CGARS, sez. I, sentenza 2022-10-25, n. 202201100
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Pubblicato il 25/10/2022
N. 01100/2022REG.PROV.COLL.
N. 00743/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA
Sezione giurisdizionale
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 743 del 2020, proposto da
-OSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore e F E T, rappresentati e difesi dall'Avvocato V C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dello sviluppo economico - Direzione generale coordinamento incentivi alle imprese, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Palermo, via Valerio Villareale, n. 6;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Seconda) n. -OSIS-, resa tra le parti, pubblicata il 30 aprile 2019, non notificata, con la quale era rigettato il ricorso per l’annullamento del decreto n. 39/B5/MISE del 17 ottobre 2007 emesso dal Ministero dello sviluppo economico - Direzione generale coordinamento incentivi alle imprese, notificato il 5 novembre 2007;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dello sviluppo economico - Direzione generale coordinamento incentivi alle imprese;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 ottobre 2022 il Cons. Solveig Cogliani e uditi per le parti gli Avvocati come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
I – Ai fini della decisione della presente controversia è necessario brevemente riassumere i fatti da cui trae origine.
L’impresa appellante, a seguito di domanda presentata nell’ambito del Contratto d’area per l’ASI di Agrigento, sottoscritto in data 30 marzo 1999, aveva chiesto ed ottenuto gli incentivi previsti dall’adesione al suddetto contratto per € 2.181.255,71, a fronte di un investimento riconosciuto ammissibile per € 2.654.588,46, per la realizzazione di uno stabilimento adibito alla produzione di tubi e di film in polietilene nell’agglomerato industriale di Aragona Favara (AG). All’impresa risultano essere stati erogati importi per complessivi € 1.900.613,04.
Esperite da parte dell’IRFIS s.p.a. le formalità istruttorie sull’iniziativa, tale istituto istruttore, con la relazione finale sullo stato degli investimenti datata 17 giugno 2004, concludeva per l’ammissibilità a contributo dell’investimento.
Successivamente, tuttavia, la Commissione ministeriale incaricata di svolgere l’accertamento sulle spese sostenute a consuntivo, rilevava un sostanziale stato di inattività dello stabilimento e, dunque, la mancata entrata in produzione del medesimo, concludendo nel relativo verbale di sopralluogo con un giudizio negativo sull’iniziativa agevolata. La Commissione eseguiva due visite presso lo stabilimento (la prima in data 6 luglio 2005, la seconda in data 19 dicembre 2006).
Nelle conclusioni del citato verbale si legge quanto segue: “la Commissione segnala che i controlli effettuati sia in primo che in secondo sopralluogo hanno avuto esito negativo in quanto, ferma restando la circostanza che è stato dato corso a sperimentazioni di produzione non è stato ancora iniziato il funzionamento ai fini produttivi e propone di dichiarare non ammissibili le agevolazioni sulla base delle spese come sopra riconosciute”.
Alla luce delle risultanze di accertamento, il Ministero appellato procedeva a comunicare l’avvio del procedimento di revoca delle agevolazioni con nota prot. n. 10506 del 20 febbraio 2007 reiterata, per mancato recapito, con nota prot. n. 18811 in data 28 marzo 2007;non essendo pervenuta alcuna controdeduzione ai sensi di quanto previsto dalla legge n. 241/1990, veniva adottato il decreto n. 39/B5/MSE del 17 ottobre 2007, oggetto di gravame, con cui si disponeva la revoca totale delle agevolazioni concesse e l’obbligo di restituzione dell’indebito percepito gravato di interessi.
Con atto di citazione notificato in data 11 febbraio 2008, l’impresa odierna appellante, dapprima conveniva in giudizio il Ministero appellato per la disapplicazione del decreto ministeriale adottato, nonché per la condanna del Ministero predetto al pagamento della rata finale di contributo ed al risarcimento dei danni derivanti dalla ritardata erogazione della suddetta somma.
Il giudice ordinario, tuttavia, declinava la giurisdizione, sicché l’odierno appellante riassumeva il giudizio innanzi al giudice amministrativo.
L’Amministrazione segnala che esisteva anche un coevo ricorso straordinario al Capo dello Stato, in corso di istruttoria. Tuttavia, occorre precisare sin d’ora, che, con parere n. 3414108 reso sul ricorso straordinario predetto, il Consiglio di Stato concludeva per l'inammissibilità dello stesso, in ragione della pregressa azione giurisdizionale instaurata dinanzi al giudice ordinario, poi oggetto di riassunzione dinanzi al T.A.R.
Con la sentenza di primo grado il T.A.R. rigettava il ricorso precisando che la Commissione aveva accertato, a seguito del sopralluogo, il mancato rispetto degli impegni, tra i quali anche quello di cui all’art. 12 comma 3 lett. g) d.m. n. 320 del 2000 relativo allo scostamento dell’obiettivo occupazionale superiore al 30%, non solo, dunque, con riguardo al fatto che le immobilizzazioni materiali o immateriali fossero state distolte.
