CGARS, sez. I, sentenza 2023-01-10, n. 202300027

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Sul provvedimento

Citazione :
CGARS, sez. I, sentenza 2023-01-10, n. 202300027
Giurisdizione : Consiglio Di Giustizia Amministrativa per la Regione siciliana
Numero : 202300027
Data del deposito : 10 gennaio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 10/01/2023

N. 00027/2023REG.PROV.COLL.

N. 00008/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA

Sezione giurisdizionale

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8 del 2020, proposto dalla società
-OMISSIS-., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati S V e E B L, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Assemblea Territoriale Idrica Ag 9, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati S A e G M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio G M in Palermo, via Caltanissetta 1;

Presidente Regione Siciliana in persona del Presidente pro tempore , Regione Siciliana - Presidenza, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentati e difesi dall'Avvocatura distrettuale, domiciliataria ex lege in Palermo, via Valerio Villareale, 6;

Consorzio d’ambito territoriale ottimale per la gestione del servizio idrico integrato di Agrigento in liquidazione, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Terza) n. 2459/2019, resa tra le parti, concernente Ricorso proposto ai sensi dell’art. 133, terzo comma, lettera c del cpa, per l’accertamento e la dichiarazione degli inadempimenti da parte degli Enti intimati nonché per la relativa condanna dei medesimi al risarcimento dei danni.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Assemblea Territoriale Idrica Ag 9 e di Presidente Regione Siciliana in persona del Presidente pro tempore e di Regione Siciliana - Presidenza;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 novembre 2022 il Cons. Sara Raffaella Molinaro e uditi per le parti gli avvocati come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO



1. La controversia è originata dalla domanda, presentata da -OMISSIS- al T Sicilia - Palermo, di accertamento degli inadempimenti compiuti dall’Assemblea territoriale idrica AG9 di Agrigento (di seguito: “Ati”) e dalla regione Siciliana, nonché di condanna dei medesimi, al pagamento, a titolo di risarcimento del danno, della somma di euro 76.311,089, ovvero di quella di maggiore e diversa che risulterà anche a mezzo di consulenza tecnica;
il tutto, oltre interessi e rivalutazione.



2. Il T, con sentenza 24 ottobre 2019 n. 2459, ha respinto il ricorso.



3. Con ricorso n. 8 del 2022 -OMISSIS-. ha appellato la sentenza davanti a questo CGARS.



4. Nel corso del giudizio di appello si sono costituiti l’Ati e la Presidenza della Regione Siciliana.



5. All’udienza del 16 novembre 2022 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO



6. L’appello non è meritevole di accoglimento.



7. In via pregiudiziale si rileva che permane l’interesse dell’appellante alla decisione della domanda risarcitoria.

E ciò nonostante nelle more del presente giudizio la Prefettura di Agrigento abbia adottato una certificazione antimafia interdittiva nei confronti della ricorrente, con contestuale applicazione delle misure di cui all’art. 32 comma 10 del d.l. n. 90 del 2014, e che analogo provvedimento, con contestuale adozione delle stesse misure, è stato adottato nei riguardi di una società, di cui l’odierna ricorrente è socio unico.

E’ pur vero che “l’art. 67, co. 1, lett. g) del d. lgs. 6 settembre 2011 n. 159, nella parte in cui prevede il divieto di ottenere, da parte del soggetto colpito dall’interdittiva antimafia, “contributi, finanziamenti e mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità Europee, per lo svolgimento di attività imprenditoriali”, ricomprende anche l’impossibilità di percepire somme dovute a titolo di risarcimento del danno patito in connessione all’attività di impresa” (Ad. plen. 6 aprile 2018 n. 3).

L’effetto dell’interdittiva non è però “quello di “liberare” la Pubblica Amministrazione dalle obbligazioni (risarcitorie) per essa derivanti dall’accertamento e condanna contenuti nella sentenza passata in giudicato”.

Piuttosto “il provvedimento di cd. “interdittiva antimafia” determina una particolare forma di incapacità ex lege, parziale (in quanto limitata a specifici rapporti giuridici con la Pubblica Amministrazione) e tendenzialmente temporanea”.

“L’interdittiva antimafia, dunque, non incide sull’obbligazione dell’Amministrazione, bensì sulla “idoneità” dell’imprenditore ad essere titolare (ovvero a persistere nella titolarità) del diritto di credito”, con la conseguenza che “una volta che venga meno l’incapacità determinata dall’interdittiva, quel diritto di credito, riconosciuto dalla sentenza passata in giudicato, “rientra” pienamente nel patrimonio giuridico del soggetto” (Ad. plen. 6 aprile 2018 n. 3).

Ne deriva che la circostanza che l’appellante sia destinataria di un’interdittiva antimafia non impedisce alla stessa di chiedere il riconoscimento di una responsabilità risarcitoria dell’Amministrazione, riverberandosi piuttosto in sede di ottemperanza alla decisione eventualmente positiva.



8. Sempre in via pregiudiziale si osserva, in uno con parte appellante, che la sentenza appellata reca il riferimento erroneo a una richiesta di integrazione del contraddittorio effettuata da -OMISSIS- nei confronti dei Comuni del comprensorio (punto C della parte in diritto), quando invece sarebbe stata svolta dal Consorzio d’ambito, come rappresentato dallo stesso giudice nella parte in fatto alla lettera C.

Detto ciò non si ravvisa un interesse in capo all’appellante a perorare la suddetta richiesta di integrazione del contradditorio.

Non può essere invece condivisa la stigmatizzazione del comportamento processuale del Consorzio d’ambito per avere “tentato di scaricare le proprie responsabilità sui Comuni “disobbedienti”, nonché sul Consorzio -OMISSIS-, su Voltano e Siciliacque”, rientrando nelle proprie facoltà la presentazione di un’istanza per la chiamata in causa del terzo.



9. Può essere scrutinato il merito del ricorso.

10. Si premette che il raggruppamento di imprese denominato “-OMISSIS-”, composto dalle società-OMISSIS-., -OMISSIS-. (costituita dai comuni San Biagio Platani, Sant’Angelo Muxaro, Sant’Elisabetta, Raffadali, Joppolo, Aragona, Comitini, Favara, Porto Empedocle e il Comune capoluogo Agrigento), -OMISSIS- e altri, con la Società -OMISSIS-. quale capogruppo, è risultato aggiudicatario della gara per l’affidamento in concessione del servizio idrico integrato (delibera 18 gennaio 2007), indetta con bando pubblicato sulla GUCE del 16 aprile 2006 e sulla GURS del 5 maggio 2006.

Il raggruppamento aggiudicatario ha costituito, così come previsto dall’art. 4 del disciplinare di gara, la società per azioni e di scopo “-OMISSIS-” (con atto 14 marzo 2007 n. 37500 di repertorio).

Il Consorzio d’ambito, il successivo 27 novembre 2007, ha stipulato con -OMISSIS-. (di seguito: “-OMISSIS-”) la convenzione di gestione del servizio idrico integrato.

-OMISSIS- ha chiesto, con il ricorso introduttivo, l’accertamento degli inadempimenti compiuti dall’Assemblea territoriale idrica (ATI) AG9 di Agrigento e da Regione Siciliana, nonché la condanna dei medesimi al pagamento, a titolo di risarcimento del danno, della somma di euro 76.311.089,00, “ovvero di quella di maggiore e diversa che risulterà anche a mezzo di consulenza tecnica”, oltre interessi e rivalutazione.

-OMISSIS-, con successiva memoria depositata in data 3 maggio 2016, ha specificato la richiesta risarcitoria anche sulla scorta della perizia di valutazione giurata depositata in atti, nella misura di complessivi euro 79.997.967,30.

11. Con il primo motivo l’appellante ha dedotto l’erroneità della sentenza nella parte in cui il T ha giustificato la chiamata dalla Presidenza della Regione Siciliana limitatamente al periodo 2008-2009.

11.1. Al riguardo si rileva che il T ha affermato la legittimazione passiva della Presidenza della Regione, senza poterla riferire a un periodo determinato. La circostanza che, in sede di motivazione, faccia riferimento alle competenze intestate alla medesima nel periodo precedente al primo gennaio 2010 rileva al solo fine di giustificare il riconoscimento della legittimazione passiva in capo alla medesima, non potendo riverberarsi in sede di eventuale condanna risarcitoria.

11.2. Il motivo non è quindi ammissibile.

11.3. In ogni caso esso è altresì infondato.

Ai sensi dell’art. 6 della l.r. n. 19 del 2008 alla Presidenza della Regione sono attribuiti specifici compiti: “rapporti con gli organi centrali dello Stato e di altri enti pubblici nazionali e con le istituzioni dell'Unione europea. Organizzazione dei lavori della Giunta regionale. Organizzazione amministrativa generale. Direttive generali per lo svolgimento dell'azione amministrativa regionale e relativo coordinamento. Vigilanza sull'attuazione delle deliberazioni della Giunta regionale. Attività inerenti all'esercizio dei poteri previsti dalle lettere o) e p) dell'articolo 2. Consulenza e assistenza legislativa e patrocinio legale. Ricorsi straordinari. Gazzetta ufficiale. Raccolta delle leggi, dei regolamenti e dei decreti presidenziali relativi ad atti di governo. Collaborazione all'attività del Presidente per quanto concerne l'esercizio delle funzioni indicate nella lettera q) dell'articolo 2. Ordinamento della comunicazione. Coordinamento della protezione civile regionale. Programmazione regionale. Funzione di soprintendenza di Palazzo d'Orleans e dei siti presidenziali".

