CGARS, sez. I, sentenza breve 2024-02-14, n. 202400110

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Sul provvedimento

Citazione :
CGARS, sez. I, sentenza breve 2024-02-14, n. 202400110
Giurisdizione : Consiglio Di Giustizia Amministrativa per la Regione siciliana
Numero : 202400110
Data del deposito : 14 febbraio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 14/02/2024

N. 00110/2024REG.PROV.COLL.

N. 00985/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA

Sezione giurisdizionale

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm.
sul ricorso numero di registro generale 985 del 2023, proposto da
F.lli Maggiore di Maggiore G &
C. S.n.c., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato A C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Assessorato Regionale del Territorio e dell'Ambiente – Struttura Territoriale dell'Ambiente di Agrigento, in persona dell’Assessore pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Palermo, domiciliataria ex lege in Palermo, via Valerio Villareale, 6;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia n. 1965/2023, resa tra le parti

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Assessorato del Territorio e dell’Ambiente;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 22 novembre 2023 il Cons. Maurizio Antonio Pasquale Francola e uditi per le parti gli avvocati come specificato nel verbale;

Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

La vicenda scaturisce dalla presentazione in data 28 gennaio 2014 dell’istanza con la quale la F.lli Maggiore di Maggiore G &
C. s.n.c. ha domandato all’Assessorato Regionale Territorio e Ambiente il rilascio, ai sensi dell’art. 36 cod. nav., della concessione demaniale marittima occorrente per l’utilizzo sia di uno specchio acqueo idoneo a consentire la collocazione di un pontile galleggiante, sia dello spazio sulla banchina necessario per la collocazione del relativo portale d’ingresso, da realizzarsi nel porto di Lampedusa.

Il 27 novembre 2014 l’Ente Gestore della Riserva Naturale Isola di Lampedusa esprimeva parere favorevole.

Dopo oltre tre anni dalla presentazione dell’istanza, l’Assessorato avviava in data 5 giugno 2019 l’istruttoria per acquisire i pareri degli Enti proposti alla tutela di interessi sensibili coinvolti.

Dopo di che, con nota del 7 aprile 2022 ed ossia dopo oltre otto anni dalla presentazione dell’istanza, l’Assessorato comunicava il preavviso di diniego, con l’invito a presentare osservazioni che la società accoglieva, formulando i propri rilievi rispetto alle rilevate ragioni ostative al rilascio della chiesta concessione demaniale marittima.

L’Amministrazione, con nota del 16 giugno 2022, concludeva il procedimento in senso non favorevole alla società, disponendo l’archiviazione dell’istanza.

Con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado la società ricorrente impugnava il predetto diniego opposto dall’Assessorato Regionale Territorio e Ambiente, domandandone l’annullamento, previa sospensione cautelare degli effetti.

Con ordinanza cautelare n. 586 del 7 ottobre 2022, l’adito T.A.R. accoglieva l’istanza cautelare, invitando l’Amministrazione a riesaminare la domanda della società ricorrente.

Con nota del 10 novembre 2022, l’Amministrazione confermava il precedente diniego.

Avverso siffatto atto di conferma la società proponeva i seguenti motivi aggiunti:

1) violazione del giudicato cautelare e dei principi in tema di partecipazione al procedimento amministrativo;

2) violazione e falsa applicazione degli artt. 12 e ss. del regolamento al codice della navigazione – violazione e falsa applicazione dell’art. 542 del regolamento al codice della navigazione – violazione e falsa applicazione dell’art. 7 L.R. n. 4/2003 – violazione e falsa applicazione della L.R. n. 13/2007 – violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi posti dalla legge 241/90 e dalla legge reg. n. 7/2019 in tema di conferenza di servizi, soccorso istruttorio e partecipazione nel procedimento – violazione e falsa applicazione degli artt. 18 e 30, L.R. n. 7/2019 – eccesso di potere per travisamento dei fatti – eccesso di potere per difetto d’istruttoria – eccesso di potere per manifesta irragionevolezza – violazione del principio di buon andamento – violazione del principio di non aggravamento del procedimento.

