e non fosse dunque) a conoscenza dell’esistenza del titolo esecutivo per cui è causa e della pretesa dell’interessato di veder finalmente realizzato - dopo anni di ingiusta attesa - il suo diritto all’ottenimento della restituzione della somma illegittimamente sottrattagli.

Ed invero la Difesa del ricorrente non ha mancato di rappresentare (comprovandolo anche documentalmente):

- che la notifica dell’ordinanza oggetto del presente giudizio di ottemperanza (ordinanza del 17 gennaio 2019 resa dal Tribunale di Catania, Sezione Misure di Prevenzione) è stata eseguita dalla stessa Cancelleria del Tribunale il 18 gennaio 2019, che la ha anche corredata - in calce - della certificazione attestante il fatto che non era stata impugnata;

- e di aver formalmente invitato l’Amministrazione, con nota del 9 luglio 2019 - dunque a seguito della predetta notifica ed avendo riscontrato che era rimasta senza effetto - ad eseguirne la disposizione restitutoria, precisando che il giudicato si era perfezionato fin dal 7 febbraio 2019, circostanza anche questa attestata da idonea certificazione della Cancelleria della sezione Misure di prevenzione del predetto Tribunale.

Unitamente a tale diffida il ricorrente ha poi nuovamente notificato l’ordinanza della quale chiedeva l’esecuzione.

15.1.3. Quanto, infine al rispetto del termine dilatorio richiesto dal più volte menzionato art. 14, comma 1, del d.l. n.669/1996 (convertito in l. n.30/1997), è sufficiente osservare che dalla data di avvenuta notifica - effettuata con le modalità sopra indicate - del provvedimento giudiziario da eseguire (18 gennaio 2019) alla data di proposizione della domanda introduttiva del giudizio di ottemperanza (20 maggio 2020) è trascorso ben più di un anno - mentre dalla data della diffida ad adempiere (9 luglio 2019) a quest’ultima, sono trascorsi comunque più di nove mesi - senza che l’Amministrazione abbia concluso il procedimento volto alla restituzione della somma dovuta.

Il che non appare giustificabile.

15.2. Con il secondo mezzo di gravame il ricorrente lamenta l’ingiustizia dell’impugnata sentenza per violazione degli artt. 112 e seguenti del codice del processo amministrativo, nonché degli artt. 324, 338, 393 e 702 quater del codice civile, deducendo che il Giudice di primo grado ha errato nell’aver ritenuto che l’ordinanza (-OMISSIS-) dell’11 gennaio 2019 resa dal Tribunale di Catania (Sezione Misure di prevenzione) e la sentenza n.-OMISSIS-resa dalla Corte d’appello, abbiano determinato un contrasto di giudicati ;
e che comunque fra essi debba prevalere quello successivamente formatosi in forza della sentenza in ultimo menzionata.

La doglianza merita accoglimento.

15.2.1. Il Giudice di primo grado ha ritenuto che la sentenza n.-OMISSIS-della Corte d’appello di Catania, dichiarativa dell’estinzione del processo (ed intervenuta successivamente all’ordinanza -OMISSIS-dell’11 gennaio 2019 del Tribunale di Catania - Sezione Misure di prevenzione) abbia determinato la “reviviscenza” o comunque il definitivo consolidamento (e dunque il passaggio in giudicato ) dell’ordinanza (ex art.702 c.p.c.) del 27 novembre 2018 (resa sul ricorso n.-OMISSIS-) con cui il Tribunale di Catania aveva respinto il ricorso proposto dal sig. -OMISSIS- (avendo ritenuto che quest’ultimo non avesse diritto alla restituzione della somma richiesta).

In altri termini, secondo il Giudice di primo grado sarebbe stata proprio ed unicamente la sentenza del 19 giugno 2019 della Corte d’appello di Catania l’atto giuridico che ha determinato il passaggio in giudicato dell’ordinanza (reiettiva) pronunziata (ex art.702 c.p.c.) dal Tribunale Civile di Catania. E proprio per questa ragione, secondo la tesi qui riportata, la data da tener presente per stabilire quale sia il “giudicato più recente” (e dunque quello “concretamente definitivo”) sarebbe quella di pubblicazione della predetta sentenza della Corte d’appello, che è l’ ultima intervenuta nel contenzioso in esame.