Ai singoli assessorati elencati nel successivo art. 7 sono devolute “le materie per ciascuno appresso indicate”.

La Presidenza della regione non ha quindi una competenza generale ma limitata i particolari compiti ad essa assegnati.

Ne deriva che, al di fuori di dette prerogative, vengono in evidenza le competenze dei singoli assessorati.

Atteso che l’art. 9 della l.r. n. 19 del 2008 ha soppresso l’art. 7 della l.r. n. 19 del 2005, che ha istituito l’Agenzia regionale acque e rifiuti sotto la vigilanza della Presidenza della Regione, e i compiti esercitati dall’Agenzia sono stati trasferiti all'Assessorato regionale dell'energia e dei servizi di pubblica utilità a decorrere dal primo gennaio 2010 (art. 10 della stessa l.r. n. 19/2008), è quest’ultimo ad essere competente per il periodo successivo.

12. Con il secondo motivo l’appellante ha dedotto l’erroneità della sentenza nella parte in cui il T ha assunto che “il fondamento della domanda risarcitoria starebbe come si legge alla pag. 9, nel fatto che il Consorzio d’Ambito “obbligato, ai sensi dell’articolo 2 della Convenzione di gestione stipulata il 27 novembre 2007, a mettere a disposizione tutti i beni e le opere pubbliche di interesse – non abbia posto in essere tutte le attività doverose e necessarie, al fine di assicurare la completa esecuzione della stessa convenzione”.

L’appellante ha dedotto come la causa petendi della controversia sia invece da ravvisare nel mancato rispetto della Convenzione di gestione, atteso che “ai sensi del cui art. 2 sussiste l’obbligo del Consorzio d’Ambito, nell’affidare al Concessionario i servizi idrici, di “mettere a disposizione tutti i beni e le opere pubbliche afferenti ai servizi stessi, realizzate o in corso di realizzazione, nello stato di fatto e di diritto in cui si trovano, ivi compresi i beni e le opere pubbliche afferenti i servizi idrici gestiti da organismi controllati e/o espressione di tutti o parte degli Enti Locali riuniti in Consorzio di Ambito Territoriale Ottimale di Agrigento”. Tale clausola convenzionale troverebbe riscontro nell'art. 12 della legge n. 36 del 1994, ai sensi del quale “le opere, gli impianti e le canalizzazioni relativi ai servizi di cui all'articolo 4, comma 1, lettera f) di proprietà degli enti locali […] sono affidati in concessione al soggetto gestore del servizio idrico integrato”, nonché nell’art. 153 del d. lgs. n. 152 del 2006, laddove si dispone che “le infrastrutture idriche di proprietà degli enti locali ai sensi dell'articolo 143 sono affidate in concessione d'uso gratuita, per tutta la durata della gestione, al gestore del servizio idrico integrato”.

L’appellante ha quindi ribadito che l’obbligo di consegna è rimasto inadempiuto.

Dell’asserito mancato adempimento dell’obbligo di consegna si controverte quindi nello scrutinio del motivo di appello in esame, senza che sia necessario riformare la sentenza di primo grado in punto di determinazione dell’oggetto dell’inadempimento de quo, definito a pag. 8 della pronuncia come “attività doverose e necessarie, al fine di assicurare la completa esecuzione della stessa convenzione” e dal ricorrente come mancato adempimento dell’obbligo di consegna.

Invero, come ha sottolineato lo stesso appellante, è lo stesso T a indicare successivamente come il “danno patrimoniale asseritamente cagionatole deriverebbe dalla mancata consegna degli impianti”, così rendendo evidente che il giudice di primo grado ha scrutinato l’asserito inadempimento all’obbligo di consegna. Del resto, l’espressione inizialmente utilizzata, “attività doverose e necessarie, al fine di assicurare la completa esecuzione della stessa convenzione”, è idonea a comprendere anche la (in tesi) doverosa consegna degli impianti, anche in ragione del fatto che è preceduta da un espresso riferimento all’obbligo di “mettere a disposizione tutti i beni e le opere pubbliche afferenti ai servizi in interesse”.

L’obbligo di consegna, secondo parte appellante, riveste una particolare importanza ai fini dell’adempimento delle prestazioni convenzionali “in quanto il diritto alla consegna degli impianti al Gestore costituisce presupposto indispensabile e coessenziale alla complessa relazione di partenariato cui dà vita il modello gestionale del SII, risultando di conseguenza, la relativa obbligazione configurata già normativamente, come uno dei principali obblighi a carico della parte pubblica”.

12.1. Circa l’asserito inadempimento il Collegio osserva quanto segue.

12.2. La mancata consegna di parte degli impianti non può giustificare la condanna di controparte al risarcimento del danno.

Si è già detto che la prospettazione di parte appellante è che il Consorzio non abbia adempiuto all’obbligo di consegna degli impianti.

12.3. Sul punto nella sentenza appellata si legge, senza che sia specificamente contestato, che “la competente Amministrazione regionale, su costante impulso dello stesso Consorzio, ha attivato i poteri sostitutori fin dal mese di novembre 2008”, ai fini della nomina dei commissari ad acta e che “non è contestato innanzitutto che, con riferimento alle reti e impianti, gli stessi incidono per il 22 % circa”, percentuale riferita alla mancata consegna.

Fra i soggetti inadempienti figurano, in particolare, -OMISSIS-. e Consorzio -OMISSIS-.

Il giudice di primo grado ha altresì rilevato che, “come risulta dalla documentazione depositata dal Consorzio, la competente Amministrazione regionale, su costante impulso dello stesso Consorzio, ha attivato i poteri sostitutori fin dal mese di novembre 2008, con la nomina dei commissari ad acta”.

Nella sentenza si dà conto anche del contenzioso fra -OMISSIS- e i soggetti terzi.

Dalla memoria del Consorzio si apprende altresì che la Regione:

- nel 2008, ha commissariato il Consorzio -OMISSIS-;

- nel 2009 ha commissariato i Comuni di Alessandria della Rocca, Aragona, Bivona, Burgio, Cammarata, Cianciana, Joppolo Giancaxio, Menfi, Palma di Montechiaro, San Biagio Platani e Santo Stefano di Quisquina;

- nel 2012 ha nominato un Commissario ad acta presso i Comuni inadempienti, nonché per il Consorzio -OMISSIS- e la -OMISSIS-.;

- nel 2014 ha diffidato il Consorzio -OMISSIS- e la -OMISSIS-.;

- nel 2015 ha diffidato i Comuni;

- con nota 3 marzo 2009 ha sospeso le attività di commissariamento in attesa dell’esito di uno dei giudizi pendenti fra i Comuni e -OMISSIS-.

Ne deriva che la parte pubblica non è rimasta inerte.

Nondimeno, rispetto alla residua parte non consegnata, secondo parte appellante sarebbe ininfluente, ai fini dell’imputabilità dell’inadempimento contrattuale (e della conseguente responsabilità per il risarcimento del danno), quanto e come il Consorzio si sia attivato per ottenere la consegna delle reti e degli impianti da tutti i Comuni dell’ambito, dal Consorzio -OMISSIS- e dalla -OMISSIS-.

L’art. 1381 c.c. prevede, quale conseguenza della mancata assunzione, da parte del terzo, dell'obbligazione o del mancato compimento del fatto promesso, il pagamento di un indennizzo, diverso dal risarcimento del danno il quale spetta quando il promittente non assolva al proprio compito e cioè non si adoperi con la dovuta diligenza presso il terzo, violando così i propri doveri di correttezza e buona fede. In questo caso “il promissario può avvalersi dei rimedi predisposti contro l'inadempimento e richiedere, in presenza del necessario nesso di causalità, il risarcimento in parola;
se invece il promittente abbia assolto diligentemente al suo obbligo di attivazione, ma, nonostante ciò, il terzo abbia rifiutato la prestazione o l'assunzione dell'obbligazione, si verifica la situazione in presenza della quale la norma sopra evocata riconosce al promissario l'indennità a carico del promittente, indipendentemente da ogni valutazione sul comportamento di quest'ultimo”.

Nel caso di specie si è già detto che il Consorzio si è attivato per ottenere l’adempimento del terzo.

In merito la Corte di cassazione ha però rilevato che “la diversità di "causa petendi" non ammette innovazioni della pretesa in appello, tuttavia nulla esclude, logicamente, la possibilità di prospettare domande alternative, allegando i fatti ed offrendoli alla qualificazione giudiziale” (Cass. civ., sez. III, ordinanza 13 maggio 2021 n. 12897).

Parte appellante non ha formulato nel giudizio de quo, nemmeno in via subordinata, una domanda di indennizzo, né ai sensi dell’art. 1381 c.c., né a qualsiasi altro titolo, e neppure potrebbe farlo per la prima volta in appello, come si evince dalla giurisprudenza appena sopra citata.

Nondimeno “quando l’inserimento della promessa del fatto del terzo è operato nel contesto di un contratto a prestazioni corrispettive”, come nel caso di specie, “con effetti integrativi dell’obbligazione gravante su uno dei contraenti a vantaggio dell’altro, sì da condizionare la funzionalità del contratto stesso, l’autonomia dei due negozi viene meno”, con la conseguenza che “il mancato adempimento (del terzo) è inadempimento del promittente” (Cass. civ., sez. I, 5 maggio 1993, n. 5216).

Ne deriva che parte appellante, non potendo comunque ottenere un indennizzo ai sensi dell’art. 1381 c.c., che comunque non ha chiesto, deve fare ricorso agli ordinari rimedi previsti dall’ordinamento contro l’inadempimento, ivi compreso il risarcimento del danno.

