CGARS, sez. I, sentenza 2014-04-08, n. 201400187

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Sul provvedimento

Citazione :
CGARS, sez. I, sentenza 2014-04-08, n. 201400187
Giurisdizione : Consiglio Di Giustizia Amministrativa per la Regione siciliana
Numero : 201400187
Data del deposito : 8 aprile 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00103/2013 REG.RIC.

N. 00187/2014REG.PROV.COLL.

N. 00103/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA

in sede giurisdizionale

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 103 del 2013, proposto da:
F s.p.a., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall'avv. G G, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. A P in Palermo, via Wagner 9;

contro

Comune di Lipari, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. F B, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. G B in Palermo, viale Regina Margherita 21;

per la riforma

della sentenza del TAR SICILIA -

CATANIA :

Sezione III n. 01917/2012, resa tra le parti, concernente modifica regolamento comunale per occupazione di spazi e aree pubbliche – determinazione delle tariffe.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Lipari;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 dicembre 2013 il Cons. Silvia La Guardia e uditi per la parte appellante l’avvocato M. B. Miceli su delega di G. Gitto;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

I. - La società odierna appellante, titolare di concessione di suolo pubblico nel comune di Lipari, con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado ha impugnato la delibera consiliare n. 65 del 27/05/2009 con la quale il Comune intimato ha provveduto a modificare la delibera consiliare n. 43/06 ripristinando, relativamente alle occupazioni di suolo pubblico o aree pubbliche, in luogo del termine “tassa” quello di “canone”, sull’assunto che ciò integrasse violazione dell’art. 192 del R.D. 14/09/1931, che espressamente prescrive che “sono soggette alla tassa le occupazioni di spazi ed aree pubbliche di qualsiasi natura nelle strade, nei corsi, nelle piazze e nei pubblici mercati” e che detta tassa fosse irrinunciabile ed insopprimibile .

Dalla dedotta illegittimità della delibera consiliare n. 65/2009, parte ricorrente faceva discendere la illegittimità della determina sindacale n. 83 del 31/05/2009, pure impugnata, asseritamente affetta anche dall’autonomo vizio di violazione dell’art. 8 del Regio Decreto n. 1740 del giorno 8/12/1933 e successive modificazione, contemplante le motivazioni che possono determinare un sostanziale incremento del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche senza che, tra esse, siano annoverate quella poste a base del provvedimento impugnato.

Intervenuta nelle more del giudizio la determina sindacale n. 88 del 4/10/11 con la quale il Sindaco del Comune di Lipari ha provveduto ad adeguare i canoni connessi alle varie tipologie di occupazione di spazi ed aree pubbliche per l’anno 2012 con decorrenza dal 1° gennaio 2012, è stato proposto un primo ricorso per motivi aggiunti, suffragato dalle censure di incompetenza del Sindaco ad adottare l’atto impugnato la cui competenza sarebbe demandata al Consiglio Comunale ex art. 32, lett. g), l. n. 142/90, recepito in Sicilia in modo statico dall’art. 1 lett. e) L.Reg. n. 48/91, e di difetto di motivazione, avendo il Comune intimato omesso di motivare le scelte operate con il provvedimento qui impugnato.

Analoghe censure sono state mosse con un secondo ricorso per motivi aggiunti avverso la determina sindacale n. 19 del 16/02/2012 con la quale il Sindaco del Comune di Lipari ha nuovamente adeguato il canone de quo per l’anno 2013 con decorrenza dal 1°gennaio 2013.

Con la sentenza 25 luglio 2012, n. 1917, oggetto del presente appello, il giudice di primo grado ha respinto il ricorso.

Con il presente ricorso in appello, la F s.p.a. contesta le argomentazioni della sentenza e ripropone le censure esposte in primo grado, ulteriormente illustrate in memoria.

Resiste il Comune di Lipari controdeducendo articolatamente.

