Corte di Giustizia di secondo grado Lombardia, sez. XV, sentenza 22/05/2023, n. 1769

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Sul provvedimento

Citazione :
Corte di Giustizia di secondo grado Lombardia, sez. XV, sentenza 22/05/2023, n. 1769
Giurisdizione : Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia
Numero : 1769
Data del deposito : 22 maggio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Avverso la sentenza n. 1215 della sez. 5 della Commissione Tributaria provinciale di Milano, depositata il 24/4/2022, che accoglieva parzialmente il ricorso della contribuente, propone appello l'Agenzia delle Entrate, chiedendone l'integrale riforma.

Volendo riassumere brevemente la controversia bisogna evidenziare che la Sig.ra Kxxxx Axxxx Sxxxx Mxxxx esercente una delle attività ammesse al fondo perduto nel periodo COVID (

ATECO

56.10.11), ha presentato telematicamente la relativa istanza di cui all'art 25 del DL 34/2020 (Decreto Rilancio) per l'importo complessivo di ? 3.214,00.

A fronte dell'inerzia dell'Ufficio e dell'assenza della comunicazione di scarto, in data 15/1/2021 la contribuente ha richiesto in autotutela il riconoscimento del contributo richiesto e di quelli conseguenziali attribuibili in via automatica, senza ulteriore istanza, e precisamente per l'importo di ? 10.641,00 di cui: 1) ? 3.214,00 scaturenti dalla richiesta telematica di cui sopra, ? 6.427,00 per il contributo previsto disciplinato dal DL 149/2020, e ? 1.000,00 per quello previsto dal DL 172/2020.

L'Ufficio in data 10 Maggio 2021 emanava provvedimento di diniego, motivandolo con la presenza di "una molteplicità di omissioni dichiarative e di versamento d'imposta le quali impediscono di considerare come affidabili i dati economici denunziati dalla Parte con conseguente disconoscimento del contributo in oggetto".

Il suddetto provvedimento veniva impugnato con ricorso, preceduto da reclamo, dalla contribuente con richiesta riformulata per l'importo complessivo di ? 12.855,00, in quanto per il decreto 172/2020 l'importo da attribuire automaticamente era di ? 3.214,00 e non di ? 1.000,00 come indicato nell'istanza in autotutela.

La contribuente motivava il ricorso sostenendo che il contributo a fondo perduto assolverebbe ad una funzione "ristorativa" e non "premiale", di conseguenza non soggetto a valutazione da parte dell'Ufficio sulla base di un giudizio sulla sussistente o meno fedeltà fiscale, avendo la legge limitato le ipotesi di disconoscimento del beneficio nell'assenza dei requisiti soggettivi e oggettivi previsti in capo al soggetto richiedente.

L'ufficio, dopo il provvedimento di diniego all'istanza di reclamo, incardinatosi il giudizio davanti al giudice di primo grado, si costituiva rappresentando, in via preliminare, l'inammissibilità dell'impugnazione per l'importo di ? 2.213,40 in quanto non richiesto con l'istanza e, pertanto, eccedente l'oggetto dell'impugnato diniego.

Nel merito, l'Ufficio chiedeva il rigetto del ricorso per infondatezza della richiesta a causa "delle gravi e ripetute omissioni dichiarative e di versamento caratterizzanti più anni d'imposta, a motivo di una oggettiva situazione di infedeltà fiscale che caratterizza la contribuente nello svolgimento dell'attività d'impresa".

La Commissione tributaria provinciale con l'appellata sentenza accoglieva parzialmente il ricorso, limitatamente all'importo di ? 10.441,60, tenendo conto della eccezione preliminare dell'Ufficio, giudicando, nel merito, fondata la domanda di contributo per il minore importo di ? 10.641,60.

Ad avviso del primo giudice, infatti, "la normativa non prevedeva, clausole che ponessero quale condizione la "regolarità fiscale" del contribuente ma meccanismi più snelli di erogazione, proprio al fine di portare un aiuto alle imprese".

L'Agenzia delle entrate proponeva appello avverso la suddetta sentenza, chiedendone la riforma per i seguenti motivi:

-errata qualificazione della procedura di controllo seguita per l'erogazione del Contributo a Fondo Perduto, evidenziando tutta una serie di omissioni dichiarative relative agli anni d'imposta 2018 e 2019 e facendo presente che "come si evince dai fatti soprariportati e non contestati da parte avversa e come tali pacifici, i dati contabili denunziati dalla contribuente risultano essere radicalmente inattendibili: l'assenza di una regolare serialità dichiarativa, e dei versamenti conseguentemente dovuti, é un elemento che preclude in radice la possibilità di erogare il contributo in questione giacché è precluso il giudizio di coerenza e congruenza tra i dati denunziati dall'istante e quelli che dovrebbero sussistere ai fini della legittima erogazione dell' agevolazione".

