Corte di Giustizia di secondo grado Liguria, sez. II, sentenza 27/10/2023, n. 684
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Nell'ambito delle frodi carosello l'ente impositore può negare la detrazione Iva, assolta dal soggetto passivo per gli acquisti di costosissime automobili comprate e rivendute a prezzi significativamente più bassi rispetto a quelli di mercato, senza dovere produrre in giudizio una prova certa "vincolata" alla partecipazione attiva dell'operatore al meccanismo fraudolento.
Sul provvedimento
Testo completo
Richieste delle parti:
per la riassumente A:
Si confermi la sentenza appellata e si annullino gli avvisi impugnati, col favore delle spese
per l'appellante Agenzia delle entrate:
In accoglimento dell'appello, si respinga il ricorso di primo grado, col favore delle spese
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con separati ricorsi in riassunzione, tra i quali quello di causa, la A srl adiva questa Corte di giustizia tributaria in relazione ad alcuni accertamenti fiscali inerenti a c.d. frodi carosello nel settore della compravendita di automobili, che avevano condotto all'accertamento in capo ad essa A di rilevante IVA evasa (ed altro) per alcune annualità. Numerose controparti della soc. A nell'acquisto di autovetture - per numeri ed importi rilevantissimi - sarebbero stati infatti enti e soggetti irreperibili, o gestite da pregiudicati anche per reati fiscali, e comunque non sarebbero stati utilmente soggetti a tassazione ed al recupero delle imposte e dell'IVA, ed evasori/elusori fiscali;si tratterebbe in particolare di società cc.dd. "cartiere", costituite al solo scopo di frodare le imposte, rendendo di fatto inesigibile l'IVA.
Dopo l'annullamento parziale da parte della S.C. delle sentenze di secondo grado che avevano confermato l'accoglimento dei ricorsi di primo grado della A, ribadiva in questa sede quest'ultima la sua estraneità (e la sua ignoranza rispetto alle) frodi, per la scoperta e la prevenzione della quale essa non avrebbe avuto alcuno strumento concreto, specie all'epoca dei fatti. Essa non avrebbe mai ben conosciuto le proprie controparti, essendosi affidata a canali di comunicazioni "normali", per il resto non verificati o verificabili (si sarebbe trattato di contatti telefonici, consultazione di riviste del settore, ecc.).
Concludeva pertanto la soc. riassumente come si è riportato in epigrafe, chiedendo comunque confermarsi le sentenze di primo grado e l'annullamento degli avvisi.
Costituendosi in giudizio, l'Agenzia delle entrate ripercorreva gli esiti dei vari giudizi di merito e, poi, di quelli di legittimità, ribadendo la correttezza del proprio operato e la mancanza di prova data dalla soc. contribuente della propria, asserita buona fede (prova che incomberebbe a chi tale situazione invoca, come per legge e come da decisioni della S.C., ribadite anche in queste fattispecie).
Successivamente l'Ufficio impositore contestava la ritualità della nuova nomina del nuovo Difensore dell'appellata, o meglio contestava la ritualità della sostanziale riviviscenza del vecchio Difensore già ritualmente nominato, ma poi ritualmente revocato con comunicazione invata ad essa controparte ed allo stesso odierno Collegio giudicante. L'autenticità della (nuova) firma della rappresentata, in sede di "nuova" delega endoprocessuale non potrebbe infatti essere contenuta se non in un atto tra quelli tassativamente indicati nell' art. 83, comma 3 cpc .: e la nuova delega non sarebbe contenuta in alcuno di tali atti.
Concludeva pertanto l'ufficio resistente per il rigetto dei ricorsi di primo grado, col favore delle spese dei vari giudizi.
All'udienza odierna la causa veniva discussa e decisa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L'appello è fondato e il ricorso introduttivo va pertanto respinto.
Deve anzitutto rilevarsi che il ricorso per riassunzione e la presente fase derivano dal rinvio operato dalla S.C.. in relazione ad uno dei distinti gravami presentati dall'Agenzia delle entrate avverso le distinte sentenze della Commissione Tributaria Regionale della Liguria;sentenze che, tutte, hanno riferimento gli accertamenti IVA, IRPEG ed IRAP per varie annualità ed afferenti ad acquisti di autovetture da parte della A srl. In tutti i giudizi si discute(va) della violazione degli artt. 2727 e 2697 c.c. , 116 cpc, in relazione all' art. 360, comma 1, n. 3, cpc per la ritenuta erronea ricognizione ed applicazione della fattispecie normativa astratta relativamente ad operazioni ritenute soggettivamente inesistenti, ed alla connessa disciplina della prova.
