CGARS, sez. I, sentenza 2015-04-22, n. 201500348

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Sul provvedimento

Citazione :
CGARS, sez. I, sentenza 2015-04-22, n. 201500348
Giurisdizione : Consiglio Di Giustizia Amministrativa per la Regione siciliana
Numero : 201500348
Data del deposito : 22 aprile 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00501/2014 REG.RIC.

N. 00348/2015REG.PROV.COLL.

N. 00501/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA

in sede giurisdizionale

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 501 del 2014, proposto da:
Comune di Milazzo, rappresentato e difeso dall'avv. F A, con domicilio eletto presso Antonio Atria in Palermo, Via G. Daita N. 15;

contro

F C;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. SICILIA - SEZ. STACCATA DI CATANIA: SEZIONE III n. 00830/2014, resa tra le parti, concernente esecuzione giudicato nascente dal decreto ingiuntivo n. 140/12 del giudice di pace di Milazzo: diritto al pagamento somme.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 marzo 2015 il Cons. E d F e uditi per le parti gli avvocati F. Caliri su delega di F. Amalfa;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Viene in decisione l’appello avverso la sentenza indicata in epigrafe, che – decidendo sul ricorso per l’ottemperanza al giudicato formatosi sul decreto ingiuntivo n. 140/12 del Giudice di pace di Milazzo – ha accolto il ricorso dell’odierno appellato, per l’effetto ordinando al Comune di Milazzo di dare esecuzione al prefato giudicato entro sessanta giorni e nominando Commissario ad acta , per il caso di ulteriore inadempienza, il Segretario Generale dello stesso Comune affinché provveda in via sostitutiva entro ulteriori sessanta giorni, ed ha quindi regolato le spese secondo soccombenza.

Con ordinanza cautelare 25 luglio 2014, n. 385, questo giudice d’appello, “ Visto e condiviso l’orientamento espresso dalla sentenza 27 luglio 2012, n. 725, di questo Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana ”, ha sospeso “ l’esecutività della sentenza impugnata ”.

All’odierna udienza la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. – Con il primo motivo di appello il Comune di Milazzo deduce un profilo di “ violazione, erronea e falsa applicazione dell’art. 14, comma 1, del D.L. 669 del 31 dicembre 1996;
inammissibilità del ricorso per tardività
”.

In particolare, parte appellante si duole del fatto che, in violazione della predetta norma, il titolo esecutivo (ossia il decreto munito di formula esecutiva, una volta accertata la mancata opposizione ad esso) non sia mai stato notificato all’Ente locale debitore;
e che comunque, anche a ritenere efficace la prima notifica del decreto non ancora esecutivo, l’azione per l’esecuzione del giudicato sia stata promossa prima della scadenza del termine dilatorio di 120 giorni di cui alla stessa norma, anche rispetto alla data di formazione del titolo esecutivo, ossia dall’apposizione della relativa formula.

2. – L’appello è fondato in tale suo primo motivo, restandone assorbiti quelli ulteriori.

In proposito, come già anticipato nell’ordinanza cautelare n. 385/2014, il Collegio condivide l’orientamento espresso dalla sentenza 27 luglio 2012, n. 725, di questo stesso Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, alla cui stregua il ricorso per l’ottemperanza proposto in prime cure dall’odierno appellato va dichiarato inammissibile, con il conseguente regolamento delle spese del doppio grado.

Come è noto, ai sensi dell’art. 14 del D.L. 31 dicembre 1996, n. 669, “ Le amministrazioni dello Stato e gli enti pubblici non economici completano le procedure per l’esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali e dei lodi arbitrali aventi efficacia esecutiva e comportanti l’obbligo di pagamento di somme di danaro entro il termine di centoventi giorni dalla notificazione del titolo esecutivo. Prima di tale termine il creditore non può procedere ad esecuzione forzata né alla notifica di atto di precetto ”.

3. – Secondo una prima tesi, cui mostra di aver aderito il giudice di primo grado, giacché il giudizio d’ottemperanza è ormai proponibile, ex art. 114 c.p.a., senza che occorra alcuna “ previa diffida ”, non potrebbe più considerarsi necessaria la preventiva notificazione del titolo su cui si sia formato il giudicato ottemperando.