12.4. L’inadempimento imputabile al Consorzio, causa (in tesi) dell’obbligazione risarcitoria, si configura rispetto all’obbligo di consegna degli impianti, che trova fonte nell’art. 2 della convezione, nell’art. 12 della legge n. 36 del 1994 e nell’art. 153 del d. lgs. n. 152 del 2006.

Ai sensi dell’art. 2 della convenzione sussiste l’obbligo del Consorzio d’ambito, nell’affidare al concessionario i servizi idrici, di “mettere a disposizione tutti i beni e le opere pubbliche afferenti ai servizi stessi, realizzate o in corso di realizzazione, nello stato di fatto e di diritto in cui si trovano, ivi compresi i beni e le opere pubbliche afferenti i servizi idrici gestiti da organismi controllati e/o espressione di tutti o parte degli Enti Locali riuniti in Consorzio di Ambito Territoriale Ottimale di Agrigento”.

Tale clausola convenzionale trova riscontro anche nell'art. 12 della legge n. 36 del 1994, ai sensi del quale “le opere, gli impianti e le canalizzazioni relativi ai servizi di cui all'articolo 4, comma 1, lettera f) di proprietà degli enti locali […] sono affidati in concessione al soggetto gestore del servizio idrico integrato”.

L’art. 153 del d. lgs. n. 152 del 2006, laddove analogamente si dispone che “le infrastrutture idriche di proprietà degli enti locali ai sensi dell'articolo 143 sono affidate in concessione d'uso gratuita, per tutta la durata della gestione, al gestore del servizio idrico integrato”, con la precisazione in base alla quale “Gli enti locali proprietari provvedono in tal senso entro il termine perentorio di sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, salvo eventuali quote residue di ammortamento relative anche ad interventi di manutenzione”.

La posizione degli enti proprietari degli impianti è quindi delineata in modo autonomo dalla normativa, intestando ai medesimi l’obbligo di consegna, anche in ragione del regime proprietario che li connota. In particolare ciò è previsto espressamente dall’art. 153 del d. lgs. n. 152 del 2006 mentre è sottinteso nell’art. 12 della legge n. 36 del 1994, che formula negli stessi termini la previsione dell’affidamento in concessione degli impianti al gestore, senza esplicitare alcunché sull’obbligo di consegna.

In tale prospettiva l’art. 2 della convenzione non innova, né potrebbe, la disciplina recata dalla fonte legislativa. Ciò è tanto più evidente laddove è previsto che l’inventario dei beni sia redatto in contraddittorio non solo fra le parti della convenzione, il consorzio e -OMISSIS-, ma anche con gli enti proprietari e il gestore uscente (art. 8 comma 4): la disposizione trova la propria ragion d’essere nel fatto che solo gli enti cui sono intestati gli impianti, o che li detengono, possono disporre la consegna dei medesimi.

La circostanza quindi che gravi sugli enti proprietari l’obbligo di consegna, che può essere sollecitato dal Consorzio, ma non materialmente eseguito dal medesimo non è indifferente rispetto alla situazione qui controversa.

Se continua ad essere vero, per le obbligazioni di natura non professionale (rispetto alle quali Cass. civ., sez. III, ordinanza 26 maggio 2021 n. 14702), che è onere del debitore provare l'adempimento o la causa non imputabile che ha reso impossibile la prestazione (art. 1218 c.c.), mentre l'inadempimento, nel quale è assorbita la causalità materiale, deve essere solo allegato dal creditore (ss. uu. 30 ottobre 2001 n. 13533), non può non essere attribuito alcun peso all’obbligo gravante sui Comuni e quindi alla condotta di questi ultimi, attesa la particolare posizione che l’ordinamento riconosce ai medesimi.

Se infatti, come illustrato sopra, l’inadempimento dell’obbligazione del terzo, nell’ambito del rapporto sinallagmatico, diviene inadempimento del promittente, nondimeno il canone di buona fede impone di apprezzare le posizioni reciproche, sì da offrire un temperamento alla regola oggettiva di imputazione della responsabilità, recata dall’art. 1218 c.c.

In altre parole, a fronte dell’obbligo gravante su un soggetto terzo, rispetto al quale il Consorzio non ha particolari strumenti coercitivi, si tratta di valutare se è esigibile che l’adempimento dell’obbligo di consegna gravi sul Consorzio.

In altre parole mentre il parametro di esclusione della responsabilità del debitore ai sensi dell’art. 1218 c.c. è rappresentato dall’impossibilità della prestazione, nel caso di specie possibile, il canone della buona fede impone di valutare se la prestazione possibile può essere richiesta al debitore o se è inesigibile rispetto a quest’ultimo.

Il Collegio ritiene che la configurazione dell’obbligo di consegna in capo ai Comuni, o comunque agli enti detentori, e l’impossibilità di adempiere da parte del Consorzio, così come reso evidente dall’art. 153 del d. lgs. n. 152 del 2006, renda inesigibile la prestazione da parte di quest’ultimo, non potendogli quindi imputare la relativa responsabilità.

In tale prospettiva la posizione della Regione si configura diversa ma non in senso dirimente. Invero la Regione non è parte del rapporto concessorio, pertanto ad essa non può essere imputato l’inadempimento dell’obbligo di consegna. Ad essa sono però conferiti poteri compulsivi (di nomina del Commissario ad acta), che la Regione risulta avere, almeno in parte, esercitato, senza che parte appellante abbia esattamente comprovato in che termini eventuali inerzia abbia prodotto danni, circostanziati esclusivamente rispetto alla posizione della Regione. E ciò a tacere del fatto che la disciplina di settore prevede quale conseguenza dell’inadempimento la sola responsabilità erariale.

12.5. In ogni caso, nella prospettiva risarcitoria si rileva altresì come la complessiva configurazione della situazione controversa impedisce di riconoscere a parte appellante la traslazione della perdita economica subita (in tesi) dall’inadempimento di controparte.

L’obbligo di consegna si inserisce infatti all’interno di un rapporto convenzionale a prestazioni corrispettive, connotato dall’interesse pubblico alla gestione del servizio idrico, che ne ha determinato la qualificazione in termini di concessione, e dalla proprietà pubblica delle reti e degli impianti.

Il concessionario ha rimproverato all’Ente concedente la mancata consegna degli impianti.

L’Ente concedente ha dedotto che:

- la gestione del servizio da parte di -OMISSIS- è stata accompagnata “da esposti, denunce, diffide, controdiffide, nascita spontanea di comitati e movimenti di cittadini ed amministratori locali, vere e proprie “rivolte popolari”, anche a causa delle elevatissime tariffe applicate all’utenza a fronte, oltretutto, di un servizio clamorosamente inefficiente”, “inefficiente, si badi, a partire da subito dopo la stipula della convenzione tra -OMISSIS-e Consorzio d’ATO”;

- gli inadempimenti “sono tanti e reiterati e vanno dal provocato inquinamento ambientale all’interruzione del servizio di erogazione dell’acqua, anche nel territorio dei Comuni consegnatari, quali il Comune Capoluogo Agrigento ed il Comune di Sciacca” (con rinvio agli articoli di stampa, riferiti al periodo 2008-metà 2009), realizzati “in 10 e più anni di gestione”;

- il Consorzio ATO si è attivato per la consegna degli impianti da parte degli enti proprietari con atti di sollecito, richiedendo anche l’intervento della Regione, che ha provveduto dapprima a commissariare gli enti coinvolti (nel 2008 il Consorzio -OMISSIS-, nel 2009 i Comuni di Alessandria della Rocca, Aragona, Bivona, Burgio, Cammarata, Cianciana, Joppolo Giancaxio, Menfi, Palma di Montechiaro, San Biagio Platani e Santo Stefano di Quisquina, nel 2012 ha nominato un Commissario ad acta presso i Comuni inadempienti, il Consorzio -OMISSIS- e la -OMISSIS-., nel 2014 ha diffidato il Consorzio -OMISSIS- e la -OMISSIS-. (e nel 2015 ha diffidato i Comuni inadempienti;

- a fronte degli asseriti disservizi nel frattempo posti in essere dall’appellante, “perpetrati nel tempo in più di un decennio di gestione”, l’Ati AG9 (succeduta, nelle more, al Consorzio ATO, a seguito dell’entrata in vigore della l.r. 11 agosto 2015 n. 19), con nota il 15 maggio 2018 ha diffidato il concessionario avviando l’iter di scioglimento del rapporto con il gestore per grave inadempimento;

- la Prefettura, in particolare, con il provvedimento testé menzionato, ha sottolineato “come entrambe le imprese […] non soltanto aggirarono le disposizioni in tema di subconcessione di servizio pubblico (subconcessione pacificamente vietata dalla normativa), ma (con l’operazione della creazione della società in house) perpetrarono anche l’elusione delle norme sul subappalto e del relativo regime autorizzatorio”: “il tutto, all’unico scopo di “drenare” risorse pubbliche e sfuggire ai controlli in tema di appalti;

- la situazione conflittuale fra le parti è stata ulteriormente deteriorata con l’interdittiva adottata nei confronti di -OMISSIS- dal Prefetto di Agrigento in data 16 novembre 2018, oltre che con l’informativa riguardante la società in house dell’appellante;

- -OMISSIS- è stata quindi sottoposta alla straordinaria gestione di cui all’art. 32 comma 10 del d.l. n. 90 del 2014 (gestione commissariale), durata fino al primo agosto 2021, allorché nella gestione del servizio idrico integrato è subentrata A.I.C.A., l’Azienda idrica;

- entrambe le società sono state dichiarate fallite dal Tribunale di Palermo, Sez. IV, con sentenza 10 giugno 2021 n. 65,

- l’Ati e tutti i Comuni che la compongono hanno, in modo compatto, ritenuto di dover interrompere il rapporto con il gestore “dopo avere constatato nel tempo il suo elevato grado di inaffidabilità”.

