CGARS, sez. I, sentenza 2022-03-22, n. 202200352

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Sul provvedimento

Citazione :
CGARS, sez. I, sentenza 2022-03-22, n. 202200352
Giurisdizione : Consiglio Di Giustizia Amministrativa per la Regione siciliana
Numero : 202200352
Data del deposito : 22 marzo 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 22/03/2022

N. 00352/2022REG.PROV.COLL.

N. 00339/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA

Sezione giurisdizionale

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 339 del 2019, proposto dal signor
B V, rappresentato e difeso dall'avvocato G D L, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero dell'istruzione dell'università' e della ricerca, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello stato domiciliato per legge in Palermo, via Villareale n. 6;

Università degli studi di Catania, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati Giuseppina C C e V R, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

Azienda ospedaliero-universitaria Policlinico Vittorio Emanuele di Catania, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, Sezione staccata di Catania (Sezione Terza) n. 1810/2018, resa tra le parti.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'istruzione dell'università' e della ricerca e dell’Università degli studi di Catania;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 marzo 2022 il Cons. A C;

Nessuno è presente per le parti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO



1. Il signor B V ricorre in appello avverso la sentenza resa dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, sezione staccata di Catania, n. 1810 il 25 settembre 2018.



2. Al giudice amministrativo l’odierno appellante si era rivolto per chiedere l’annullamento della deliberazione del Consiglio di amministrazione del Policlinico di Catania del 7 dicembre 1991, di autorizzazione al proseguimento dell’attività di consulenza di urologo, e del decreto rettorale n. 6816/p dell’11 maggio 1992.



3. A sostegno del ricorso il signor V precisava di essere ricercatore confermato a tempo definito presso l'Istituto di clinica urologica dell'Università di Catania.

Per la sua specifica competenza nella neuro-urologia, il signor V veniva contestualmente chiamato, dal giugno 1989, a programmare, organizzare e dirigere la consulenza specialistica urologica presso le due Cliniche neurologiche del Policlinico Universitario, come si evince dalle certificazioni dai Direttori degli Istituti di clinica urologica e neurologica dell’Università di Catania.

Tale attività, riconosciuta dal giugno 1989, veniva espletata fino al 2 luglio 1997.



4. Per questa attività, da reputarsi ulteriore rispetto a quella propria da esplicitarsi in ambito didattico, in forza dei provvedimenti impugnati il signor V non percepiva alcun compenso aggiuntivo e integrativo.



5. A sostegno del ricorso introduttivo avverso i provvedimenti indicati in epigrafe veniva dedotto il vizio di eccesso di potere “per contraddittorietà”, “per difetto di motivazione”, “per sviamento”.

Si evidenziava che era stata la stessa Università, con deliberazione del Consiglio di Amministrazione del Policlinico del 7 dicembre 1991, tenendo “presente che ancora nel nosocomio universitario non esiste la clinica urologica” a riconoscere “l’interesse dell’Amministrazione ai fini della qualificazione del servizio di consulenza specialistica urologica”, e ad “autorizzare il proseguimento dell’attività di consulenza di urologia presso le predette cliniche, con esclusione di qualsiasi retribuzione a qualunque titolo”.

Parte appellante chiedeva, quindi, la condanna dell’Università “a corrispondergli dal giugno 1989 la retribuzione per l’attività prestata in proporzione alla quantità e qualità della stessa, secondo quanto previsto dall’art. 2126 c.c. e 36 Cost.”.

Parte appellante deduceva anche il vizio di carenza di motivazione e contraddittorietà del decreto rettorale n. 6816 dell’11 maggio 1992 nella parte in cui autorizzava la prosecuzione dell’attività, pur non retribuita, fino al 31 dicembre 1992.



5. La sentenza di primo grado ha respinto il ricorso.



6. Avverso la sentenza propone appello la parte soccombente.



7. l’appello è sostenuto da tre motivi.



7.1. Con il primo si deduce: error in iudicando. Travisamento della posizione sostanziale dedotta e delle domande avanzate. Violazione e falsa applicazione degli artt. 2103 c.c., 97 Cost., 56 e 57 del d.lgs. n. 29/1993, 43 del d.lgs. n. 80/1998, 39, co. 17, l. n. 449/1997 e 15 del d.lgs. n. 387/1998. Il giudice di primo grado avrebbe errato nel considerare la domanda del ricorrente come volta al riconoscimento di “mansioni superiori”. La parte avrebbe chiesto unicamente di avere retribuito l’attività integrativa di carattere assistenziale svolta unitamente a quella di ricercatore universitario.