Il T.A.R., dopo avere respinto l’ulteriore istanza cautelare presentata dalla ricorrente, definiva il giudizio di primo grado con la pronuncia della sentenza n. 1965/2023, pubblicata il 14 giugno 2023, dichiarando improcedibile il ricorso introduttivo, rigettando i motivi aggiunti e compensando le spese di lite.

Secondo l’adito T.A.R., in particolare, i motivi aggiunti non sarebbero fondati poiché: 1) non domandando al Comune di Lampedusa-Linosa la Valutazione di Incidenza Ambientale, la società non avrebbe espletato un adempimento necessario a fronte dell’inclusione dell’area in questione nella ZPS ITA040013, così serbando, con la mancata attivazione della procedura di V.INC.A. ex art. 6 D.P.R. n. 120/2003, una condotta omissiva costituente, di per sé, ragione ostativa insuperabile all’accoglimento dell’istanza;
2) non sarebbe configurabile alcun silenzio assenso sull’istanza, neanche tenuto conto della Relazione di Valutazione di Incidenza depositata dalla società, poiché l’art. 17 bis L.n. 241/1990 invocato opera nei procedimenti tra Pubbliche Amministrazioni e non anche nei rapporti con i privati;
3) non rileverebbe che sul progetto si sia espresso l’Ente gestore della riserva naturale (che ai sensi dell’art. 5 co. 7 D.P.R. n. 357/1997 deve essere sentito), non risultando che la società abbia chiesto la valutazione di incidenza attivando il sub-procedimento autonomo all’uopo necessario;
3) non sarebbe decisivo il richiamo all’intervento sostitutivo dell’Assessorato, presupponendo l’esercizio di questo potere un’apposita istanza che, comunque, non è stata presentata all’ente competente in prima battuta;
4) la violazione del giudicato e delle prerogative partecipative al procedimento non rileverebbero a fronte della correttezza sostanziale della decisione assunta dall’Amministrazione.

Con il proposto appello, la società ricorrente censurava le conclusioni alle quali era pervenuto il giudice di prime cure in virtù delle argomentazioni indicate in sentenza, insistendo per l’accoglimento delle doglianze dedotte con i motivi aggiunti avverso l’impugnato provvedimento di conferma del diniego della chiesta concessione demaniale marittima.

L’Assessorato Regionale Territorio e Ambiente si costituiva opponendosi all’accoglimento dell’appello.

Nel corso della camera di consiglio del giorno 8 novembre 2023 fissata per la trattazione dell’istanza cautelare di sospensione dell’esecutività della sentenza appellata ai sensi dell’art. 98 c.p.a. e per la conseguente concessione delle invocate misure cautelari, il Collegio avvertiva le parti ex art. 60 c.p.a. della possibilità che l’appello fosse definito con la pronuncia di una sentenza in forma semplificata.

DIRITTO

Il Consiglio ritiene che il giudizio possa essere definito in esito all’udienza cautelare con sentenza ai sensi dell’articolo 60 del Cod. Proc. Amm., essendo trascorsi almeno venti giorni dall’ultima notificazione, non essendovi necessità di integrare il contraddittorio, risultando completa l’istruttoria e non avendo alcuna delle parti dichiarato di voler proporre motivi aggiunti ai sensi dell’art. 104 c.p.a.

I. – Il parziale passaggio in giudicato della sentenza di primo grado.

Con il proposto appello, si lamenta l’erroneità della decisione assunta dal giudice di primo grado in relazione al provvedimento impugnato con i motivi aggiunti, prendendo, invece, atto della declaratoria di improcedibilità del ricorso introduttivo pronunciata in ragione della qualificazione del secondo diniego opposto quale conferma del primo già emanato.