Detto ciò si rileva pertanto che il concedente rimprovera al concessionario alcune mancanze e il concessionario rimprovera al primo la mancata consegna di tutte le reti e impianti necessari per svolgere l’intero servizio.

Da un lato il concedente ha ammesso la “mancata consegna delle reti e degli impianti da parte del Consorzio -OMISSIS-, di Voltano S.p.a. e di 19 Comuni agrigentini (almeno in origine, poi ridotti a 16) su 42 totali”.

Al riguardo l’Amministrazione ha dedotto che “i Comuni “disobbedienti” (Menfi, Lampedusa e Linosa, Aragona, Alessandria della Rocca, Bivona, Burgio, Camastra, Cammarata, Cianciana, Joppolo Giancaxio, Montevago, Sambuca di Sicilia, San Biagio Platani, Santa Elisabetta, Santa Margherita Belice, Santo Stefano di Quisquina, Villafranca Sicula), anche a volerli considerare tutti e 19 (sebbene il numero si ridusse, come detto, già nelle more del giudizio di prime cure), sono appena il 22% del capitale sociale del Consorzio d’Ambito (ora ATI AG9)” non integrano elemento dirimente . Fra di essi vi sono infatti tre Comuni che superano appena i 1.000 abitanti, tre Comuni compresi tra 2 e 3.000 abitanti, cinque Comuni tra i 3 ed i 4.000 abitanti, un Comune tra i 4 ed i 5.000 abitanti, quattro Comuni – tra i quali Lampedusa e Linosa – che superano di poco i 6.000 abitanti, un Comune, Aragona, che supera i 9.000 abitanti e, infine, due Comuni, i più grandi, Menfi che supera i 12.000 abitanti e Palma di Montechiaro che supera i 23.000 abitanti.

Nel complesso, ad avviso di parte appellata, si tratta di “un totale, dunque, di circa 100.000 abitanti per tutti i 19 Comuni “disobbedienti” (gli stessi abitanti, cioè, che contano complessivamente Agrigento, con 60.000 abitanti, e Sciacca, con 40.700, che sono soltanto due Comuni tra i consegnatari della prima ora), a fronte dei 442.000 abitanti che conta l’intera provincia di Agrigento (che corrisponde ai 43 Comuni dell’ATI AG9)”.

D’altro canto il Consorzio -OMISSIS- (estraneo all’Ati), così come la -OMISSIS-. (soggetto estraneo all’Ati ma non a -OMISSIS-), hanno giustificato la mancata consegna delle reti all’appellante per i gravi disservizi e l’incapacità finanziaria manifestata sin da subito dal detto gestore.

Peraltro, per quel che riguarda la mancata consegna delle reti e degli impianti da parte del Consorzio -OMISSIS- si tratta di un soggetto diverso ed estraneo all’Ati.

Detto Consorzio ha sempre giustificato la mancata consegna delle reti all’appellante per i gravi disservizi e l’incapacità finanziaria manifestata sin da subito dal detto gestore, avendo azionato alcuni giudizi. Anche rispetto ad esso la sentenza impugnata dà conto delle iniziative assunte da parte del Consorzio per la nomina del commissario ad acta, nomina contestata dal Consorzio -OMISSIS-.

Identiche considerazioni valgono per la Voltano S.p.a., soggetto estraneo all’Ati ma non a -OMISSIS-.

Un discorso a parte merita Siciliacque s.p.a., le cui quote sono detenute per un 25% dalla Regione Siciliana e per la restante parte dal socio privato, Acqua s.p.a..

Con l’art. 2 della Convenzione di gestione il Consorzio si è obbligato a consegnare al gestore beni e opere gestiti da “organismi controllati” dal medesimo Consorzio, ovvero organismi “espressione di tutti o di parte degli enti locali riuniti in Consorzio”.

La disposizione non può riferirsi a Siciliacque s.p.a., essendo un gestore soprambito, con la conseguenza che neppure si pone un problema di inadempimento dell’obbligo convezionale di consegna degli impianti da parte del Consorzio.

D’altro canto le mancanze del concessionario sono specificamente elencate nella nota 30 maggio 2018, di risposta alla diffida 15 maggio 2018.

Esse possono essere riassunte nei termini che seguono.

La prima attiene all’omessa comunicazione di variazioni della compagine sociale. La società ha risposto rilevando che l’omissione informativa rileva solo se ha riflessi sulle capacità economico-finanziarie e tecniche del gestore, potendo solo in tale caso consentire l’attivazione dei rimedi di cui all’art. 38 della convenzione.

Al riguardo si osserva che la comunicazione delle variazioni della compagine sociale è dovuta ai sensi della clausola n. 21 comma 5 della convenzione, che qualifica il relativo inadempimento come grave e causa di risoluzione ai sensi della clausola n. 39 nel caso si riverberi sulle capacità economico-finanziarie e tecniche del gestore.

Il concessionario, con nota 30 maggio 2018, ha elencato le variazioni intervenute, riferendo di averle comunicate. Ha inoltre specificato che AIPA s.p.a. è rimasta fra i soci della società.

Quanto alla riscossione delle tariffe, inizialmente affidata ad AIPA con convenzione del 2010 poi risolta, -OMISSIS- ha affermato di svolgere direttamente detta attività senza specificare se gestisce sia la riscossione volontaria sia la riscossione coattiva e senza fare riferimento all’autorizzazione di cui l’Ati ha chiesto conto con nota di diffida 15 maggio 2018.

Il rilievo relativo alla circostanza che, secondo l’Ati, “i cambiamenti avvenuti nella compagine sociale hanno comportato anche un mutamento di fatto nella governance del Gestore, ormai essendo la maggioranza delle azioni di -OMISSIS- saldamente nelle mani di un unico Gruppo, peraltro con uno stravolgimento delle originarie partecipazioni”, con la conseguenza che “la violazione delle previsioni di cui all'art. 31 della Convenzione (qui, certamente rilevante attesa la radicalità delle modifiche in questione), non è mai stato oggetto di specifica segnalazione, vero essendo che sono state segnalate le singole variazioni (recte alcune delle singole variazioni) e non mai l'operazione nel suo complesso”, è stato riscontrato da -OMISSIS- affermando di:

- avere adempiuto in modo puntuale ai singoli obblighi informativi;

- avere mantenuto “inalterate tutte le capacità economico-finanziarie e tecniche proprie del gestore (senza alcuna menomazione o riduzione delle spese)”.

Circa le interruzioni del servizio di acquedotto in numerosi Comuni dell'Ati, che avrebbero determinato l’adozione di ordinanze sindacali di non potabilità dell’acqua, -OMISSIS- ha affermato:

- con riferimento ai Pozzi Carboj ricadenti nel territorio di Sciacca (nota dell’Asp di Agrigento n. 24506 del 7 febbraio 2018), di avere comunicato alle autorità competenti con nota n. 14205 del 17 febbraio 2018 di essere “impegnata nella esecuzione di un insieme organico di interventi volti ad efficentare il campo pozzi Carboj di Sciacca, finalizzati alla eliminazione degli inconvenienti segnalati e di altri riscontrati dagli stessi tecnici dell’azienda” e di avere eseguito gli interventi richiesti dall’Asp di Agrigento sì che “ad oggi, gli impianti del campo pozzi Carboj risultano perfettamente adeguati alla normativa vigente”;

- che “gli sporadici episodi di non potabilità dell’acqua distribuita sono da ricondurre, essenzialmente, alle precarie condizioni di conservazione e funzionalità delle reti idriche acquisite dai precedenti gestori e per le quali non è stato possibile effettuare i necessari interventi di sostituzione, per i ben noti motivi risalenti in primo luogo agli inadempimenti dell’ente Concedente”, successivamente è stato fatto riferimento alla vetustà della rete e ai tempi necessari per la risoluzione delle non conformità, variabili a seconda del caso, fatta salva l’osservanza dell’art. 10 del d. lgs. n. 31 del 2001;

- con specifico riferimento alle ordinanze del Comune di Agrigento nn. 201 del 23 settembre 2017, 195 dell'8 settembre 2017, 212 del 6 ottobre 2017, 194 dell'8 settembre 2017, 198 del 20 settembre 2017, 74950 del 30 settembre 2017, 159 del 21 luglio 2017, 160 del 22 luglio 2017, 5 del 16 gennaio 2018 ha riferito le tempistiche di ripristino, che vanno da tre a 59 giorni dall’accertamento della non conformità all’accertamento della conformità;

- con specifico riferimento alle ordinanze del Comune di Sciacca nn. 21 del 17 marzo 2017, 47 del 17 ottobre 2017, 24 del 18 aprile 2017, 46 del 29 settembre 2017 ha riferito le tempistiche di risoluzione, di circa un mese, salvo in un caso in cui risultano tempistiche maggiori e non si dà conto dell’avvenuta risoluzione della problematica non si dà conto della completa risoluzione della problematica (ordinanza n. 47 del 17 ottobre 2017);

- in relazione alle ordinanze Comune di Naro nn. 38 del 28 aprile 2017, 60 del 4 luglio 2017, 92 del 4 ottobre 2017, e alle ordinanze Comune di Licata nn. 41 del 15 giugno 2017, 49 dell'11 luglio 2017, 53 del 26 luglio 2017 ha riferito le tempistiche di ripristino, che vanno da due giorni a un mese e venticinque giorni dall’accertamento della non conformità all’accertamento della conformità

- quanto all’ordinanza del Comune di Montevago n. I del 20 gennaio 2017, è stata riferita la complessa vicenda che ha interessato un lasso temporale superiore ai due mesi.