La cause è stata posta in decisione all’udienza del 12 dicembre 2013.

II. - Il Collegio reputa che il ricorso sia infondato, per le ragioni di seguito esposte.

Con la prima censura posta a sostegno del ricorso introduttivo parte ricorrente lamentava la illegittimità della modifica del regolamento comunale relativo alle occupazioni di tasse e spazi pubblici, operata mediante la sostituzione del termine “tassa” con quello di “canone”, deducendo che a ciò osterebbe l’art. 192 del R.D. 1175/1931che espressamente prevede che “sono soggette a tassa le occupazioni di spazi ed aree pubbliche di qualsiasi natura.” ed affermando che non è nella potestà del Comune sopprimere la tassa, per sostituirla con un canone, non godendo il Comune di alcun margine di discrezionalità nella applicazione della tassa di occupazione.

Il Tar ha ritenuto infondata la critica rilevando che la ricorrente ometteva di considerare che i Comuni e le Province, in base alla autonomia regolamentare loro attribuita dall’art. 52 del d.lgs. 446/1997, possono, a norma del successivo art. 63 del medesimo d.lgs., prevedere che l’occupazione, sia permanente che temporanea, di spazi pubblici appartenenti al proprio demanio o patrimonio indisponibile, sia assoggettata, in sostituzione della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, al pagamento di un canone da parte del titolare della concessione.

In altri termini agli enti locali, con riferimento alla utilizzazione del proprio territorio mediante concessione di spazi ed aree pubbliche è data facoltà di scegliere se assoggettare le relative concessioni al regime impositivo tributario mediante la previsione di una tassa, ovvero al regime alternativo mediante la imposizione di un canone;
scelta, questa, che è stata, appunto, operata dal comune intimato con il primo provvedimento impugnato (delibera consiliare n. 65/2009), apportando al regolamento precedentemente approvato (come già in precedenza modificato) una ulteriore modifica sostituendo in detto regolamento la previsione della tassa con la previsione del canone.

Con riferimento poi alle censure mosse, sempre con il ricorso principale, alla determina sindacale n. 83/2009, con la quale sono stati adeguati i canoni di concessione delle aree pubbliche, il Tar ha rilevato che la disposizione all’uopo invocata da parte ricorrente (art. 8 R.D. 1740/1993), con la quale sono dettagliatamente specificati i parametri cui l’ente impositore deve rapportare eventuali adeguamenti delle somme dovute, si riferisce a situazioni del tutto diverse da quelle cui afferisce il provvedimento impugnato. Il R.D. invocato costituisce il Testo Unico delle norme per la tutela delle strade e della circolazione e, comunque, detto decreto è stato abrogato dall'articolo 145, comma 2, del d.P.R. 27 ottobre 1958, n. 956 e confermato dall'articolo 145, comma 2, del d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393 e, successivamente, nella parte rimasta in vigore ai sensi dell'articolo 145 del d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, dall'articolo 231, comma 1, del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285. Successivamente l'abrogazione è stata ribadita dall'articolo 1, comma 1, del D.P.R. 13 dicembre 2010, n. 248.

Il giudice di primo grado ha, quindi, ritenuto che la omessa applicazione dei criteri dettati da una norma afferente ad altra fattispecie ed espunta definitivamente dall’ordinamento giuridico, non è atta a determinare la illegittimità del provvedimento impugnato (determina sindacale n. 83/2009) con la quale è stato aumentato il canone concessorio sulla scorta di adeguate e dettagliate motivazioni.

Parte appellante critica le riportate considerazioni del primo giudice obiettando che questi abbia omesso di valutare ciò che era ben evidenziato in seno al ricorso, ossia che il regolamento approvato con la deliberazione consiliare n. 30 del 26.4.2001 è stato modificato all’art. 9 con determina consiliare n. 30 del 3.5.2006, al fine di sostituire il termine “canone” con il termine “tassa”, per poi sostituirlo nuovamente con la impugnata determinazione consiliare n. 65 del 27.5.2009.