Nella stessa ottica si sostiene, altresì, che, siccome il giudizio d’ottemperanza non è un processo esecutivo, vi sarebbe una radicale differenza tra il giudizio in questione e quello esecutivo, col corollario che l’ottemperanza non potrebbe essere assoggettata alle condizioni poste dalla legge per l’esperimento dell’esecuzione forzata civile (né, in particolare, alla preventiva notifica del titolo e al decorso di 120 giorni da essa).

4. – Si tratta però di una tesi che non può essere condivisa, per le ragioni di cui appresso.

Indubbiamente, il giudizio di ottemperanza può essere proposto “ anche senza previa diffida ”, ex art. 114 cit..

Nondimeno, siffatta previsione normativa è da ritenere del tutto inconferente rispetto alla questione in esame – che, giova precisarlo, riguarda la necessità o meno del previo decorso del termine di 120 giorni dalla notifica del titolo esecutivo per potersi instaurare il giudizio di ottemperanza, per i giudicati ottemperandi “ comportanti l’obbligo di pagamento di somme di danaro ” – giacché alla preventiva notifica di una diffida (allorquando era prevista come obbligatoria dalla legge) era da riconnettere valenza analoga a quella del precetto.

Infatti quest’ultimo, non diversamente dalla diffida, “ consiste nell’intimazione di adempiere l’obbligo risultante dal titolo esecutivo entro un termine ” (art. 480 c.p.c.): termine che, per il precetto, è “ non minore di dieci giorni ” (art. 480, cit.);
mentre, per la diffida, era di almeno trenta giorni (“ non prima di trenta giorni da quello in cui l'autorità amministrativa sia stata messa in mora di provvedere ”, ex art. 90 R.D. 17 agosto 1907, n. 642).

Sulla premessa - che, ad avviso di questo Collegio, è certamente da condividere - di tale completa corrispondenza della diffida al precetto, risulta del tutto evidente che la superfluità della diffida altro non implica che la non necessità della preventiva notifica di un atto di precetto, affinché si possa agire in ottemperanza.

Tale notifica, peraltro, non è mai stata richiesta per il giudizio di ottemperanza, giacché, da un lato, era surrogata dalla diffida;
e, soprattutto, essa era richiesta quale condizione per la proposizione dell’azione esecutiva davanti al giudice ordinario, ma non già come condizione per introdurre l’azione d’ottemperanza (neppure allorché essa, nella sua prima formulazione, era volta “ ad ottenere l’adempimento dell’obbligo dell’autorità amministrativa di conformarsi, in quanto riguarda il caso deciso, al giudicato dei Tribunali che abbia riconosciuto la lesione di un diritto civile o politico ”: essenzialmente, dunque, al giudicato civile).

Per concludere sul punto: posto che la diffida equivale(va) al precetto, l’avere svincolata da essa l’azione d’ottemperanza nulla implica per la necessità, o meno, di una previa notifica del titolo esecutivo.

5. – Davanti al giudice ordinario, l’esperimento dell’azione esecutiva dev’essere di norma preceduto dalla notifica (oltre che del precetto, di cui s’è già detto) del titolo esecutivo (con poche eccezioni, previste dalla legge, fra cui rientra il decreto ingiuntivo, essenzialmente perché già notificato ancor prima di diventare un titolo esecutivo);
non, però, per un’intima esigenza logica del processo esecutivo, bensì perché ciò è richiesto dall’art. 479 c.p.c..

Davanti al giudice amministrativo, ai fini dell’esperimento del giudizio d’ottemperanza, tale incombente, di norma, non è richiesto: infatti, l’art. 91 R.D. 17 agosto 1907, n. 642, imponeva la produzione in giudizio della sentenza ottemperanda, non la sua notificazione (e, si noti, fino all’entrata in vigore dell’art. 114 c.p.a. non era necessaria neppure la preventiva notificazione del ricorso in ottemperanza, ex art. 91 cit.: cfr., in proposito, C.G.A., ord. 6 maggio 2008, n. 428).