La Società appellante espone che – contrariamente a quanto affermato dall’Amministrazione - era stata avviata l’attività per oltre un triennio nei termini previsti e che tale attività era interrotta a causa di un incendio doloso verificatosi nel maggio 2006, a seguito dei rifiuti opposti alle richieste estorsive praticate dalla malavita organizzata nei confronti dell’odierna parte appellante, colpita ripetutamente con furti, danneggiamenti ed intimidazioni puntualmente denunciate dal suo amministratore pro tempore. L’incendio dolosamente appiccato avrebbe causato gravissimi danni all’economica di gestione dell’impianto e avrebbe costretto la Società ad affrontare pesantissime ripercussioni economiche, rendendo impossibile eseguire integralmente le prestazioni pattuite per causa di forza maggiore alla stessa non imputabili. Evidenzia di aver eccepito la nullità dell’accertamento, poiché non adottato nel rispetto del principio del contraddittorio tra le parti interessate ed emesso da Amministrazione carente di legittimazione attiva.
Parte ricorrente lamentava, infatti, già in primo grado, sia di non avere ricevuto comunicazione dell’avvio del procedimento di revoca del finanziamento concesso (circostanza contestata dall’Amministrazione) , sia la mancata specificazione, nel provvedimento impugnato, delle “immobilizzazioni materiali o immateriali distolte dall’uso previsto ovvero i traguardi occupazionali mancati dalla beneficiaria”, sia il difetto di legittimazione attiva in capo al Ministero dello sviluppo economico stante che l’art. 12 d.m. citato attribuisce al Ministero del tesoro le attribuzioni istituzionali di revoca dei benefici di cui al contratto d’area sottoscritto.
Avverso la sentenza di primo grado la Società appellante, dunque, propone i seguenti motivi di censura:
1 – nullità ed illegittimità del decreto di revoca delle agevolazioni finanziarie poiché emesso da Amministrazione carente di potere/ omessa motivazione in sentenza/ violazione art. 112 c.p.c. e dell’art. 12 d.m. n. 320/2000;
2 – violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma 3, lett. b) e g) d.m. n. 320/2000 - mancato avvio del procedimento di revoca del finanziamento/errata valutazione delle prove offerte dalla odierna appellante;infatti l’art. 12, comma 3, alle lettere b) e g) prevede esclusivamente la revoca nei casi in cui vengano distolte dall’uso previsto le immobilizzazioni materiali o immateriali prima dei cinque anni dalla data di entrata in funzione dell’impianto, ipotesi questa che non si sarebbe verificata nella specie, come sarebbe confermato nella relazione IRFIS sullo stato finale del programma di investimenti, alla quale è allegata relazione tecnica e note;erroneamente il primo giudice avrebbe ritenuto tale atto solo “accertamento di stampo formale”.
Si è costituito il Ministero appellato per resistere, evidenziando che l’atto di appello reca le medesime censure esposte con il ricorso in sede di giudizio ordinario e poi di giudizio dinanzi al T.A.R.
Richiama, altresì, l’ iter che ha portato al provvedimento di revoca e aggiunge che, peraltro, il Responsabile unico, con nota dell’8 aprile u.s., comunicava i livelli occupazionali nell’anno di regime 2006. Tale comunicazione era poi integrata con nota del 9 aprile 2008, con l’inoltro via telefax del libro matricola aziendale, da cui è risultato che l’occupazione media mensile rilevata nell’esercizio a regime era pari a n. 5,16 unità, con una occupazione media mensile pari al 32% di quella prevista nello stesso periodo di regime (di almeno n. 16 unità).
L’Amministrazione, ancora, evidenzia l’esito negativo in sede cautelare.
Precisa, nel merito, che la procedura in argomento rientra nel quadro della cd. “programmazione negoziata”, che rappresenta uno degli interventi previsti dalla l. 23 dicembre 6 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), regolata dalla con la deliberazione C.I.P.E. 21 marzo 1997, che ha tenuto conto della necessità di favorire la più estesa applicazione degli istituti negoziali. In particolare, il Contratto d’area, secondo la definizione del punto 3 della suddetta deliberazione, è lo strumento operativo funzionale alla realizzazione di un ambiente economico favorevole all’attivazione di nuove iniziative imprenditoriali e alla creazione di nuova occupazione nei settori dell’industria, agroindustria, servizi e turismo, attraverso condizioni di massima flessibilità amministrativa ed in presenza di investimenti qualificati da validità tecnica, economica e finanziaria. La sottoscrizione del contratto, pertanto, vincola i soggetti locali al rispetto degli specifici impegni assunti per la realizzazione degli interventi.
Non vi sarebbe stata alcuna lesione della partecipazione, in quanto è la stessa parte appellante che non avrebbe controdedotto alle contestazioni.
Non varrebbe neppure la valutazione positiva fornita dall’IRFIS s.p.a. nella relazione istruttoria, in quanto redatta in periodo antecedente alla visita di sopralluogo della Commissione ministeriale, unico soggetto istituzionale deputato al controllo e alla verifica sull’ammissibilità delle singole spese cui relazionare il contributo, nell’ambito della propria discrezionalità tecnica.