Al fine di giustificare i suddetti inadempimenti, causati in tesi dalla situazione complessiva degli impianti idrici, -OMISSIS- ha dato conto, con la medesima nota 30 maggio 2018, delle vicende che hanno caratterizzato la progettazione e il finanziamento delle opere di ristrutturazione della rete idrica di Agrigento, avviati nel 2009 e conclusi nel 2018, e il completamento della rete idrica a copertura del servizio idropotabile e la sostituzione della rete idrica vetusta e/o in cattivo stato del Comune di Sciacca, avviati nel 2010 e rispetto ai quali sussistono criticità per la copertura finanziaria.

-OMISSIS- ha poi negato di avere commercializzato acqua verso soggetti terzi, ritenendo grave l’affermazione dell’Ati circa le “altre differenti tipologie di interruzione”, che “coincidono con l'improprio ed inaccettabile utilizzo dell'acqua da parte di codesto Gestore, laddove volto alla commercializzazione (vendita) verso soggetti terzi non facenti parte delle utenze cieli 'ATI AG9”.

In merito alle cause e alla responsabilità della “perdita idrica mista a fogna” -OMISSIS- si è limitata a fare riferimento a quanto illustrato nella nota 19 maggio 2018 n. 42088, non depositata in atti.

La società ha poi dedotto di avere mensilmente fornito al governo d’ambito i chiarimenti relativi ai fenomeni che hanno determinato il superamento dei parametri riscontrati presso gli impianti di depurazione, dando conto delle sanzioni comminate e precisando che “le cause delle inefficienze degli impianti sono riconducibili soprattutto alla precarietà delle infrastrutture acquisite dai precedenti gestori” e di avere comunque effettuato interventi sugli impianti di depurazione.

Parte appellante ha inoltre, con la medesima nota 30 maggio 2018, ha affermato che:

- rispetto alla realizzazione degli interventi volti al superamento delle procedure di infrazione comunitaria previste dalla sentenza di condanna della Corte di Giustizia dell’Unione europea del 19 luglio 2012, relativa alla causa C-565/10, che riguarda i Comuni di Agrigento, Favara, Porto Empedocle, Ribera e Sciacca, il gestore ha svolto le attività di competenza fino alla nomina del Commissario straordinario;

- quanto alla distribuzione turnata dell’acqua -OMISSIS- ha rappresentato come trovi causa nelle “precarie (e talvolta pessime) condizioni di conservazione e di funzionalità delle reti di distribuzione esistenti [che] non consentono una distribuzione continua nelle 24 ore”;

- “la mancata realizzazione degli interventi per i quali è prevista la compartecipazione pubblico-privato è imputabile a cause non riconducibili alla -OMISSIS-, ma alle amministrazioni pubbliche competenti”;

- -OMISSIS- ha effettuato ugualmente investimenti pur in mancanza di un autofinanziamento derivante da tariffa;

- quanto agli scarichi industriali “-OMISSIS-, ha più volte sollecitato i competenti Suap Comunali, i Sindaci dei comuni gestiti e l’ATI a far pervenire le richieste di parere su rilascio “autorizzazioni allo scarico in pubblica fogna di acque reflue industriali” così come definite alla lettera h) art. 74 del D.Lgs. 152/06”;

- quanto al “passaggio d’aria” le “numerose verifiche tecniche di “passaggio d’aria”, svolte su un parco utenze di 106.000 punti di consegna già dotati di misuratore idrometrico, soltanto in un centinaio di casi all’anno hanno dato esito positivo, cioè hanno accertato l’effettiva anomalia lamentata”, precisando che “sotto il profilo squisitamente tecnico non vi sia alcuna necessità dei dispositivi di sfiato singolo, e che tuttavia si sta procedendo alla loro installazione sui punti di consegna delle utenze che vengono trasformate a misura da tale ricadenti nei territori comunali di Favara e Raffadali”;

- circa il deposito della cauzione vi sono stati problemi comunicativi con i gestori uscenti.

Rispetto all’interlocuzione sopra riassunta fra -OMISSIS- e l’Ati si osserva quanto segue.

Mentre sulla variazione della compagine sociale non paiono esservi significative mancanze comunicative rilevanti ai sensi della clausola n. 21 comma 5 della convenzione, il tema della riscossione della tariffa non pare essere stato superato dalla risposta ricevuta, atteso che non viene approfondita la problematica della riscossione coattiva delle stesse e del soggetto all’uopo competente dopo la risoluzione della convenzione con AIPA.

Quanto alla commercializzazione verso terzi dell’acqua il concessionario si limita a negare l’evenienza, peraltro a fronte di una non circostanziata diffida sul punto.

La circostanza che la società abbia mensilmente fornito al governo d’ambito i chiarimenti relativi ai fenomeni che hanno determinato il superamento dei parametri riscontrati presso gli impianti di depurazione non è sufficiente a superare il rilievo.

In punto di interruzione del servizio e di ordinanze di non potabilità si rileva che:

- gli episodi di interruzione del servizio non sono sporadici atteso che si fa riferimento a numerose ordinanze (ordinanze Comune di Agrigento nn. 201 del 23 settembre 2017, 195 dell'8 settembre 2017, 212 del 6 ottobre 2017, 194 dell'8 settembre 2017, 198 del 20 settembre 2017, 74950 del 30 settembre 2017, 159 del 21 luglio 2017, 160 del 22 luglio 2017, 5 del 16 gennaio 2018;
ordinanze Comune di Sciacca nn. 21 del 17 marzo 2017, 47 del 17 ottobre 2017, 24 del 18 aprile 2017, 46 del 29 settembre 2017;
ordinanze Comune di Naro nn. 38 del 28 aprile 2017, 60 del 4 luglio 2017, 92 del 4 ottobre 2017;
ordinanza Comune di Montevago n. I del 20 gennaio 2017;
ordinanze Comune di Licata nn. 41 del 15 giugno 2017, 49 dell'11 luglio 2017, 53 del 26 luglio 2017);

- l’intervallo temporale durante il quale l’acqua non è risultata potabile costituisce un grave vulnus nell’erogazione del servizio;

- pertanto, benché in alcuni casi si sia trattato di un intervallo di pochi giorni, ciò non rende gli episodi poco gravi in termini di inadempimento del servizio;

- in altri casi il ripristino del servizio è stato raggiunto dopo un lasso di tempo considerevole (giacché vi sono stati casi di ripristino in circa due mesi).

Non è estranea alla valutazione delle posizioni delle parti la circostanza che si controverta in ordine a una concessione di servizio pubblico.

Nell’ordinamento italiano la concessione è un istituto centrale nel sistema di diritto pubblico dal punto di vista storico, sistematico e funzionale mentre un approfondimento a parte merita il profilo procedurale.

Dal punto di vista storico esso ha segnato la nascita del diritto amministrativo.

La più autorevole dottrina amministrativistica fra la fine del 1800 e l’inizio del 1900 ha, infatti, proceduto alla rivisitazione teorica dell’istituto, assolvendo una duplice finalità, l’emancipazione del diritto amministrativo dal diritto comune e la soluzione di un problema pratico ( quello della sorte delle concessioni di pubblica illuminazione a gas, spesso assentite per periodi di tempo pluridecennali, a fronte dell’introduzione dell’illuminazione elettrica, che avrebbe consentito risparmi di spesa). E ciò al fine di consentirne la revoca.

La nascita dell’istituto è quindi collegata proprio (in senso indicativo rispetto alla presente controversia) al fine di attribuire alla parte pubblica uno strumento di gestione del rapporto che consentisse l’utilizzo di poteri unilaterali aventi fonte in esigenze di stampo pubblicistico.

Dal punto di vista sistematico la posizione dell’istituto si apprezza, specie in relazione all’istituto dell’autorizzazione, anch’esso favorevole per il destinatario, in relazione al rapporto fra ordinamento giuridico amministrativo e ordinamento generale.

Inizialmente la distinzione fra i due istituti è stata individuata nel senso che le autorizzazioni rimuovono un ostacolo che impedisce l’esercizio di diritti di cui il privato è già titolare mentre con le concessioni si conferiscono al destinatario nuove facoltà.

Al di là della controversia sull’effetto costitutivo - che si ritiene entrambi i tipi di provvedimento possano produrre – l’autorizzazione impone un connotato pubblico a un’attività che, in assenza di provvedimento, il privato avrebbe potuto compiere sulla base delle regole dell’ordinamento giuridico generale. L’imprinting di diritto amministrativo svolge il solo compito di funzionalizzare quell’attività a un fine pubblico, di attrarre una situazione nell’orbita del diritto amministrativo.

La concessione costituisce invece il viatico di ingresso della posizione del concessionario all’interno dell’ordinamento giuridico generale, nel senso che, in mancanza dell’atto, il destinatario non è legittimato, sulla base delle regole giuridiche generali, a svolgere quell’attività o a ricoprire quella posizione. Ciò in quanto i procedimenti concessori hanno a oggetto l’amministrazione di interessi relativi a beni della vita riservati ai pubblici poteri. L’attribuzione ai privati delle posizioni che involgono tali interessi pubblici avviene sul presupposto di una previa decisione in tal senso dell’Amministrazione rispetto alla quale il soggetto istante è portatore di una posizione di interesse legittimo, con conseguenze che si riverberano nell’ambito dell’intero rapporto che si viene a creare.

