CGARS, sez. I, sentenza 2021-02-09, n. 202100095

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Sul provvedimento

Citazione :
CGARS, sez. I, sentenza 2021-02-09, n. 202100095
Giurisdizione : Consiglio Di Giustizia Amministrativa per la Regione siciliana
Numero : 202100095
Data del deposito : 9 febbraio 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 09/02/2021

N. 00095/2021REG.PROV.COLL.

N. 00612/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA

Sezione giurisdizionale

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 612 del 2017, proposto dalla signora
A F M T R, rappresentata e difesa dall'avvocato R V, con domicilio eletto presso il suo studio in Lipari, via G. Marconi n. 6;

contro

Regione siciliana - Assessorato regionale dei beni culturali e dell'identità' siciliana, Regione siciliana - Dipartimento regionale beni culturali e Identità siciliana, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi dall'Avvocatura dello Stato domiciliati per legge presso la sede distrettuale in Palermo, via Villareale 6;

Dipartimento dei beni culturali ed ambientali servizio tutela ed acquisizioni presso l’Assessorato non costituito in giudizio;

per la riforma della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Prima) n. 01269/2017, resa tra le parti.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’art. 4 del decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28, convertito dalla legge 25 giugno 2020, n. 70;

Visto l’art. 25 del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione siciliana - Assessorato regionale dei beni culturali e dell'identità' siciliana e della Regione siciliana - Dipartimento regionale beni culturali e identità' siciliana;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 febbraio 2021 il Cons. Antonino Caleca, considerato presente, ex art. 4 comma 1 penultimo periodo d.l. n. 28/2020 e art. 25 d.l. 137/2020, l'avvocato R V e vista la richiesta di passaggio in decisione senza discussione presentata dall'Avvocatura dello Stato con nota di carattere generale a firma dell’Avvocato distrettuale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO



1. Con la sentenza in epigrafe appellata, n. 1269 del 31 maggio 2017 il Tribunale amministrativo regionale della Sicilia – Sezione Staccata di Catania - ha respinto il ricorso di primo grado proposto dalla odierna appellante Signora Anne France Requillart Tauber volto ad ottenere l’annullamento del Decreto dirigenziale n. 5832 del 05.12.2016, con il quale l’Assessorato Beni Culturali e dell'Identità Siciliana – Dipartimento Beni Culturali e Ambientali – Servizio Tutela e acquisizioni, le aveva ingiunto, ai sensi dell'art. 167 del d.lgs 22 gennaio 2004, n. 42, come sostituito dall'art. 27 del d.Lgs n. 157/2006, il pagamento di una somma, quale indennità pecuniaria relativa alla realizzazione di un’opera abusiva realizzata dal suo dante causa, nel territorio del comune di Lipari.



2. La originaria ricorrente aveva prospettato un unico articolato motivo di censura, riposante nella avvenuta prescrizione della pretesa punitiva, anche in ragione del disposto di cui all’art. 28 della legge 24 novembre 1981, n. 689.



2.1. L’Assessorato regionale delle attività produttive - Dipartimento regionale delle attività produttive e dell’Assessorato regionale dei beni culturali e dell’identità siciliana - si era costituito in giudizio chiedendo la reiezione dell’impugnazione, in quanto infondata.



3.Alla camera di consiglio del giorno 8 giugno 2017 ai sensi dell’art. 60 cpa il T.a.r. ha trattenuto la causa in decisione e con la sentenza impugnata ha respinto il ricorso di primo grado, affermando che:

a) la natura giuridica del titolo giuridico posto a fondamento dell’ingiunzione emessa ex art 167 del d.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 riposava in una indennità risarcitoria (e non trattavasi di vera e propria sanzione amministrativa);

b) ciò, in quanto dovevano essere valorizzati i seguenti elementi contenuti testualmente nell’art. 167 del d.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42:

1) nella rubrica l’indennità in questione veniva qualificata come “indennità pecuniaria”, e non come sanzione, e ciò è confermato dalle previsioni riguardo all’utilizzazione delle relative somme (“finalità di salvaguardia, interventi di recupero dei valori paesaggistici e di riqualificazione delle aree degradate” );

2) la somma ivi prevista era espressamente volta a tutelare l’interesse alla protezione dei beni indicati nell'articolo 134;

3) in punto di commisurazione, la somma da determinarsi era equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione.



