Corte di Giustizia di secondo grado Campania, sez. XVII, sentenza 01/03/2023, n. 1513
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Testo completo
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con ricorso tempestivamente depositato, XXX regolarmente rappresentata e difesa nel procedimento, impugnava innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Napoli l'avviso di liquidazione n. XXX con il quale l'Agenzia delle Entrate richiedeva il pagamento della complessiva somma di ? 1.256,50 a titolo di imposta di registro (pari ad ? 1.239,008) e spese di notifica (? 17,50), in relazione alla registrazione della sentenza n. 8980/2017 emessa dal Tribunale di Napoli in data 5/9/2017, liquidazione determinata applicando, ai sensi dell'art. 8, comma 1, lettera b) della Tariffa, Parte Prima, allegata al DPR n. 131/1986, l'aliquota proporzionale del 3% all'importo del saldo di conto corrente rideterminato riconosciuto come dovuto alla parte attrice pari ad ? 41.141,28 oltre agli interessi pari ad ? 153,63. Parte ricorrente eccepiva:
1. Illegittimità dell'avviso di liquidazione per difetto di motivazione. Violazione dell'art. 7, Legge n. 212/2000 cd. Statuto del Contribuente;
2. Illegittimità per violazione e falsa applicazione dell'art. 8, co. 1, lettera b) della Tariffa Parte Prima allegata al DPR n. 131/1986 in quanto al caso di specie è applicabile l'imposta fissa in forza del c.d. principio di alternatività Iva - Registro;
3. Illegittimità per violazione di legge in quanto nel caso di specie è applicabile l'imposta fissa in forza dell'art. 8, comma 1, lettera e), della Tariffa annessa al DPR n. 131/86;
L'Agenzia delle Entrate si è costituita ed ha richiesto l'inammissibilità/il rigetto del ricorso, deducendo la legittimità del proprio operato.
2. Con sentenza n. 11020/6/2021 del 15.1.2021 depositata il 15.10.2021, la Commissione tributaria provinciale di Napoli, sez. 6, decideva rigettando il ricorso e compensando le spese di lite. I giudici di prime cure, osservavano che il ricorso era infondato perché: "Il motivo relativo alla violazione dell'art. 7 St. Contr. per mancata allegazione della sentenza è infondato. Anzitutto, in base alla formulazione dell'art. 54, co. 4°, dPR 131/1986, secondo cui «nell'avviso devono essere indicati gli estremi dell'atto da registrare ( ... ) e la somma da pagare», appare evidente la mancanza di un obbligo di allegazione, purché le indicazioni risultino riportate nell'atto e siano sufficienti ai fini della motivazione, non essendo necessario allegare agli atti la sentenza o il suo contenuto essenziale ai fini del pagamento dell'imposta di registro, allorquando, come nel caso che ci occupa, la pronuncia sia stata resa a seguito di giudizio che abbia visto la Ricorrente quale parte in causa, trattandosi quindi di provvedimento da essa conosciuto e non potendosi ravvisare, pertanto, alcuna violazione del diritto di difesa tutelato dall'art. 7 L. 212/2000 (in tal senso, Cass., V, 24098/2014). In ogni caso, l'atto impugnato riporta compiutamente gli estremi della sentenza, l'aliquota applicata, e chiarisce che il valore imponibile è «pari al decisum della sentenza recante condanna al pagamento di somme per un capitale di euro 41.141,28 oltre interessi e/ o svalutazione monetaria calcolati per euro 153,63, per una somma complessiva di euro 41.294,91». La motivazione del provvedimento, quindi, soddisfa i requisiti richiesti per il rispetto dell'art. 7 L. 212/2000, a norma del quale l'obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche per relationem, ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione, però, che questi ultimi siano allegati all'atto notificato ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, per tale dovendosi intendere l'insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell'atto o del documento che risultino necessari e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, e la cui indicazione consente al contribuente - ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale- di individuare i luoghi specifici dell'atto richiamato nei quali risiedono quelle parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento, o, ancora, che gli atti richiamati siano già conosciuti dal contribuente per effetto di precedente notifica (Cass. V, 13110/2012;Cass., V, 15327 /2014;
Cass., V, 4176/2019;
Cass., V, 29968/2019).
