CGARS, sez. I, sentenza 2018-08-17, n. 201800479

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Sul provvedimento

Citazione :
CGARS, sez. I, sentenza 2018-08-17, n. 201800479
Giurisdizione : Consiglio Di Giustizia Amministrativa per la Regione siciliana
Numero : 201800479
Data del deposito : 17 agosto 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 17/08/2018

N. 00479/2018REG.PROV.COLL.

N. 00408/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA

in sede giurisdizionale

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 408 del 2016, proposto da D R, rappresentato e difeso dagli avvocati P S e S R, con domicilio eletto presso lo studio della prima in Palermo, via Antonio Veneziano 69;

contro

Università degli Studi di Catania, Regione Sicilia - Assessorato alla Sanità, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, presso la quale domiciliano ex lege in Palermo, via De Gasperi 81;

Azienda Ospedaliera “C” di Catania, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato C S, con domicilio eletto presso lo studio Giovanna Carla Milano in Palermo, via Goethe 44;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia - Sezione di Catania n. 3013/2015, resa tra le parti, concernente lavoro - pubblico impiego - recupero somme dovute dai dirigenti universitari a conguaglio negativo.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Università degli Studi di Catania, della Regione Sicilia - Assessorato alla Sanità e dell’Azienda Ospedaliera “C” di Catania;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 luglio 2018 il Cons. N G e uditi per le parti gli avvocati P S e C S, e l'avv. dello Stato Giacomo Ciani;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1 Il T.A.R. per la Sicilia – Sezione di Catania con la sentenza n. 1158 del 2006, accogliendo il ricorso proposto -tra gli altri- dal prof. D R, riconosceva il diritto all’equiparazione, per il periodo 2004-2008, del suo trattamento economico a quello del personale medico del Servizio Sanitario Nazionale ai sensi dell'art. 31 del d.P.R. n. 761 del 1979 (il quale prevedeva che al personale universitario che prestava servizio presso policlinici, cliniche e istituti universitari di ricovero e cura convenzionati con le regioni e le UU.SS.LL. fosse corrisposta un’indennità nella misura occorrente a equipararne il trattamento economico a quello goduto dal personale delle UU.SS.LL. di pari funzioni, mansioni e anzianità).

La pronuncia veniva confermata in appello, pur se sulla base di argomentazioni diverse, dalla sentenza del C.G.A. n. 158/2010, nella quale si affermava, in particolare, conclusivamente, “ che nel periodo in vertenza l'equiparazione debba operare secondo il sistema degli art. 31 e 102 citati, come equiparazione di trattamenti economici complessivi, nei limiti in cui, nel rispetto dei fondi disponibili, quello complessivo del personale medico universitario risulti inferiore a quello del personale medico del S.S.N.”.

2 In esecuzione del giudicato scaturito dalle dette sentenze l’Azienda ospedaliera per l'emergenza “C” di Catania adottava la delibera del Direttore Generale n. 1221 del 18 giugno 2012 (" Ricorsi per l'ottemperanza alle sentenze del T.A.R. S. Catania n. 1156, 1158, e 1159/2006 ”), con la quale liquidava in favore dell'Università di Catania la somma di € 146.891,18, quale importo complessivo ancora dovuto al personale universitario convenzionato, a conguaglio delle rimesse già effettuate, per la completa equiparazione al trattamento economico del personale del S.S.N. di pari funzioni, mansioni e anzianità.

La somma veniva successivamente integrata con la deliberazione n. 1546 del 26 luglio 2012 per l’importo di € 118.703,86.

Questa seconda delibera, tuttavia, nel dare atto che l’ammontare di cui alla precedente n. 1221 era la risultante di conguagli individuali sia favorevoli che sfavorevoli, promuoveva contestualmente anche il recupero delle somme dovute dai dirigenti universitari con conguaglio negativo, mediante compensazione con l’integrazione stipendiale mensile nei limiti del 50% dell'integrazione stessa (nonché su ogni altra competenza stipendiale spettante, a qualsiasi titolo).