Al riguardo, osserva il Consiglio che l’utilizzo in cautelare dell’ordinanza propulsiva di riesame (nota anche come “ remand ”) deve essere propedeutico a sancire un assetto interinale del rapporto dedotto in giudizio nella prospettiva di salvaguardarne gli interessi coinvolti dal nocumento potenzialmente configurabile durante l’attesa della pronuncia di merito, ma non può essere preordinato a stimolare – né tantomeno ordinare – una cessazione della materia del contendere.

Posto, infatti, che l’Amministrazione interessata è a conoscenza delle doglianze del ricorrente in ragione della notifica del ricorso, un eventuale ripensamento in ordine al mantenimento degli effetti del provvedimento impugnato può certamente provenire dalla medesima Autorità che ne sia autrice, non occorrendo all’uopo un apposito ordine cautelare del giudice amministrativo che, se adottato, sortirebbe l’effetto pratico di anticipare il verdetto dell’ipotetica futura sentenza di accoglimento, senza però i relativi vantaggi sul piano dell’effetto conformativo, posto che i parametri di riferimento ai quali la riedizione del potere dovrebbe in questi casi attenersi dipenderebbero, pur sempre, da un atto giurisdizionale interinale e non conclusivo potenzialmente foriero di ampliare e complicare l’oggetto del contendere, anziché semplificarlo, in caso di successiva conferma del provvedimento già impugnato della cui illegittimità si discute, in ragione del conseguente onere di proposizione di motivi aggiunti ed ulteriore aggravio di costi (peraltro spesso non indifferenti già soltanto a considerare l’entità del contributo unificato) per la parte ricorrente interessata ad evitare la conclusione del processo con una pronuncia in rito di improcedibilità del ricorso introduttivo per sopravvenuta carenza di interesse.

Diversamente, qualora l’Amministrazione si pronunciasse in senso favorevole al ricorrente con un atto idoneo a realizzare l’interesse sostanziale sotteso alla proposizione del ricorso, non si determinerebbe sempre e comunque il venir meno della ragione del contendere, prospettandosi all’uopo un nuovo tema di indagine per il giudice amministrativo motivato dalla necessità di ricostruire gli effetti sostanziali e processuali riconducibili alla decisione amministrativa sopravvenuta nell’ottica di verificare se l’Amministrazione si sia determinata autonomamente ovvero in mera esecuzione dell’ordine giudiziale, pronunciato al fine di cautelare – nelle more della definizione della controversia nel merito – la situazione giuridica soggettiva vantata dalla parte ricorrente.

Ed invero, mentre nella prima ipotesi l’Amministrazione detta una regula iuris del rapporto amministrativo tendenzialmente stabile, definita nel perseguimento dell’interesse pubblico affidato alla sua cura, autonomamente e indipendentemente dall’esecuzione di un’ordinanza cautelare all’uopo emessa, condividendo le censure contestate dal ricorrente e riscontrate in sede cautelare, al fine di attuare un nuovo assetto di interessi, sostitutivo di quello censurato in giudizio, idoneo a governare il rapporto amministrativo corrente con la controparte, nella seconda ipotesi, il provvedimento sopravvenuto viene assunto al solo fine di ottemperare ad un comando giudiziale, realizzando, per l’effetto, un assetto di interessi per propria natura interinale, destinato ad essere caducato in caso di esito del giudizio favorevole all’Amministrazione procedente.

Il diverso atteggiarsi della volontà provvedimentale influisce, peraltro, non soltanto sulla stabilità, sul piano sostanziale, del provvedimento sopravvenuto, ma anche e correlativamente sull’andamento, sul piano processuale, del giudizio corrente tra le parti.

Difatti, qualora l’Amministrazione adotti il provvedimento in mera esecuzione dell’ordinanza cautelare e tale provvedimento sia favorevole al ricorrente, si assiste ad una doverosa ottemperanza dell’ordine giurisdizionale, che non influirà sulla procedibilità del ricorso, ma consentirà soltanto la cautela della situazione giuridica soggettiva azionata in attesa dell’approfondito esame, proprio della sede di merito, delle questioni sollevate dalle parti, componenti il thema decidendum ancora da risolvere in sede giurisdizionale.

