Corte di Giustizia di secondo grado Toscana, sez. I, sentenza 22/06/2023, n. 586
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Testo completo
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto dep. il 1.12.2020 e decreto di fissazione udienza ritualmente notificato, R. S., ha proposto appello avverso la sentenza n. 17/1/2020 resa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Grosseto, sezione I, pronunciata il 10 febbraio 2020, depositata il 6 marzo 2020 (R.G.R. n. 191/2019), non notificata. Chiedendo a) In tesi, disponga la sospensione del presente processo RGA n. 1759/2020, ai sensi dell'art. 39 del d.lgs. n. 546/1992 (e, comunque, dell'art. 295 c.p.c.), in attesa della definizione, con sentenza passata in giudicato, del giudizio (pregiudiziale) attualmente identificato dal RGA n. 1763/2020;
b) In ipotesi, disponga la riunione del presente processo RGA n. 1759/2020, ai sensi dell'art. 29 del d.lgs. n. 546/1992, con quello, sempre pendente dinanzi a codesta Ecc.ma Corte, attualmente identificato dal RGA n. 1763/2020.
A sostegno delle proprie ragioni l'appellante ha dedotto che 1. La nullità della sentenza per essere stata emessa oltre il termine di 30 giorni dalla pubblica udienza;
2. Reitera i motivi di gravame già decisi e rigettati dal primo giudice ossia:
- I Motivo. Si contesta la presunzione dell'ufficio (e della Guardia di Finanza, prima) secondo cui il Signor R. S. sarebbe amministratore di fatto delle società M., della S. P. Ltd e della S.;
conseguentemente, si eccepisce l'inefficacia di tali atti di accertamento e, conseguentemente, l'illegittimità derivata degli avvisi ai fini IRPEF qui impugnati;
- II Motivo. Si contesta la legittimità e fondatezza degli atti di accertamento impugnati, anche nella parte in cui si attribuiscono al comparente lo status di presunto socio occulto delle due società M., della S. e della S;
- III Motivo. Sulla illegittimità degli atti di accertamento adottati nei riguardi delle due società M. e della S., per violazione dei principi che presiedono all'obbligo di motivazione (art. 7 della l. n. 212/2000):
non è stato giustificato il perché sono state disattese circostanze di fatto ed evidenze documentali allegate dal contribuente nel corso dell'istruttoria amministrativa. Sulla illegittimità derivata degli avvisi qui impugnati;
- IV Motivo. Illegittimità degli atti di accertamento adottati nei riguardi delle due società M. e della S., per violazione dell'obbligo di motivazione, in punto di contraddittorietà della medesima (art. 7 della l. n. 212/2000). Sulla illegittimità derivata degli avvisi oggetto di causa;
- V Motivo. In ogni caso e comunque, sulla illegittimità degli atti di accertamento adottati nei riguardi delle due società M. e della S., per il mancato assolvimento dell'onere della prova, da parte dell'Ufficio, circa la esterovestizione delle società e, comunque, sulla erronea qualificazione delle medesime come società esterovestite. Sulla illegittimità derivata degli avvisi qui opposti;
- VI Motivo. Sulla illegittimità delle pretese impositive recate negli atti di accertamento adottati nei riguardi delle due società M. e della S. Ltd, per violazione dell'art. 14, co. 4 della l. n. 537/1993. In denegata ipotesi, sulla non riscuotibilità delle misure cautelari riguardo alle presunte imposte ed interessi dovuti dalle società, sulla base dei p.v.c. Sulla illegittimità derivata degli avvisi qui opposti;
- VII Motivo. In subordine, sulla illegittimità delle pretese recate negli atti presupposti ai fini Ires, per l'erronea determinazione della base imponibile delle società M. e S., comunque, per vizio di motivazione. Sulla conseguente illegittimità degli avvisi impugnati;
- VIII Motivo. In ulteriore subordine: sull'illegittima quantificazione dell'utile occulto che sarebbe stato distribuito al socio, odierno comparente;
- IX Motivo. In ulteriore subordine. Sulla illegittima imputazione al comparente del presunto utile occulto maturato dalla S., per difetto della notifica, a tale società, del prodromico atto presupposto ai fini Ires.
Si è costituita Agenzia delle Entrate - Direzione Provinciale di Grosseto, in persona del Direttore pro tempore (d'ora in poi Ufficio), contestando tutto quanto ex adverso dedotto e prodotto, ha chiesto "il rigetto dell'appello e la condanna del ricorrente alle spese di giudizio;".
L'appellante ha depositato memorie illustrative. La causa è stata poi rinviata per la riunione al procedimento r.g. 1763 del 2020, relativa alla sentenza n. 18/1/2020 resa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Grosseto, sezione I, pronunciata il 10 febbraio 2020, depositata il 6 marzo 2020 (R.G.R. n. 192/2019), non notificata, disposto all'udienza del 17.5.2023 con la quale era stato dichiarato inammissibile il ricorso spiegato in proprio dal S. e condanna alla rifusione delle spese di lite del primo grado.
MOTIVI DELLA DECISIONE
All'esito dell'udienza svoltasi in modalità mista, la Corte si è riunita in camera di consiglio, al cui esito, il Collegio reputa che gli appelli siano infondati e vadano respinti per quanto di seguito si esporrà.