Infine, la stessa Azienda ospedaliera con la deliberazione n. 1920 del 29 agosto 2012 determinava le somme da recuperare dal mese di agosto del 2012, prevedendo appunto il recupero degli importi versati in eccedenza nei confronti del personale con conguaglio negativo: e tra questi rientrava anche l’interessato, cui era ascritto un residuo da recuperare pari a euro 35.973,95.

3 Da qui il nuovo ricorso al T.A.R. del prof. R, che, oltre a impugnare le già menzionate delibere nn. 1221, 1546 e 1920/2012, gravava il silenzio tenuto dall'Amministrazione sulla sua richiesta presentata il 5 marzo 2013 per ottenere la rideterminazione della somma mensilmente decurtata dallo stipendio.

I motivi a base del ricorso sarebbero stati dal Giudice adìto così sunteggiati:

1) violazione di legge (artt. 1 e 5 del d.lgs. n. 517/1999) ed eccesso di potere per carenza dei presupposti, non essendo l’Azienda ospedaliera “C” competente a incidere sul trattamento retributivo dei professori universitari;

2) violazione di legge (art. 6 d.lgs. n. 517/1999 e art. 3 d.P.C.M. 24 maggio 2001);
violazione del giudicato nascente dalla sentenza del T.A.R. Catania n. 1158/2006 ed eccesso di potere per contraddittorietà, avendo l’Azienda sostanzialmente “rideterminato” la retribuzione corrisposta al ricorrente a titolo d’indennità di retribuzione di risultato, che aveva comportato l’attribuzione di una retribuzione superiore a quella dei pari grado ospedalieri;

3) violazione di legge (artt. 1 e 2 della legge n. 241/1990), avuto riguardo al mancato riscontro della richiesta presentata dall’interessato il 5 marzo 2013 per la rideterminazione della somma mensilmente decurtata dallo stipendio.

Si costituivano in giudizio in resistenza al ricorso l’Azienda ospedaliera e l’Assessorato regionale alla Sanità.

La prima eccepiva l’improcedibilità dell’impugnativa avverso il silenzio depositando la propria nota n. 2641 del 5 aprile 2013 di riscontro dell’istanza del ricorrente, e, dopo aver sottolineato la doverosità del recupero delle somme erroneamente corrisposte, chiedeva il rigetto del ricorso.

L’Amministrazione regionale, di contro, si limitava a eccepire la propria estraneità alle domande introdotte dal ricorrente.

L’interessato con successiva memoria rinunciava al motivo di ricorso concernente il presunto silenzio-inadempimento dell’Azienda ospedaliera, insistendo sulle rimanenti domande.

La sua domanda cautelare veniva rigettata con ordinanza del 16 maggio 2013.

4 All’esito del giudizio di primo grado il Tribunale con la sentenza n. 3013/2015 in epigrafe respingeva il ricorso, reputato infondato.

5 Seguiva avverso tale sentenza la proposizione del presente appello da parte del soccombente, che riproponeva le proprie doglianze e sottoponeva a critica gli argomenti con cui il Tribunale le aveva disattese.

L’Azienda ospedaliera, l’Assessorato regionale e l’Università si costituivano in resistenza all’impugnativa anche nel nuovo grado di giudizio, la prima deducendo l’inammissibilità e l’infondatezza dell’appello, e le altre due insistendo per il proprio difetto di legittimazione passiva.

Con decreto presidenziale del 9-10 ottobre 2017 l’appello veniva dichiarato perento: il relativo decreto veniva però poi revocato, in accoglimento dell’opposizione di parte ricorrente, con ordinanza del 15-17 novembre 2017, che fissava l’udienza pubblica per la trattazione della causa nel merito.

Alla pubblica udienza del 4 luglio 2018 la causa è stata infine trattenuta in decisione.

6a Il collegio rileva in via preliminare la fondatezza dell’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata, anche in questo grado di giudizio, dall’Assessorato regionale alla Sanità (oggi, Salute).

Tale Amministrazione è difatti estranea alla controversia, sia in quanto gli atti impugnati non le sono in alcun modo imputabili, sia perché essa è terza rispetto al rapporto d’impiego cui la causa si riferisce.

