Corte di Giustizia di secondo grado Abruzzo, sez. VI, sentenza 18/08/2023, n. 631

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Secondo la recente giurisprudenza, tre sono i test che la società contribuente deve superare per provare la propria qualità di beneficiario effettivo, ovvero: 1) il "substantive business activity test", che verifica se la società percipiente svolga un'attività economica effettiva; 2) il "dominion test", che verifica se la società percipiente possa disporre liberamente degli interessi o dividendi ricevuti o se invece sia tenuta a rimetterli ad un soggetto terzo; 3) il "business purpose test", che verifica le ragioni dell'interposizione di una società nel flusso reddituale transfrontaliero, e cioè se abbia una funzione nell'operazione di finanziamento o se sia mera "conduit company" (o "société relais"), la cui interposizione è finalizzata esclusivamente ad un risparmio Fiscale (Corte Suprema di Cassazione pronuncia n. 6005 del 2023).

Sul provvedimento

Citazione :
Corte di Giustizia di secondo grado Abruzzo, sez. VI, sentenza 18/08/2023, n. 631
Giurisdizione : Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell'Abruzzo
Numero : 631
Data del deposito : 18 agosto 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Con istanza del 1° febbraio 2012 la S., Fondo di diritto olandese, chiedeva il rimborso delle ritenute d'imposta sui dividendi percepiti nell'anno 2008 in relazione alle partecipazioni detenute in società quotate in Borsa residenti in Italia, assoggettate a ritenuta convenzionale ad aliquota del 15% in applicazione dell'art. 10 della Convenzione contro la doppia imposizione in vigore tra Italia e Paesi Bassi (L. 26/07/1993, n. 305), sostenendo la violazione dell'art. 63 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea (TFUE), in quanto il trattamento fiscale riservato ai fondi pensione non residenti sarebbe stato più oneroso di quello previsto per i fondi italiani. Il Fondo impugnava il silenzio‒rifiuto opposto dall'Agenzia delle entrate e la Corte di giustizia tributaria di primo grado di Pescara con sentenza n. 268/02/2022 accoglieva il ricorso condannando l'Agenzia delle entrate al rimborso in favore della ricorrente della somma di ? 2.341.397,24, ridotta dell'1,65%, oltre interessi fiscali dal dovuto al saldo. L'Agenzia delle entrate, rimasta soccombente, ha proposto appello deducendo: a) (primo motivo) la violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 cod. civ., in materia di riparto dell'onere probatorio, censurando l'affermazione del giudice di prime cure nella parte della sentenza in cui aveva affermato che: «pare evidente che l'A.F. avrebbe dovuto svolgere concrete indagini (trattandosi di azioni quotate ne avrebbe avuto tutti i mezzi) per acquisire copia delle contabili di pagamento e di incasso, per conoscere sia la ritenuta applicata che il soggetto beneficiario del dividendo limitandosi invece a una contestazione generica»;
b) (secondo motivo) la violazione e falsa applicazione del principio di non contestazione ex art. 115 c.p.c. per avere il giudice di prime cure affermato che: «Riguardo al mancato assolvimento dell'onere della prova va chiarito che è certamente onere della parte che chiede il rimborso del detto credito d'imposta dimostrare di essere l'effettiva beneficiaria dei dividendi rispetto ai quali sarebbe maturato il credito e l'avvenuta tassazione nei Paesi bassi ma, sul punto, come si è detto l'Agenzia non ha sollevato eccezione alcuna (silenzio-assenso) se non in sede di controdeduzioni e in forma estremamente generica»;
c) (terzo motivo) la violazione e falsa applicazione dell'art. 63 TFUE per avere il giudice di primo grado accolto il ricorso di controparte «senza esprimere affatto, nella motivazione della sentenza impugnata, considerazioni inerenti l'effettività o meno della violazione del TFUE lamentata da controparte», ovvero del principio di non discriminazione;
al riguardo, l'appellante sostiene che nell'art. 65 TFUE «sono previste due fattispecie in cui è fatto salvo il diritto degli Stati membri di attuare delle restrizioni che non costituiscono violazione del principio precedentemente sancito. In particolare si fa riferimento al caso in cui "le situazioni in cui si trovano i due contribuenti non siano oggettivamente paragonabili". In buona sostanza, una disparità di trattamento operata in funzione esclusivamente della residenza non costituisce una violazione dei principi comunitari della libertà di circolazione dei capitali se scaturisce da situazioni che non sono oggettivamente comparabili»;