In particolare in tutte le fattispecie che ne occupano la Corte di Cassazione ha ritenuto essere stata erroneamente pretermessa e non adeguatamente valutata dalla CTP e poi dalla CTR la prova presuntiva, dichiarata invece pienamente legittima nella fattispecie;
ancor prima, la S.C. ha ritenuto essere stato erroneamente attribuito l'onere probatorio relativo all'elemento soggettivo della fattispecie alla parte-ufficio impositore, anziché attribuirlo, come per legge, alla parte ricorrente-contribuente che le dette presunzioni contesti. Perciò - essendo pacifica l'esistenza oggettiva delle operazioni di acquisto di auto - si trattava e si tratta della prova della conoscenza/conoscibilità dell'inesistenza soggettiva di esse;o meglio della conoscenza/conoscibilità che di tale situazione e della conseguente frode-carosello la A abbia avuto o avrebbe dovuto avere secondo l'ordinaria diligenza.
In definitiva si tratta del connesso onere di dimostrare che la soc. contribuente non era a conoscenza, o non avrebbe potuto essere a conoscenza della provata inesistenza soggettiva delle operazioni, utilizzando all'uopo: a) il riparto dell'onere probatorio inerente alla natura di eccezione di simile allegazione e b) il criterio dell'ordinaria diligenza. E - come detto - il Giudice di legittimità ha chiarito in tutte le analoghe fattispecie odierne che ai sensi dell' art. 39, comma 1, del DPR n. 600 del 1973 e dall' art. 54 comma 2 del DPR n. 633 del 1972 ed ex art. 1697 c.c. incombeva sulla A l'onere di fornire la prova contraria di avere adoperato tutta la diligenza esigibile da un operatore accorto per evitare la collusione nel meccanismo di evasione dell'imposta. Ed ha pure chiarito che in questa direzione non aveva né ha dirimente rilievo né la regolarità della contabilità e dei pagamenti né la mancanza di benefici diretti dalla rivendita delle merci o dei servizi da parte della stessa soc. contribuente. Del resto anche la soc. A ha sottolineato anche in questa sede di rinvio che essa non si è mai basata su questi ultimi elementi per dimostrare la sua estraneità alla frode carosello.
Orbene, pure in questa sede la soc. A si richiama invero alla normativa, alle prassi, ed alle asserite, concrete possibilità di verifica al momento dei fatti, assumendo - più che di avere intrapreso verifiche concrete - che nessuna verifica, se non "esteriore" essa avrebbe potuto apprendere ed accorgersi della fittizietà delle attività dei soggetti e delle socc. c.d. "cartiere" e, così, delle frodi-carosello. Deve allora rilevarsi anzitutto che sono oggetto del presente giudizio tutti gli avvisi di accertamento emessi sulla base di alcuni PP.VV.CC.;ma la materia del contendere è stata ridimensionata dopo le ordinanze di annullamento parziale e rinvio della Corte di Cassazione, poiché è intervenuta medio tempore la modifica dell' art. 8 D.L. 16/2012 con il riconoscimento della deducibilità dei costi effettivamente sostenuti (pur soggettivamente falsi) purché effettivamente inerenti all'attività svolta. Perciò l'Ufficio ha provveduto all'annullamento dei recuperi Irpeg e Irap in autotutela parziale, e resta in contestazione solo il recupero di imposta Iva e le relative sanzioni. In tutte le fattispecie sottoposte all'odierno giudizio di questa Corte occorre perciò rilevare anche:
a) che non si tratta di un solo fornitore-cartiera, ma di plurimi fornitori (ad esempio ............), con acquisti di molte centinaia di Euro di imponibile acquisti e poi di IVA;
b) che per tutte - e non solo per alcune - dette società "cartiere" la A assume di non averle mai ben conosciute, anzi assume di non averle conosciute affatto, essendosi affidata tutte queste volte a canali di comunicazioni "normali", canali per il resto non verificati o verificabili (si sarebbe trattato di contatti telefonici, consultazione di riviste del settore, ecc.);
c) che trattasi di plurime cessioni di autoveicoli fatturate in regime di sospensione di imposta a seguito di lettere di intento risultate false in quanto emesse da fittizi esportatori;e sempre per importi molto ingenti, che confliggono di per sé con una "scarsa conoscenza" delle controparti: basti pensare alle obbligazioni di garanzia del venditore per falsità, vizi, ecc.;al necessario controllo della filiera della proprietà poiché le automobili sono beni mobili registrati;ecc. ecc.;
d) che vi è stato sempre indebito utilizzo del regime del margine, senza l'indicazione dell'imposta ai sensi dell' art. 38 del DL 41/95 );
e) che vi è stata la mancata regolarizzazione degli acquisti intracomunitari di fatto effettuati ex art. 46 c.5 D.L. 331/93 ;
f) soprattutto, che si è trattato di costosissime automobili comprate e vendute a prezzi significativamente più bassi di quelli di mercato, e proprio in considerazione dell'omesso aggravio dell'IVA sulla A prima, e sul compratore italiano finale poi. Ed è stato evidentemente proprio questo fondamentale aspetto a rendere appetibili le automobili tanto per la prima intermediaria A quanto e per i secondi, i compratori finali.