Quanto all'appello riunito che ha preso r.g.n. 1763/2020, va confermata la statuizione di inammissibilità del ricorso spiegato in prime cure atteso che sul punto la motivazione spese dalla CTP e conforme a diritto e giurisprudenza maggioritaria. Sul punto è sufficiente rilevare che con sentenza n. 26491 del 17/12/2014, richiamata dalla C.T.P., la Corte di Cassazione, Sez. V, ha affermato che "Nell'ipotesi in cui il soggetto passivo dell'avviso di accertamento sia la società e l'atto impositivo sia stato soltanto notificato al suo amministratore di fatto, quest'ultimo non può ricorrere innanzi alla Commissione tributaria in proprio e non quale legale rappresentante della società, con motivi di censura inerenti, peraltro, non l'atto impositivo, ma la qualità, a lui attribuita in sede di notifica dell'atto, di amministratore di fatto della medesima
". Tale statuizione è confermata dalla giurisprudenza di legittimità successiva atteso che deve reputarsi diritto vivente che il soggetto individuato dall'A.F. quale rappresentante legale di una società non ha interesse giuridico ad agire in giudizio per impugnare l'avviso di accertamento emesso a carico della società. Infatti, l'interesse ad agire, quale condizione dell'azione, deve essere concreto, cioè effettivo, ed attuale. Nel caso di accertamento societario, invece, non sussiste un interesse immediato del rappresentante legale o del socio ad impugnare in proprio l'atto impositivo, semmai l'interesse all'impugnazione sorgerà solo in un momento successivo, ossia quando verrà notificato l'atto di riscossione (cfr. Cass. 17.1.2013 n. 1100 e Cass.
7.6.2012 n. 9282, con specifico riferimento ad una persona fisica indicata erroneamente come legale rappresentante della società di capitali cui l'avviso è rivolto, nello stesso senso Cass. 20.3.2019 n. 7763). È dunque opinione dominante della giurisprudenza quella secondo cui l'accertamento notificato per conoscenza all'amministratore di fatto di una società a responsabilità limitata non è da questi impugnabile, per carenza di interesse ad agire previsto dall'art. 100 c.p.c., atteso che quest'ultimo deve scaturire da un fatto lesivo del diritto tale per cui senza processo ed esercizio della giurisprudenza l'attore soffrirebbe un danno.
L'amministratore di fatto, quindi, è legittimato ad impugnare solo gli atti di riscossione a lui notificati successivamente, e non l'atto impositivo emesso a carico della società. Infatti, l'autonomia patrimoniale perfetta, caratteristica delle società di capitali, si ravvede nell'imputabilità alla società dell'attività svolta in suo nome, principio non derogabile in relazione alle obbligazioni tributarie della società stessa (C.T.R. Milano sez. 18, 6.2.2018 n. 492). Né potrebbe fondare l'esistenza di una tale interesse l'asserzione reiterata dalla parte appellante che se non avesse spiegato nella qualità impiegata impugnazione egli sarebbe rimasto privo di tutela appunto perché egli sarebbe - come lo è - legittimato ad impugnare gli atti di riscossione eseguiti a suo danno. Dalla conferma della inammissibilità pronunciata dalla decisione gravata consegue anche la correttezza della condanna alle spese di lite del procedimento, costituendo essa il diretto e inevitabile precipitato del principio della soccombenza della quale la corte ha quindi parimenti fatto buon governo.
In entrambi gli appelli riuniti, l'appellante eccepisce la nullità della sentenza di primo grado per essere stata pronunciata oltre il termine di trenta giorni di cui all'art. 35 del D.Lgs. n. 546/92, la doglianza va disattesa, posto che tale violazione non importa alcuna nullità della decisione. Sul punto è sufficiente il richiamo all'ordinanza n. 2299 del 31/01/2020 della Corte di Cassazione, ove viene precisato che "In tema di contenzioso tributario, in caso di rinvio della deliberazione rispetto alla discussione in pubblica udienza o all'esposizione del relatore (ove non vi sia udienza pubblica), il mancato rispetto del termine di trenta giorni stabilito dall'art. 35, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992 non comporta nullità della decisione, trattandosi di termine ordinatorio in quanto non espressamente dichiarato perentorio dalla legge" (v. ancora sul punto in senso conforme: Cass. n. 8249/2008 e Cass. n. 4776/2002).
Quanto alla pretesa inesistenza della notifica degli avvisi di accertamento e, conseguentemente, sull'illegittimità derivata degli avvisi di accertamento, la doglianza va disattesa. Si legge, infatti, nella sentenza (cfr. pagg. 5 e 6) "... il S. ed il M. erano i veri promotori e amministratori delle società... Le operazioni venivano realizzate attraverso la costituzione di società situate all'estero ma in realtà riconducibili ai predetti S. e M....". Da quanto sopra emerge che i Giudici di primo grado hanno analizzato il motivo di doglianza, rigettandolo in quanto provata l'esterovestizione della società. È pacifico infatti che, in caso di società con residenza fiscale estera fittizia, gli avvisi di accertamento vadano notificati presso la sede legale ed amministrativa effettiva delle