Inoltre, secondo l'ufficio "la situazione fiscale del 2020 appare profondamente divergente e non coerente a quella indicata per gli anni 2018 e 2019" e tale circostanza "non consente di considerare attendibili i periodi di imposta oggetto di confronto, essendo gli stessi incompatibili col regolare svolgimento di un'attività di impresa o di lavoro autonomo la quale, notoriamente, dovrebbe essere informata a principi di trasparenza e oggettività fiscale e non su elementi parziali, non congrui e del tutto infedeli sul piano fiscale. Vero è - continua l'ufficio- che le dichiarazioni fiscali degli anni 019 e 2020 non sono state ancora liquidate dall'Ufficio, e che, come eccepito dalla Parte, le stesse saranno oggetto di controllo e recupero per le somme dovute, ma tale principio non consente di riconoscere il contributo come spettante, atteso che questo può essere erogato sulla base di dati contabili certi o quantomeno, prima facie, ragionevolmente attendibili".

In conclusione l'Ufficio, nel richiedere la riforma della sentenza di primo grado e la condanna al pagamento delle spese di giudizio, sostiene che, prima della erogazione del contributo a fondo perduto si debba procedere ad approfondite verifiche, non essendo "sufficiente limitarsi al mero riscontro del calo del fatturato e dei corrispettivi come dichiarati dalla Parte e osservato dal Giudice in riferimento a un solo anno d'imposta, ma deve esservi un'analisi di congruità e coerenza dei dati indicati, congruità e coerenza che nel caso di specie sono assenti", pertanto, gli uffici nell'erogare il contributo più che affidarsi al dato oggettivo del calo di fatturato, sarebbero "anzitutto chiamati a valutare l'affidabilità del soggetto e/o del suddetto calo di fatturato (e degli altri requisiti richiesti) e ciò proprio alla luce del grado di affidabilità (regolarità dichiarativa e riscossiva) che connota la posizione del contribuente istante".

La contribuente, costituendosi in giudizio, dopo aver controdedotto alle motivazioni dell'appellante, conclusivamente, chiede la conferma della sentenza di primo grado e la condanna al pagamento delle spese di giudizio, in quanto il diniego si basa su motivazioni arbitrarie che vanno oltre le previsioni di legge e la natura stessa del contributo. Inoltre, richiamando l'art. 3 DL 209/2021, evidenzia come il legislatore abbia voluto precisare che "le disposizioni che prevedono, in conseguenza dell'emergenza epidemiologica da Covid-19, l'erogazione da parte dell'Agenzia delle entrate di contributi a fondo perduto, si interpretano nel senso che a tali erogazioni non si applicano le disposizioni di cui all'articolo 48-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602", proprio a voler rimarcare che l'erogazione del contributo non è subordinato all'assenza di carichi pendenti verso lo Stato.

MOTIVI DELLA DECISIONE

In via preliminare va precisato che non può essere presa in considerazione la richiesta della contribuente di modificare la quantificazione del contributo determinato dal giudice di secondo grado, non avendo la stessa proposto appello incidentale, ed essendosi limitata a controdedurre all'appello dell'Ufficio.

Esaminato l'appello dell'Ufficio, ad avviso di questa Corte lo stesso risulta infondato e va respinto, infatti, l'erogazione del contributo a fondo perduto è stato previsto dal legislatore per attribuire ai soggetti, particolarmente colpiti dagli effetti della pandemia, la liquidità necessaria per consentire di mantenere in vita le attività economiche.

Proprio per la straordinarietà dell'evento l'erogazione del contributo è slegato da qualunque valutazione da parte dell'Agenzia delle entrate che possa riguardare eventuali violazioni o debiti di natura tributaria.

In buona sostanza la legge attribuisce il contributo a fondo perduto a tutti i soggetti che non hanno cessato l'attività alla data del decreto istitutivo, condizionando espressamente il beneficio al possesso di soli due requisiti: 1) il limite dei ricavi inferiore a 5 milioni di euro;
2) il calo di fatturato nel mese di aprile del 2020 rispetto al mese di aprile del 2019 superiore ad un terzo.

Entrambi i requisiti consentivano un facile riscontro alla Agenzia delle Entrate, da effettuare prima di erogare il contributo. Infatti, il raffronto del calo di fatturato poteva essere verificato sulla base delle fatture elettroniche, obbligatoriamente trasmesse all'Agenzia, piuttosto che dei corrispettivi, anch'essi trasmessi telematicamente, per i soggetti non obbligati all'emissione della fattura.

Sia la legge che ha previsto il contributo che i documenti di prassi emanati dalla stessa Agenzia delle Entrate limitano i controlli da effettuare solo tra i "dati presenti nell'istanza e i dati presenti in Anagrafe Tributaria".

Per cui il diniego opposto alla richiesta di erogazione del Contributo da parte dell'Agenzia appare del tutto illegittimo. Le richiamate incoerenze e violazioni commesse dalla contribuente, peraltro nell'esercizio 2018 - mentre la legge pone a confronto i dati del 2019- costituiscono una arbitraria interpretazione non supportata dal dato legislativo.

In conclusione, le condizioni tassativamente indicate dalla legge all'articolo 25 per poter usufruire del contributo a fondo perduto COVID-19 sono che:

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