Dal punto di vista funzionale la concessione è storicamente nata come atto di benevolenza sovrana attributivo di un privilegio (di cui intestatario era proprio il monarca), con la conseguenza che il soggetto che riconosce il beneficio può anche ritirarlo o comunque assicurarne un controllo pubblicistico incisivo.

Attualmente le concessioni possono avere un contenuto variegato, ricomprendendo ipotesi di organizzazione della sovranità (attraverso la concessione della cittadinanza), di uso di beni pubblici, di erogazione di servizi pubblici e di erogazione di sovvenzioni.

Il connotato che le accomuna sta proprio nell’accordare al privato una posizione che altrimenti non avrebbe avuto nell’ambito dell’ordinamento, rispettivamente quella dello status di cittadino, dell’utilizzatore del bene pubblico, dell’esercente il pubblico servizio e del partecipante al programma politico pubblico al quale è funzionale la convenzione.

Tale attribuzione si fonda su una riserva di posizione dell’Amministrazione, nel senso che l’ordinamento assegna all’attore pubblico una particolare posizione di tutela di un certo interesse, consentendogli di poter coinvolgere un soggetto terzo nella relativa gestione. Il connubio fra i due soggetti è tale che il concessionario risponde a titolo di responsabilità erariale acquisendo così un connotato pubblicistico.

Gli aspetti sopra trattati relativi all’istituto della concessione depongono per un inquadramento sensibilmente pubblicistico dell’istituto.

Il provvedimento concessorio è un provvedimento amministrativo posto che, come tutti i provvedimenti amministrativi, costituisce il risultato del bilanciamento fra gli interessi coinvolti, fra i quali si rinvengono gli interessi pubblici sottesi alla riserva o comunque alla necessità di assumere l’erogazione del servizio, e si connota per il fatto che attribuisce al privato prerogative che, nell’ordinamento generale, sono proprie soltanto del soggetto pubblico, essendo il portato della posizione di autorità che lo connota, e nel contempo esclude altri da quella posizione.

Il connubio che, a seguito della concessione, si instaura fra soggetto pubblico e privato è tale da coinvolgere quest’ultimo nel programma pubblico facendolo partecipe della posizione, a volte anche autoritativa, che lo connota e comunque utilizzando proprio quella posizione per implicarlo.

La concessione, pertanto, instaura un rapporto di diritto pubblico fra Amministrazione concedente e concessionario, che rivestono (la prima) una posizione autoritativa che si compendia in una situazione di interesse legittimo (del secondo). Tale rapporto si connota anche di profili patrimoniali, che sono regolati nell’ambito della convenzione stipulata fra i due enti.

In tale prospettiva la concessione, dal punto di vista dell’ordinamento italiano, non esaurisce la sua funzione pubblica nel momento in cui, attraverso il provvedimento amministrativo, a seguito di una procedura, viene individuato il concessionario e affidato al medesimo il servizio. Essa, infatti, affondando le proprie radici in una riserva di amministrazione (quindi in un settore di interesse pubblico) è tesa alla regolamentazione e al controllo dell’esercizio della prerogativa concessa. Specularmente sono previste fattispecie di giurisdizione esclusiva che arrivano a coprire anche il momento esecutivo relativamente alle controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione di beni pubblici, ad eccezione delle controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi e quelle attribuite ai tribunali delle acque pubbliche e al Tribunale superiore delle acque pubbliche (art. 133, comma 1, lett. b) c.p.a.) e alle controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi, ovvero relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo, ovvero ancora relative all'affidamento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore (art. 133, comma 1, lett. c) c.p.a.).

La missione pubblicistica dell’istituto è proprio quella di garantire l’implementazione di quella prerogativa e, nel caso di concessione di servizio pubblico, l’esercizio del servizio.

A ciò si aggiunge che il servizio idrico integrato costituisce un servizio pubblico essenziale, volto a soddisfare un interesse primario e ineludibile della persona, la cui pregnanza risulta particolarmente incisiva in relazione al giudizio che la popolazione riserva nell’ambito dell’esercizio della scelta di rappresentanza negli enti territoriali e negli organismi che da essi promanano. Di talché risulta di particolare rilievo l’andamento e l’esercizio di detto servizio per la popolazione e per gli enti interessati, giustificando un sensibile utilizzo dei poteri di controllo politico di questi ultimi.

A fronte di quanto sopra la convenzione prevede che la gestione del servizio “è a rischio e pericolo del Gestore” (art. 2 della convenzione).

In tale contesto risultano irrilevanti, non in termini assoluti ma relativi, le vicende che hanno caratterizzato la progettazione e il finanziamento delle opere di ristrutturazione della rete idrica di Agrigento e il completamento della rete idrica a copertura del servizio idropotabile e la sostituzione della rete idrica vetusta e/o in cattivo stato del Comune di Sciacca.

Depongono in tal senso due profili che connotano il caso de quo, uno di matrice civilistica e quello afferente all’istituto pubblicistico della concessione.

Nell’ordinamento civilistico italiano vige la regola in forza della quale ogni attribuzione patrimoniale deve avere una causa: nessuno può arricchirsi a spese di altri senza una causa che lo giustifichi. La disciplina del pagamento dell’indebito e numerose altre norme sparse nel sistema (in tema, in particolare, di modi di acquisto della proprietà a titolo originario e di possesso) corrispondono al principio per il quale ogni spostamento di ricchezza fra soggetti diversi deve avere una giustificazione, principio sugellato dall’istituto dell’arricchimento senza causa.

La nascita di un’obbligazione deve quindi trovare fonte in un titolo idoneo a produrla.

Nel caso dell’obbligazione risarcitoria la perdita prodotta sul patrimonio della vittima può essere traslata solo in presenza di giusta causa.

Nell’ambito di un rapporto pattizio la traslazione del danno da chi lo ha subito alla controparte si giustifica sulla base dell’inadempimento del debitore, sempre che non sia derivato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile (art. 1218).

Nel caso di rapporto sinallagmatico, poi, le reciproche posizioni giustificano l’esercizio, da parte di ciascuno, di poteri di autotutela.

In particolare, nei contratti a prestazioni corrispettive, ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere se l’altro non adempie o non offre di adempiere, sempre che non siano previsti termini diversi per l’adempimento (art. 1460 c.c.), oppure se le condizioni patrimoniali dell’altro contraente sono divenute tali da porre in pericolo il conseguimento della controprestazione (art. 1461 c.c.).

La tutela dilatoria è riconosciuta non solo a fronte di un inadempimento totale della prestazione ma anche in presenza di un inadempimento inesatto o parziale, senza che sia necessario accertarne la gravità e la definitività. Che anzi la ricorrenza di tale ultima situazione sembra porsi in termini oppositivi rispetto all’attivazione del rimedio (interlocutorio) di cui all’art. 1460 c.c., potendo essere causa del rimedio risolutorio. “Il compratore può sollevare l'eccezione di inadempimento, ai sensi dell'art. 1460 c.c., non solo quando venga completamente a mancare la prestazione della controparte, ma anche nel caso in cui dall'inesatto adempimento del venditore derivi l'inidoneità della cosa venduta all'uso cui è destinata, purché il rifiuto di pagamento del prezzo risulti giustificato dall'oggettiva proporzione dei rispettivi inadempimenti, riguardato con riferimento al complessivo equilibrio sinallagmatico del contratto ed all'obbligo di comportarsi secondo buona fede” (Cass. civ., sez. II, ordinanza 28 maggio 2021 n. 14986).

Considerando la disciplina civilistica e la situazione venutasi a creare nell’ambito del rapporto convenzionale de quo, non può che qualificarsi la posizione assunta dalla parte pubblica in termini di autotutela delle proprie prerogative.

In altri termini non è che non possano essere apprezzate mancanze delle parti del rapporto pattizio ma esse non possono essere intese al fine di configurare la nascita di un’obbligazione risarcitoria, che sposti l’onere economico del danno dalla sfera giuridica nell’ambito della quale si è prodotto a controparte, essendo piuttosto esse funzionali a giustificare deficienze esecutive di entrambe le parti, paralizzando iniziative volte a traslare la regolamentazione delle partite nell’ambito di una nuova obbligazione (risarcitoria). Così il Collegio ritiene di poter interpretare e regolamentare le opposte posizioni delle parti in punto di interruzioni del servizio di acquedotto in numerosi Comuni dell'Ati, con conseguente adozione di ordinanze sindacali di non potabilità dell’acqua, da un lato, e le vicende che hanno caratterizzato la progettazione e il finanziamento delle opere di ristrutturazione della rete idrica di Agrigento e il completamento della rete idrica a copertura del servizio idropotabile e la sostituzione della rete idrica vetusta e/o in cattivo stato del Comune di Sciacca, dall’altro lato.

Ciò è tanto più vero se si considera che i rispettivi obblighi (dei quali le parti lamentano l’inadempimento di controparte) si collocano e trovano causa nell’ambito di un rapporto tipicamente di diritto pubblico, il rapporto concessorio (su cui appena sopra).

Quanto sopra illustrato in punto di caratteristiche del rapporto concessorio ed eccezione di inadempimento è idoneo altresì a giustificare il diniego di riconoscimento di un’obbligazione risarcitoria da inadempimento in capo alla parte pubblica in relazione alle ulteriori circostanze illustrate dalla società e sopra richiamate.

A ciò si aggiunge che il fatto, dedotto dalla società, che “la distribuzione idrica in buona parte dei comuni gestiti da -OMISSIS- è, a tutt’oggi, di tipo turnato, in quanto le precarie (e talvolta pessime) condizioni di conservazione e di funzionalità delle reti di distribuzione esistenti non consentono una distribuzione continua nelle 24 ore non è comunque idonea a superare i rilievi formulati nell’atto di diffida, a fronte del fatto che la gestione del servizio “è a rischio e pericolo del Gestore” (art. 2 della convenzione).