sostiene, inoltre, che «La richiesta di controparte che il fondo pensione olandese non venga assoggettato ad imposta sostituiva nel momento in cui incassa i dividendi azionari, non tiene, infatti, minimamente conto del trattamento fiscale complessivo dei fondi pensione italiani. Il regime fiscale dei fondi pensione italiani è contenuto nel D.Lgs n. 252/2005 e si ispira al principio della tassazione del risultato netto di gestione, mediante l'assoggettamento della base imponibile ad un'imposta sostitutiva pari all'11%. L'imposta sostitutiva si applica sulla differenza fra il valore del patrimonio netto calcolato al 21 dicembre di ogni anno ed il valore del patrimonio netto risultante all'inizio dell'anno. La tassazione dei fondi pensione in Italia è sostanzialmente riconducibile al modello E.T.T. (Esente - Tassato - Tassato) dove "E" sta per esenzione dei contributi nella fase di accumulazione, "T" per tassazione dei rendimenti o proventi derivanti da azioni o quote di società/enti commerciali, nonché Tassazione delle prestazioni previdenziali corrisposte in forma di rendita o di capitale. Il modello di tassazione dei fondi pensione nei Paesi Bassi è, invece, riconducibile allo schema E.E.T. (Esente-Esente-Tassato), dove i contributi ed i rendimenti sono esenti nel periodo di accumulazione e tassati nel momento dell'erogazione della prestazione. In Italia, quindi, la tassazione si realizza sui rendimenti finanziari anche nella fase di accumulo, circostanza che invece non ricorre nei Paesi Bassi», sicché, se si accogliesse la richiesta di controparte rimborsando l'intera ritenuta subita, ne scaturirebbe una "discriminazione al contrario";
d) (sesto e settimo motivo) l'insussistenza in capo al Fondo della qualità di beneficiario effettivo dei dividendi nonché la «mancanza di certificazione delle ritenute da parte del sostituto d'imposta» e la «assenza di assoggettamento ad imposizione fiscale»;
sostiene l'appellante che «Nel caso di specie, non è possibile stabilire se il Fondo pensione ricorrente fosse l'effettivo beneficiario dei dividendi distribuiti, in quanto gli importi qualificati come dividendi distribuiti da società italiane quotate e percepiti dal fondo pensione, sono documentati da certificazioni emesse dalla branch londinese di Citibank N.A. con sede in U.S.A. avente P. I. GB429625629 e da JPMorgan Chase Bank con sede nel Regno Unito, che indicano anche l'aliquota e le relative ritenute operate nel 2008, ma non si evince l'identità del sostituto d'imposta che avrebbe effettuato la rivalsa e provveduto al versamento delle stesse all'Erario». Deduceva, inoltre, l'infondatezza delle richieste avanzate dal Fondo in via gradata nel giudizio di primo grado. In particolare: - (quarto motivo) «Sulla disapplicazione della norma interna», che il Fondo aveva avanzato per contrarietà all'art. 63 del Trattato TFUE, richiedendo il rimborso integrale delle ritenute subite o, in subordine, "la differenza tra le imposte complessivamente pagate [...] in Italia e le imposte che [...] avrebbe pagato [...] laddove gli stessi fossero stati assoggettati all'identica tassazione sul risultato netto pari all'11% al tempo prevista per i fondi pensione italiani", sosteneva che l'applicazione dell'11% sul risultato netto non sarebbe stata in ogni caso possibile poiché non sono stati forniti a questo Ufficio i necessari dati contabili e di bilancio, né questo Ufficio potrebbe minimamente riscontarli essendo privo di poteri di controllo sugli stessi»;
- (quinto motivo) «Sulla richiesta di applicazione retroattiva dell'art. 27, comma 3, del DPR n. 600/1973 » ovvero di "applicazione retroattiva dell'art. 27, comma 3, D.P.R. 600/73" ed il conseguente rimborso, pari alla differenza tra l'imposta calcolata al 15% (aliquota convenzionale) e quella derivante dall'applicazione dell'aliquota dell'11% (ottenuta applicando retroattivamente l'art. 27, comma 3)», l'appellante sostiene che « L'adeguamento normativo è, infatti, intervenuto con la Legge n. 88/2009, il cui art. 24 ha disposto la sostituzione dell'art. 27, terzo comma, del DPR n. 600/1973, al fine di includervi la riduzione all'11% dell'aliquota della ritenuta sugli utili corrisposti ai fondi pensione istituiti negli Stati membri dell'Unione europea e negli Stati aderenti all'Accordo sullo SEE. La stessa norma ha fissato l'applicabilità di tale aliquota agli utili distribuiti a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge, quindi dal 29 luglio 2009. Dal momento che la presente istanza di rimborso si riferisce alle ritenute su dividendi distribuiti anteriormente alla suddetta data, non può essere adottata l'aliquota ridotta dell'11%»;
- (ottavo motivo) «Sulla richiesta di applicazione analogica dell'art. 14 del D.lgs. n. 124/1993» ne evidenziava l'inaccoglibilità in quanto, oltre al divieto di analogia in materia tributaria, si trattava di una norma non più

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