Il difensore costituitosi in sostituzione dell’avv. T B, che già aveva già rinunciato al mandato in data 18 gennaio 2021, ha reso noto di aver rinunziato al mandato in data 21 settembre 2022.
All’udienza pubblica del 12 ottobre 2022 la causa è stata trattenuta in decisione.
II – Osserva il Collegio, in via del tutto preliminare, che non rileva la rinunzia al mandato di uno dei difensori, in quanto ai sensi dell'art. 85 c.p.c., la revoca della procura e la rinuncia al mandato non hanno effetto nei confronti dell'altra parte fino alla sostituzione del difensore. Nel processo amministrativo la rinuncia al mandato da parte dell’avvocato difensore, non seguita dalla nomina di un nuovo avvocato, non ha effetto interruttivo nel processo amministrativo ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 301 comma 3, c.p.c. e 79 c.p.a., giacché in ossequio al principio della perpetuatio dell’ufficio defensionale, di cui agli artt. 85 e 301 c.p.c. – il difensore rinunciante, fino alla sua sostituzione, conserva lo ius postulandi con riguardo al processo in corso, sia per quanto riguarda la legittimazione a ricevere gli atti nell’interesse del mandante, sia per quanto riguarda la legittimazione a compiere atti nell’interesse di quest’ultimo.
III – Ciò posto può passarsi a esaminare il merito della controversia.
IV – Il primo motivo è infondato.
Dispone, infatti, l’art. 1, comma 2, d.l. 18 maggio 2006, n. 181 (convertito con modificazioni dalla l. 17 luglio 2006, n. 233) che “Al Ministero dello sviluppo economico sono trasferite, con le inerenti risorse finanziarie, strumentali e di personale, le funzioni di cui all'articolo 24, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300”.
Al momento dell’adozione del provvedimento gravato, dunque, spettavano al Ministero appellato – per quanto d’interesse - le seguenti funzioni: “c) programmazione economica e finanziaria, coordinamento e verifica degli interventi per lo sviluppo economico territoriale e settoriale e delle politiche di coesione, anche avvalendosi delle Camere di commercio, con particolare riferimento alle aree depresse, esercitando a tal fine le funzioni attribuite dalla legge in materia di strumenti di programmazione negoziata e di programmazione dell'utilizzo dei fondi strutturali comunitari”.
Il potere di revoca del finanziamento, dunque, deve intendersi transitato, alla data di adozione del provvedimento, dal Ministero dell’economia al Ministero dello sviluppo economico, con conseguente infondatezza del dedotto vizio di incompetenza.
V – Va, sin d’ora, precisato che risulta del tutto irrilevante ai fini della legittimità del provvedimento di revoca, alla luce dei dedotti vizi, l’esistenza della relazione dell’IRFIS, invocata da parte appellante. Infatti, deve distinguersi tra la fase attinente al momento in cui l’Amministrazione compie le valutazioni discrezionali di competenza circa la
erogabilità del contributo (quando la spettanza del beneficio, però, non sia direttamente riconosciuta dalla legge), da quella riguardante la verifica circa l’effettivo rispetto delle condizioni previste convenzionalmente da parte del privato e dunque l’erogazione definitiva del contributo medesimo, accompagnata dalla facoltà di revocarlo in tutto o in parte.
Nella specie, che occupa, l’oggetto della controversia attiene, per l’appunto, alle conseguenze della verifica non di ammissibilità del beneficio, bensì – in sede di sopralluogo – della sussistenza delle condizioni per l’erogazione del contributo, oggi di competenza del Ministero per lo sviluppo economico.
VI – Ancora, quanto alle censure di cui al secondo motivo di appello, vale precisare che l’appellante si sofferma unicamente sulla prima parte della norma invocata, art. 12 comma 3 lett. b) del citato d.m. n. 320 del 2000 e non sulla seconda, a mente della quale la revoca è giustificata dal fatto che la distrazione delle immobilizzazioni abbia costituito variazione sostanziale del programma non autorizzata, tale da incidere sugli obiettivi prefissati (nelle misure determinate dalla successiva lett. g).
Per come specificato dall’Amministrazione, infatti, la riduzione dell’occupazione ha inciso per il 32% rispetto a quanto determinato.
VII – Inoltre, non trova dimostrazione documentale l’effetto dei lamentati incidenti occorsi all’azienda, tali da incidere sulla effettiva possibilità di svolgere l’attività progettata. Dalle denunce depositate in giudizio non si evincono le circostanze lamentate in appello, e la idoneità degli eventi descritti a determinare la paralisi dell’attività produttiva accertata dall’Amministrazione.
VIII – Infine, non può trovare condivisione il censurato difetto di partecipazione, non avendo l’’istante inteso svolgere osservazioni in occasione dei sopralluoghi effettuati.
IX – Per tutto quanto sopra ritenuto, l’appello deve essere respinto.
X – In ragione della particolarità della fattispecie esaminata, sussistono giusti motivi per compensare le spese del presente grado di giudizio.