7.2. Con il secondo motivo si deduce: error in iudicando. Violazione dell’art. 1, terzo comma, del d.l. 2.3.1987, n. 57 convertito nella legge 22.4.1987 n. 158, dell’art. 102 del d.P.R. 11.7.1980 n. 382 e dell’art. 31 del d.P.R. 20.12.1979 n. 791. Afferma parte appellante che la sentenza sarebbe errata per non avere tenuto conto del fatto che la qualità di medico universitario gli dava diritto di praticare l’attività assistenziale specialistica di urologo, che poteva assolvere presso l’Istituto di clinica urologica nel quale era strutturato.

La qualità di ricercatore medico confermato, in ordine all’attività assistenziale presso le cliniche e gli istituti universitari di ricovero e cura lo poneva nella condizione di beneficiare dello stato giuridico del personale sanitario dei ruoli regionali di corrispondente qualifica e di avere diritto all’equiparazione del trattamento economico complessivo corrispondente a quello del personale delle unità sanitarie locali di pari funzione, mansione ed anzianità ai sensi dell’art. 102 del d.P.R. 11.7.1980 n. 382 e dell’art. 31 del d.P.R. 20.12.1979 n. 761. Nel corpo dello stesso motivo vengono esplicitate, in via subordinata, le modalità che dovrebbero essere utilizzate per determinare, comunque, quanto dovuto al signor V.



7.3. Con il terzo ed ultimo motivo si deduce la violazione dell’art. 112 c. p.c. – omessa pronuncia.

L’appello evidenzia che col ricorso introduttivo del giudizio si chiedeva l’annullamento dei provvedimenti del Policlinico e dell’Università anche nelle parti riguardanti l’apposizione all’incarico del limite temporale di un anno.

Il primo giudice si sarebbe pronunciato sulla domanda relativa alla mancata retribuzione, ma non anche sulla domanda di annullamento dei provvedimenti motivata con riferimento proprio al limite temporale.



8. Si sono costituiti nel presente grado di giudizio il Ministero dell'istruzione dell'università' e della ricerca e l’Università degli studi di Catania per resistere al gravame e chiedere la conferma della sentenza di primo grado.



9. Con memoria depositata in data 9 settembre 2021 la difesa erariale, richiamandosi alla produzione di documenti versati nel presente grado di giudizio, ha chiesto, in via principale, di dichiarare inammissibile il ricorso oggetto del presente giudizio.

Rileva la difesa erariale che il dott. V, nella pendenza del presente giudizio, depositava presso il TAR Catania il ricorso introitato con il r.g. 6712/1994 con cui chiedeva, nell’ambito di un contenzioso seriale che coinvolgeva buona parte del personale medico universitario, il diritto al riconoscimento all’indennità di equiparazione ospedaliera ai sensi dell’art. 31 del d.P.R. n.761/1979 assumendo di avere svolto compiti di natura assistenziale da data anteriore 1987. Tale ricorso veniva accolto con la sentenza n. 1185/2000, passata in giudicato ed eseguita dall’Ateneo che pagava gli emolumenti richiesti senza alcuna contestazione da parte del dott. V.

In sede di esecuzione della sentenza favorevole appena citata il signor V faceva pervenire all’Università di Catania, in data 10 maggio 2001, una nota con cui dichiarava che “fino alla data del 3 ottobre 1999 non ha prestato attività assistenziale a favore del Servizio Sanitario Nazionale”. Tale nota veniva depositata presso il fascicolo al TAR con nota del 17340 del 30 luglio 2001.

L’inammissibilità del presente ricorso deriverebbe dal fatto che, vista l’identità del petitum nei due procedimenti, sulla domanda relativa alla condanna dell’amministrazione al pagamento della retribuzione spettante al signor V per l’attività prestata a favore delle Cliniche Neurologiche si sarebbe formato il giudicato a fronte del consolidarsi della sentenza del TAR Catania n. 1185/2000.

In sede di esecuzione della sentenza lo stesso signor V avrebbe, con dichiarazione “confessoria” ammesso di avere diritto all’integrazione economica solo a far data dal 1999.