Ed allora, come ha chiarito la S.C., in questo univoco e chiaro stato di cose correttamente l'Ufficio accertatore ha richiamato anzitutto in fatto e per relationem il contenuto dei PPVVCC ed applicato il riparto dell'onere della prova;e processualmente la S.C. ha ritenuto infondata l'eccezione di insufficiente motivazione di detti PPVVCC, dei provvedimenti di irrogazione delle sanzioni e poi della sentenza impugnata, e ha dichiarato inammissibili le contestazioni riguardo al giudicato (ha anche rilevato che la CTR, in un caso, aveva fatto riferimento alle sentenze per gli anni 2004 e 2005 non come precedenti vincolanti ma solo a sostegno della propria decisione). La S.C. ha poi ritenuto assorbiti i motivi riguardanti le false lettere di intento, ad ha accolto i motivi 2 e 5 di ricorso dell'Agenzia delle entrate riguardo, come detto, al riparto dell'onere probatorio ed alla valutazione delle prove presuntive.
Secondo quanto si è detto, incombeva allora sulla A l'onere di dimostrare che non sarebbe stato possibile avere leciti dubbi possibili sull'inesistenza soggettiva delle operazioni, e che comunque essa contribuente non sarebbe stata conoscenza, né avrebbe povuto esserlo usando l'ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente: come ha sancito la S.C., "alla stregua dei criteri indicati dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1 , e dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 comma 2 , propri della tipologia di accertamento adottato nel caso in esame, che sono quelli presuntivi, incombeva, per converso, al contribuente, ex art. 2697 c.c. , fornire la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un'operazione volta ad evadere l'imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi. Ed alla luce di tali principi il giudice di merito ha nella sostanza operato una inversione di tale onere laddove ha ritenuto che spettasse all'Ufficio provare - pienamente, addirittura con prova di rango superiore a quella indiziaria - non tanto il fatto che le operazioni non erano state poste in essere con il fornitore dichiarato (il che pare ritenuto come dimostrato dalla sentenza impugnata, che non si sofferma su tale aspetto), bensì la partecipazione attiva della società Arenzano alla frode attraverso la dimostrazione di "accordi i con fornitori per attuare la frode fiscale", nell'ambito addirittura di una sorta di prova vincolata di cui non vi è traccia nella normativa in esame".
