CGARS, sez. I, sentenza 2014-07-10, n. 201400397

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Sul provvedimento

Citazione :
CGARS, sez. I, sentenza 2014-07-10, n. 201400397
Giurisdizione : Consiglio Di Giustizia Amministrativa per la Regione siciliana
Numero : 201400397
Data del deposito : 10 luglio 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00475/2013 REG.RIC.

N. 00397/2014REG.PROV.COLL.

N. 00475/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA

in sede giurisdizionale

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso n. 475/ 2013 R.G. proposto da:
COCCHIARA GIUSEPPE, n.q. di rappresentante legale della Cooperativa Agricola “POGGIO DIANA”;

GUDDEMI MATTEO, SMERAGLIA ANTONINO, LATINO GIIOVANNA, LO CASCIO CALOGERO, tutti n.q. di soci della Cooperativa Agricola ‘POGGIO DIANA,
rappresentati e difesi dall'avv. G R, con domicilio eletto presso G R in Palermo, via G. Oberdan n. 5;

contro

MINISTERO POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI – Dipartimento delle politiche di sviluppo economico e rurale, Direzione Generale Sviluppo Agroalimentare, Qualità e Tutela del Consumatore, in persona del legale rappresentante
PREFETTURA DI AGRIGENTO, in persona del Prefetto legale rappresentante pro tempore ;

Tutti rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura dello Stato, presso la cui sede Distrettuale in Palermo, via A. De Gasperi, n. 81, sono domiciliati ;

per la riforma

della sentenza del TAR SICILIA - PALERMO (Sez. I) n. 00962/2013, resa tra le parti, concernente: Esclusione da benefici l.237/93- Accollo dello stato di garanzie di soci di cooperativa.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'Udienza Pubblica del giorno 19 marzo 2014 il Cons. Giuseppe Mineo e uditi per le parti gli avvocati G. Rubino e avv. di Stato La Spina;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Viene in discussione l’appello avverso la sentenza citata in epigrafe, con la quale il TAR, con condanna alle spese del giudizio, ha respinto il ricorso per l’annullamento della nota prot. n. 0002936 del 25 febbraio 2009, con la quale il Ministero intimato ha disposto l’esclusione dei ricorrenti dai benefici di cui alla L. n. 237/1993, concernente l’accollo da parte dello Stato delle garanzie prestate dai soci della cooperativa ‘Poggio Diana’, nonché delle note della Prefettura di Agrigento n. 2004/7272, n. 2005/641 e n. 2007/2078;
e per l’accesso agli atti specificatamente indicati nell’istanza depositata in data 2 luglio 2009.

Nel giudizio si sono costituite le Amministrazione appellate.

Nell’Udienza del 19 marzo 2014 l’appello è stato trattenuto per la decisione.

DIRITTO

Il primo Giudice ha respinto il ricorso dopo aver ritenuto che le informative impugnate, dalle quali è derivata l’esclusione dai benefici richiesti risultano fondate sul coinvolgimento nella cooperative di cui i ricorrenti fanno parte - ed in relazione alla quale i benefici sono stati richiesti – di C C, C F e C V. A nulla rilevando, come ex adverso eccepito per escludere l’influenza dei suddetti soggetti nell’attività della cooperativa, che C C sia deceduto nel 1983, mentre i di lui figli F e V non siano mai stati soci della cooperativa ‘Poggio Diana’, benché tale qualifica sia stata dichiarata all’atto della richiesta del beneficio in oggetto, in qualità di eredi di C C, a causa della erronea formulazione della modulistica di pertinenza.

Gli odierni appellanti hanno denunciato in questa sede la erroneità della decisione resa in prime cure, chiedendone la riforma sulla base di motivi di censura che il Consiglio ritiene fondati per le ragioni che qui di seguito si precisano.

Come espressamente richiamata dalla difesa della parte appellante, la più attenta giurisprudenza del Consiglio di Stato, ben consapevole delle finalità di ordine pubblico e della complessa tipologia di valori ed interessi chiamati in causa dalla disciplina delle informative prefettizie antimafia, si è da tempo ispirata ad un indirizzo per la quale, premesso che “ il procedimento amministrativo in materia di informativa antimafia è autonomo rispetto a quello giurisdizionale penale, non essendo necessario per il primo un grado di dimostrazione probatoria analogo a quello richiesto per dimostrare l’appartenenza di un soggetto ad associazioni di tipo camorristico o mafioso...” , tuttavia “per evitare il travolgimento dei pilastri fondanti dell’ordinamento, quali i principi di legalità e di certezza del diritto, non possono ritenersi sufficienti fattispecie fondate sul semplice sospetto o su mere congetture prive di riscontro fattuale, mentre occorre che siano individuati idonei e specifici elementi di fatto, obiettivamente sintomatici e rivelatori di concrete connessioni o collegamenti operativi con le predette associazioni ” ( Cons. Stato, V, n. 4135/2006).

Con i superiori assunti, dunque, la suprema giurisprudenza amministrativa, seppure in ragione della speciale pervasività e pericolosità sociale riconosciuti al fenomeno mafioso (ed ad altri che con esso ne condividono la peculiare sostanza criminale) giustifica il carattere preventivo/repressivo di provvedimenti di limitazione e contenimento della libertà di iniziativa economica che altrimenti non supererebbero il vaglio di un ordinario giudizio penale di limitazione della libertà personale, per altro verso ribadisce che tale deroga non può spingersi fino al punto da giustificare provvedimenti interdittivi basati su un “ semplice sospetto o su mere congetture prive di riscontro fattuale ”: pena, altrimenti lo stravolgimento “ dei principi di legalità e di certezza del diritto ”, fondanti dell’ habeas corpus affermato dal nostro ordinamento democratico. E, a tale stregua, indica nella ‘attualità’ obiettiva congruità’ e ‘concretezza’ i caratteri che debbono manifestare gli elementi assunti dai provvedimenti interdittivi come base per giustificare la loro adozione da parte dell’autorità prefettizia competente, in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa.