Proprio richiamandosi alla citata dichiarazione, in subordine, l’Avvocatura dello Stato eccepisce la sopravvenuta carenza di interesse visto che la dichiarazione “estingue” qualunque possibile pretesa nei confronti dell’Università/Policlinico per il periodo precedente al 1999 rispetto a qualunque attività di carattere assistenziale.

Nel merito, la difesa dell’Università contesta le argomentazioni esplicitate a sostegno dell’appello.

10. Con memoria ex art. 73 c.p.a. depositata in data 10 settembre 2021 l’appellante ha chiesto di considerare irrituale la produzione documentale dell’Università dovendosene dichiarare l’inammissibilità poiché effettuata in violazione del divieto di nova in appello sancito dall’art. 104 c.p.a. e 345 c.p.c.

Nel merito si afferma che la produzione avversaria, in ultimo, è inammissibile in quanto riguarda pretese assolutamente distinte rispetto a quelle azionate in prime cure e reiterate in questa sede, ampliandosi il thema decidendum.

Le domande veicolate nel differente giudizio erano correlate al servizio prestato dall’appellante presso l’ambulatorio dell’allora U.S.L. 3 di Catania in via Giannotta 32 a cui si appoggiava l’Istituto di Clinica Urologica dell’Università di Catania in quanto privo di un reparto clinicizzato con posti letto e sale operatorie.

Con la nota del 24 aprile 2001, acquisita il 10 maggio 2001, parte appellante si limitava a dichiarare al Direttore Amministrativo del presidio Ospedaliero S. Marta e S. Venera di Acireale di “non pretendere indennità di pronta disponibilità e di lavoro straordinario prima del 4.10.1999” per non avere potuto svolgere presso il citato ambulatorio dell’USL attività assistenziale che desse luogo alle predette indennità. A tale specifica indennità lo stesso aveva diritto solo dopo il 1999.

Con la memoria si chiede termine per esame dei documenti e si chiede di onerare l’Università del deposito in giudizio di depositare la documenta- zione richiamata nella dichiarazione del 24 aprile 2001, acquisita il 10 maggio 2001 al n. 1307 del protocollo del P.O. di Acireale della ex USL n. 3.

11. In vista della prima udienza pubblica dedicata alla trattazione del presente ricorso le parti hanno scambiato memorie per ribadire le proprie posizioni difensive.

12. All’udienza del 13 ottobre 2021 il Collegio ha ritenuto indispensabile ai fini del decidere chiedere, con ordinanza collegiale istruttoria, all’Università di Catania “dati informativi sulle prestazioni lavorative dell’appellante riconosciutegli con la sentenza n. 1185/2000 del T.a.r. di Catania e ciò allo scopo di verificare la diversità con le pretese attualmente in controversia;”

14. All’incombente istruttorio l’Università ha risposto nei seguenti termini:

“In riscontro alla esecuzione ordinanza istruttoria n. 876-2021, in merito alla richiesta di verifica della documentazione relativa all'attività svolta dal Dott. V Bernardo, si rappresenta che agli atti della Facoltà di Medicina e quindi della Scuola "Facoltà di Medicina" non è presente altra documentazione oltre a quella già prodotta dal vs ufficio, dal Dipartimento di Chirurgia Generale e Specialità Medico­ Chirurgiche e dall'Area Risorse Umane dell'Università di Catania.

Si precisa, altresì, che le note relative agli anni 1997 e 1998, cui si fa menzione nella nota di cui sopra, sono state trasmesse alla Facoltà di Medicina per conoscenza, senza che venisse richiesta alcuna deliberazione in merito”.

15. In vista dell’udienza di merito le parti hanno depositato memorie e memorie di replica per insistere nelle proprie posizioni difensive ed hanno altresì formulato richiesta di decisione della causa allo stato degli atti.

16. Alla pubblica udienza del 16 marzo 2022 la causa è stata trattenuta in decisione.

17. L’appello deve essere accolto nei termini che seguono.

18. Il Collegio decide in via preliminare le eccezioni proposte dalle parti.

19. E’ infondata l’eccezione proposta da parte appellante con cui si deduce l’inammissibilità della produzione documentale effettuata dalla difesa di parte appellata poiché in violazione del divieto di nova in appello sancito dall’art. 104 c.p.a. e 345 c.p.c.