Sarebbe difficile comprendere l’adozione di uno piuttosto che di un altro sistema impositivo (TOSAP – COSAP) da parte dell’amministrazione comunale, apportando una semplice variazione terminologica, stante la diversità ontologica del canone rispetto al tributo.

Sarebbe, quindi, illegittima la soppressione della TOSAP, determinata con la deliberazione impugnata da parte del Comune, che avrebbe semmai dovuto procedere ad emanare un apposito regolamento, in ottemperanza al disposto normativo di cui agli artt. 52 e 64 d.lgs. n. 446 del 1997, al fine di disciplinare legittimamente l’entrata COSAP e, in particolare, non avrebbe dovuto sottrarre la competenza della determinazione della tariffe del canone al Consiglio comunale, demandandola al Sindaco.

Quanto all’impugnazione, per vizio proprio, della determina sindacale n. 83 del 31 maggio 2009, l’appellante insiste nel rilevare che il canone è stato arbitrariamente aumentato, disattendendo gli specifici parametri previsti dal R.D. n. 1740 del 1933.

Tali contestazioni non possono trovare accoglimento.

Le riportate argomentazioni esposte nella sentenza gravata sono pienamente condivisibili ed i rilievi in questa sede sollevati con riferimento alla determinazione consiliare n. 65 del 2009, nel senso che l’introduzione della COSAP in luogo della TOSAP avrebbe richiesto l’adozione di un apposito regolamento e la doglianza relativa alla sottrazione al Consiglio della competenza a modificare le tariffe, per consentirla da parte del Sindaco, costituiscono censure non dedotte col ricorso di primo grado che incorrono, quindi, nel divieto di nova posto dall’at. 104 c.p.a.. In particolare, il ricorso principale al Tar Catania riferisce nell’esposizione in fatto che la deliberazione n. 65/2009 aveva introdotto modifiche alla precedente delibera ripristinando il termine “canone” e mandando al Sindaco perché provvedesse alla determinazione delle nuove tariffe, ma riguardo a tale seconda parte del provvedimento non ha sollevato alcuna specifica censura;
non si era, dunque, contestata la non delegabilità della funzione e l’incompetenza del Sindaco.

Il primo motivo di appello va, pertanto, respinto.

Con il secondo, viene contestata la reiezione dei motivi aggiunti, riproponendo, in primo luogo, la tesi ivi dedotta dell’incompetenza del Sindaco e dell’illegittimità dell’art. 10, comma 4, del Regolamento comunale per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, come modificato con la deliberazione n. 65 del 2009, il quale prevede, appunto, che le modificazioni delle tariffe “sono determinate dal Sindaco” ;
tesi, questa, disattesa dal Tar sulla scorta dei principi tratteggiati dalla sentenza di questo CGA 26 luglio 2006, n. 420 (resa in un contenzioso in cui era parte il medesimo Comune di Lipari), richiamata nei provvedimenti impugnati, secondo la quale nella Regione siciliana, dotata di autonomia legislativa, “…il sindaco è l’organo titolare di competenza residuale per gli atti di amministrazione che dalla legge o dallo statuto non siano specificatamente attribuiti alla competenza di altri organi del comune, degli organi di decentramento, del segretario e dei dirigenti(art. 13 L. R. 26 agosto 1992 n. 7, integrato dall’art. 41, commi 1 e 2 L.R. n. 26/1993). Ne discende che all’espressa esclusione della competenza consiliare in tema di determinazione delle aliquote e alla mancata espressa attribuzione alla giunta della suddetta competenza, consegue la residuale competenza del sindaco… ”.