6b Quest’ultima ragione evidentemente non vale, tuttavia, rispetto all’Università degli Studi di Catania.

Dato, allora, che le domande del ricorrente implicano un accertamento del trattamento economico di pertinenza del medesimo, l’Ateneo non può che essere considerato alla stregua di una parte processuale essenziale, almeno quale litisconsorte necessario dell’Azienda ospedaliera, con la conseguenza che la sua legittimazione passiva non può essere revocata in dubbio.

7 Tanto premesso, l’appello è infondato.

8 Come già opportunamente osservato dal primo Giudice in chiave introduttiva, il giudizio in esame verte sulla legittimità delle delibere sopra indicate, limitatamente all’azione di recupero intrapresa dall’Amministrazione, mediante compensazione con l’integrazione stipendiale mensile, delle maggiori somme percepite dal ricorrente nel periodo 2004-2008.

La controversia non investe, quindi, questioni concernenti l’astratto diritto dell’interessato a un’equiparazione stipendiale (come tale, ormai definitivamente accertato con le sentenze già citate), ma s’incentra sulla legittimità del conguaglio negativo determinato dall’Azienda ospedaliera “C” sulle maggiori somme versategli medio tempore , le quali hanno sostanzialmente determinato l’attribuzione, allo stesso ricorrente, di un trattamento economico complessivo superiore a quello dei dirigenti della sanità medica di pari funzioni, mansioni e anzianità.

In punto di fatto è incontestata, invero, l’attribuzione al suddetto, per il periodo in riferimento, di una retribuzione che, per effetto delle maggiori somme liquidate (a quanto emerge, essenzialmente per retribuzione di posizione), lo ha visto beneficiare di un trattamento economico complessivo eccedente il trattamento ospedaliero.

9a Ciò posto, si ricorda che il primo motivo dell’originario ricorso introduttivo concerneva la dedotta incompetenza a provvedere, in questa materia, da parte dell’Azienda ospedaliera, la quale non sarebbe stata titolata a intervenire sul trattamento retributivo di un professore universitario: l’unico soggetto competente a statuire sullo stato giuridico ed economico del medesimo sarebbe stata l’Università di appartenenza.

9b Il T.A.R. ha respinto il mezzo sostenendo, invece, la competenza proprio dell’Azienda al recupero delle somme in discussione, “ poiché l'importo del trattamento economico di perequazione viene erogato dalla Azienda ospedaliera con somme che gravano sui fondi del servizio sanitario, erogate dalla Regione per remunerare specificatamente le prestazioni assistenziali svolte dalla Azienda stessa;
tant'è che i fondi in oggetto non confluiscono nel bilancio universitario, ma sono oggetto di autonoma gestione riguardante l’azienda ospedaliera
.”

9c Con il presente appello questa decisione viene contestata, riprendendosi la precedente osservazione che il personale medico universitario, anche quando impegnato in attività assistenziale presso aziende ospedaliero-universitarie, conserva il proprio stato giuridico e rimane titolare di un unico rapporto di servizio con l’Università, con il corollario che, indipendentemente dalla provvista di mezzi che le Amministrazioni del S.S.N. devono garantire agli Atenei, le aziende sanitarie che pur si avvalgano di personale universitario non sono competenti ad adottare atti tali da incidere direttamente sul suo trattamento retributivo.

9d Le deduzioni così riproposte sono in via di astratto principio corrette. Anche nella già citata sentenza di questo Consiglio n. 158/2010 è stato ricordato che lo stesso obbligo di remunerazione nella misura aggiuntiva prevista dall'art. 31 del d.P.R. n. 761/1979 grava sull'Università con cui corre il rapporto d’impiego, stante l'unicità della posizione di status cui si collega la pluralità di compiti e funzioni innanzi evocate.

La doglianza di parte in esame è però superata, nella concreta vicenda occorsa, dalla circostanza che -come anche la ricorrente riconosce- l’esecuzione delle delibere in contestazione è stata attuata proprio dagli uffici dell’Università, cui fa capo l’amministrazione del personale e, quindi, l’elaborazione delle sue buste paga e l’erogazione dei relativi emolumenti.