Diversamente, qualora il provvedimento sopravvenuto sia stato soltanto occasionato dall’ordinanza cautelare, condividendo l’Amministrazione la necessità di rimuovere i vizi di legittimità rilevati ad un sommario esame proprio della sede cautelare, alla stregua di quanto sopra precisato, viene integrata una fattispecie di cessata materia del contendere, da dichiarare con sentenza di merito (art. 34, comma 5, c.p.a.), attraverso cui accertare l’avvenuta realizzazione dell’interesse sostanziale sotteso alla proposizione del ricorso, per effetto di una determinazione amministrativa assunta autonomamente in pendenza del giudizio (Consiglio di Stato, Sez. VI, 19 settembre 2018, n. 5466).

Pertanto, i provvedimenti sopravvenuti adottati nell’ambito di un giudizio in cui sia stato emesso un ordine cautelare teso a imporre l’adozione di atti favorevoli al ricorrente o la riedizione del potere secondo criteri conformativi enucleati nel provvedimento giurisdizionale interinale da eseguire raramente risolvono il contenzioso, risolvendosi, per lo più, in atti di ottemperanza che se favorevoli al ricorrente non elidono la materia del contendere e se sfavorevoli, ossia se di conferma del provvedimento già impugnato con il ricorso introduttivo, onerano il ricorrente alla proposizione di motivi aggiunti, divenendo forieri di un aggravio processuale, sul piano dei costi e dei tempi di definizione del giudizio, a fronte dell’ampliamento del thema decidendum .

Pertanto, i principi di strumentalità ed interinalità propri della tutela cautelare, impongono un ricorso all’ordinanza propulsiva di riesame soltanto in funzione di proteggere la sfera giuridica della parte processuale nelle more della definizione del giudizio, senza pregiudicare la soluzione nel merito della controversia, e non di stimolare una cessazione della materia del contendere tenuto conto dell’inesauribilità del potere amministrativo, persistente in capo alla parte pubblica anche in pendenza del giudizio, che consente all’Amministrazione di riesaminare i provvedimenti censurati in sede giurisdizionale, spontaneamente pervenendo ad una rinnovata regolazione del rapporto sostanziale.

In siffatte ipotesi, qualora il ricorso palesi ragioni di fondatezza, è, dunque, opportuno concludere il giudizio con la pronuncia di una sentenza in forma semplificata ai sensi dell’art. 60 c.p.a., piuttosto che ricorrere ad un’ordinanza propulsiva statuente l’obbligo di riesame in considerazione delle dedotte censure di illegittimità ritenute contraddistinte da un fumus boni iuris .

In proposito, in senso ulteriormente critico nei confronti della somministrazione della tutela cautelare a mezzo del c.d. remand , cfr. il decreto cautelare monocratico di questo Consiglio 27 gennaio 2024, n. 61.

Nel caso in esame, l’ordinanza cautelare n. 586/2022, rilevando profili di fondatezza nel ricorso introduttivo, ha imposto il riesame dell’istanza della società ricorrente che l’Amministrazione ha eseguito adottando un nuovo provvedimento di diniego, in seguito impugnato con motivi aggiunti e divenuto il nuovo oggetto del contendere.

E poiché quest’ultimo è stato qualificato quale atto di conferma del provvedimento precedentemente impugnato, il ricorso introduttivo è stato dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.

Siffatta statuizione non è stata impugnata con il proposto appello.

Pertanto, la sentenza in parte qua è comunque passata in giudicato.

II. – Il primo motivo di appello .

Con il primo motivo di appello, coincidente con il primo dei motivi aggiunti proposti nel giudizio di primo grado, si lamenta l’illegittimità del provvedimento di diniego impugnato per violazione del giudicato cautelare di accoglimento nonché per l’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento e del preavviso di diniego.

II.

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