L’appellante sostiene la non condivisibilità dell’argomentazione, con richiamo ad un precedente orientamento dello stesso CGA ed a pronunce di primo grado e affermando che nell’ordinamento siciliano, stante la potestà legislativa esclusiva in materia di enti locali in forza dell’art. 14 dello Statuto, la tipologia del rinvio operato dall’art. 1 l.r. n. 48 del 1991, nel richiamare l’art. 32, lett. g), l. n. 142 del 1990, che attribuisce al Consiglio comunale la competenza ai fini dell’istituzione e ordinamento dei tributi, deve annoverarsi nella casistica del rinvio “statico” o “recettizio” e, come tale, non soggetto alle automatiche modifiche per l’intervento (o, specularmente, per l’eliminazione) di norme statali. Conseguentemente, non rileverebbe la riforma dell’ordinamento degli enti locali attuata con il d.lgs. n. 267 del 2000 ed, in particolare, che l’art. 42, comma 2, lett. f, del T.U. abbia espressamente escluso tra le materie di attribuzione del Consiglio comunale quella di determinazione delle aliquote dei tributi locali e non abbia previsto l’attribuzione ad altro organo.

L’appellante lamenta, inoltre, che il Tar abbia omesso di pronunciarsi circa l’illegittimità del regolamento comunale.

Il riproposto motivo va, in primo luogo, ritenuto inammissibile, considerato che le censure in esso contenute avrebbero dovuto essere tempestivamente proposte avverso la deliberazione n. 65 del 2009, impugnata con il ricorso principale, e, in mancanza, nessuna utilità avrebbe un eventuale annullamento, sotto il profilo dell’incompetenza, degli atti gravati con i motivi aggiunti, in quanto, permanendo la consolidata previsione regolamentare, la riedizione del potere spetterebbe ugualmente al Sindaco.

Comunque, il Collegio- escluso che il primo giudice sia incorso in omissione di pronuncia, atteso che le argomentazioni esposte nella sentenza gravata costituiscono riscontro a entrambe le convergenti enunciazioni, non a caso contenute nel medesimo motivo, di incompetenza del Sindaco e di illegittimità dell’art. 10, comma 4, del regolamento, che attengono al medesimo tema della spettanza della competenza ad adottare i provvedimenti in materia di determinazione di canoni o tasse di occupazione di spazi pubblici, e, in definitiva, costituiscono formulazione di una medesima critica- concorda con la conclusione cui è giunto il Tar.

Dalla chiara ricostruzione normativa contenuta nella richiamata sentenza di questo Consiglio n. 420 del 2006, che il Collegio pienamente condivide, scaturisce, infatti, la infondatezza della censura di incompetenza del sindaco ad adottare gli impugnati adeguamenti dei canoni afferenti ai periodi dal 1/1/2012 e dal 1/1/2013.

Con riferimento infine all’ultima censura addotta con i ricorsi per motivi aggiunti, e qui riproposta, con la quale parte ricorrente deduce la violazione dell’art. 3 della L .n. 241/90, se ne riscontra la infondatezza, considerato che i provvedimenti impugnati contengono una puntuale indicazione dei motivi che hanno determinato il Sindaco agli aumenti di canone contestati, con specifico riferimento alla necessità di fronteggiare il costo dei beni e servizi che il comune deve erogare a fronte della riduzione dei trasferimenti nazionali, e ai vincoli scaturenti dal Patto di Stabilità per il rispetto delle condizioni imposte in sede di approvazione del bilancio di previsione.

Al riguardo, si condivide l’avviso del primo giudice che tali argomentazioni poste a fondamento degli atti impugnati si presentano adeguate ad assolvere all’obbligo di motivazione cui sottostanno i provvedimenti della pubblica amministrazione.

Né si riscontrano quegli elementi di irragionevolezza e sproporzione che, per configurare il dedotto vizio di eccesso di potere, devono essere manifeste, lamentate dall’odierna appellante in termini eminentemente assertivi.

In conclusione, l’appello va respinto.

Le spese del presente grado di giudizio- come di regola- seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

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