Lo stesso è a dirsi con riferimento alla giustificazione fondata sulla “precarietà delle infrastrutture acquisite dai precedenti gestori”.

Circa l’impossibilità di realizzare gli investimenti si rileva inoltre che la diffida fa riferimento agli investimenti che la società si sarebbe impegnata a realizzare con fondi propri. In ogni caso, quanto all’approvazione della tariffa, si rileva che il T Lombardia – Milano, con sentenza (non appellata) 29 novembre 2019 n. 2422, ha ritenuto infondato il motivo di ricorso relativo alla decurtazione del Fo.N.I., per quanto concerne in particolare la componente del Fo.N.I. riscossa a titolo di anticipazione per il finanziamento dei nuovi investimenti.

Al riguardo il T ha affermato che “la decisione dell’Ente di governo risulta legittimo esercizio della discrezionalità conferita in materia considerato anche che la voce in esame costituisce, in sostanza, un contributo pubblico in conto impianti”, con l’obiettivo di incidere “sulle componenti che non pregiudicano la realizzazione degli interventi prioritari, funzionali a garantire gli obiettivi specifici della pianificazione”. Al riguardo il giudice di primo grado ha precisato, per quanto di interesse in questa sede, che “in presenza di una modulazione tariffaria che non incide sulla realizzabilità degli investimenti e consente, inoltre, di mantenere l’equilibrio economico finanziario della gestione, risulta legittima la decurtazione operata che, in sostanza, si traduce nella rinuncia a parte degli investimenti al fine di contenere aumenti tariffari che possono risultare socialmente poco sostenibili stante anche le numerose criticità del servizio essenziale riscontrate”.

Quanto alla questione del passaggio d’aria il fatto che non vi sia una necessità tecnica circa l’installazione degli sfiati non è sufficiente per ovviare alla problematica richiamata nell’atto di diffida, relativa alla misura di quanto consumato.

12.6. Il motivo non è quindi meritevole di accoglimento.

13. Con ulteriore motivo l’appellante ha dedotto l’erroneità della sentenza nella parte in cui il T ha deciso in ordine al danno derivante dalla mancata remunerazione del capitale investito sugli investimenti previsti dal piano economico e finanziario nonché dalla mancata percezione della fee del 10% da parte dei soci sugli investimenti previsti.

13.1. Per le ragioni sopra esposte con riferimento al motivo scrutinato appena sopra non può essere addebitata al Consorzio la voce di danno medesima in quanto la mancata (in tesi) esecuzione del piano d’ambito sin dal primo anno deve essere inquadrata nei termini sopra illustrati.

A ciò si aggiunge che la consulenza di parte basa la stima del danno derivante a titolo di mancata remunerazione del capitale investito e di mancata percezione della fee su investimenti programmati, senza calcolare il rischio connesso al passare del tempo.

13.2. Il motivo non è quindi meritevole di accoglimento.

14. Con ulteriore motivo l’appellante ha dedotto l’erroneità della sentenza nella parte in cui il T ha escluso la responsabilità del Consorzio per la ritardata approvazione delle tariffe relative al primo periodo tariffario. In particolare nel ricorso introduttivo si fa riferimento al “ritardo nell’approvazione dell’articolazione tariffaria, avvenuta soltanto con deliberazione n° 2 del 20/06/2012 del Commissario ad Acta in sostituzione dell’Assemblea dei Rappresentanti dell’A.T.O. Idrico AG9 ed entrata in vigore a partire dal 1° gennaio 2012”.

In particolare l’appellante ha dedotto la violazione degli artt. 16 e 17 della convenzione, degli artt. 11 e 13 della l. 34/1994 e dell’art. 154 d.lgs. n.152/2006 e il “contrasto con gli artt. 16 e 17 della Convenzione e con l’art. 1218 c.c.”.

14.1. Il Giudice di prime cure ha innanzitutto rilevato come “non emerge dagli atti di causa – né la ricorrente lo documenta – quali iniziative abbia assunto la predetta al fine di fare valere tale inadempimento del Consorzio”.

Parte appellante ha infatti sollecitato l’approvazione della tariffa da parte del Consorzio d’ambito con due note, una risalente al 30 dicembre 2011 (quando erano già passati 4 anni di gestione del servizio idrico integrato) e l’altra dell’11 settembre 2014.

Senonché le “molteplici iniziative” di controparate si riducono, quanto al lasso di tempo rilevante ai fini della censura de quo (precedente al 20 giugno 2012), alla sola diffida del 30 dicembre 2011.

Di talché la condotta tenuta da -OMISSIS- non risulta idonea a supportare il riconoscimento di una responsabilità risarcitoria in capo alla parte pubblica.

L’Adunanza plenaria ha affermato che la responsabilità in cui incorre l’Amministrazione per l’esercizio delle funzioni pubbliche è inquadrabile nella responsabilità da fatto illecito (Ad. plen. 23 aprile 2021 n. 7).

Nel caso di specie la condotta (in tesi) causativa del danno è una condotta omissiva, la ritardata approvazione delle tariffe.

Rilevano rispetto a detta condotta le iniziative assunte sul punto dall’appellante.

Le iniziative, anche giurisdizionali, volte a superare il silenzio costituiscono uno strumento di cooperazione del privato istante, scrutinabile ai fini dell’esclusione della responsabilità risarcitoria ai sensi dell’art. 30 comma 3 c.p.a.

L’istituto ha un ruolo centrale nella fattispecie di responsabilità dell’amministrazione per danno da ritardo.

Né può affermarsi il contrario in ragione della previsione nella convenzione di due articoli dedicati alle tariffe, gli artt. 16 e 17, dai quali, peraltro, non discendono gli obblighi di approvazione, che derivano direttamente dalla legge (artt. 11 e 13 della legge n. 36 del 1994 e art. 154 del d.lgs. n.152 del 2006), ma gli obblighi del gestore rispetto alla tariffa.

Gli adempimenti e le prerogative di approvazione tariffaria e delle relative articolazioni costituisce infatti esercizio di una funzione pubblica, connotata da profili di autoritatività.

“La necessità che nell’esame della domanda di risarcimento dei danni da illegittimo o mancato esercizio della funzione pubblica sia in ogni caso valutata la condotta del privato costituisce un profilo di peculiarità della responsabilità dell’amministrazione rispetto al modello di riferimento costituito dalla fattispecie generale dell’illecito civile prevista dall’art. 2043 del codice civile, in considerazione della complessa evoluzione che nel tempo, a partire dalla teorica del procedimento amministrativo, hanno subìto i rapporti tra amministrazione e privato in termini di partecipazione per quest’ultimo e di attenuazione della posizione di supremazia dell’amministrazione nell’esercizio della funzione” (Ad. plen. 23 aprile 2021 n. 7).

Detto onere di cooperazione è ricondotto dall’Adunanza plenaria allo schema di carattere generale del “(c)oncorso del fatto colposo del creditore” previsto dall’art. 1227 c.c., richiamato dall’art. 2056 cod. civ. per la responsabilità da fatto illecito, e più precisamente nell’ipotesi del secondo comma (evocativo di un principio di causalità giuridica, a differenza del primo comma che disciplina il nesso di causalità materiale condotta-evento), per la quale il risarcimento “non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza”.

Nell’ambito della struttura bipolare della responsabilità civile, come rilevato dalla stessa giurisprudenza civile, l’art. 1227 comma 2 c.c. rileva nella determinazione del danno, in combinato disposto con l’art. 1223, quale criterio (rectius: uno dei criteri) in base al quale selezionare le conseguenze risarcibili, dopo che si sia positivamente accertata la ingiusta lesione di un interesse giuridico meritevole di tutela in termini di conseguenza immediata e diretta della condotta.

Nel settore della responsabilità dell’amministrazione da illegittimo o mancato esercizio dei suoi poteri autoritativi il criterio in questione assume una connotazione particolare in una duplice prospettiva.

Da un lato l’onere di cooperazione del privato nei confronti dell’esercizio della funzione pubblica assume i connotati di un “obbligo positivo (tenere quelle condotte, anche positive, esigibili, utili e possibili, rivolte a evitare o ridurre il danno)”, con la sola esclusione di “attività straordinarie o gravose attività”, per cui “non deve essere risarcito il danno che il creditore non avrebbe subito se avesse serbato il comportamento collaborativo cui è tenuto, secondo correttezza” (Ad. plen. 23 marzo 2011 n. 3).

Dall’altro lato, l’art. 30 comma 3 c.p.a. (“il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti”) è interpretato nel senso che l'omessa attivazione degli strumenti di tutela previsti costituisce, nel quadro del comportamento complessivo delle parti, dato valutabile, alla stregua del canone di buona fede e del principio di solidarietà, ai fini non solo della mitigazione ma anche dell’esclusione del danno evitabile con l’ordinaria diligenza.

La circostanza che la condotta del privato possa incidere sull’an del danno risarcibile e non solo sul quantum evidenzia come il comportamento delle parti e le posizioni che esse esprimono acquisisca rilevanza non solo al fine di quantificare le conseguenze dannose risarcibili ma refluisca sul bilanciamento dei contrapposti interessi che caratterizza la valutazione di ingiustizia del danno.