Per quanto accattivante e ben esposto, l’impianto argomentativo del Giudice di primo grado non convince.

Va preliminarmente osservato e dato atto che le due considerazioni preliminari dalle quali esso prende le mosse sono certamente condivisibili.

La giurisprudenza è infatti concorde e consolidata da tempo ormai risalente nel ritenere:

a) che anche le ordinanze ex art. 702- bis c.p.c. siano suscettibili di passaggio in giudicato ( ex aliis , Cass civ., n. 11465 del 2013);

b) e che fra due giudicati contrastanti debba prevalere quello successivo e più recente , e cioè il secondo (ed ultimo) in ordine di tempo (Cass. civ. S.U. 30 aprile 2008, n. 10867;
Cass. civ, 21 dicembre 1983, n. 7530;
29 agosto 1986 n.531, n. 6406 del 23 giugno 1999 n.6406;
26 febbraio 1998 n.2082;
27 gennaio 1993 n.997;
25 gennaio 1993 n.833).

Ciò su cui, invece, il Collegio non ritiene di poter concordare con l’assunto emergente dalla impugnata sentenza è che nel caso dedotto in giudizio la sentenza del 19 giugno 2019 della Corte d’appello - che in ordine di tempo è effettivamente l’ultima , dunque la più recente - abbia determinato l’ultimo e definitivo giudicato sulla vicenda .

A ben guardare, infatti, con tale sentenza la Corte d’appello si è limitata a dichiarare l’intervenuta estinzione del processo in corso ;
pronunzia di rito, questa, che è di per sé inidonea a produrre direttamente - e cioè senza alcun rinvio ad (e senza l’ausilio, in funzione logico-deduttiva, di) un’altra pronunzia (e comunque con efficacia solamente ex nunc ) - un qualsiasi giudicato di merito ;
che in quanto tale abbia la forza di travolgere altre precedenti pronunzie di merito .

Ed infatti:

- se è vero - come ritiene il Giudice di primo grado - che è stata la pronunzia di rito (dichiarativa dell’estinzione del processo in corso) della Corte d’appello a determinare la reviviscenza e, conseguentemente, il successivo definitivo consolidamento e dunque il passaggio in giudicato - s’intende: per mancata impugnazione - dell’ordinanza ex art.702 c.p.c. resa l’11 gennaio 2019 dal Tribunale di Catania (Sezione Misure di prevenzione);

- non appare parimenti revocabile in dubbio che tale “effetto rivitalizzante” - sia consentita l’espressione immaginifica - sull’ordinanza in questione debba giocoforza (essere fatto) retroagire alla data di scadenza del termine per la proposizione dell’appello;
e cioè alla data in cui, in assenza di azione giudiziaria il provvedimento originariamente impugnato (e poi - a seguito dell’estinzione del processo - lasciato pacificamente sopravvivere), sarebbe divenuto inoppugnabile e dunque definitivo.

Se così non fosse, se - cioè - la piena “reviviscenza” dell’ordinanza de qua - e dunque la sua capacità di produrre effetti (e di consolidarsi, ove non impugnata) - fosse fatta decorrere solamente dalla data della pronunzia dichiarativa della estinzione del processo (dunque solamente per il futuro ), si verificherebbe una illogica ed inspiegabile - s’intenda: sotto il profilo dogmatico - soluzione di continuità dell’efficacia del predetto provvedimento giudiziale;
e si dovrebbe giungere all’assurda conclusione che una sentenza di mero rito non abbia determinato (ovvero - se si analizzi la questione astrattamente - possa non determinare, in alcuni casi, come quello in esame) pieni effetti ripristinatori della situazione quo ante .

E, ciò che esprime il medesimo concetto, si dovrebbe giungere ad ammettere che un’ azione giudiziale “interrotta” ( rectius : estintasi) abbia potuto (e possa) finire con il determinare qualche effetto sostanziale .

Il che è parimenti palesemente assurdo.