Da ciò si desume, infatti, che l’Amministrazione universitaria ha fatto propria l’impostazione sottesa alle deliberazioni dell’Azienda ospedaliera “C”, dando loro effettivo seguito (né varrebbe, trattandosi di attività amministrativa puramente paritetica, opporre che siffatta volontà adesiva non abbia trovato formalizzazione assumendo sembianze provvedimentali).

In concreto, perciò, “ la mancata erogazione di una parte della retribuzione tabellarmente spettante ”, mancanza della quale in questa sede essenzialmente ci si duole, è pur sempre imputabile a una scelta che l’Università ha fatto propria.

Le deliberazioni impugnate, del resto, anche alla luce dei principi di competenza richiamati dal ricorrente, non potevano rivestire altro senso se non quello di una riduzione, contestualmente motivata, della complessiva provvista finanziaria che l’Azienda ospedaliera era chiamata a erogare all’Università per il personale universitario interessato, fermo restando, dunque, che le concrete iniziative di recupero delle eccedenze versate non avrebbero potuto prescindere in alcun modo dalla decisiva esistenza di una conforme volontà dell’Amministrazione universitaria.

Da qui il rigetto di questo primo motivo di appello.

10a Il secondo motivo riguarda, in sintesi, una presunta violazione del giudicato nascente dalla sentenza del T.A.R. n. 1158/2006, con la critica all’Azienda di avere sostanzialmente “rideterminato” la retribuzione corrisposta al ricorrente a titolo d’indennità di risultato, che aveva comportato l’attribuzione di una retribuzione superiore rispetto a quella dei pari grado ospedalieri.

10b Il Tribunale, ricordata la finalità esclusivamente perequativa dell’indennità in controversia, ha osservato che nel caso di specie, invece, il ricorrente “ ha ottenuto liquidazioni di maggiori indennità che hanno determinato la corresponsione di un trattamento complessivo superiore rispetto a quello del personale ospedaliero di pari grado che rende legittima l’azione di recupero disposta dall’azienda, trattandosi di maggiori somme non coerenti con le finalità di equiparazione perseguite dalle norme sopra citate .”

E in coerenza con ciò il T.A.R. ha escluso che nell’operato dell’Azienda fosse ravvisabile alcuna violazione/elusione del giudicato, in quanto, come precisato dal C.G.A. nella decisione n. 158/2010, l’equiparazione deve operare “ come equiparazione di trattamenti economici complessivi, nei limiti in cui, nel rispetto dei fondi disponibili, quello complessivo del personale medico universitario risulti inferiore a quello del personale medico del S.S.N ”.

10c Con l’appello in scrutinio viene contestata la lettura delle precedenti pronunce operata dal primo Giudice e reiterata la censura di violazione del giudicato.

La ricostruzione dei contenuti del giudicato proposta dalla parte privata non può, però, essere condivisa.

10d L’esame della sentenza n. 158/2010 rivela, invero, che questo Consiglio, nell’occasione, nel riferirsi alla disciplina transitoria recata dall’art. 6 del d.lgs. 21 dicembre 1999, n. 517, e sviluppata dal d.P.C.M. 24 maggio 2001, ha recepito le indicazioni con cui il Consiglio di Stato, proprio in relazione al passaggio tra il pregresso e il nuovo sistema di equiparazione, aveva affermato:

- il diritto dei professori universitari che svolgevano, in regime di convenzionamento con il servizio sanitario nazionale, funzioni assistenziali, a percepire la tradizionale indennità di equiparazione fino alla piena applicazione delle disposizioni di cui all'art. 6, comma 1, del d.lgs. n. 517 del 1999;

- che il nuovo sistema, basato su trattamenti integrativi graduati in relazione alle responsabilità connesse ai diversi tipi di incarico (c.d. indennità di posizione) e ai risultati ottenuti nell'attività gestionale ed assistenziale (c.d. indennità di risultato), non era aggiuntivo, bensì sostitutivo del precedente (con il quale dunque, è qui appena il caso di evidenziarlo, non avrebbe potuto convivere).