Il Collegio, pur consapevole di interpretazioni dottrinali non sempre conformi, condivide la reiterate pronunzie del Consiglio di Stato che hanno precisato che il divieto di nova in appello è riferibile solo al ricorrente di primo grado.

Per costante giurisprudenza, infatti, il divieto di nuovi motivi in appello è riferito al solo ricorrente in I grado, e non alle altre parti del processo, le quali potrebbero anche non essersi costituite in I grado, e in grado d’appello possono, in linea di principio, far valere qualunque motivo ritengano utile a criticare le conclusioni loro sfavorevoli cui sia giunta la sentenza di I grado ” (Cons. St., sez. IV, 8 giugno 2020 n. 3628).

Per costante giurisprudenza, il divieto dei nova in appello, posto dall’art. 104 c.p.a., è riferito al solo ricorrente in primo grado, e non alle altre parti del processo, le quali potrebbero anche non essersi costituite nel grado precedente, e in sede di appello possono, in linea di principio, far valere qualunque motivo ritengano utile a criticare le conclusioni loro sfavorevoli cui sia giunta la sentenza impugnata ” (Cons. St., sez. IV, 16 novembre 2020 n. 7052).

“Il divieto di motivi nuovi in appello nell'ambito del processo amministrativo è logica conseguenza dell'onere di specificità dei motivi di impugnazione in primo grado del provvedimento amministrativo;
di conseguenza, è riferibile soltanto al ricorrente, e non alle altre parti del giudizio, ovvero all’amministrazione intimata o, quel che rileva nel caso presente, al controinteressato. Tali parti, e più in generale chiunque sia convenuto in giudizio, come non hanno l'onere di articolare proprie difese in primo grado, tant'è che possono anche non costituirsi in giudizio, così nel caso di soccombenza possono proporre appello contro la sentenza deducendo, in linea di principio, qualunque motivo ritenuto utile per dimostrare l’ingiustizia della sentenza di primo grado”
(Cons. St., sez. IV, 9 marzo 2018 n. 1513).

Nella presente fattispecie occorre rilevare che i documenti prodotti dalla difesa erariale non costituiscono atti o provvedimenti estratti dal procedimento (non conosciuti dall’appellante) che ha portato all’emanazione dei provvedimenti impugnati, ma si tratta di atti sicuramente noti al signor V e nella sua disponibilità.

Si tratta, infatti, del ricorso al Tar presentato dal signor V il 10 novembre 1994, della copia della sentenza emessa dal Tar nell’ambito del procedimento instaurato col citato ricorso e della nota a firma del signor V del 10 maggio 2001 inoltrata al Direttore amministrativo del Presidio ospedaliero S. Marta - S. Venera. Per ultimo, la lettera con cui la citata documentazione veniva trasmessa il 30 luglio 2001 al Presidente del Tar Catania.

I documenti, pertanto, devono essere ammessi.

20. Vanno ora esaminate le eccezioni sollevate dalla difesa erariale a seguito del deposito della citata documentazione.

21. È infondata l’eccezione di inammissibilità del presente ricorso per violazione del ne bis in idem in quanto sulla medesima domanda si sarebbe pronunziata la sentenza n. 1185 del 2000 del Tar Catania passata in giudicato.

Nell’ambito del processo amministrativo l’ostacolo del precedente giudicato deve essere valutato in termini restrittivi.

Ai sensi degli art. 2929 c.c. e 324 c.p.c., applicabile anche al processo amministrativo, il principio del ne bis in idem presuppone l'identità nei due giudizi delle parti in causa e degli elementi identificativi dell'azione proposta;
è indispensabile che nei suddetti giudizi sia chiesto l'annullamento degli stessi provvedimenti, o al più di provvedimenti diversi ma legati da uno stretto vincolo di consequenzialità in quanto inerenti ad un medesimo rapporto, sulla base di identici motivi di impugnazione. Nel caso di specie, tali elementi non sussistono.

Il ricorso proposto nel 1994 è un ricorso avverso il silenzio-rifiuto opposto dall'amministrazione resistente alla richiesta formulata dal ricorrente all'indennità di equiparazione ospedaliera allo stesso spettante ai sensi dell'art. 31 del d.P.R. n. 761/1979, con la conseguente condanna della P.A. al pagamento della relativa somma.