Nel caso specifico dell'imposta di registro, ai fini del corretto adempimento dell'onere motivazionale dell'avviso di liquidazione ex art. 7 St. Contr., l'allegazione materiale dell'atto giudiziario assoggettato ad imposizione - che non ha la finalità di procurarne, oltre alla conoscenza legale, anche la disponibilità documentale- è necessaria tutte le volte in cui l'avviso non riproduca o non menzioni le enunciazioni o le statuizioni soggette ad imposta di registro, sempre che il contribuente si sia trovato nell'incolpevole impossibilità di averne conoscenza, potendo peraltro l'avviso di liquidazione limitarsi anche ad indicare solamente la data e il numero della sentenza civile laddove sia certo o presumibile che il contribuente ne abbia avuto pregressa conoscenza e purché sia garantita in ogni caso l'agevole intellegibilità dei valori imponibili, delle aliquote applicate e dell'imposta liquidata. Nel caso di specie, l'atto impugnato contiene, come si è visto, una compiuta motivazione, sicché l'allegazione della sentenza si sarebbe rivelata del tutto superflua, considerato peraltro che la Ricorrente è stata parte del giudizio". Inoltre "la mera allegazione della sentenza civile può essere talora insufficiente ad integrare il contenuto dell'avviso di liquidazione, come nel caso in cui l'elevato grado di complessità delle statuizioni giudiziali non assicuri un'agevole comprensione in ordine alle modalità di individuazione della base imponibile ed ai criteri di calcolo dell'imposta (Cass., V, 21713/2020)". Per la CTP è infondato anche il motivo di ricorso che lamenta la mancata applicazione dell'imposta in misura fissa, ex art. 8, co. 1°, lettera e), della Tariffa, Parte Prima, annessa al dPR 131/1986, a norma del quale scontano tale misura gli atti dell'autorità giudiziaria «che dichiarano la nullità o pronunciano l'annullamento di un atto, ancorché portanti condanna alla restituzione di denaro o beni o la risoluzione di un contratto».
"Il Ricorrente ritiene applicabile tale norma perché nella sentenza in esame la riliquidazione del saldo di conto corrente trarrebbe origine proprio dalla nullità delle clausole contrattuali che prevedevano l'applicazione di tassi d'interesse ultralegali, la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi (violando il divieto di anatocismo), e l'applicazione di una commissione di massimo scoperto. Invece, com'è stata correttamente osservato dalla Resistente, oggetto del giudizio concluso con la sentenza de quo non è stata un'azione di annullamento o risoluzione di un contratto bensì l'accertamento degli interessi anatocistici e la ripetizione dell'indebito, dopo la conclusione del rapporto bancario, nell'ambito del quale giudizio solo talune clausole contrattuali sono incidentalmente dichiarate nulle o annullate. Pertanto, le somme oggetto della condanna della Banca, comprensive dei relativi interessi, sono soggette all'applicazione dell'art. 8 co. 1° lett. b) della Tariffa parte I. allegata al Dpr 131/86 che prevede l'aliquota del 3 per cento". Non sussisterebbe neppure, per i Giudici di prime cure, la violazione del principio di alternatività IVA-Registro di cui all'art. 40 dPR 131/1986, "poiché il giudizio, concluso con la sentenza oggetto dell'atto impugnato, non ha avuto ad oggetto il pagamento di corrispettivi o prestazioni soggette ad IVA ma un accertamento e consequenziale condanna al pagamento di una somma indebitamente incassata".
3. Avverso la suddetta sentenza, con atto tempestivamente notificato proponeva appello XXX chiedendo la riforma della sentenza impugnata e la condanna della controparte al pagamento delle spese del giudizio. La Direzione Provinciale II di Napoli si costituiva con controdeduzioni con le quali chiedeva