Il Consiglio ha accertato, quindi, che nel periodo in contestazione, allo stato degli atti, il nuovo sistema equiparativo definito dall'art. 6 del d.lgs. n. 517/1999 non risultava compiutamente attuato dalle Amministrazioni interessate (Regione, Università e singola Azienda ospedaliero-universitaria).

E su tale premessa, dopo aver ribadito che nelle more della messa a regime del nuovo sistema retributivo dell'art. 6 d.lgs. n. 517/1999 le modalità di determinazione del trattamento equiparativo dovevano rimanere quelle preesistenti, e dopo aver sottolineato che nella vicenda l'Amministrazione universitaria aveva dato corso, fino ad allora, solo in via provvisoria e informale alla sostituzione del trattamento equiparativo previsto dagli artt. 31 d.P.R. n. 761/1979 e 102 d.P.R. n. 382/1980, ha concluso, appunto, statuendo che nel periodo in vertenza l'equiparazione dovesse continuare a operare “ secondo il sistema degli art. 31 e 102 citati, come equiparazione di trattamenti economici complessivi, nei limiti in cui, nel rispetto dei fondi disponibili, quello complessivo del personale medico universitario risulti inferiore a quello del personale medico del S.S.N. ”.

10e Quanto testé illustrato sui contenuti del giudicato smentisce, pertanto, l’affermazione di parte ricorrente che l’applicazione delle norme poste a salvaguardia dei livelli retributivi durante il periodo di passaggio da un sistema all’altro non avrebbe potuto paralizzare l’applicazione delle nuove indennità erogate prima della completa entrata a regime del sistema introdotto dalla legge “Bindi”.

Come pure denota l’assenza di fondamento dell’assunto della stessa parte secondo il quale questo Consiglio, nella propria sentenza, quando ha parlato di “ equiparazione di trattamenti economici complessivi ”, si sarebbe riferito alle sole situazioni dei sanitari universitari i quali, per effetto delle nuove indennità di risultato e di posizione, avevano percepito una retribuzione inferiore a quella dei pari grado ospedalieri.

Ne consegue che anche il secondo motivo di appello deve essere disatteso.

11 Né il Collegio può dare seguito all’istanza istruttoria, coltivata dal ricorrente anche in questo grado, tesa a far ordinare all’Università appellata l’esibizione delle determinazioni assunte nei confronti degli altri dipendenti in servizio presso strutture sanitarie convenzionate diverse dall’A.O. “C”, i quali sarebbero stati, in tesi, tenuti indenni da simili iniziative di recupero.

Le ragioni dell’odierna parte ricorrente sono state definite, come è già emerso, da uno specifico giudicato, ed è pertanto arduo ritenere che la sua posizione possa reputarsi assimilabile a quella di soggetti che, invece, rispetto al medesimo giudicato verserebbero in una condizione di terzietà.

L’interessato, inoltre, non ha adempiuto all’onere di offrire il necessario principio di prova a sostegno del proprio asserto, oltretutto totalmente generico.

Senza dire, infine, che, vertendosi in tema di rivendicazioni di diritto soggettivo, l’esistenza di ipotetiche disparità di trattamento non potrebbe valere ex se a giustificare una conclusione di segno favorevole al ricorrente, la quale non potrebbe invece scaturire che da un accertamento dell’effettiva titolarità da parte sua del diritto vantato (cfr. infatti, nel senso dell’inammissibilità della doglianza di disparità di trattamento avanzata in sede di giurisdizione esclusiva ove la controversia tenda all'accertamento di un diritto, C.d.S., sez. VI, 15 gennaio 2002, n. 190).

12 Le considerazioni esposte comportano, pertanto, il rigetto dell’appello in quanto nel suo insieme infondato.

Il Collegio ritiene, tuttavia, che anche rispetto a questo grado di giudizio si giustifichi, per ragioni riconducibili alla natura della controversia e alle particolari difficoltà interpretative poste dalla normativa applicabile, la compensazione delle spese tra tutte le parti in causa.

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