La S.C. ha poi affermato, testualmente, che "in siffatte ipotesi, in tema di IVA, ma analogamente in tema di imposte sui redditi, nelle c.d. "frodi carosello" - fondate sul mancato versamento dell'imposta incassata da società "cartiere" a seguito di acquisti intracomunitari, o altrimenti esenti, e successive rivendite anche attraverso l'interposizione di una o più società filtro ("buffers") - il meccanismo dell'operazione e gli scopi che la stessa si propone (acquisizione di materiali a prezzi più contenuti al fine di praticare prezzi di vendita più bassi, con alterazione a proprio favore del libero mercato), fanno infatti presumere la piena conoscenza della frode e la consapevole partecipazione all'accordo simulatorio del beneficiario finale, con la conseguenza che, in applicazione del relativo principio sancito dalla Dir. 17 maggio 1977, n. 77/388/CEE, art. 17 , l'IVA assolta dal medesimo beneficiario nelle operazioni commerciali con la società filtro non è detraibile ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 19 , anche se le predette operazioni siano state effettivamente compiute e 8 le relative fatture, al pari dell'intera documentazione contabile, sembrino perfettamente regolari trattandosi di mezzi normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un'operazione fittizia", indicando perscpicua giurisprudenza antecedente e constate (sentt. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 867 del 20/01/2010 Rv. 611768 - 01;Cass. Sez. 5 , Sentenza n. 9851 del 20/04/2018 Rv. 647837 - 01;Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 27566 del 30/10/2018 Rv. 651269;Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 5339 del 27/02/2020 Rv. 657341 - 01 ). La S.C. ha chiarito anche che "la sentenza impugnata si pone in contrasto con i principi giuridici sopra richiamati anche laddove ha ritenuto che la Agenzia dovesse dare la prova certa del coinvolgimento della A nella frode e che tale prova non potesse consistere negli elementi indiziari offerti dall'Ufficio, poiché, a parte il rilievo che non appare consentita la distinzione fra la prova indiziaria ed un'altra tipologia di prova, come se quella indiziaria non fosse una prova, incombe alla Amministrazione dimostrare, anche in via presuntiva, che si trattava di società cartiere (e ciò era quanto emergente dalla ricostruzione dei fatti trascritta in sentenza) e che il contribuente era consapevole (o avrebbe dovuto esserlo usando la ordinaria diligenza) che la operazione si inseriva in una evasione di imposta, senza necessità di ulteriori prove e tanto meno della prova, pretesa dalla sentenza impugnata, di una partecipazione attiva alla frode da parte della società appellata, da fornire attraverso la dimostrazione di previ accordi con i fornitori finalizzati alla frode fiscale".
Non pare allora possibile accogliere le deduzioni della A di essersi casualmente prestata ad una ingentissima, prolungata e complessa frode Iva senza poi trarne alcun beneficio diretto. Ciò in primo luogo proprio per la ricordata importanza e ripetizione nel tempo delle operazioni fraudolente, attuate con molteplici operatori, più di una dozzina: v. le considerazioni di cui ai detti PPVVCC, incontestati sul punto;in secondo luogo perché la A non era e non è un operatore occasionale né un privato dedito ad una occasionale acquisto, ma un soggetto economico importante e per importantissime somme, con operazioni ripetute per anni, ed infine, ma non per ultimo, il ricordato fatto che i prezzi di vendita erano considerevolmente più bassi di quelli di mercato, in stretta correlazione (anche matematica) con il mancato aggravo dell'IVA..
Non può prevalere in contrario il mero fatto che non vi fosse all'epoca lo strumento matematico e lo studio poi creato dalla Banca d'Italia - Unità di Informazione Finanziaria per l'Italia (UIF), non essendo (stato) certo questo l'unico strumento utilizzabile all'epoca;anche perché:
1) è questione di prassi commerciale e di logica che l'inizio di una partnership commerciale di altissimo livello sia preceduta da assunzione di informazioni (anche sul mercato) circa la solvibilità, la sede, la stessa esistenza effettiva del partner, la sua affidabilità per la garanzia del venditore, ecc.;
2) era ed è all'uopo possibile - e anzi praticamente doveroso, a maggior ragione trattandosi di soggetti asseritamente "sconosciuti", di chiedere anche agli uffici pubblici e fiscali le attestazioni e certificazioni di legge;
3) a maggior ragione quanto sopra era ed è il minimo esigibile quando ci si approvvigioni - e molte volte, e professionalmente - non di beni si poco conto, ma di automobili costose, con contatti che non possono esaurirsi in meri "contatti telefonici" e nella "consultazione di riviste di settore acquistabili in edicola";
4) del resto anche sotto quest'ultimo aspetto nessuna prova concreta ha neppure offerto la soc. appellata (ad esempio producendo annunci di vendita delle stesse auto poi da essa comprate in esenzione IVA).
Nessun ulteriore elemento da valutare in vista della dimostrazione della sua asserita buona fede ha offerto la soc. contribuente: e ciò nemmeno in questa sede di rinvio e pur dopo i chiari inviti e statuizioni della S.C. e rispetto alle espresse indicazioni di quest'ultima.
L' appello va pertanto accolto, e in riforma della sentenza impugnata il ricorso introduttivo va integralmente respinto riguardo alla residua materia attuale del contendere, restando assorbito ogni altro motivo, anche quello relativo alla rappresentanza in giudizio della soc. appellata (che risulta comunque essere stata assistita tecnicamente durante l'intero giudizio).
Le spese dell'intero giudizio seguono la soccombenza sostanziale, e vanno liquidate come da dispositivo.