Se così è, come incontrovertibilmente appare - se, cioè, è vero che la sentenza di rito della Corte d’appello (dichiarativa dell’estinzione del processo), lungi dal determinare un sostanziale “giudicato” ( id est : una “regiudicata” in senso sostanziale, implicante un accertamento), ha solamente consentito che l’ordinanza impugnata (con l’azione poi estintasi) si “consolidasse” passando “naturalmente” in giudicato come se l’impugnativa non vi fosse stata (in ciò essendosi risolto, com’è corretto che sia, il suo effetto meramente ripristinatorio) e dunque per decorso del termine di impugnazione - ne consegue che le due pronunzie contrastanti che si contendono il campo sono:

- l’ordinanza ex art.702 del 27 novembre 2018, con cui il Tribunale civile di Catania ha statuito che la somma rivendicata dal ricorrente non gli debba essere restituita;

- e l’ordinanza dell’11 gennaio 2019 (depositata il 17 gennaio successivo) che, per contro , ha statuito l’obbligo dell’Agenzia per le confische di restituire la somma in questione.

Mentre la sentenza della Corte d’appello - inidonea, per quanto detto, a determinare un giudicato sostanziale - resta completamente “fuori gioco”.

E poiché fra le due ordinanze in contrasto quella successiva è l’ordinanza dell’11 gennaio 2019, è proprio questa che deve prevalere e che prevale .

15.2.2. Ma v’è una ulteriore ragione che supporta il convincimento secondo cui nella fattispecie non possa che prevalere il giudicato sostanziale (su quello, meramente formale, veicolato dalla più recente sentenza della Corte d’appello).

L’art.393 del codice di procedura civile stabilisce, in tema di ricorso per cassazione, che “… se la riassunzione non avviene entro il termine di cui all’articolo precedente, o si avvera successivamente ad essa una causa di estinzione del giudizio di rinvio, l’intero processo si estingue;
ma la sentenza della Corte di Cassazione conserva il suo effetto vincolante anche nel nuovo processo che sia instaurato con la proposizione della domanda
”.

Ora, nel caso dedotto in giudizio con la sentenza n. -OMISSIS-- le cui considerazioni si richiamano integralmente - la Corte di Cassazione ha analiticamente spiegato le ragioni per le quali al ricorrente va restituita la somma da lui rivendicata .

E poiché tali ragioni confliggono con quelle che hanno condotto il Tribunale civile di Catania a respingere nel merito la domanda restitutoria del ricorrente, è evidente che debbano prevalere i principii di diritto e le statuizioni contenute nella sentenza della Corte di cassazione e/o da essa desumibili.

16. In considerazione delle superiori osservazioni, il ricorso va accolto, con conseguente annullamento della sentenza impugnata e della nota provvedimentale con la quale l’Agenzia per i beni confiscati ha rifiutato di ottemperare al giudicato nascente dall’ordinanza n.-OMISSIS-dell’11 gennaio 2018 (depositata il 17 gennaio successivo).

Va inoltre dichiarato giudizialmente l’obbligo dell’Amministrazione di provvedere senza alcun ulteriore indugio, e comunque entro e non oltre quarantacinque giorni, a restituire al ricorrente la somma di €.75.000,00, maggiorata degli interessi legali maturati e maturandi dalla data di scadenza dei singoli ratei fino all’effettivo soddisfo, ma non anche - non trattandosi di debito di valore (Cass., n.22664 del 5 novembre 2015) e restando comunque impregiudicata ogni questione risarcitoria - del corrispettivo per rivalutazione monetaria.

Per il caso di persistente inottemperanza o inerzia si appalesa opportuno nominare fin d'ora Commissario ad acta il Direttore dell’Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, conferendogli mandato, con facoltà di delega, di adottare - entro l'ulteriore termine di quarantacinque giorni decorrente dalla scadenza di quello assegnato - i provvedimenti necessari per dare esecuzione alla sentenza.

Alla soccombenza dell’Amministrazione resistente non può che seguire - in mancanza di esimenti che il Collegio non ravvisa - la sua condanna al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in dispositivo.

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