3.1 Il primo giudice ha poi escluso che fosse maturata la prescrizione, rifacendosi ad un pregresso orientamento giurisprudenziale: pertanto (così, testualmente, il T.a.r.) “attesa la natura e la funzione dell'indennità prevista dall'art.15 L. 29 giugno 1939, n. 1947 (oggi art. 167 del d.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42), viene privata di fondamento l'opinione che individua la cessazione dell'illecito paesaggistico al momento del rilascio della concessione edilizia in sanatoria” in quanto “solo con l'atto di pagamento, secondo la misura determinata dall'Amministrazione, il trasgressore provvede realmente a ristabilire nel paesaggio quegli equilibri di valori alterati dall'utilizzo sine titulo...e solo l'atto di pagamento si colloca nella struttura del provvedimento quale condicio facti per l'estinzione dell'illecito paesaggistico altrimenti destinato a permanere fino a quando con la corresponsione della somma dovuta non si è provveduto effettivamente a reintegrare il paesaggio dei valori che l'opera abusiva gli ha sottratto indebitamente” (CGA n. 718/2013).”.



4. La sentenza suindicata è stata tempestivamente appellata dalla originaria ricorrente rimasta soccombente, che ne ha criticato le conclusioni, sostenendo trovarsi al cospetto di una sanzione amministrativa, soggetta alla previsione di cui all’art. 28 della legge 24 novembre 1981, n. 689 e che pertanto posto la pretesa era irrimediabilmente prescritta la sentenza di prime cure avrebbe dovuto essere riformata.



5.L’ amministrazione regionale odierna appellata, dopo avere depositato costituzione di stile e documenti, in data 31 dicembre 2020 ha depositato una breve memoria, chiedendo la reiezione dell’appello in quanto infondato e facendo presente che, laddove il Collegio decidente avesse ritenuto di conformarsi alla tesi per cui la disposizione di cui all’art. 167 del d.Lgs 22 gennaio 2004 n. 42 rientrava nel novero delle sanzioni amministrative, si sarebbe dovuto tenere conto della recente affermazione di tale orientamento al fine della regolazione delle spese processuali.



6.In data 25 gennaio 2021 l’appellante ha depositato una nota chiedendo che la causa venisse posta in decisione sugli scritti.



7. Alla odierna pubblica udienza del 4 febbraio 2021 tenutasi con modalità telematiche da remoto la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO



1. L’appello è fondato e va accolto nei sensi di cui alla motivazione che segue.



2. In punto di fatto, deve essere rappresentato che:

a) l’odierna appellante aveva volturato la originaria domanda di sanatoria, presentata ai sensi della legge n. 47 del 1985;

b) con provvedimento n. 28 del 28 novembre 2011, notificato il 21 dicembre 2011 ha ottenuto il condono, ed ivi è stato fatto presente che si sarebbe “formato il silenzio assenso “sulla domanda, ex art. 17 comma 6 della legge regionale n. 4 del 16 aprile 2003;

c) l’atto impugnato (D.D.S. n. 6041) è stato emesso in data 13.12.2016 e protocollato per la notifica il 14.02.2017 prot n. 8277.



3.Ciò premesso in punto di fatto, il Collegio può adesso vagliare le critiche appellatorie, mercè le quali si sostiene che la pretesa dell’amministrazione sarebbe estinta per prescrizione.



3.1. Si anticipa in proposito che il Collegio condivide l’approdo finale dell’appello, secondo cui sarebbe maturata la prescrizione, con le precisazioni che seguono.



3.2. Va ribadito anzitutto che l’odierno appellante sin dall’atto introduttivo del giudizio chiese che venisse dichiarata la prescrizione, e va preliminarmente richiamato il costante orientamento della giurisprudenza, dal quale non si ravvisano motivi per discostarsi, secondo cui:

a) in virtù del principio " iura novit curia" di cui all'art. 113, comma 1, c.p.c., il giudice ha potere-dovere di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in giudizio, nonché all'azione esercitata in causa, potendo porre a fondamento della sua decisione disposizioni e principi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti, purché i fatti necessari al perfezionamento della fattispecie ritenuta applicabile coincidono con quelli della fattispecie concreta sottoposta al suo esame ( ex aliis ancora di recente Cons. Stato Sez. III, 18/05/2020, n. 3118);

b) “nel processo amministrativo, il ricorrente è onerato esclusivamente della specifica formulazione dei motivi d'impugnazione, con riguardo ai principi di diritto che si ritengono disattesi, ma non dell'esatta indicazione delle norme violate o applicabili alla fattispecie concreta, essendo, in definitiva, rimesso al giudice tale apprezzamento tecnico” (Consiglio di Stato , sez. III , 13/04/2017 , n. 1755 , e, in passato: Consiglio di Stato , sez. V , 20/11/1989 , n. 749: “nel giudizio amministrativo, la mancata indicazione delle disposizioni normative che si assume siano state violate ovvero la loro citazione in materia errata o parziale, non impedisce al giudice di individuare i motivi dell'impugnazione ove risulti in maniera chiara, in tutte le sue implicazioni, il vizio che si è inteso dedurre”);

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