Con il ricorso oggetto del presente giudizio si chiede l’annullamento degli specifici atti indicati in intestazione.

Il petitum è decisamente differente pur essendo sovrapponibile la causa petendi.

Non si rinviene, pertanto, nella presente fattispecie l’identità di tutti gli elementi identificativi dell'azione proposta che possano far ritenere che sussista l’assoluta identità tra le due domande (ed eventuali sentenze) veicolate con i due ricorsi.

In subordine il Collegio rileva che la sentenza frutto del ricorso datato 1994 è certamente favorevole a parte appellante.

Con il ricorso del 1994 il signor V chiedeva la indennità di equiparazione ai sensi dell’art. 31 del d.P.R. n. 761/1979 dal gennaio 1987 in poi.

In merito a questa richiesta il Tar concludeva:

“il ricorso va accolto e per l’effetto va dichiarato l’obbligo dell’Università intimata di corrispondere al ricorrente le somme dovute a titolo di indennità di equiparazione ex art. 31 d.P.R. n. 761/1979 dal 1/1/1987, con la rivalutazione monetaria, e gli interessi come per legge, nonché le somme spettanti a titolo di indennità pronta disponibilità e di compenso per lavoro straordinario salvi gli effetti prescrittivi di cui all’art. 2947 c.c.”.

22. Non è fondata l’eccezione di sopravvenuta carenza di interesse fondata sulla nota a firma del signor V del 10 maggio 2001 inoltrata al AI Direttore amministrativo del Presidio ospedaliero S. Marta - S. Venera.

Occorre precisare che nell’ambito del giudizio incoato con il ricorso del 1994 venivano veicolate due domande. La prima domanda è quella riportata in precedenza e che attiene al diritto all’indennità di equiparazione, la seconda è relativa alla richiesta di avere erogata l’indennità di pronta disponibilità e il compenso per il lavoro straordinario effettuato, a partire dal 1987.

Il Tar accoglieva anche la seconda la domanda e ordinava all’amministrazione di porre fine al silenzio ingiustificato.

Ebbene la nota citata dalla difesa erariale a firma del signor V, redatta in fase di esecuzione della sentenza, ha ad oggetto proprio la seconda domanda: “il sottoscritto Prof. B V, Ricercatore Confermato presso la Clinica Urologica, dichiara con la presente che fino alia data del 3/10/1999 non ha prestato attività assistenziale a favore del Servizio Sanitario Nazionale, pertanto, non si trova nelle condizioni di pretendere indennità di pronta disponibilità o di lavoro straordinario prima del 4/10/1999”.

La disamina della sopravvenuta carenza di interesse nel processo amministrativo deve essere oggetto di accertamento particolarmente rigoroso, onde evitare sostanziali dinieghi di giustizia.

La sussistenza dell’eccepita improcedibilità può essere ravvisata solo quando, per effetto di una sopraggiunta modifica della situazione di fatto o di diritto, l’appellante non possa più trarre, dell'eventuale sentenza di accoglimento del ricorso alcuna utilità.

Per ultimo, dalla risposta fornita dall’Università all’ordinanza istruttoria di questo Consiglio si fa riferimento a note relative agli anni 1997 e 1998 (“Si precisa, altresì, che le note relative agli anni 1997 e 1998, cui si fa menzione nella nota di cui sopra, sono state trasmesse alla Facoltà di Medicina per conoscenza, senza che venisse richiesta alcuna deliberazione”). Si tratto di un lasso di tempo non sovrapponibile a quello che caratterizza la presente controversia (1992-1997).

23. Il Collegio può ora passare all’esame dell’appello principale.

24. Fondato è il primo motivo di ricorso ove si precisa che le prestazioni specialistiche rese dal signor V, riconosciute ed autorizzate dall’Università e dal Policlinico, erano proprie dello status giuridico del ricorrente, e non si trattava di mansioni superiori e che proprio il riconoscimento delle retribuzioni di queste ulteriori attività lavorative era l’oggetto del ricorso introduttivo del presente giudizio escludendosi ogni volontà di chiedere il riconoscimento, giuridico o economico, di mansioni superiori.