La stessa Adunanza plenaria ha infatti sottolineato come “la necessità che nell’esame della domanda di risarcimento dei danni da illegittimo o mancato esercizio della funzione pubblica sia in ogni caso valutata la condotta del privato costituisce un profilo di peculiarità della responsabilità dell’amministrazione rispetto al modello di riferimento costituito dalla fattispecie generale dell’illecito civile prevista dall’art. 2043 del codice civile, in considerazione della complessa evoluzione che nel tempo, a partire dalla teorica del procedimento amministrativo, hanno subìto i rapporti tra amministrazione e privato in termini di partecipazione per quest’ultimo e di attenuazione della posizione di supremazia dell’amministrazione nell’esercizio della funzione” (Ad. plen. 23 aprile 2021 n. 7), con conseguenti oneri a carico del privato.

In tale prospettiva il privato non può chiedere i danni derivanti da una condotta altrui se questi avrebbero potuto essere superati da una condotta attiva del medesimo.

Nel caso di specie, nell’ambito del lasso di tempo rilevante ai fini della censura de quo (precedente al 20 giugno 2012), parte appellante ha assunto un’unica iniziativa, la diffida del 30 dicembre 2011, non essendo attivata altrimenti, né con attività extragiudiziale, sollecitando l’esercizio del potere sostitutivo previsto dalla legge in capo all’Autorità di vigilanza (art. 160 del d. lgs. n. 152 del 2006), né con iniziative giudiziali. Oltre al fatto che, nell’ambito del procedimento, ha riscontrato l’articolazione tariffaria ad agosto 2011, sebbene il Consorzio le avesse trasmesso gli atti già il primo marzo 2010.

Come l’attivazione processuale del privato è “indice di serietà ed effettività dell’interesse legittimo di quest’ultimo al provvedimento espresso”, l’omesso utilizzo degli strumenti processuali è invece indice del contrario. Ciò in quanto, in assenza di tempestive iniziative dell’interessato, può presumersi, salve diverse considerazioni che spieghino tale inerzia, che “l’ulteriore decorso del tempo sia sostanzialmente indifferente per il privato, nell’ambito delle proprie autonome determinazioni” (Ad. plen. 23 aprile 2021 n. 7).

Se quindi la mancata proposizione del ricorso avverso il silenzio non è idonea in sé a precludere la pretesa risarcitoria (essendo venuta meno la pregiudiziale processuale), essa costituisce un elemento di valutazione che può concorrere, con altri, alla definizione della responsabilità.

Nel caso di specie il Consorzio non è rimasto inerte dal 2007 al 2012, richiedendo anche il commissariamento del proprio organo (l'assemblea dei rappresentanti degli enti locali) per superare l'ostruzionismo dei Comuni “disobbedienti”, così pervenendo all'approvazione di detta tariffa (per l’annualità 2012), per il tramite del Commissario ad acta nominato dalla Regione.

E nel caso di specie non può essere trascurato che una sola diffida è stata inviata, nel 2011, da parte appellante.

Tanto basta per ritenere infondato il motivo di appello.

Le conclusioni non cambiano se si considera quanto dedotto da parte appellante in merito al lasso di tempo intercorso fra la trasmissione dell’articolazione tariffaria da parte del Consorzio il primo marzo 2010 e il definitivo riscontro ad agosto 2011: “tale lasso di tempo è derivato proprio dalla mancata consegna da parte del Consorzio al concessionario d’una parte sostanziale delle strutture e dei servizi previsti dal Piano d’Ambito, con la conseguente difficoltà di giungere ad una corretta procedura di determinazione delle tariffe”.

Detta argomentazione risente quindi di quanto sopra illustrato in ordine all’adempimento dell’obbligo di consegna, con le conseguenze ivi definite, non imputabili alla parte pubblica.

Peraltro la quantificazione del danno occorso (in tesi) in ragione della ritardata approvazione delle tariffe non supporta adeguatamente una pronuncia di condanna.

Il consulente di parte ha quantificato il danno da ritardo identificandolo nelle perdite operative. In particolare, nella perizia giurata si legge che “tali perdite operative contabilmente sono esposte nei bilanci della società -OMISSIS- per gli esercizi che vanno dal 2007 al 2011 compreso, e sono rappresentate dal valore dato dalla voce “Differenza tra il valore e i costi della produzione (A-B)” del prospetto Conto Economico (tabella 1). Tale voce, infatti, rappresenta la differenza tra i ricavi operativi ed i costi operativi” (pag. 7).

Al riguardo si osserva quanto segue.

Con riferimento al 2007 infatti non possono computarsi perdite operative (invece calcolate in perizia di parte per 72.909,00 euro) dal momento che nel bilancio 2007 di -OMISSIS- si legge che “dalla data di costituzione al 31 dicembre 2007 la società non ha ancora intrapreso alcuna attività operativa” (pag. 7 del bilancio 2007). Risulta, dunque, ininfluente per il 2007 l’approvazione o la mancata approvazione dell’articolazione tariffaria.

Per gli anni 2008 e 2009 il consulente di parte si è limitato a identificare il danno da ritardo con l’importo del Fondo svalutazione crediti, pari rispettivamente a 539.400 euro e a 617.573 euro (rispettivamente pag. 4 del bilancio 2008 e pag. 4 del bilancio 2009), cioè con l’accantonamento volontario che si crea in bilancio per far fronte all’eventualità che uno o più debitori non adempiano integralmente ai propri impegni contrattuali. Peraltro il delta fra valore e costi di produzione corrisponde esattamente con detto importo, con la conseguenza che non risulta evidente la perdita operativa per -OMISSIS- in entrambi gli anni e l’eventuale incidenza sulla stessa del ritardo nell’approvazione tariffaria.

A partire dal 2010 il gap negativo tra costi e ricavi della produzione non coincide con l’importo del menzionato Fondo, sebbene anche per l’esercizio 2010 822.606,00 euro (pag. 21 della nota integrativa al bilancio 2010) su complessivi 1.300.000,00 euro circa siano imputabili alla voce negativa di cui al Fondo svalutazione crediti. Al riguardo si rileva che fra i costi si evidenziano 504.157,00 euro per spese legali e consulenze tecniche, rispetto alle quali non è comprovata la correlazione con la copertura tariffa.

Nel bilancio del 2011 il gap negativo tra costi e ricavi della produzione aumenta fino a circa sei milioni di euro. Il Fondo svalutazioni crediti si riduce a euro 216.483,00. Nondimeno si evidenzia l’incremento del costo del personale: nell’anno precedente, il costo del personale era pari a euro 2.472.764,00 per salari e stipendi;
euro 565.419,00 per oneri sociali ed euro 148.255,00 per TFR e nel 2011 tali voci di costo sono tutte pressoché raddoppiate: euro 4.026.278,00 per salari e stipendi;
euro 1.159.380,00 per oneri sociali ed euro 201.274,00 per TFR (pag. 20 della nota integrativa al bilancio 2011).

A fronte di dette circostanze non sembra sufficiente quanto argomentato nella perizia di parte, in quanto non spiega l’esatta dinamica intercorsa fra il ritardo nell’approvazione della tariffa e il danno occorso, che avrebbe dovuto essere considerato solo nei limiti della diretta consequenzialità.

Né questo Giudice può sul punto venire in ausilio alla parte.

Il danno derivante dall’esercizio del potere pubblico in termini di omissione o illegittimità del provvedimento è soggetto ad un puntuale onere probatorio in capo al soggetto che ne richieda il risarcimento, specie in punto di danno-conseguenza e quindi di quantificazione del pregiudizio economico subito (in tesi).

Nell'azione di responsabilità per danni, il principio dispositivo, che si concretizza, in punto di onere della prova, in quanto disposto dall'art. 2697 comma 1 c.c.., opera con pienezza nel processo amministrativo, senza il temperamento del metodo acquisitivo caratteristico dell'azione giurisdizionale di annullamento (Cons. Stato, sez. V, 9 marzo 2020 n. 1674 e sez. III, 23 maggio 2019 n. 3362). Non si ravvisano infatti i presupposti che integrano la ratio dei poteri acquisitivi del g.a. e, fra essi, in particolare l’asimmetria di posizioni e di informazioni (a vantaggio dell’Amministrazione). Invero, il pregiudizio economico di cui è chiesto il ristoro (danno-conseguenza) appartiene alla sfera economica, prima che giuridica, del presunto danneggiato: anche in ragione della vicinanza della prova: non ha quindi ragion d’essere un intervento di ausilio in tal senso da parte di questo Giudice.

Non si ravvisano pertanto elementi sufficienti per ritenere che la società avrebbe avuto accesso ai registri e si sarebbe collocata in posizione utile nella procedura del novembre 2011, ottenendo un’incentivazione idonea a rendere sostenibile l’intero progetto. E ciò anche considerando che lo stesso verificatore ha affermato che, nel caso in cui il titolo autorizzativo fosse stato rilasciato entro il 25 marzo 2012, ma l’impianto fosse entrato in esercizio dopo il 31 agosto 2011, “la Società Epuron 4 S.r.l. non avrebbe avuto la possibilità di accedere alle tariffe incentivanti del Quarto Conto energia a causa della mancata apertura delle procedure di registro a partire dal primo febbraio 2012”.

Ne deriva che il Collegio non ha a disposizione elementi sufficienti per accertare la sussistenza del danno-conseguenza e del presupposto nesso di causalità giuridica fra la condotta omissiva dell’Amministrazione e il danno derivante dalla ritardata approvazione tariffaria.

14.2. La censura non è quindi meritevole di accoglimento.

15. In conclusione l’appello deve essere respinto, assorbita ogni altra censura, specie in relazione alla quantificazione del danno, atteso che non sono integrati i presupposti per il riconoscimento della responsabilità risarcitoria.

16. Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

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