Di recente, invece, il cit. art. 114 c.p.a. ha stabilito che, anche nel giudizio d’ottemperanza, “ L’azione si propone con ricorso notificato alla pubblica amministrazione e a tutte le altre parti ”.

In ogni caso, continua a non essere richiesta in termini generali la preventiva notifica del titolo da ottemperare: infatti, il comma 2 del cit. art. 114 prescrive soltanto che “ Unitamente al ricorso è depositato in copia autentica il provvedimento di cui si chiede l’ottemperanza, con l’eventuale prova del suo passaggio in giudicato ” (giacché, ex art. 112, comma 2, c.p.a., non sempre il giudizio di ottemperanza postula il giudicato: cfr. la relativa lett. b)).

Concludendo sul punto: per il giudizio di ottemperanza il c.p.a. non richiede, di norma, la previa notificazione del titolo ottemperando.

6. – Nondimeno, il giudizio di ottemperanza – che, per sua natura, è un giudizio c.d. misto: di esecuzione e di cognizione – è, in molti casi, un giudizio (quantomeno anche) di esecuzione.

Tra questi casi, si annoverano certamente quelli in cui la parte ricorrente adisce il giudice amministrativo per ottenere l’esecuzione di provvedimenti giurisdizionali (assai spesso del giudice civile) da cui scaturiscono obbligazioni pecuniarie della pubblica amministrazione rimaste inadempiute (caso, purtroppo, patologicamente per nulla raro).

Complice la sempre minore incisività del processo esecutivo ordinario – che nei confronti della pubblica amministrazione continua a scontare anche quella secolare timidezza del giudice ordinario che, nel 1889, indusse a superare la c.d. giurisdizione monista scaturita, nel 1865, dall’abolizione del c.d. contenzioso amministrativo: si pensi alla difficoltà pratica di ottenere efficaci provvedimenti giudiziali, ex artt. 610 o 612, nei confronti delle pubbliche amministrazioni tenute a consegnare o rilasciare beni utilizzati per l’esercizio di pubbliche funzioni, o a fare o a non fare attività interferenti con tali funzioni, quand’anche il creditore di tali prestazioni sia munito di un titolo esecutivo ormai inoppugnabile e, dunque, rispetto al quale non possa più configurarsi alcun residuo ambito di discrezionalità, stante la piena doverosità dell’adempimento di ogni statuizione del giudice passata in giudicato o, comunque, esecutiva – è ormai assai frequente il ricorso al giudizio di ottemperanza, anche per ottenere risultati che, fuori dalle patologie odierne, si dovrebbero conseguire spontaneamente o, al più, mediante il processo esecutivo ordinario.

Pure in tali casi, non v’è dubbio che il giudizio di ottemperanza resti unicamente regolato dalle proprie regole, senza interferenze con quelle processualcivilistiche.

Nondimeno, ciò non toglie che – per specifici ambiti, presi partitamente in considerazione dalla legge – le modalità di esercizio del potere amministrativo sul piano sostanziale e, correlativamente, le condizioni per esperibilità del giudizio di ottemperanza sul piano processuale, possano avere ulteriori fonti di disciplina esterne al codice del processo amministrativo;
che, sebbene cronologicamente ad esso precedenti, non ne sono state caducate in ragione della loro specialità.

7. – È questo il caso della previsione normativa introdotta dal cit. art. 14 (di cui, ai nostri fini, viene in rilievo unicamente il comma 1).

Il cui primo periodo pone, palesemente, un precetto sostanziale: le pubbliche amministrazioni devono eseguire le sentenze e ogni altro atto giurisdizionale “ aventi efficacia esecutiva e comportanti l’obbligo di pagamento di somme di danaro ” (in altri termini: i provvedimenti giurisdizionali esecutivi da cui scaturiscono obbligazioni pecuniarie) senza attendere l’esecuzione forzata e, perciò, “ entro il termine di centoventi giorni dalla notificazione del titolo esecutivo ”.

Correlativamente, il secondo periodo dello stesso comma 1 pone un precetto di natura indubbiamente processuale: il creditore di tali prestazioni non può procedere ad esecuzione forzata, né alla notifica dell’atto di precetto (perché quest’ultimo comporta ineluttabilmente ulteriori oneri patrimoniali per l’esecutato, incrementando il debito per la sorte con i corrispondenti diritti previsti dalla tariffa forense), prima che sia decorso il termine di centoventi giorni dalla notifica del titolo.