Nella fattispecie controversa gli elementi assunti come sintomatici consistono essenzialmente nella partecipazione come socio della cooperativa “Poggio Diana” di C C e nella presunta appartenenza alla medesima compagine sociale dei figli C F e C V: tutti soggetti a vario titolo indiziati di appartenenza ad associazione mafiosa, e, in tale veste, destinatari di misure di prevenzione di Sorveglianza Speciale negli anni sessanta (C C), ovvero, ai sensi della legge n. 575/65 (C F), ovvero, ancora, di condanne penali per il reato di associazione a delinquere continuato e per il reato di istigazione a corruzione continuato in concorso (C V) .

Risulta peraltro che il C C è deceduto nel 1983, mente i figli F e V, anche in questa sede, eccepiscono che avrebbero presentato la richiesta del beneficio di malleva statale oggetto di diniego ( per effetto delle impugnate note informative), in qualità di eredi di C C, e non già come soci della cooperativa ‘Poggio Diana’, atteso che tale dichiarazione sarebbe dipesa dalla diversa formulazione delle dichiarazioni da rendere secondo la domanda tipo apprestata dal Ministero delle Politiche Agricole (ai sensi della legge n. 237/1993) rispetto a quella apprestata dall’Assessorato Regionale alla Cooperazione, in forza della L. r. n. 37/1994: che, a differenza di quella ministeriale, in effetti non contempla la possibilità per gli eredi di richiedere il beneficio.

Il primo Giudice, sulla scorta di quanto assunto dall’Amministrazione, ha ritenuto che già la personalità ‘mafiosa’ di C C fosse sufficiente per giustificare l’informazione interdittiva , atteso che: a) “ la società cooperativa ‘Poggio Diana’ è stata posta in liquidazione nel 1991;
conseguentemente C C ha fatto parte della società per la maggior parte del tempo in cui è stata operativa e ben ha potuto influenzarne l’attività
”;
b) che “ il tipo di provvidenza richiesto concerne l’accollo da parte dello Stato delle garanzie prestate dai soci della cooperativa e, conseguentemente, riguarda un aiuto relativo al periodo in cui C C apparteneva alla società ed, in suo favore, ha prestato garanzia ”- sicché, a prescindere dal fatto che i figli F e V fossero o meno soci della cooperativa ( e ritenendo perciò, sul punto, inutile disporre attività istruttoria) ne consegue secondo quanto prospettato che “ non può non rilevarsi che le provvidenze per cui è causa andrebbero comunque a vantaggio di soggetti controindicati ( giusta le considerazioni svolte sulla figura del loro genitore e sui rilievi riguardanti la cooperativa).. “: e, per ciò stesso “ si frustrerebbe nella sostanza la ratio posta a fondamento della normativa antimafia ”.

Si tratta di argomenti attraversati da petizioni di principio e da incongruenze in fatto ed in diritto che, nel complesso, escludono di attribuire effettiva ‘attualità’ ‘obiettiva congruità’ e ‘concretezza’ alle circostanze altrimenti assunte per giustificare il provvedimento interdittivo e gli effetti che da esso sono scaturiti in ordine alla esclusione di tutti gli altri soci della cooperativa, tra i quali gli odierni appellanti, dal beneficio della malleva statale.

Ed invero, in assenza di altri elementi idonei a suffragarne l’incidenza sull’attività della cooperativa esercitata dai soci superstiti, il lasso di tempo intercorso tra la morte di C C, avvenuta nel 1993, e la data di liquidazione della cooperativa, avvenuta nel 1993, appare pienamente idoneo ad escludere l’esistenza di un pericolo attuale, obiettivo e concreto di infiltrazione mafiosa, tale da giustificare l’esclusione dai benefici di altri soci, verso i quali, peraltro, non risultano essere stati segnalati o rilevati elementi di contiguità verso associazioni mafiose.

Quanto, poi, ai rischi di frustrazione della ‘ratio’ del provvedimenti di ausilio, altrimenti richiesti dagli attuali appellanti, assumono rilievo due circostanze. Attraverso la malleva pubblica, invero, il beneficio è stato concepito, per scelta del legislatore, non soltanto ad esclusivo vantaggio dei soci della cooperativa, ma soprattutto a vantaggio dei creditori sociali (banche, fornitori, e quant’altro) le cui aspettative finirebbero per essere frustrate in toto dal diniego opposto dall’Amministrazione. Mentre, riguardo ai soci, poiché il beneficio di malleva rileva personalmente per ciascuno di essi, l’opportuna attività di prevenzione antimafia ben potrebbe giustificarne l’esclusione degli eredi V e F, C, con ulteriori provvedimenti con i quali venisse evidenziata la loro contiguità agli ambienti del crimine organizzato, separando così la loro sorte da quella degli odierni appellanti, la cui posizione, in assenza di altri elementi ex adverso probanti, merita di essere salvaguardata.

In conclusione, i motivi dedotti appaiono fondati e l’appello merita di essere accolto.

In relazione alla natura della controversia, le spese del giudizio possono essere compensate.

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