25. Fondato è il secondo motivo.

Il quadro normativo di riferimento per decidere la presente controversia è ben ricostruito dalla difesa erariale nella memoria depositata il 9 settembre 2021:

“Come noto l’art. 31 del d.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761, prevede che “Al personale universitario che presta servizio presso i policlinici, le cliniche e gli istituti universitari di ricovero e cura convenzionati con le regioni e con le unità sanitarie locali, anche se gestiti direttamente dalle università, è corrisposta una indennità, non utile ai fini previdenziali e assistenziali, nella misura occorrente per equiparare il relativo trattamento economico complessivo a quello del personale delle unità sanitarie locali di pari funzioni, mansioni e anzianità;
analoga integrazione è corrisposta sui compensi per lavoro straordinario e per le altre indennità previste dall'accordo nazionale unico, escluse le quote di aggiunta di famiglia”. Tale norma è stata letta congiuntamente alla previsione di cui all’art. 102 del d.P.R. 11 luglio 1980 n. 382, che dispone che “Il personale docente universitario, e i ricercatori che esplicano attività assistenziale presso le cliniche e gli istituti universitari di ricovero e cura anche se gestiti direttamente dalle università, convenzionati ai sensi dell’art. 39 della legge 23 dicembre 1978, n. 833 assumono per quanto concerne l’assistenza i diritti e i doveri previsti per il personale di corrispondente qualifica del ruolo regionale in conformità ai criteri fissati nei successivi comma e secondo le modalità stabilite negli schemi tipo di convenzione di cui al citato art. 39. Dell’adempimento di tali doveri detto personale risponde alle autorità accademiche competenti in relazione al loro stato giuridico. Al personale di cui al precedente comma è assicurata la equiparazione del trattamento economico complessivo corrispondente a quello del personale delle unità sanitarie locali di pari funzione, mansione ed anzianità secondo le vigenti disposizioni ai sensi dell’art. 31 del decreto del Presidente della Repubblica 20 dicembre 1979, n. 761”.

In ragione del sopradetto quadro normativo, dunque, è stata riconosciuta un’indennità diretta ad equiparare il personale del ruolo universitario che svolga anche attività assistenziale in strutture convenzionate ai dipendenti delle unità sanitarie locali e ciò considerato che gli universitari ricevono un trattamento economico complessivo inferiore rispetto al pari livello ospedaliero.

Tale voce (definita, infatti, indennità di equiparazione) ha avuto lo scopo di superare la disparità di complessivo trattamento economico tra personale ospedaliero e personale universitario addetto ad attività assistenziali, come riconosciuto dalla Corte costituzionale nella sentenza 16 maggio 1997 n. 136. Questo significa che nel caso di attività assistenziale prestata dal personale universitario a favore del SSN l’unica forma di retribuzione possibile è l’indennità di equiparazione di cui all’art. 31 del d.P.R. n. 761/1979”.

Il fatto oggetto del presente giudizio è altresì compiutamente ricostruito dalla produzione documentale offerta da parte ricorrente nel corso del giudizio di primo grado e positivamente scrutinata dal Tar, sebbene valutata giuridicamente in modo difforme dalla prospettazione difensiva.

Il signor V veniva chiamato dal giugno 1989 a programmare, organizzare e dirigere la consulenza specialistica urologica presso le due Cliniche neurologiche del Policlinico Universitario, come certificato dai Direttori degli istituti di clinica urologica e neurologica dell’Università di Catania.

Tale attività veniva riconosciuta, con atti formali della stessa Università, dal giugno 1989 e veniva espletata fino al 2 luglio 1997.

Alla stregua delle superiori considerazioni deve ritenersi fondato il secondo motivo di gravame e deve ritenersi fondato il diritto al riconoscimento della indennità di equiparazione allo stesso spettante ai sensi dell’art. 31 del d.P.R. n. 761/1979, per il periodo dal giugno 1989 e fino al 2 luglio 1997.

26. Fondato è il terzo motivo di ricorso.

L’apposizione del termine di validità dell’incarico fino al 31 dicembre 1992 si è dimostrata illogica in base al rilievo che l’incarico di consulenza è proseguito dopo il 31 dicembre 1992 e fino al luglio 1997 in forza di formali provvedimenti del Consiglio di amministrazione del Policlinico, con deliberati del Consiglio d’istituto di Clinica urologica su richiesta della Clinica neurologica e della Facoltà di Medicina.

27. Attesa la complessità della materia che caratterizza la presente fattispecie le spese del secondo grado di giudizio possono essere compensate tra le parti.

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