Da una mera esegesi sistematica dei due commi, risulta chiaro che il loro combinato disposto ha inteso rendere obbligatoria, sempre e in ogni caso, la preventiva notifica del titolo esecutivo, come condizione di ammissibilità dell’esecuzione forzata.

Proprio perché si tratta di un precetto che ha, insieme, finalità e natura sostanziali e processuali, sarebbe incongruo limitarne la portata unicamente al processo esecutivo disciplinato dal codice di rito civile.

Peraltro, scaturendo tale precetto da una fonte esterna a detto codice, la quale neppure sul piano letterale reca alcun riferimento al processo esecutivo di cui relativo libro III, risulta chiaramente che si tratta di un precetto che deve avere generale applicazione, dunque a prescindere dall’ambito giurisdizionale di cui il creditore si avvalga per azionare esecutivamente il proprio credito.

Diversamente opinando, infatti, sarebbe vanificata l’effettività del precetto nella sua interezza (ossia anche in riferimento alla relativa porzione sostanziale), giacché l’amministrazione non sarebbe posta in condizione di adempiere i propri debiti, al netto di ogni ipotetico onere ulteriore, alla sola condizione di esitare le procedure di pagamento nel termine fissato dal comma 1 di detto art. 14: e ciò, da un lato, perché, se non si ritiene obbligatoria la preventiva notifica del titolo, tale termine neppure inizierebbe mai a decorrere;
nonché, dall’altro lato, perché la potenziale instaurazione immediata del giudizio di ottemperanza (prima che le procedure di pagamento spontaneo, pur se tempestive e sollecite, siano completate) potrebbe comportare – contro l’espressa voluntas legis – l’implementazione del credito con le relative spese giudiziali (che andrebbero liquidate in ogni caso in base alla soccombenza virtuale;
e di cui ormai il combinato disposto degli artt. 26 c.p.a. e 91 c.p.c. preclude, salvo ragioni eccezionali, ogni facoltà di compensazione).

Ciò induce a ritenere senz’altro, e riassuntivamente, che:

I) l’obbligo della preventiva notifica del titolo esecutivo, nonché il correlativo termine di grazia di centoventi giorni, stabiliti dal cit. art. 14, sussistono in relazione a ogni credito pecuniario verso pubbliche amministrazioni;

II) limitatamente a tale tipo di obbligazioni, senza la preventiva notifica del titolo e finché pende il termine conseguente, “ il creditore non può procedere ad esecuzione forzata ” in alcuna forma: né per espropriazione, ai sensi del codice di procedura civile;
né in sede di ottemperanza, ai sensi del codice del processo amministrativo;

III) altrimenti, se è stata omessa (come nel caso in esame) la preventiva notificazione del titolo esecutivo, l’esecuzione – in qualunque forma e sede essa sia stata intrapresa – è inammissibile;
ovvero, se sia stata attivata nella pendenza del termine predetto, è improcedibile fino alla sua infruttuosa scadenza (ma non è questo il caso trattato, essendo pacifico che il titolo non sia mai stato notificato all’amministrazione dopo la sua formazione, ossia dopo l’apposizione della formula esecutiva per mancata opposizione del decreto);

IV) peraltro, tale ragione ostativa dell’esecuzione forzata sarebbe anche soggetta a rilievo d’ufficio, afferendo a una condizione dell’azione.

8. – In conclusione, l’appello va accolto nel suo primo motivo, con assorbimento di quelli ulteriori, dovendosi rendere la declaratoria di cui in dispositivo;
per l’effetto, il titolo – che era stato direttamente azionato in ottemperanza – andrà, invece, previamente notificato all’amministrazione debitrice;
e ogni azione esecutiva – in sede civile ovvero in sede di ottemperanza – potrà essere riproposta unicamente dopo il decorso di 120 giorni da tale notificazione, ove mai il debito non sia stato adempiuto in tale termine, e se non risulti altrimenti estinto.

Spese secondo soccombenza, come in dispositivo.

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